I canti della nostra storia ('800)

E LA BANDIERA DI TRE COLORI
Anonimo 1848



(1:09)

7 Gennaio 1797 nacque a Reggio Emilia il Primo Tricolore per decisione dei deputati della Repubblica Cispadana





Nel 1997, in occasione del secondo centenario del Tricolore, il Parlamento ha proclamato il 7 gennaio “giornata nazionale della bandiera”

E' la bandiera

di tre colori

è sempre stata la più bella!

Noi vogliamo sempre quella,

noi vogliam la libertà!

Noi vogliamo sempre quella,

noi vogliam la libertà!

La libertà! La libertà!

Tutti uniti in un sol patto,

stretti intorno alla bandiera,

griderem mattina e sera

viva, viva i tre color!

griderem mattina e sera

viva, viva i tre color!

I tre color! I tre color!
 


 
                                         Breve storia del Tricolore
Il tricolore italiano quale bandiera nazionale nasce a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797, quando il Parlamento della Repubblica Cispadana decreta “che si renda universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di Tre Colori Verde, Bianco, e Rosso, e che questi tre Colori si usino anche nella Coccarda Cispadana, la quale debba portarsi da tutt
i”. Ma perché questi tre colori? Nell’Italia del 1796, attraversata dalle vittoriose armate napoleoniche le numerose repubbliche di ispirazione giacobina che avevano soppiantato gli antichi Stati assoluti adottarono quasi tutte con varianti di colore bandiere caratterizzate da tre fasce di uguali dimensioni, chiaramente ispirate al modello francese del 1790. E anche i reparti militari “italiani”, costituiti all’epoca per affiancare l’esercito di Bonaparte, ebbero stendardi che riproponevano la medesima foggia. In particolare i vessilli reggimentali della Legione Lombarda presentavano appunto i colori bianco rosso e verde fortemente radicati nel patrimonio collettivo di quella regione: il bianco e il rosso, infatti, comparivano nell’antichissimo stemma comunale di Milano (croce rossa su campo bianco), mentre verdi erano, fin dal 1782, le uniformi della Guardia civica milanese. Gli stessi colori, poi, furono adottati anche negli stendardi della Legione Italiana che raccoglieva i soldati delle terre dell’Emilia e della Romagna, e fu probabilmente questo il motivo che spinse la Repubblica Cispadana a confermarli nella propria bandiera.
La prima campagna d’Italia di Napoleone (1796-1799) sgretolò l’antico sistema di Stati in cui era divisa la penisola. Al loro posto sorsero numerose repubbliche giacobine, di chiara impronta democratica. La maggior parte non sopravvisse alla controffensiva austro-russa del 1799; altre confluirono, dopo la seconda campagna d’Italia, nel Regno Italico, che sarebbe durato fino al 1814. Tuttavia, esse rappresentano la prima espressione di quegli ideali di indipendenza che alimentarono il nostro Risorgimento. E fu proprio in quegli anni che la bandiera venne avvertita non più come segno dinastico o militare, ma come simbolo del popolo delle libertà conquistate e dunque della nazione stessa. Nei tre decenni che seguirono il Congresso di Vienna il vessillo tricolore fu soffocato dalla Restaurazione, ma continuò ad essere innalzato, quale emblema di libertà nei moti del 1831 nelle rivolte mazziniane, nella disperata impresa dei fratelli Bandiera, nelle sollevazioni negli Stati della Chiesa. Dovunque in Italia il bianco il rosso e il verde esprimono una comune speranza che accende gli entusiasmi e ispira i poeti: "Raccolgaci un’unica bandiera, una speme”, scrive, nel 1847, Goffredo Mameli nel suo Canto degli Italiani. E quando si dischiuse la stagione del ‘48 e della concessione delle Costituzioni, quella bandiera divenne il simbolo di una riscossa ormai nazionale, da Milano a Venezia, da Roma a Palermo. Il 23 marzo 1848 Carlo Alberto rivolge alle popolazioni del Lombardo Veneto il famoso proclama che annuncia la prima guerra d’indipendenza e che termina con queste parole:”(...) per viemmeglio dimostrare con segni esteriori il sentimento dell’unione italiana vogliamo che le Nostre Truppe(...) portino lo Scudo di Savoia sovrapposto alla Bandiera tricolore italiana."
Il 17 marzo 1861 venne proclamato il Regno d’Italia e la sua bandiera continuò ad essere, per consuetudine, quella della prima guerra d’indipendenza.

