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Rosignano
Marittimo |
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La vita Per la felicità di tutti gli uomini Il processo a Camillo Sciullo (la difesa di P.Gori) Addio a Lugano bella Le celebrazioni di Pietro Gori nella nostra comunità tra passato e presente I funerali da Portoferraio a Rosignano La tomba PIETRO GORI la vita (1865-1911) 1865 (14 agosto) Pietro Gori nasce a Messina da Francesco Gori e Giulia Lusoni. La famiglia è originaria dell’Isola d’Elba, il padre è un ufficiale dell’esercito già cospiratore risorgimentale, la madre è originaria di Rosignano Marittimo e proviene da famiglia ricca. Il nonno era stato ufficiale della Vecchia Guardia di Napoleone I.
1878-1885
Stabilitasi la famiglia a Livorno, Gori compie studi
classici, aderendo giovanissimo ad una “Associazione
Monarchica” dalla quale viene espulso per indegnità. Collabora
al periodico moderato “La Riforma”.
1886
S’iscrive a Pisa alla facoltà di Giurisprudenza ed entrato
in contatto con gli ambienti anarchici ne diventa
ben presto uno dei
leader più in vista. 1888 Come segretario dell’“Associazione Studentesca” organizza una commemorazione di Giordano Bruno. 1889 Si laurea in giurisprudenza all’Università di Pisa con una tesi di sociologia criminale su “La Miseria e il Delitto” ispirata alle idee dell’allora nuova “Scuola Penale Positiva”. Il noto professore Francesco Carrara è relatore della tesi. 1889 (novembre) Il suo primo opuscolo “Pensieri ribelli”, firmato con l’anagramma “Rigo”, che raccoglieva i testi delle prime conferenze del giovane militante libertario, viene sequestrato dalle autorità che bandiscono un processo contro Gori per “istigazione all’odio di classe”. Un nutrito stuolo d’avvocati, amici di corso e professori, difenderà Gori in questo suo primo processo che lo vedrà assolto da tutte le accuse. 1890 (1° maggio) Manifestazione e scontri a Livorno tra operai e forze dell’ordine. Gori insieme con altri 27 studenti ed operai sono accusati di “ribellione ed eccitamento all’odio fra le diverse classi sociali”, ed è indicato come organizzatore dello sciopero preparato per quella ricorrenza. Arrestato il 13 maggio è processato e condannato ad un anno di reclusione, condanna che in cassazione verrà ridotta ad alcuni mesi. Rinchiuso nel carcere di Livorno poi in quello d Lucca viene liberato il 10 novembre. Il periodo milanese 1891 (4-6 gennaio) Aderisce a Capolago assieme ad altri noti esponenti dell’anarchismo italiano (Malatesta, Galleani, Merlino e Cipriani) al congresso di costituzione del Partito Socialista Anarchico Rivoluzionario. 1891 Partecipa a Milano, come rappresentante della “Federazione cappellai del lago Maggiore” al congresso del Partito Operaio Italiano. 1891 Traduce per la biblioteca popolare socialista “il Manifesto del partito comunista” di K. Marx e F. Engels. 1891 (22 novembre) In una nota riservata del Ministero degli Interni a tutti i Prefetti del Regno, Gori viene sottoposto a “speciale sorveglianza” per il suo carattere “audace” e per il suo “ingegno svegliato”. 1891-1892 Trasferitosi a Milano, lavora nello studio d Filippo Turati, e fonda un giornale l’“Amico del popolo” di cui i 27 numeri usciti saranno tutti sequestrati dalle autorità. 1892 (4 aprile) Tiene, nella sede del “Consolato operaio” di Milano, una conferenza dal titolo “Socialismo legalitario e socialismo anarchico” dove chiarisce le posizioni critiche dell’anarchismo nei confronti del socialismo “riformista” giudicandolo autoritario e parlamentarista. 1892 (14 agosto) A Genova in occasione del congresso nazionale delle organizzazioni operaie e socialista, difende, assieme ad A. Casati e L. Galleani, le posizioni intransigenti e rivoluzionarie dell’anarchismo contro i “professori” del socialismo riformista che daranno vita al Partito dei Lavoratori Italiani poi Partito Socialista Italiano. 1892-1893 Pubblica le sue prime opere poetiche “Alla conquista dell’Avvenire” e “Prigioni e Battaglie”, tutta la tiratura, circa 9000 copie andrà esaurita in un breve lasso di tempo. 1893 (maggio) Difende a Viterbo l’anarchico individualista Paolo Schicchi che viene condannato a 11 anni di galera. 1893 (5 giugno) Ad Ancona tiene una conferenza dal titolo “Obbiezioni all’anarchia” dichiarando che il vero socialismo non può che corrispondere al comunismo anarchico. 1893 (agosto) Partecipa al congresso socialista di Zurigo e ne viene espulso assieme ad Amilcare Cipriani. 1893 Fonda la rivista “La Lotta Sociale” che fu ben presto costretta a sospendere le pubblicazioni a causa dei continui sequestri ordinati dalle autorità. 1894 (6 aprile) Di fronte al Tribunale di Chieti difende il compagno Camillo Di Sciullo. 1894 (22 maggio - 8 giugno) A Genova difende Luigi Galleani e altri compagni. Il primo esilio 1894 A causa delle leggi antianarchiche e alle persecuzioni, e ai continui attacchi succedutisi dopo l’attentato di Sante Caserio contro il presidente della repubblica francese Sadi Carnot, di cui Gori viene accusato dalla stampa borghese di esserne l’ispiratore, per sfuggire ad una condanna a cinque anni, è costretto ad espatriare clandestinamente. 1895 (gennaio) A Lugano è arrestato e dopo 15 giorni di galera viene accompagnato alla frontiera con la Germania. Nell’occasione scriverà la famosa canzone “Addio Lugano Bella”. Dalla Germania, passando per il Belgio approda ai più sicuri lidi inglesi dove incontra i principali esponenti dell’anarchismo internazionale da Kropotkin, a Louise Michel, da Carlo Malato a Sebastian Faure oltre naturalmente al solito Errico Malatesta. 1895 Emigra per un viaggio di propaganda negli Stati Uniti d’America, dove in un anno circa, viaggiando dalla sponda dell’est a quella dell’ovest tiene oltre 400 conferenze. Collabora al periodico di Patterson (New Jersey) “La Questione Sociale”. 1896 (estate) Ritorna in Inghilterra per partecipare al 2° congresso dell’Internazionale Socialista (27 luglio 1° agosto) come delegato delle organizzazioni operaie “Trade Unions” americane, dove ancora una volta si fa portavoce delle istante rivoluzionarie e anarchiche. Gli anarchici vengono espulsi dal congresso. Collabora al giornale “The Torch”. 1896 Subito dopo il congresso, Gori è colpito da una grave malattia e viene ricoverato al National Hospital di Londra, dove è assistito da Loiuse Michel. 1896 Per il continuo interessamento dei compagni e dei parlamentari Bovio e Imbriani, il governo gli concede il permesso di rientrare in Italia e obbligatoriamente di risiedere all’isola d’Elba. 1896 (estate) torna a Londra per partecipare, come delegato delle organizzazioni operaie statunitensi, ai lavori del secondo Congresso dell'Internazionale socialista in cui ribadisce le sue tesi anarchiche. Nella città inglese si ammala gravemente ed è ricoverato al National Hospital. 