Castiglioncello ieri

 Villa "Il Ginepro" in via Monti casa vacanze della ricca famiglia di don Lorenzo Milani, il prete di Barbiana, prima che venisse trasformata in appartamenti.  (Si ringrazia A. Dabbene per la foto)

 La villa si trova al n°13 di via Monti (ex via della Torre) lato est oltre il posteggio dell'Hotel villa Parisi, ed è irriconoscibile perchè trasformata in pochi appartamenti ed interamente circondata da piante alte. Solo la targa verde del nome al cancello la identifica.  Nel 1905 risulta la vendita di una villa "Il Ginepro" in via della Torre da Giorgio Rabitti a Lara Comparetti Milani. Gli eredi Milani vivono ancora nella villa "Il bel verde". Da generazioni, i Milani, producevano cattedratici fatti in casa e si dedicavano a raffinati interessi culturali vivendo tranquillamente di rendita. La tenuta di Gigliola a Montespertoli, composta da 25 poderi, aveva mantenuto intere generazioni di signori e letterati della famiglia. D'estate, la famiglia Milani, trascorreva le vacanze nella villa “Il Ginepro” sul mare di Castiglioncello. Essendo una tribù numerosissima, si trascinavano dietro una fila di automobili e di aiutanti: cuoco, cameriera, servitore, autista, balia e istitutrice. Alla famiglia Milani apparteneva Luigi Milani sovrintendente alle ricerche archeologiche, che aveva seguito gli scavi durante la costruzione della ferrovia e quelli nel parco del castello. Aveva, nei primi anni del '900 costruito il piccolo Museo Nazionale di Castiglioncello e acquistato la villa in via Monti nella quale la famiglia passava l'estate, compreso il nipote Lorenzo che poi raggiunti i 20 anni da "signorino", rinuncerà ad ogni ricchezza e sarà per la Chiesa, lo scomodo "prete di Barbiana" impegnato nella scuola di base per insegnare l'uso corretto della parola ai giovani analfabeti della campagna, come strumento essenziale per il riscatto dai secolari soprusi perpetrati a loro danno e nemmeno percepiti a causa della ignoranza totale. 
                                      
Luigi Filippo d’Amico su quella stagione a Castiglioncello
“Sono di un anno più giovane rispetto a Lorenzo Milani, sono nato nel 1924. Lui non stava molto con me e con un gruppetto di romani che venivamo solo in villeggiatura. Era più castiglioncellese di noi perché aveva la casa di proprietà quando pochi ce l’avevano e per questo ci passava lunghi periodi. Anche i Pavolini, che sono stati fra i pionieri di Castiglioncello con il nonno di Luca, il papà di Marcella Hannau, affittavano un villino di proprietà dei Gualandi di Bologna. Solo l’avvocato Di Rienzo aveva una casa propria e i Trapani perché il nonno Ciuti aveva una bella villetta che poi divise fra le due figlie.
Il gruppetto di cui facevo parte era composto da Luca Pavolini, Carlo Ungaro, Giorgio Menicatti, Renato Di Rienzo, Vincenzo de Persiis Vona, Franco Fontana e Gianfranco Dadolino Gilardini, tutti ragazzini dagli Otto ai quindici-sedici anni. Lorenzo non stava molto con noi perché eravamo irrequieti, rubavamo le pesche, facevamo scherzi, insomma combinavamo dei guai.
Fin da allora era più serio, non giocava a carte e stava molto con i cugini nei giardini delle loro ville oppure andava sul suo barchino. Oltre a noi c’erano i nostri coetanei Spadolini, i Fanciulli, gli eredi Fucini, i Valori, i Castelnuovo Tedesco. Al Quercetano si andava poco, stavamo quasi esclusivamente all’interno del promontorio che inizialmente era tutto del barone Patrone. Fu lui che cominciò a regalare dei lotti di terreno a condizione che vi fossero costruite delle ville. Anche per quanto riguarda i Milani credo che sia andata così benché io sia arrivato solo nel 1932 quando il barone aveva già venduto ai Birindelli che poi cedettero ai Pasquini.
Prima la mia famiglia andava al Forte dei Marmi che allora era molto più caro di Castiglioncello che pure stava già diventando una località alla moda. C’erano i Budini Gattai, i Sanseverino, i Bossi Pucci, i Ginori e anche grossi imprenditori come Romiti che aveva l’appalto per imponenti lavori pubblici a Spalato.