 MAREMMA AMARA
Canzone popolare dei pastori garfagnini in transumanza annuale verso la maremma, cantata da Nada
.
Canzone della cantante grossetana Liliana Tamberi, si può far risalire a metà dell’Ottocento quando inizia l’opera di bonifica voluta dal Granduca Leopoldo II di Lorena.

« Tutti mi dicon Maremma, Maremma...
Ma a me mi pare una Maremma amara
L'uccello che ci va perde la penna
Io c'ho perduto una persona cara.
Chi va in Maremma e lassa l'acqua bona
Perde la dama e mai più la ritrova,
Chi va in Maremma e lassa la montagna
Perde la dama ed altro non guadagna.
Sia maledetta Maremma Maremma
sia maledetta Maremma e chi l'ama.

Sempre mi piange il cor quando ci vai
Perché ho timore che non torni mai »

 

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INNO DEL PRIMO MAGGIO  1892
Dall'unità d'Italia alla Grande Guerra (1870-1914)


(4:01)

Pietro Gori, in carcere a san Vittore compose questo inno al primo maggio
sull'aria del Nabucco.
Il nascente movimento anarchico italiano si stava
separando dal partito socialista in fase di fondazione. Gori faceva pratica
da avvocato nello
studio di Filippo Turati.

Vieni o Maggio t'aspettan le genti
ti salutano i liberi cuori
dolce Pasqua dei lavoratori
vieni e splendi alla gloria del sol

Squilli un inno di alate speranze
al gran verde che il frutto matura
a la vasta ideal fioritura
in cui freme il lucente avvenir

Disertate o falangi di schiavi
dai cantieri da l'arse officine
via dai campi su da le marine
tregua tregua all'eterno sudor!

Innalziamo le mani incallite
e sian fascio di forze fecondo
noi vogliamo redimere il mondo
dai tiranni de l'ozio e de l'or

Giovinezze dolori ideali
primavere dal fascino arcano
verde maggio del genere umano
date ai petti il coraggio e la fè

Date fiori ai ribelli caduti
collo sguardo rivolto all'aurora
al gagliardo che lotta e lavora
al veggente poeta che muor!

ADDIO LUGANO BELLA
Canzone anarchica scritta da Pietro Gori nel 1895. Suonata dalla Banda Militante della Maremma in occasione dello spettacolo:
"Fate largo quando passa la Brigata Garibaldi" ("
Effetto Venezia" Livorno 2006)


(3:26)

Pietro Gori, arrestato con altri 17 profughi italiani, viene espulso dalla Svizzera dopo una breve prigionia durante la quale compone due poesie, una delle quali titola Il canto degli anarchici espulsi che poi sarebbe Addio a Lugano presumibilmente nella sua prima versione “...che presenta alcune varianti, sia nel testo che nella disposizione delle strofe, rispetto a quelle comunemente pubblicate e diffuse”.

Versione anni '60 cantata da Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Lino Toffolo, Otello Profazio e Silverio Pisu (3:30)

 

Addio Lugano bella
o dolce terra pia
scacciati senza colpa
gli anarchici van via
e partono cantando
con la speranza in cor.
E partono cantando
con la speranza in cor.

Ed è per voi sfruttati
per voi lavoratori
che siamo ammanettati
al par dei malfattori
eppur la nostra idea
è solo idea d'amor.
Eppur la nostra idea
è solo idea d'amor.

Anonimi compagni
amici che restate
le verità sociali
da forti propagate
è questa la vendetta
che noi vi domandiam.
E questa la vendetta
che noi vi domandiam.

Ma tu che ci discacci
con una vil menzogna
repubblica borghese
un dì ne avrai vergogna
noi oggi t'accusiamo
in faccia all'avvenir.
Noi oggi t'accusiamo
in faccia all'avvenir.

Banditi senza tregua
andrem di terra in terra
a predicar la pace
ed a bandir la guerra
la pace per gli oppressi
la guerra agli oppressor.
La pace per gli oppressi
la guerra agli oppressor.

Elvezia il tuo governo
schiavo d'altrui si rende
d'un popolo gagliardo
le tradizioni offende
e insulta la leggenda
del tuo Guglielmo Tell.
E insulta la leggenda
del tuo Guglielmo Tell.

Addio cari compagni
amici luganesi
addio bianche di neve
montagne ticinesi
i cavalieri erranti
son trascinati al nord.
E partono cantando
con la speranza in cor.