1896 (4 dicembre) Trasferitosi a Rosignano Marittimo presso la famiglia riprende i contatti con il movimento anarchico. Il secondo esilio 1898 l'aumento dei prezzi del pane provocò tumulti in tutta Italia a cui il Governo risponde con il pugno di ferro. I morti del 7 maggio a Milano (il cui numero varia dagli 80 dei dati ufficiali agli oltre 300 secondo gli oppositori), quando il generale Bava Beccaris ordinò all'esercito di sparare sulla folla, sono solo la punta dell'iceberg; non meno feroce fu infatti la repressione delle organizzazioni politiche e sindacali di sinistra a seguito della quale Gori fu costretto ad un nuovo esilio per evitare la condanna - a dodici anni - che gli venne inflitta in contumacia. 1898 In occasione della inaugurazione del monumento commemorativo delle “cinque giornate”, Gori tenne un acclamato discorso che fu poi assunto come uno dei capi d’accusa durante il processo in contumacia intentatogli davanti alla Corte marziale durante i fatti del ’98. 1898 (5 febbraio) Difende assieme agli avv. Zerboglio e Dello Sbarba gli operai e i contadini di Campiglia Marittima che avevano partecipato alle agitazioni popolari d’inizio d’anno. 1898 Difende di fronte alla Corte d’Assise di Casale i compagni protagonisti delle rivolte di Carrara ed ad Ancona i compagni della redazione dell’“Agitazione” fra cui Malatesta. 1898 Collabora a diversi periodici anarchici fra cui l’«Agitazione» d’Ancona. A causa delle agitazioni e delle successive azioni repressive del governo è costretto ancora una volta ad emigrare. A Marsiglia si imbarca per il sud America, mentre le autorità italiane lo condannano a 12 anni di galera. 1898-1901 Nel suo soggiorno sud americano si farà conoscere oltre come propagandista anche per le sue qualità di studioso. Fonda a Buenos Aires la rivista scientifica “Criminalogia Moderna” che avrà decine di collaboratori in tutto il mondo. 1902 Rientra in Italia, agevolato da un’amnistia, sia per motivi familiari sia per quelli legati alla salute. 1903 Su invito di Luigi Fabbri fonda a Roma la rivista quindicinale “Il Pensiero”. 1903 (27 novembre) Muore a Rosignano Marittimo la madre. 1904 Effettua un viaggio in Egitto e in Palestina di cui diede una relazione in una brillante conferenza tenuta all’Associazione della Stampa in Roma. 1905 Continua a tenere conferenze di propaganda e la sua professione d’avvocato, difendendo molti compagni in numerosi processi penali. Partecipa al Congresso sindacalista di Bologna organizzato da O. Dinale tenendo una relazione sul tema dei rapporti fra sindacato e partiti politici. 1907 Partecipa alle agitazioni che si verificarono all’Isola d’Elba per la morte di tre operai ed il ferimento di molti altri per lo scoppio di un altoforno.
1909
(14 novembre) A Portoferraio tiene l’ultima
conferenza in commemorazione di Francisco Ferrer. 1911 (8 gennaio ore 6,30) Muore a Portoferraio, dove si era rifugiato per cercare di trovare sollievo per la sua malattia (tisi), fra le braccia della sorella Bice e quelle dell’operaio anarchico di Piombino, Pietro Castiglioli. Lascia un'ampia produzione letteraria che spazia dal saggio politico al teatro, dalla criminologia alla poesia oltre alle arringhe e alle conferenze. |
Per la
felicità di tutti gli uomini
Amici e compagni miei.
Se a tutte le angustie del presente sistema
economico-sociale voi vi sentite e vi dichiarate ribelli,
voi siete anarchici, perché avete la coscienza dei vostri
diritti di uomini. Voi siete anarchici perché volete
distruggere questa putredine dell’oggi per edificare la
società umana sotto una forma nuova e differente, sulle basi
dell’amore, della fratellanza e della solidarietà. |
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IL PROCESSO A CAMILLO DI SCIULLO Camillo Di Sciullo (Chieti 1853). I genitori, originari di Fara San Martino, vi si erano trasferiti con i 5 figli per l'impossibilità di continuare a trarre risorse dall'attività di tessitori lanieri alla quale erano dediti da generazioni. Avviato fin da bambino al lavoro, Camillo riusciva, nel contempo, ad assicurarsi un'istruzione da autodidatta. Nel 1887, risultava redattore del settimanale satirico dialettale "La Mosche" e consigliere della Società Operaia di Mutuo Soccorso, nata a Chieti nel 1861. Due anni dopo, nel 1889, si costituiva il Circolo Giordano Bruno che raccoglieva le menti "libere" della città. Il 15 agosto 1890 il Circolo pubblicava il primo numero del periodico "Il Pensiero. A partire dal numero apparso il 1° maggio 1892 cominciavano ad avvertirsi simpatie socialiste. Nel numero del 1° gennaio del 1893 "Il Pensiero", mostrava i primi timidi segni di propensione per l'anarchismo. Nel frattempo Di Sciullo entrava in contatto con l'anarchico Antonio Rubbi tramite il quale ha la possibilità di entrare in corrispondenza con Pietro Gori e con tutta la rete della stampa anarchica nazionale ed internazionale. A partire dal 18 febbraio del 1894 il giornale veniva stampato nella tipografia aperta da Di Sciullo: la " Tipografia del popolo". "Il Pensiero" subiva un nuovo sequestro il 26 febbraio. Il 6 Aprile 1894 Di Sciullo veniva processato per "vilipendio delle istituzioni monarchiche costituzionali, provocazione all'odio tra le diverse condizioni sociali, provocazione contro l'ordine delle famiglie, offesa al diritto della proprietà". Ne assumeva la difesa l'avvocato Pietro Gori che riusciva ad ottenerne l'assoluzione con l'arringa riportata sotto. Dalla Difesa di Pietro Gori Signori della Corte, Cittadini Giurati! Venuto di tanto lontano, io mi domandavo, quale efficacia poteva avere la mia povera parola in questa causa, a cui difensori tanto valorosi avevano aderito, quando, così di repente, da questo illustre collegio mi viene deferito tutto l'onere o l'onore della difesa. Accingendomi a sì caro e pure per le mie deboli forze sì grave ufficio, io vi ricambio, o colleghi egregi, il riconoscente saluto dell'ospite. E voglio dirlo subito, io che solo da stamane conosco Camillo Di Sciullo, mi sento onorato e fiero di difenderlo innanzi a voi, o giurati, pur difendendo le comuni idee. Poco fa il presidente udendo dai testimoni le azioni pietose dal Di Sciullo compiute, dimandava meravigliato, come si poteva conciliare tanto cuore con le idee, che quest'uomo professa e bandisce. Ma la meraviglia deve cessare, quando si pensi che coteste idee, oggi calunniate perché non conosciute, contengono in sé i più alti principi di giustizia e di amore. Perché se voi voleste, o accusatore pubblico, fare il processo a questa marci irresistibile del socialismo anarchico nella società moderna, dovreste prima ricordarvi che questa idea risale, nella sua genesi, bene addietro nei tempi, e dovreste riflettere che Cristo medesimo, condannato più come riformatore sociale che come religioso, era, come dice Renan, sotto ogni aspetto anarchico, giacché non ammetteva idea di governo, il quale a lui sembrava puramente e semplicemente un abuso. E partendo dal concetto che gli uomini eguagliati nelle condizioni, devono di necessità divenire fratelli, giungeva a conclusioni comunistiche. Ma contro Cristo, che inveiva contro i ricchi e i