Nel 1934 o ‘35 comprarono una villa gli Ungaro mentre i nobili Coletti dal 1933 al ‘36 ristrutturarono villa “Godilonda” che nel dopoguerra diventerà di proprietà dei Bulgari, la nota famiglia di gioiellieri. I fratelli Luigi e Eugenio Trapani ebbero degli appalti a Sabaudia e grazie a quelli l’ingegner Luigi, padre del futuro regista televisivo Enzo, riuscì a comprarsi una villetta mentre il fratello Eugenio ebbe dal suocero Ciuti metà di quella di sua proprietà. Uno dei figli di Eugenio, Mimmo, in seguito sposerà Lia Bulgari.
Corrado Pavolini acquistò un terreno al Quercetano e si fece una casa. Io ero amico dei suoi figli Chicco-Francesco e Luca che per me è stato come un fratello e che il destino, negli anni successivi, ha fatto incontrare nuovamente con Lorenzo Milani in occasione del famoso processo. Corrado Pavolini era di grandissimo talento ma molto pigro. Facilitato dall’importanza del fratello Alessandro, chiamato Buzzino in famiglia, che era ministro della Cultura, passò da una situazione economica molto, molto modesta a una florida che gli consentì di farsi la casa al Quercetano e comprarsi l’automobile.
Pirandello affittava il villino “Conti” insieme al figlio Stefano, alla nuora Olinda e ai tre nipoti. Meno fisso veniva anche l’altro figlio Fausto con la moglie e i due figli. Nel 1934 vinse il Nobel e a Castiglioncello, dove si trovava con Marta Abba, lo raggiunse De Chirico che doveva fare le scene e i costumi per La figlia di Jorio con Pirandello regista e Marta nel ruolo di Mila di Codro.
Mio zio Silvio d’Amico era stato portato a Castiglioncello dal suocero e lui, a sua volta, ci portò molti personaggi del mondo del teatro.
C’era Alida Valli, cioè Kitty Altemburger, ospite di Giuliana Gianni nel 1935-36 quando insieme frequentavano i corsi di recitazione del Centro Sperimentale di Cinematografia. E Doris Duranti, la donna pantera come noi la chiamavamo, sempre vestita in modo poco borghese. Al Miramare c’era la figlia di Pirandello, Lietta, con le due figlie Lilietta, che oggi è mia moglie, e Maria che ha sposato mia cugino Sandro, il figlio più piccolo di Silvio d’Amico”.
Sia fra gli adulti che fra i ragazzi c’era una frequentazione quotidiana ai Bagnetti, in pineta, al circolo del tennis, all’Arena Littorio, al tiro del piccione, alle feste nei giardini delle ville, al Castello Pasquini o a “Villa Celestina”. Sbocciavano i primi flirt, alcuni dei quali destinati a trasformarsi, negli anni seguenti, in matrimoni e, soprattutto, si parlava di musica, di teatro, di cinema, di letteratura. Poco di politica, lasciata in mano ai fascisti troppo rozzi e volgari per essere frequentati. Con la sola eccezione di Teruzzi alle cui feste, a “Villa Celestina”, partecipavano tutti pur ostentando, come nel caso di Pirandello, “un’opposizione snobistica e di maniera” al regime.
(Testimonianza di Luigi Filippo d’Amico per "Lorenzo Milani e gli anni del privilegio" di Fabrizio Borghini) 


 Lo squilibrato della Chiesa amato dal Papa-Da esiliato della Curia a modello-Barbiana oggi è il centro del mondo All'incirca un anno prima di morire, il 26 giugno 1967, don Lorenzo Milani ricevette a Barbiana la visita del cardinale di Firenze Ermenegildo Florit. Era il 22 marzo 1966 e il priore era molto malato. L'incontro fu tempestoso, teso, come racconta il cardinale nel suo diario: «È stata una conversazione concitata di oltre un'ora. Momenti angosciosi. È un dialettico affetto da mania di persecuzione. Egocentrismo pazzo; tipo orgoglioso e squilibrato», è il ritratto impietoso di Florit. Tra il cardinale e il priore di Barbiana fu rottura. Definitiva. «Sa quale è la differenza, eminenza, tra me e lei? Io sono avanti di cinquant'anni...», sbottò don Milani. Cinquant'anni dopo Papa Francesco pareggia i conti. E nel suo gesto sorprendente di visitare il luogo dell'eresia milaniana riconosce le buone ragioni del priore e gli errori e i ritardi della Chiesa. C'è semmai da chiedersi fino a che punto dietro l'azzardo profetico di Bergoglio ci sia, se non tutta, almeno parte consistente della Chiesa. È legittimo dubitarlo. D'altra parte è stato il cardinale Carlo Maria Martini, leader dei cattolici progressisti, a sostenere, poco prima di morire, che la Chiesa è in ritardo con la