Nasce a Firenze il 27 maggio 1923
Muore in casa della madre all'età di 44 anni il 26
giugno 1967
Frequenta Castiglioncello per le vacanze fino a 20 anni
nella villa di famiglia "Il ginepro" sulla punta
Righini.
(Vedi Castiglioncello ieri)
Figlio
di Albano e Alice Weiss, quest’ultima di origine israelita,
famiglia dell’alta borghesia intellettuale fiorentina. Il
nonno Luigi era un notissimo archeologo (seguì gli scavi di
Castiglioncello), il padre un professore universitario. La
grande crisi economica impediva di vivere di sola rendita così il Signor Albano nel
1930 si trasferì con la famiglia a Milano dove Lorenzo studiò
fino al conseguimento della maturità classica. Non fu mai uno studente modello anche perché già non
condivideva gli insegnamenti che riceveva nella scuola
pubblica fascista. Dirà successivamente in una lettera: ”Ci
presentavano l’impero come una gloria della patria. I nostri
maestri si erano dimenticati di dirci che gli Etiopici erano
migliori di noi. Che andavamo a bruciare le loro capanne con
dentro le loro donne e i loro bambini mentre loro non ci
avevano fatto nulla.” Il 29 giugno 1933 i coniugi Milani, che
erano sposati solo civilmente, si sposarono in chiesa per
difendersi dalle leggi razziali e dalla persecuzione contro
gli ebrei. Nel 1941 Lorenzo cominciò a studiare pittura presso
l’Accademia di Brera ma nel 1942, a causa dei bombardamenti,
la famiglia dovette ritornare a Firenze, nella villa di
Montespertoli. Malgrado qualche malattia l’avesse fatto
penare, era un bel ragazzo simpatico e cortese, dall’aria del
giovane di famiglia benestante. Un giorno mentre dipingeva
vicino a Piazza Pitti si mise a mangiare un panino e subito
una donna lo apostrofò: “Non si viene a mangiare il pane
bianco nelle strade dei poveri.” Questo episodio raccontato da
lui stesso lo segnerà profondamente e di lì a breve gli farà
abbandonare le mollezze e il tipo di linguaggio acquisito in
famiglia. L’interesse per l’arte e l’architettura portarono il
giovane prima a scoprire le chiese e poi la liturgia cattolica
ed il Vangelo. A 20 anni, l’8 novembre 1943 entrava nel
seminario maggiore di Firenze e il 13 luglio 1947 veniva
ordinato sacerdote malgrado la famiglia non avesse approvato
la scelta di vita del figlio e non partecipò alla cerimonia di
tonsura, cioè all’atto di ingresso alla vita ecclesiastica. Il
giovane fu mandato come cappellano a San Donato di Cadenzano,
dove fondò subito una scuola serale per i figli dei contadini
e degli operai. Cominciò lì a scrivere il suo primo libro
provocatorio, “Esperienze Pastorali”che finì nel maggio del
1958 a Sant’Andrea di Barbiana, dove nel frattempo era stato
trasferito anche a motivo del clamore suscitato dall’opera. Il
libro infatti fu ritenuto inopportuno dal Sant’Uffizio e ne fu
vietata la ristampa. Nel dicembre del 1960 don Milani ebbe i
primi sintomi della leucemia che sette anni dopo lo avrebbe
portato alla tomba. Intanto però la scuola di Barbiana
diventava uno degli esperimenti più arditi della pedagogia
contemporanea, attirando sul suo fondatore i consensi e i
dissensi di tutta l’opinione pubblica italiana e straniera.