potenti, perché aveva abbracciato la causa dei poveri e degli umili, voi, o Ministero pubblico, forse se rivivesse, domandereste l'applicazione dell'articolo 247, per avere eccitato l'odio fra le varie classi sociali. Sono queste, o signori, le lotte perenni del pensiero umano, che lascia sulla via gloriosa i brandelli di carne e di cuore dei suoi martiri e dei suoi perseguitati. Anche la causa che oggi difendo, o giurati, è una causa di libertà! Il P.M. stesso, deve riconoscere, che l'editto sulla stampa, che data dal '48, e che ha quindi la barba lunga, riconosce fino dal suo primo articolo, che la manifestazione del pensiero per mezzo della stampa è libera. Ma, soggiunge il P.M. c'è anche una legge, che ne reprime gli abusi, e, rincalca, la libertà non deve confondersi con la licenza. E noi domandiamo: dov'è onorevole avversario, che finisce l'uso o dov'è che comincia l'abuso? Quando è che termina la libertà e quando principia la licenza? La libertà è libertà, o non è. Se voi ne riserbate la limitazione al vostro arbitrio, cotesta libertà non è che una chimera. Sarà la libertà di pensare e di scrivere, come piace…a chi comanda. E in tal caso, ditelo pure francamente […] Egli vi ha detto, o signori giurati, le frasi staccate che più avevano colpito la sua fantasia, ne ha fatto un mosaico a modo suo, ed ingrossando la voce, onde far sembrare terribili le frasi più innocenti di questo mondo, vi ha presentato il tutto con un contorno di foschi colori, e con una tragica declamazione, come razzo finale. Io non seguirò o signori, cotesto sistema illegale ed illogico del P.M. Esaminerò gli articoli nel loro complesso, senza artifizi retorici, ma così alla buona, con brevità e semplicità. Il Pubblico Ministero ha ravvisato gli estremi del reato di vilipendio delle istituzioni monarchiche costituzionali in alcune frasi staccate degli articoli: Frugando nei libri e Le sanguisughe dei popoli. Eppure nel primo, per quanto fiscali si voglia essere, non c'è che una considerazione di indole storica e scientifica, secondo la quale il governo, qualunque ne sia la forma, la origine e la organizzazione, non è che lo strumento politico dello asservimento economico e dello sfruttamento dei molti, che lavorano, a vantaggio di pochi, che non durano altra fatica se non quella di divorare il frutto delle fatiche altrui. E nel secondo articolo non si fa che una statistica sulla quota di tasse e di imposte che il governo percepisce da ogni cittadino per le assorbenti spese di un militarismo inumano e di una burocrazia parassitaria. Statistica che si chiude con la considerazione, che gli uomini farebbero molto meglio ad accordarsi armonicamente sulle basi di patti liberi, coordinando gli sforzi, le energie, le intelligenze, al raggiungimento del massimo benessere sociale e della massima libertà individuale. Ed in tutte queste espressioni voi non potete ravvisare o signori, che l'alta idealità degli anarchici, mirante alla socializzazione di tutti i beni col comunismo, coronato dalla socializzazione, per dir così di tutte le sovranità individuali armonizzanti in una immensa conciliazione di interessi, ad una solenne armonia di diritti, senza nessuna rinunzia, o abdicazione dell'individuo. Il socialismo integrale, infine, per adoperare coraggiosamente una parola che fa paura alle anime pavide ed alle coscienze dimezzate: l'anarchia. E questa aspirazione può essere giudicata criminosa da animi liberi? E il vagheggiare l'abolizione di ogni forma di autorità di uomo sull'uomo, con la soppressione dell'organo accentratore e dissanguatore che si chiama stato o governo, l'estrinsicare su di un giornale un concetto eminentemente scientifico ed umanitario qual' è il Comunismo Anarchico, dovrà meritare così spietate conseguenze penali come quelle volute dal P.M. , in odio del mio amico Di Sciullo? Ma il P.M. non si arresta. E chiede che voi, o giurati, dichiariate l'imputato provocatore all'odio fra le diverse classi sociali per aver stampato sul Pensiero gli articoli: abbasso la patria e chi ha ragione? Ed anche qui il P.M. segue il suo sistema prediletto. Ingrossa la voce, leggendo la frase isolata: su, svegliatevi! Ed uniti date addosso ai parassiti del corpo sociale. Piantate sul, globo terrestre la bandiera internazionale dell'Anarchia e Comunismo. Ma dimenticò di richiamare la vostra attenzione al complesso dell'articolo, come sarebbe stato suo dovere. Dimentica di dirvi che tutto il concetto che anima cotesto scritto, è tutto un pensiero di amore e di fratellanza per il genere umano. […] A questo ci conducono irrevocabilmente, o signori, le rigide leggi della storia, a questa idealità di fratellanza internazionale si ispira tutto l'articolo che si chiude con le parole fatidiche di abbasso la patria! Viva l'umanità! Ma il P.M. trova il modo di ingrossare la voce anche ad alcune frasi un po' vivaci dell'articolo successivo in cui si inneggia alla ribellione contro ogni forma di iniquità economica e politica. Udite udite (grida terrorizzato l'accusatore pubblico) il "Pensiero" esorta il popolo a rompere i suoi ceppi sul muso ai suoi oppressori. Dice al popolo: brucia gli altari, calpesta le corone, spossessa i ricchi! Fa valere i tuoi diritti se vuoi la tua felicità. Cessa una buona volta d'esser bestia da soma e diventa uomo. Se io avessi il tempo , o signori, di portarvi innanzi tutte le irruenze in prosa ed in versi che la moderna letteratura rivolge contro un sistema di cose che è ormai divenuto insopportabile ai più, io dovrei leggervi i migliori scritti di questo ultimo quarto di secolo. E potrei dimostrarvi, che si lasciano circolare liberamente, per le biblioteche, e nelle mani di popolo, delle bombe…letterarie ben più numerose della immagine retorica con cui si chiude cotesto articolo del Pensiero.[…] Io, di un'ode conosciutissima del Carducci, il poeta senatore e cortigiano, vi ricorderò le strofe incendiarie: tu spiri, o Satana, nel verso mio - se dal sen rompemi - sfidando il dio - de' rei pontefici - de' rei cruenti, e come fulmine - scuoti le menti. E già tremano - mitre e corone (anche il Carducci un tempo l'aveva su con le mitre e le corone, e non solo non lo hanno processato, ma lo hanno fatto grand'ufficiale della corona d'Italia) dal chiostro brontola - la ribellione e giù, via di questo passo, per una filza di strofe che sono tutto un alto inno lirico alla ribellione del pensiero umano contro tutte le pastoie dei convenzionalismi e delle leggi imbavagliatici. […] Ed eccomi giunto, o signori, all'articolo "La proprietà comune" in calce al quale voi sarete sorpresi di leggere il mio nome, mentre solo Camillo Di Sciullo che lo ha pubblicato, è chiamato per esso a rispondere del delitto di offesa all'inviolabile diritto di proprietà. […] Ora nell'articolo incriminato non si offende la proprietà in concreto; ma si discute, si critica, si combatte la forma della proprietà capitalistica, come ordinamento economico di privilegio. Si sostiene (e chi oserebbe sostenere