storia e il vangelo almeno di due secoli. Ma questo, come dire? È il cuore dei ragionamenti del dopo visita. Oggi l'attenzione di credenti e laici è rivolta alla preghiera di papa Francesco sulla tomba di don Primo Mazzolari e don Milani. Prima Bozzolo, in provincia di Mantova, ma diocesi di Cremona e poi Barbiana, sperduta nel Mugello, comune di Vicchio, patria natale di due geni della pittura, Giotto e il Beato Angelico. Due località simbolo del cattolicesimo popolare e antifascista. Lì i due preti non in linea con la Chiesa di papa Pacelli e la Dc centrista di De Gasperi anticiparono il vento del concilio Vaticano II. Per cui un primo significato della visita di papa Francesco sta sì nella riabilitazione solenne di due preti in odore di eresia, ma anche nella riproposizione delle radici del Concilio. Ma c'è dell'altro e di più nella visita di Bergoglio che ha a che vedere specificatamente con Barbiana: come era nel 1954 quando la Curia fiorentina vi esiliò il giovane don Milani e che cosa è diventata grazie a lui e ai suoi giovani montanari. Va sottolineato che il 1954 fu un anno cruciale per il cattolicesimo italiano. I vertici dell'Azione cattolica furono "rottamati" da Luigi Gedda, che perorava una svolta a destra della Chiesa e della Dc. Un dirigente dei giovani di Azione cattolica, il lucchese Arturo Paoli, fu costretto ad emigrare in sud America. Anche l'esilio di don Milani a Barbiana si inquadra in questa normalizzazione vaticana e democristiana dei cattolici inquieti. Nel mirino del cosiddetto partito romano c'era in realtà l'allora sindaco di Firenze Giorgio La Pira che, con Giuseppe Dossetti, sosteneva posizioni di neutralità tra Usa e Urss, di apertura a sinistra e di netta ostilità del liberismo. Intorno a La Pira si formò a Firenze un cenacolo di religiosi e intellettuali di valore nazionale invisi alla Chiesa e alla Dc: Ernesto Balducci, David Turoldo, Mario Gozzini, don Milani e molti altri. Quasi tutti furono trasferiti e emarginati. Nel 1954 Barbiana era una piccola chiesetta, qualche podere, poche anime. Ignorato dalle cartine geografiche. Persino la Curia decise di chiudere la chiesa, salvo poi ripensarci per mandarci don Milani. Una sorta di Siberia ecclesiastica. Appena arrivò lassù da Calenzano, il 7 dicembre 1954, don Lorenzo andò subito in chiesa e si mise a pregare e piangere. Poi l'indomani scese a Vicchio per comprare la tomba. A Barbiana era stato esiliato, a Barbiana decise di morire. E alla mamma, preoccupata per la destinazione, scrisse che «la grandezza di una vita non si misura dalla grandezza del luogo in cui si è svolta ma da tutt'altre cose». Dal 1954 alla morte, don Milani ha trasformato Barbiana da Non Luogo a luogo di una rivoluzione religiosa e civile unica nell'Italia del dopoguerra. Basti passare in rassegna le sue tre opere principali, le quali nell'arco breve di vent'anni, tanto è durato il suo sacerdozio, fanno di don Milani un prete "avanti di cinquant'anni" ma anche un intellettuale di prima grandezza (non a caso c'è chi lo accosta a Pier Paolo Pasolini). Con Esperienze pastorali, uscite nel 1958 e subito messe all'indice, don Milani anticipò infatti la riforma religiosa realizzata poi dal Concilio Vaticano II. Con" L'obbedienza non è più una virtù" (1965) affrontò invece con i suoi ragazzi i temi della pace, del no alla guerra, della disobbedienza civile e del primato della coscienza. Infine con "Lettera ad una professoressa" (1967) colse il clima che sfociò nel'68 denunciando il carattere classista della scuola e la funzione centrale della cultura e della formazione per la costruzione di una società più giusta. Eccoci così giunti al senso profondo della visita di papa Francesco. Che con il suo omaggio alla tomba di don Milani trasforma Barbiana da chiesa destinata alla chiusura in uno dei centri simbolo della spiritualità del papa che ama le periferie. In definitiva, per usare un linguaggio evangelico, da pietra scartata dai costruttori, Francesco trasforma Barbiana e il suo priore in una "testata d'angolo" della Chiesa del futuro.
Di MARIO LANCISI scrittore e a lungo giornalista del Tirreno, autore di numerosi libri su don Lorenzo Milani, fra cui "Processo all'obbedienza. La vera storia di don Milani" (Laterza, 2016).