STORNELLI D'ESILIO
NOSTRA PATRIA E' IL MONDO INTERO

Testo di Pietro Gori sull’aria della canzone toscana "Figlia campagnola" nel 1895  e pubblicata in “Canti anarchici rivoluzionari” nel 1898

 

(4:34)
Chitarra: Maria Milano, 30/06/1981
da "L'uovo di Durruti" di J. Fallisi



(7:48)
Suonata dalla Banda
Militante della Maremma

                         

Scritta dopo l'espulsione dalla Svizzera a seguito dell'attentato di Caserio. Molto popolare, in alcune regioni presenta delle varianti, non solo nel ritornello, ma anche nelle strofe che vengono adattate al momento contingente. (Da: S. Catanuto e F. Schirone, Il canto anarchico in Italia nell'Ottocento e nel Novecento, Milano, zeroincondotta, 2009).

 

O profughi d'Italia a la ventura
si va senza rimpianti nè paura.
Nostra patria è il mondo intero
nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ribelle in cor ci sta.

Dei miseri le turbe sollevando
fummo d'ogni nazione messi al bando.
Nostra patria è il mondo intero
nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ribelle in cor ci sta.

Dovunque uno sfruttato si ribelli
noi troveremo schiere di fratelli.
Nostra patria è il mondo intero
nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ribelle in cor ci sta.

Raminghi per le terre e per i mari
per un'Idea lasciamo i nostri cari.
Nostra patria è il mondo intero
nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ribelle in cor ci sta.

Passiam di plebi varie tra i dolori
de la nazione umana precursori.
Nostra patria è il mondo intero
nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ribelle in cor ci sta.

Ma torneranno Italia i tuoi proscritti
ad agitar la falce dei diritti.
Nostra patria è il mondo intero
nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ribelle in cor ci sta.

I POTENTI DELLA TERRA

Noto anche come Il canto dei reclusi, Inno anarchico e Inno dei coatti, testo attribuito a Pietro Gori (fine '800)

 

(2:24)

L'esecuzione del brano è tratta da "L'uovo di Durruti" di Joe Fallisi

I potenti della terra
i signor del mondo intero
dalla logica e dal vero
si son visti minacciar.
Han risposto con l’esilio
con gli ergastoli e catene
con la morte speran bene
di poterci sterminar.
L’ideal per cui pugnammo
no non teme i vostri errori.
Siam ribelli e forti siamo,
il terror degli oppressor.
L’imperante borghesia
sino ad or ci ha calunniati
ci han derisi e ci han chiamati
folli e tristi malfattor.

Noi l’insulto abbiam raccolto
ne abbiam fatto una bandiera
il vessillo per la schiera
dei novelli malfattor.
L’ideal per cui pugnammo
no non teme i vostri errori.
Siam ribelli e forti siamo,
il terror degli oppressor.
Siamo anarchici e siamo molti
e la vostra infame legge
non ci doma né corregge
né ci desta alcun timor.
Su vigliacchi incrudelite
che la morte non c’è nuova
lo sapete già per prova
come muore un malfattor.
L’ideal per cui pugnammo
no non teme i vostri errori.
Siam ribelli e forti siamo,
il terror degli oppressor.
Guerra dunque e guerra sia
già la pace fu bandita
nulla restaci e la vita
la doniam all’ideal.

Cogli ergastoli e catene
colle barre e le ritorte
col terrore della morte
non si fiacca un ideal!
L’ideal per cui pugnammo
no non teme i vostri errori.
Siam ribelli e forti siamo,
il terror degli oppressor.
L’ideal per cui pugnammo
no non teme i vostri errori.
Siam ribelli e forti siamo,
il terror degli oppressor.

SANTE CASERIO
Testo di Pietro Gori composto nel 1900 a Portoferraio


(3:38)

Sante Caserio di famiglia contadina nacque a Motta Visconti, nel 1873 con numerosi fratelli. Il padre morì di pellagra (la "malattia della miseria" provocata dall'alimentazione quasi esclusivamente di polenta) in un manicomio. Non volendo pesare sulla madre, all'età di dieci anni scappò di casa per Milano dove lavorò come garzone di un fornaio, venendo in contatto con gli ambienti anarchici e diventando anarchico egli stesso nel 1891. Fondò un piccolo circolo anarchico nella zona di Porta Genova denominato A pè (in milanese "a piedi", cioè "senza soldi"). Pietro Gori lo ricordava come un ragazzo molto generoso; raccontava di averlo visto, dispensare ai disoccupati pane e opuscoli anarchici stampati con il suo misero stipendio. Nel 1892 venne schedato durante una manifestazione di piazza; arrestato per aver distribuito un opuscolo antimilitarista dovette fuggire prima in Svizzera, a Lugano e Ginevra e poi in Francia a Lione.