il contrario?) che la proprietà per i più oggi non esiste: esso attualmente è un esclusivo monopolio di una ristretta classe di cittadini che noi chiamiamo sinteticamente borghesia. I socialisti di tutte le scuole sono in questo concordi, chè ritengono la proprietà privata una forma di spogliazione delle maggioranze lavoratrici a vantaggio delle minoranze oziose. Infine essi domandano se è proprio vero che la proprietà degli attuali capitalisti sia frutto del loro lavoro come sostengono gli economisti borghesi. E se è solo lavorando, affaticandosi, producendo che si diventa ricchi - come mai quasi tutti quelli che oggi lavorano, si affaticano e producono - come mai tutti cotesti operai, cotesti artigiani, cotesti contadini, sono poveri e sempre più poveri, purtroppo diventano? Eppure tutte le opere della civiltà sono il prodotto delle fatiche loro. Essi fabbricarono la ricchezza per gli altri, e rimasero nella miseria-essi aearono a vantaggio di pochi oziosi il benessere; e rimasero giù in fondo all'inferno sociale a dibattersi fra i tormenti della fame cronica e le tenebre dell'ignoranza. Essi sono i dannati della vita, i galeotti della società civile (se è civile) - e tutto ciò come socialisti-anarchici sostengono e dimostrano, non per colpa individuale dei borghesi, o per cattiveria dei padroni o dei capitalisti, ma per iniquità di tutto il sistema economico moderno, incardinato sul principio della proprietà privata, e per la mortuosità di tutto l'attuale meccanismo di produzione, in cui il diritto alla vita ed al benessere delle moltitudini operose, si infrange contro il privilegio parassitario dei pochi fortunati possessori di tutta la ricchezza sociale. Dalle considerazioni alle quali ho fugacemente accennato, scaturisce, o signori, ogni tesi socialista, tra cui primissima, quella del moderno comunismo scientifico. Il quale, seppur il cristianesimo primitivo ha, come dicevo, la sua genesi storica più per affinità di sentimento che per somiglianze di dottrine-attinge però le sorgenti vigorose del suo attuale sviluppo nelle condizioni speciali della società moderna. Le idee non sorgono e non si sviluppano se non sotto l'impulso di bisogni realmente sentiti. Ed il comunismo anarchico come aspirazione e come partito militante, sorge dai profondi strati della vita sociale, come prodotto spontaneo delle miserie della folla e degli ideali di anime generose, e si affaccia alla vita, fatale e solenne, come il sorgere di un mondo nuovo. I comunisti-anarchici negano è vero la proprietà, ma la negano come privilegio, per affermarla come diritto. Reclamano cioè che le terre, le miniere, le fabbriche, gli opifici, le macchine, gli strumenti di scambio e di produzione non siano più come oggi, in possesso di pochi - ma diventino patrimonio sociale, cioè proprietà di tutti. Ecco qual è il concetto giuridico sociale del mio povero articolo incriminato e addossato al Di Sciullo. […] Ed ho qui, sotto mano, un libriccino di un buon frate, che qualche secolo fa subì persecuzioni per aver pensato e scritto, che tutto ciò che esiste sulla terra appartiene a tutti. È "La città del sole" di Tommaso Campanella, nel quale libro il buon frate descrive, secondo le sue idee religiose e conventuali, un paese in cui tutti i cittadini godono benessere e libertà, perché tutte le cose sono godute in comune. Ripeto: tutto cotesto, come quella della "Utopia" di Tommaso Moro e degli scritti di Owen, Babeuf e di tanti altri precursori è comunismo utopistico; sono costruzioni arbitrarie e sistematiche di una società nuova, come i moderni romanzi di Bellamy e del Morris, ma l'idea madre c'è: l'idea dell'abolizione della proprietà è la conclusione inevitabile di cotesta ipotesi idealistiche - e nessun P.M. di questo mondo si è mai sognato di far sequestrare cotesti libri.il comunismo scientifico moderno di cui l'articolo incriminato sostiene la tesi, parte invece da premesse rigide e incrollabili. Esso domanda: i sistemi di produzione capitalistica non sono essi forse completamente rivoluzionati dalla macchina, questo potente strumento di civiltà? E il socialismo della produzione non funziona esso forse di già nel grande opificio moderno in cui i reggimenti di lavoratori si affaticano in comune? Immaginate che cotesti operai come sono associati oggi solo nella fatica che altri invece, cioè il padrone, sfrutta legalmente, siano domani associati anche nel godimento comune dei loro prodotti e voi avrete l'idea del comunismo in azione. La macchina - dice l'articolo in esame - ecco la grande rivoluzionaria. La macchina che oggi centuplica la produzione facendo una spietata concorrenza all'operaio, e creando dolorosi eserciti della disoccupazione, è quella che spinge a rovina il sistema capitalistico e prepara la società nuova. Essa oggi rappresenta per l'operaio la miseria, mentre crea la ricchezza ingombrante i magazzini. Quando l'operaio dell'industria con l'aiuto della macchina ha prodotto troppo, il padrone che non trova da vendere la merce, è costretto a licenziarlo…perché ha prodotto troppo, cioè ha troppo lavorato. Da queste premesse si deve adunque concludere per la distruzione delle macchine? Ah no-non distruggerle, ma restituirle in proprietà sociale ai lavoratori che le rendono produttive. Ecco l'unica soluzione del problema industriale. Ecco perché la rivoluzione in questo senso è fatale, irrevocabile. Essa infine non vuol dire che ripresa di possesso degli strumenti di produzione e quindi anche delle macchine per parte dei lavoratori, che dovranno adoperarle a vantaggio della intera società! Ecco l'unica via per cui, secondo i socialisti-anarchici, le plebi sfruttate potranno rivendicare a sé ed a tutti l'uguaglianza economica e la libertà integrale. E' un'utopia- dite voi, o accusatore pubblico. Ditelo pure, se ciò vi fa piacere. Ma io vi dico, che l'avvenire soltanto potrà rispondere se questa utopia dell'oggi non potrà essere la realtà del domani. Dite pure che cotesti sono sogni foschi o luminosi, come più vi talenta- ma non avete il diritto d'affermare che coteste aspirazioni sono criminose. E neppure avete il diritto di sostenere che i socialisti-anarchici rinnegano i più santi affetti del cuore, che vogliono calpestare i soavi sentimenti della maternità e dell'amore. L'articolo sulla Donna vi ha fatto andar sulle furie, e vi siete eretto, sempre più ingrossando la voce, a difensore della famiglia. Di quale famiglia parlate o egregio avversario? Di quella dell'operaio, che i sistemi dell'industrialismo odierno hanno distrutta con lo strappare per tante ore il padre e la madre all'educazione dei figli, relegandoli negli ergastoli di sfruttamento, quali sono molti stabilimenti delle grandi città? Ovvero parlate della famiglia, quale, nel maggior numero dei casi, si forma e si svolge nella classe dei possidenti? Chi oserebbe negarlo? Il matrimonio, spesso in cotesta classe non è che un semplice e volgare contratto di interesse. Il buon partito, ecco nel gergo del