Nel 1965 don Milani scrisse una lettera aperta ad un gruppo di
cappellani militari in congedo che, in un comunicato, avevano
definito l’obiezione di coscienza “estranea al comandamento
cristiano dell’amore e espressione di viltà”. La lettera,
pubblicata da “Rinascita”, suscitò una reazione veemente e don
Lorenzo fu bollato come “il prete rosso” e, incriminato per
apologia di reato, venne rinviato a giudizio. Il 15 febbraio
1966 il processo, cui l’imputato non aveva potuto essere
presente per l’aggravarsi del male, si concluse con
l’assoluzione. Egli aveva inviato ai giudici una autodifesa
scritta in equipe con tutti i ragazzi della scuola. Ma il 28
ottobre 1968 su ricorso del pubblico ministero, la Corte
d’appello, modificando la prima sentenza, condannava lo
scritto. Don Milani era già morto, il 26 luglio 1967. Pochi
mesi prima era uscita la “Lettera a una professoressa”,
scritta insieme ai ragazzi della scuola: un libro-denuncia
delle insufficienze della scuola che verrà tradotta in
tedesco, spagnolo, inglese e perfino giapponese, vendendo in
tutto il mondo. Era la vigilia del ’68 che non capirà mai fino
in fondo il priore di Barbiana. Pur restando fermo all’essenza
della dottrina cristiana nelle sue formulazioni più
elementari, don Milani le ha rese attuali, stimolanti con la
sua coerenza e la sua sofferenza. Inviso a gran parte della
gerarchia ecclesiastica, relegato al confino in una parrocchia
di poche decine di anime, la sua obbedienza non è venuta mai
meno ed è stata pari alla sua libertà. Ha aderito al dogma
cristiano col cuore di un fanciullo e lo ha reso credibile ai
piccoli e ai grandi con la semplicità, la trasparenza.
Proprio lui, che si era contraddistinto per una certa asprezza
di modi, lasciò un dolcissimo testamento a due ragazzi della
scuola, Francuccio e Michele, e a Eda Pelegatti, la perpetua
che l’aveva curato e seguito in tutta la sua vita di
sacerdote:
“Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi, non ho punti
debiti verso di voi, ma solo crediti. Verso l’Eda invece ho
solo debiti e nessun credito. Traetene le conseguenze sia sul
piano affettivo che su quello economico. Un abbraccio
affettuoso, vostro Lorenzo.
Cari altri, non vi offendete se non vi ho rammentato. Questo
non è un documento importante, è solo un regolamento di conti
di casa (le cose che avevo da dire le ho dette da vivo fino ad
annoiarvi). Un abbraccio affettuoso, vostro Lorenzo.
Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi, non è vero che
non ho debiti verso di voi. L’ho scritto per dar forza al
discorso! Ho voluto più bene a voi che a Dio. Ma ho speranza
che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto
tutto al suo conto. Un abbraccio, vostro Lorenzo”. Prima
di morire ha scritto:
“Ho 45 anni e sono parroco di 42 anime”. Non ha mai creduto
all’amore universale ma piuttosto all’amore per poche decine
di anime di creature alle quali ha consacrato giorno per
giorno tutta la propria vita, era un …minimalista. Anche la
scoperta di Dio, per lui, non può essere fatta che attraverso
la dedizione a poche creature. A un insegnante scrive: “Quando
avrai perso la testa come l’ho persa io, dietro a poche decine
di creature, troverai Dio come un premio… Ti troverai credente
senza nemmeno accorgertene”.
don Gianni
Mazzillo, Direttore Istituto Teologico Calabro. "...Gli
obiettivi che si prefiggeva Don Milani erano quelli della
crescita dei "più piccoli", dei più poveri, di quelli che non
solo erano sfruttati, ma erano anche imbrogliati, a motivo
della loro incapacità a difendere i propri diritti, a far
valere le proprie ragioni, a farsi sentire. Imparare una
lingua era allora imparare ad essere se stessi e a difendere
ciò che spettava. Deve essere anche per noi l'esempio a
vincere tutti i complessi di inferiorità, che ci portiamo
dietro, che ci portiamo dentro, anche, e soprattutto, a motivo
delle nostre esperienze vissute, le esperienze di uno
sfruttamento sistematico avvenuto durante i secoli, da parte
dei potenti della storia e la sofferenza di aver vissuto le
proprie piccole storie, spesso come storie nelle quali
occorreva soffrire e tacere..." (Da
Internet) |