Il 24 giugno 1894, deciso a vendicare Auguste Vaillant a cui il presidente Carnot aveva negato la grazia, si recò a Lione dove Carnot doveva inaugurare l'Exposition Universelle. Attese il corteo poi approfittando della confusione si avvicinò alla vettura e raggiunto il Presidente, lo colpì al fegato con un coltello dal manico rosso e nero (i colori dell'anarchismo). Tentò la fuga, ma fu immobilizzato dalle forze dell'ordine. Al processo disse: « Dunque, se i governi impiegano contro di noi i fucili, le catene, le prigioni, dobbiamo noi anarchici, che difendiamo la nostra vita, restare rinchiusi in casa nostra? No. Al contrario noi rispondiamo ai governi con la dinamite, la bomba, lo stile, il pugnale. In una parola, dobbiamo fare il nostro possibile per distruggere la borghesia e i governi. Voi che siete i rappresentanti della società borghese, se volete la mia testa, prendetela ». Fu processato e condannato alla ghigliottina. Non aveva ancora compiuto 21 anni.

(L'esecuzione del brano è tratta da "L'uovo di Durruti" di Joe Fallisi)

Lavoratori a voi diretto è il canto
di questa mia canzon che sa di pianto
e che ricorda un baldo giovin forte
che per amor di voi sfidò la morte.
A te Caserio ardea nella pupilla
de le vendette umane la scintilla
ed alla plebe che lavora e geme
donasti ogni tuo affetto e ogni tua speme.
Eri nello splendore della vita
e non vedesti che notte infinita
la notte dei dolori e della fame
che incombe sull’immenso uman carname.
E ti levasti in atto di dolore
di ignoti strazi altiero vendicatore
e t’avventasti tu ‘si buono e mite
a scuoter l’alme schiave ed avvilite.
Tremarono i potenti all’atto fiero
e nuove insidie tesero al pensiero
ma il popolo a cui l’anima donasti
non ti comprese eppur tu non piegasti.
E i tuoi vent’anni una feral mattina
donasti al mondo da la ghigliottina
al mondo vil la tua grand’alma pia
alto gridando viva l’Anarchia.
Ma il dì s’appressa o bel ghigliottinato
che il nome tuo verrà purificato
quando sacre saran le vite umane
e diritto d’ognun la scienza e il pane.
Dormi Caserio entro la fredda terra
donde ruggire udrai la final guerra
la gran battaglia contro gli oppressori
la pugna tra sfruttati e sfruttatori.
Voi che la vita e l’avvenir fatale
offriste su l’altar dell’ideale
o falangi di morti sul lavoro
vittime dell’altrui ozio e dell’oro.
Martiri ignoti o schiera benedetta
già spunta il giorno della gran vendetta
de la giustizia già si leva il sole
il popolo tiranni più non vuole.

FIGLI DELL'OFFICINA
Suonata dalla Banda Militante della Maremma in occasione dello spettacolo:
"Fate largo quando passa la Brigata Garibaldi" ("
Effetto Venezia" Livorno 2006)


(4:07)

Inno tradizionale del movimento anarchico. Testo composto nel 1921 da Giuseppe Raffaelli e Giuseppe De Feo, anarchici carraresi, mentre si organizzavano per affrontare i fascisti con gli "Arditi Del Popolo". La musica deriva da canto popolare.

Figli dell’officina
o figli della terra,
già l’ora s’avvicina
della più giusta guerra,
la guerra proletaria,
guerra senza frontiere,
innalzeremo al vento
bandiere rosse e nere,

Avanti, siam ribelli,
fieri vendicator
un mondo di fratelli
di pace e di lavor.
Dai monti e dalle valli
giù giù scendiamo in fretta,
con queste man dai calli
noi la farem vendetta;
del popolo gli arditi,
noi siamo i fior più puri,
fiori non appassiti
dal lezzo dei tuguri.
Avanti, siam ribelli...
Noi salutiam la morte,
bella vendicatrice,
noi schiuderem le porte
a un’era più felice;
ai morti ci stringiamo
e senza impallidire
per l’anarchia pugnamo;
o vincere o morire,
Avanti, siam ribelli..

I canti della nostra storia (1900-1940) 

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