mercantilismo matrimoniale ciò che si cerca, quando si vuol mettere su famiglia, e si è gente pratica, come si suol dire. Ed il buon partito non è sempre una persona amata. Al contrario. Nei contratti matrimoniali una bella dote, un grosso patrimonio, un blasone, è in genere un miglioramento di condizioni sono gli scopi principali che si prefiggono i due fidanzati. In cotesti contratti l'amore c'entra quanto in un affare di compra e vendita fra due mercanti. […] Hanno dunque ragione gli anarchici a sostenere come si fa nell'articolo del Pensiero sulla Donna, che oggi il matrimonio legale è il più delle volte un contratto volgare ed egoistico, e che cotesto mercantegiamento dovrà scomparire insieme con la società borghese. Non è dunque la distruzione della famiglia come allacciamento spontaneo di affetti e di simpatie, che noi vogliamo è l'abolizione della menzogna convenzionale del matrimonio che nulla giunge all'amore se veramente esiste nei due che si uniscono, e che costituisce l'unico vincolo saldo e resistente tra due corpi e due anime amanti. Noi vogliamo la purificazione di questi gentili affetti dell'animo umano- eliminando tutte le accuse che li adulterano e li corrompono. Ah, voi difendete, o accusatore pubblico, la donna- sposa e madre- dai pretesi attacchi degli anarchici; e sapete bene che le consuetudini e le leggi vostre concedono bene scarso aiuto ed appoggio alla donna, considerata ancora piuttosto schiava che compagna dell'uomo. Gli anarchici vogliono invece risollevare la donna, che oggi non è che femmina procreatrice di figli e strumento di piaceri, all'alta missione, che le spetta nella società. Vogliono innalzarla socialmente ed intellettualmente allo stesso livello del maschio, proclamando, nella convivenza fraterna dell'avvenire, che l'amore soltanto è sacro; e che sulle basi dell'amore, che è libero e ribelle ad ogni legge che non sia di natura, dovranno formarsi le unioni sessuali- amplessi luminosi e puri in cui l'interesse volgare dell'epoca presente non porterà più il suo alito corruttore. Questa è opera di purificazione, non già di distruzione. E Camillo Di Sciullo, amorosissimo della donna che si è scelta a compagna, tenero dei figli suoi che ansiosi lo attendono alla mesta casa, dove tra poco echeggerà un saluto al vostro verdetto di assoluzione, o giurati- quest'uomo, che non soffrendo miseria, combatte dal fronte persecuzioni, perché vuole redente le miserie dei suoi simili, questo padre che, oltre i figli suoi, ama e soccorre i figli abbandonati, i figli del povero, può sorridere benignamente sereno dell'accusa di nemico delle madri, delle spose, dei bambini deboli e indifesi, quali il P.M. per sostenere l'accusa deve seriamente ritenerlo. Egli può attendere, a fronte alta, fieramente, più come uomo che giudica anziché come uomo che deve essere giudicato, il responso sereno della vostra giustizia. Io venni, o giurati, tra le incantevoli montagne del vostro bel paese dicendo a me stesso: chi dice Abruzzo dice bellezza e cortesia. Assolvete Camillo Di Sciullo, dichiarate col vostro verdetto che il pensiero umano deve esser libero nei suoi slanci desiosi verso l'avvenire, ed io mi congederò da voi, ripetendo a voce alta: chi dice Abruzzo dice giustizia e libertà!… (Applausi fragorosi e prolungati). |
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Addio a Lugano
(Audio) Addio a Lugano, la cui musica, di autore anonimo, è sicuramente di origine popolare, toscana, è la più famosa, insieme con Stornelli d'esilio, fra le canzoni di Pietro Gori. |
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Pietro Gori al centro |
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Le celebrazioni di Pietro Gori nella nostra comunità tra passato e presente Pietro Gorì morì l'8 gennaio 1911. Poco più di un mese dopo l'Amministrazione Comunale di Rosignano, con l'allora Sindaco, Alberto Caputi Baracchini, lo ricordava come "il poeta della democrazia" che, con la sua presenza aveva onorato Rosignano, per questo il Consigliere Boschi propose di dedicargli la piazza maggiore del paese, denominata fino ad allora "delle Logge". La deliberazione fu approvata ad unanimità.(La piazza in questione fu la prima in assoluto ad essere dedicata ad un personaggio anarchico durante la Monarchia Sabauda). Anche la sorella Bice si prodigò affinchè il suo ricordo rimanesse il più possibile vivo. Alla fine del 1911, dopo una serie di richieste presentate all'Amministrazione Comunale, ottenne il permesso di erigere un monumento in suo onore, nel cimitero comunale, sul viale fronteggiante la loro cappella di famiglia. (In prima istanza Bice Gori inoltrò domanda di porre la statua dinanzi alla cappella di famiglia; il Sindaco con lettera del 16 dicembre espresse parere negativo per un problema di ordine tecnico). Ben presto, si costituì anche un comitato cittadino, ( composto da Romeo Baldini, Sebastiano Guelfi, Cesare Masoni, Primo Tempestini, Giovanni Santucci, Francesco D'Erede, Alessandro Lenzi, Giuseppe Vecchi, Elio Modesti, Parisio Spagnoli). che organizzò la prima commemorazione; fu previsto lo scoprimento di una lapide, sulla facciata della di lui casa, a Rosignano Marittimo in via San Martino (Oggi denominata via Antonio Gramsci). con un bassorilievo raffigurante una figura muliebre agitante una fiaccola, con sotto alcuni versi del poeta, e l'epigrafe: Questa effige di Pietro Gori/interpretando il voto di tutta una gente/ridesta nella luce del pensiero di lui/ interpretando la coscienza/di quanti vogliono la pace e la dignità umana/i devoti al suo spirito eletto/ e Rosignano maternamente orgogliosa/perpetuano/in cospetto del mare e dei posteri più che premio di meta non raggiunta/più che onoranze di vittoria più che palma di martirio/ esempio e conforto agli apostoli futura del popolo perfettibile. Il 6 gennaio 1912, giunse ufficialmente al Sindaco, dal comitato, il programma della giornata rievocativa, con la partenza di un corteo delle varie associazioni politiche ed economiche del territorio, dalla piazza San Rocco, nel centro storico del paese, per tutta la via Lunga (Oggi denominata via Cesare Battisti), via San Martino, fino alla lapide dell'anarchico spagnolo Francisco Ferrer y Guardia (1859 - 1909) nella piazza dedicata a Gori, per poi arrivare in piazza Giosuè Carducci ed ascoltare l'avvocato Libero Marito ed altri rievocare, la figura del "vate libertario". Nel pomeriggio, un corteo si sarebbe mosso alla volta del cimitero dopo aver scoperto la lapide sulla di lui casa, alla presenza delle bande musicali di Rosignano e Castagneto Carducci. La manifestazione si svolse senza turbare l'ordine pubblico, questo era il vero timore del Sindaco che, più volte, aveva manifestato il suo sgomento; con lettera del 9 gennaio al Prefetto, partecipò la tranquillità dell'evento, a parte un piccolo incidente al cimitero, dove alcuni forsennati, non volevano far passare i vessilli coi colori nazionali delle associazioni economiche paesane.
Il comitato per
l'evento aveva fatto stampare anche il seguente manifesto
che riportiamo per la bellezza dei suoi versi:
Scoprimento della lapide a PIETRO
GORI
Noi lo portammo qui, su i nostri omeri consapevoli del
peso eroico, tra la mistica ombra degli olivi, nel cimitero
piccolo e montano, sospeso tra il
virgineo scintillio delle lampade sideree e la immensa latèbra,
equorea del Tirreno, che cante
alle brune scogliere il divino poema dell'amore e della
morte con la sua triste cetra
palestriniana. Se voi o compagni ed amici, di ogni parte d'Italia accorrete alla tomba dell'apostolo, segno è che grande virtù di esempi e santa eredità di affetti Ei lasciò nel cuore del popolo. E, benvenuti siate, qui, nell'ora scettica e beffarda che attraversa l'Italia, a riaccendere la fiaccola dell'Ideale che mai non muore, sulla soglia prometèa di questo sacro avello o lottatori dell'umanità, o sfruttate falangi del lavoro.
Oggi i vostri pensieri siano pure come gigli. Noi siamo
come dice Carlyle, atomi
vaganti tra due grandi abissi: il silenzio delle stelle ed
il silenzio delle tombe. Troppo grande è il mistero che
grava sulla nostra ora fuggente.
Il sole oggi è tepido come un latte appena munto; il mare
è intonato come un organo; i cipressi odorano di
lor sottile incenso la tomba
di Pietro Gori. Pace o
fratelli! Dinnanzi alla tomba
di Pietro Gori oggi noi ci
sentiamo più buoni e più fratelli! IL COMITATO
N.B. invitiamo i compagni e le Associazione operaie
affini a partecipare numerose col proprio vessillo alla
solenne commemorazione che avrà luogo nelle ore
antimeridiane dell'8 Gennaio Il ventennio fascista e gli orrori della Seconda Guerra Mondiale fecero dimenticare la figura di Gori e dovettero passare molti anni ancora prima che la comunità rosignanese pensasse di onorare nuovamente la memoria del pensatore. Nel 1959 sorse un Comitato ad hoc al quale aderirono sia i partiti che le associazioni laiche di Rosignano Marittimo, oltre ad amici di Pietro Gori e personalità del movimento anarchico, tra i quali, Armando Borghi, Ugo Fedeli, Giovanna Berneri e Lorenzo Marianelli. Una iniziativa da cui scaturì un anno dopo, il 15 maggio 1960, una celebrazione ufficiale di Gori, ad opera dell'amministrazione comunale di Rosignano Marittimo, capeggiata dall' allora sindaco Demiro Marchi. Fu una delle manifestazioni più significative del secondo dopoguerra, durante la quale si scoprì un busto in bronzo del "vate libertario", donato dagli anarchici di Genova e posto nella piazza di Rosignano Marittimo a lui intitolata appena un mese dopo la sua morte (Nell'adunanza del 30 settembre 1923 il Consiglio Comunale, ad unanimità, ne cambiò il nome in Piazza Libero Turchi. Solamente dopo la Liberazione la piazza riacquisto il suo nome originario). Ma, soprattutto, fu costituita una sala nel Museo Civico destinata a conservare ricordi, cimeli e fotografie di Gori, mentre un'altra sala fu adibita a contenere le sue opere. Un fondo documentario e librario che, almeno sino ai primi anni '70, si arricchirà di nuovo materiale frutto prevalentemente di donazioni private. All'esterno del Museo Civico fu infine posto il busto marmoreo di Gori, opera dello scultore Arturo Dazzi. Monumento che, nel 1926, era stato rovesciato, decapitato e reso mutilo delle braccia dagli squadristi fascisti e che ora doveva servire "a testimonianza di un periodo infausto della vita politica del paese e monito per le giovani generazioni". A suggellare quella che poteva essere definita una "giornata goriana", fu una pubblicazione dal titolo Rosignano a Pietro Gori ( Rosignano a Pietro Gori: raccolta di saggi e testimonianze, a. cura del Comitato cittadino costituitesi per le onoranze a Pietro Gori, s.L, s.n., 1960) che, oltre a descrivere la cerimonia del 15 maggio, raccolse numerosi scritti ed articoli su Pietro Gori che ne illustravano i poliedrici aspetti della sua vita, dall'impegno sociale, alla poesia, dai viaggi in America Latina e negli Stati Uniti, alle doti oratorie e di giurista. Di tutta la manifestazione, va sottolineata la grande unione che avvenne all'interno dei partiti laici rappresentati in Consiglio Comunale, che per una volta misero da parte le divergenze ideologiche in occasione della celebrazione. Una circostanza non secondaria, che fa risaltare ancora una volta la trasversalità del pensiero di Gori, capace di catturare l'interesse e la stima di molti partiti che poco o nulla avevano a che fare con l'anarchia ed anzi, che a ben vedere, proprio per essere partiti costituzionali non avrebbero dovuto onorare un uomo che faceva dell'assenza dello Stato il fine ultimo a cui l'umanità doveva naturalmente tendere. Ciò nonostante, la poliedricità, la cultura e la immarcescibile attualità di Gori, fecero in modo che il sindaco Demiro Marchi lo descrivesse al pubblico presente il 15 maggio 1960 a Rosignano Marittimo come "uno dei suoi migliori concittadini". Ulteriore eco della suddetta giornata di primavera, che vide così tante iniziative prendere corpo, fu poi il VII Congresso della Federazione Anarchica Italiana, che ebbe luogo nel giugno 1961 nella biblioteca comunale di Rosignano. L'ultimo di questo genere a tenersi a Rosignano, poi più nulla. La Federazione svolgerà i suoi congressi sempre altrove, ignorando il luogo dove Gori aveva vissuto ed operato per larga parte della sua vita. Nel 1973 la raccolta del materiale presso il Museo fu utilizzata dall'associazione Teatro Popolare Toscano (Teatro per un Territorio) diretta da Sergio Liberovici, il quale, assieme a Massimo Castri ed Emilio Jona scriveranno la pièce teatrale "E' arrivato Pietro Gori, anarchico pericoloso e gentile". Con il patrocinio della Provincia di Livorno e di numerose amministrazioni comunali, tra cui quella di Rosignano Marittimo, Portoferraio, Piombino e Cecina, nel 1975, lo spettacolo di Jona, Liberovici e Castro fu messo in scena a Rosignano Marittimo costituendo un vero e proprio "happening" culturale per la nostra cittadina. Ciò fu dovuto soprattutto al fatto che la sua realizzazione fu un'occasione di aggregazione per numerose associazioni e personaggi di Rosignano che contribuirono a curare la documentazione storica, la fotografia e le musiche della rappresentazione teatrale (basta ricordare a questo proposito la "Sezione Foto-Cine" dell'Università Popolare od il "Gruppo Filarmonico Solvay". Veramente interessante fu la composizione della locandina dello spettacolo, sulla quale campeggiava una suggestiva illustrazione del famoso disegnatore ed incisore francese Gustavo Paul Dorè (1832-1883), raffigurante un vascello in balia di un mare in tempesta, un'incisione che, insieme ad altre, era stata concepita per illustrare il poema Thè Rime of thè Ancient Mariner, composto nel 1798 da Samuel Taylor Coleridge (1772-1834). Lo spettacolo teatrale fu l'ultimo episodio degno di nota, prima che gli "anni di piombo" facessero calare una coltre di oblio su Pietro Gori, la cui vita ed opere furono per altro anche gradualmente dimenticate dallo stesso movimento anarchico. Solamente nel 1995, l' amministrazione comunale di Rosignano rinnovò il proprio interesse per Gori, predisponendo, con l'aiuto della Sopraintendenza Archivistica della Regione Toscana, il riordino della collezione degli oggetti, delle fotografie e dei libri del Museo Civico. Quest'ultimo fu ufficialmente riaperto il 7 ottobre 1995, giorno nel quale oltre ad inaugurare nuovamente Piazza Gori, con il suo monumento bronzeo restaurato, fu anche organizzato un incontro dal titolo "Omaggio al Cavaliere dell'Ideale: Rosignano a Pietro Gori", al quale intervennero come relatori Maurizio Antonioli, Umberto Sereni e Lorenzo Gestri e dove fu presentato il volume Pietro Gori, "Il cavaliere errante dell'anarchia", dello stesso Antonioli.
Strano destino quello dell'avvocato Pietro Gori,
ricordato, esaltato, dimenticato e poi nuovamente ricordato:
un un ciclo senza fine, come se la
sua figura non riuscisse a trovare un posto stabile e
definitivo tra la memoria
collettiva della nostra comunità, come se il poeta-filosofo non fosse mai
completamente ritornato dai suoi lunghi e forzati
peregrinaggi. In questo senso,
ben si adattano a Gori le
parole di un altro anarchico, Francesco Barbieri (1895-1937):
"L'Utopia accende una stella
nel cielo della dignità umana,
ma ci costringe a navigare in un mare senza porti".
Un mare in tempesta come quello raffigurato da Dorè
e poi ripreso da Liberovici,
ma questa volta non per raccontare di una nave trasportata
suo malgrado verso il Polo Sud, come nei versi di
Coleridge, ma piuttosto per
simboleggiare l'uomo, l'individuo,
ostaggio di una società che, assai spesso, non lo riconosce
e gli nega i bisogni fondamentali.
(Da "Il fondo Pietro Gori" di
Angela Porciani e Francesco Tamburini)
Per avere un’idea dell’unanimità del cordoglio e dell’ «immensa dimostrazione d’affetto tributata ... all’indimenticabile compagno nostro» basta soffermarsi sui funerali di Gori, di cui possediamo non solo tre resoconti dettagliati...ma anche diverse altre testimonianze scritte, tra le quali - curiosamente - quella dell’organo della diocesi di Portoferraio «La Difesa», e perfino ricordi raccolti oralmente negli anni Settanta. Il quadro che i racconti scritti e orali ci offrono, nella loro diversità e complementarità, vede grande protagonista dell’avvenimento (le manifestazioni popolari si protrassero per tre giorni: celebrazioni all’isola d’Elba l’ 8 gennaio, trasferimento della salma prima a Piombino con il piroscafo, poi a Castiglioncello in treno e a Rosignano a piedi il 9, tumulazione nel cimitero di Rosignano il 10 mattina) una folla valutata dai cronisti e dai testimoni in diverse migliaia di intervenuti: rappresentanze di gruppi anarchici, di associazioni politiche della sinistra (sindacalisti, socialisti, repubblicani), di leghe di mestiere, di circoli culturali e assistenziali, di società musicali, con corone e bandiere, ma soprattutto sia a Portoferraio che a Piombino, sia lungo il tratto ferroviario tra Piombino e Castiglioncello che a Rosignano assembramenti e cortei interminabili di gente comune. Un elemento su cui tutti i resoconti insistevano era proprio la vastità della partecipazione popolare, al di là di ogni distinzione sociale e politica. A Portoferraio, raccontava il periodico cattolico, «l’intera cittadinanza, senza distinzioni di classe e di partito, ha partecipato ai funerali, mentre tutti gli esercizi pubblici erano chiusi per lutto cittadino». «Migliaia di cittadini di ogni ceto - narrava «Il Libertario» - apposero la firma sopra un apposito registro»”. «Se avesse visto il mondo! - raccontava nel 1972 una testimone all’epoca venticinquenne - Per anda’ al piroscafo [...] non sapevo come fa’ a passa’, non ce la facevo a sfondare...dalla gente, la gente, la gente, la gente... tutta l’isola, con le bandiere». Ed altri: «Madonna! Dice che non l’hanno mai visto all’Elba un funerale così», «fecero dei funerali splendidi come ad un gran personaggio... una bara! un trasporto!», «il funerale non finiva mai... mi ricordo semplicemente che si vedeva una fiumana di gente che seguiva la salma», «meno che i malati poi eran fuori tutti». Infatti «un lungo corteo con bandiere e musiche svoltosi nell’ordine più perfetto lungo la via Guerrazzi e le calate accompagnava la salma e assisteva all’imbarco sul piroscafo “Giglio” che alle 13,30 staccavasi dalla banchina dirigendosi a Piombino», «Piangete, plebi neglette ed oppresse, piangete oggi», invitava il manifesto diffuso dall’Associazione Giordano Bruno a Portoferraio in un’occasione che sembrava unire gli anticlericali ai clericali. Armando Borghi, che nel settembre precedente si era recato all’Elba in visita a Gori ormai gravemente ammalato, aveva messo in rilievo la coralità dell’affetto e dell’ammirazione: «è adorato dagli umili, è ammirato e venerato anche dall’alto ceto sociale borghese». A Piombino «ogni piazza, ogni finestra, ogni spazio disponibile era colmo di persone di tutte le classi della cittadinanza, accorse a rendere l’ultimo tributo di affetto alla memoria di Pietro Gori». Secondo i più recenti ricordi di un testimone, «le persone non trovando posto ai bordi della strada salirono sui tetti delle case e in assoluto silenzio lanciavano garofani rossi sul carro funebre». Come all’Elba anche a Piombino gli operai avevano abbandonato il lavoro, gli spettacoli erano stati sospesi e i negozi erano rimasti chiusi. Il lutto era generale. Nel tratto di strada che saliva dal porto, dove aveva attraccato il piroscafo con la bara, fino alla stazione, si accalcava una folla che «L’Avvenire anarchico» valutava in 7.000 persone ed «Il Martello» faceva salire fino a 22.000. Ma, al di là della correttezza o meno delle stime, restava la realtà di una «grandiosa, superba dimostrazione non preparata» e il fatto che «Piombino non serbava memoria di alcuna manifestazione di cordoglio consimile». Il dolore per la perdita di quello che i popolani chiamavano «il nostro Pietro» veniva sottolineato attraverso rapidi flash. «Vedo dei fanciulli baciare il feretro di Pietro; due giovani piangenti stretti l’uno all’altro cadono a terra: uno d’essi è svenuto e viene immediatamente soccorso. Non un ciglio rimane asciutto». E ancora: «Molti piangevano, ed un gruppo di donne d’innanzi al Teatro dei Ravvivati lanciò baci al feretro, baci d’affetto e di dolore [...] Mentre 10 operai sollevavano la pesante bara un vecchio volle toccarla con la mano ritraendola baciandola ed esclamando: Addio Pietro, ti ho voluto tanto bene! ». Lungo il tragitto percorso dal treno tra Piombino e Castiglioncello, centinaia di operai o comunque di persone di umile estrazione sociale si accalcavano alle stazioni e sulla massicciata per salutare «la spoglia dell’ uomo tanto amato». Alla stazione di Castiglioncello, dove il treno giungeva alle 21.30, attendevano circa 2.000 persone con 30 bandiere. Il feretro era tratto dal treno «fra le grida, i pianti, le esclamazioni affannose della moltitudine» E secondo una testimonianza più recente: «Dovunque, qui c’erano tutte le rappresentanze d’Italia, da Ancona venivano: li striscioni delle corone, c’era scritto tutto: e c’era poi la rappresentanza. Da Pisa, poi, Livornesi, Massa Carrara, non te lo ‘mmagini la gente che c’era, così!». La «triplice, pesantissima cassa», troppo grande per entrare nel carro funebre, veniva «presa a braccia e trasportata per 7 chilometri al paese di Rosignano». Ricordava, cinquant’anni dopo, Gusmano Mariani, figura di spicco dell’ambiente anarchico pisano: «Erano circa le undici di notte, allorché giunse il feretro. Faceva freddo, infuriava il vento e le onde del mare agitato si infrangevano contro gli scogli. Ma nessuno si era mosso, nessuno si lamentava». Alla casa di Gori, dove veniva improvvisata la camera ardente, l’ufficiale sanitario doveva cedere alle pressioni e permettere l’apertura di un oculo nella cassa perché la popolazione «voleva vedere per l’ultima volta l’amata effigie». Il giorno successivo un «corteo interminabile» accompagnava al cimitero la bara, che veniva «scoperchiata dopo generali insistenze» alla cappella di famiglia. (Da: "Pietro Gori, il cavaliere errante dell'anarchia" di Maurizio Antonioli) |
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Monumento a
Pietro Gori nel cimitero di Rosignano M.mo. |
La scritta apposta dal Comune di Rosignano M.mo alla cappella nel 2001 |
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All'interno della cappella a sinistra il busto dello scultore Arturo Dazzi, donato dai lavoratori apuani e posto in origine davanti la cappella, decapitato dai fascisti nel 1926. A sinistra l'epigrafe posta sotto il busto, dettata da Elio Zeme. Sulle colonnette i busti della madre Giulia Lusoni, della sorella Bice e del padre Francesco. La croce sullo sfondo, come fa notare il prof. Giangiacomo Panessa che partecipa al "Progetto di catalogazione e riqualificazione storica del patrimonio cimiteriale del comune" è la più grande presente nel cimitero di Rosignano, il che suona strano per la tomba di un "ateo rivoluzionario" valutata con gli odierni schemi. In realtà P. Gori da intellettuale illuminato portava avanti una battaglia di giustizia sociale, che non toccava gli aspetti religiosi. |
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1945 - La Federazione Comunista chiede di erigere un
nuovo busto a P.Gori nel cimitero. |
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1945 - La risposta del Sindaco Dardini È tornato alla luce in questi giorno il nome di Arnaldo Mussolini, fratello del più noto Benito. Un personaggio che si muoveva nell'ombra del fratello, ma non meno corrotto e liberticida. C'è un piccolo, ma significativo episodio che lo lega a Rosignano e che vale la pena di ricordare. Quando i fascisti si insediano nel Consiglio Comunale, compiono due atti; il primo è quello di cambiare nome alla piazza intitolata a Pietro Gori intitolandola a Libero Turchi, uno squadrista, morto negli scontri di quegli anni. L'altro è la profanazione della cappella Gori con la mutilazione della statua a lui dedicata dagli operai e anarchici carrarini mutilandola della testa e delle mani che non sono più state ritrovate. Di fronte allo scempio in effige del fratello, la sorella di Gori, Bice, sollevò uno scandalo riuscendo a farsi ricevere proprio da Arnaldo Mussolini, allora direttore del Popolo d'Italia, organo del Partito Fascista. Il Mussolini la ricevette con comprensione assicurando il suo interessamento e la punizione dei responsabili, ma naturalmente non se ne fece di niente. Il perché lo dicono le parole di una vecchia anarchica di Rosignano, raccolte negli anni '70, che rievocando l'episodio concludeva: "figlio di un cane! E ce l'aveva mandati lui!". |
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