 

«Verrò in Toscana per don Milani»
Il
Papa il 20 giugno 2017 a Barbiana per pregare sulla tomba del prete. Poi andrà a Mantova per rendere omaggio a don Mazzolari.

Un Papa in preghiera sulle tombe di due preti "scomodi", "cattocomunisti", non amati da parte delle gerarchie cattoliche dei loro tempi, messi persino all'indice per poi essere riabilitati solo dopo la morte. Si tratta del fiorentino don Lorenzo Milani (1923-1967) e del cremonese don Primo Mazzolari (1890-1959), due sacerdoti che, per le loro scelte pastorali, andarono incontro anche a dolorose forme di emarginazione ecclesiale, che entrambi, però, accettarono senza battere ciglio, in totale obbedienza alle direttive ecclesiastiche, per il grande amore che ebbero per la Chiesa cattolica. Due sacerdoti che, dopo decenni di oblio da parte delle alte sfere vaticane saranno omaggiati il 20 giugno prossimo non da un pontefice italiano e, tantomeno europeo, ma da un vescovo di Roma proveniente dal lontano Sudamerica, l'argentino Jorge Mario Bergoglio, asceso al soglio di Pietro nel 2013 col nome di papa Francesco. Quasi a voler significare che è stato necessario attendere l'avvento di un pontefice figlio di una terra lontana dai bizantinismi italiani ed europei per sanare due ingiustizie consumate all'interno della Chiesa ai danni di due sacerdoti che ebbero il solo "torto" di essersi schierati concretamente per i poveri e contro ogni forma di potere politico totalitario. Scelte che portarono due sacerdoti a farsi carico delle fasce sociali più povere ed emarginate: da una parte don Milani con la formazione scolastica dei figli dei contadini di Calenzano e di Barbiana, dove istituì la storica scuola popolare, detta appunto Scuola di Barbiana; e dall'altra don Mazzolari con la sua vocazione partigiana e i suoi interventi "politici" di chiara impostazione antifascista accanto ai movimenti operai, che gli crearono non pochi problemi presso i suoi superiori. Martedì 20 giugno - 6 giorni prima il cinquantesimo anniversario della morte di don Milani - papa Francesco, con una scelta senza precedenti, sanerà simbolicamente le ferite che ancora non sono state cicatrizzate sulla memoria dei due sacerdoti, recandosi in pellegrinaggio a Bozzolo (Mantova) sulla tomba di don Primo e a Barbiana (Firenze), su quella di don Lorenzo. La visita, comunque, - puntualizza la Sala stampa della Santa Sede, «si svolgerà in forma privata e non ufficiale». Tutto avverrà nella mattinata del 20 giugno partendo in elicottero dal Vaticano. Prima sosta nella parrocchia di S. Pietro di Bozzolo dove riposa don Mazzolari, e dopo a Barbiana, alla presenza del cardinale di Firenze Giuseppe Betori. Il Papa sosterà in preghiera sulla tomba di don Milani, collocata in un prato adiacente alla chiesetta e alla Scuola di Barbiana, rimasta ancora intatta dai tempi in cui vi studiavano i piccoli alunni provenienti dalle famiglie dei contadini della zona. Nella chiesa ci sarà un incontro con i discepoli di don Milani ancora viventi, che poi lo accompagneranno a visitare la canonica. Nel giardino adiacente, Francesco terrà un discorso commemorativo, che non è azzardato immaginare evocherà il messaggio che lo stesso papa Francesco ha inviato domenica scorsa alla Fondazione don Lorenzo Milani, in occasione della pubblicazione dell'opera omnia del prete di Barbiana. Un messaggio che nei toni e nei contenuti («Educatore appassionato, innamorato della Chiesa», lo definisce Bergoglio) suonano come una totale riabilitazione del prete fiorentino che, non va dimenticato, fu costretto a subire l'affronto da parte delle autorità vaticane del ritiro della vendita dalle librerie cattoliche del famoso libro "Esperienze pastorali", nel quale tracciava, con la collaborazione dei suoi allievi, un severo profilo critico su come veniva insegnato il catechismo nella Chiesa. Un libro, quindi, critico e scomodo, in perfetta sintonia con un altro volume, scritto anch'esso con l'apporto degli studenti di Barbiana, "Lettera ad una professoressa", che mise in fila una lunga serie di appunti al sistema educativo della scuola statale. Scritti che non gli risparmiarono critiche e violente censure "politiche" (non da meno il testo "L'obbedienza non è più una virtù", indirizzato al silenzio dei cappellani militari nei confronti della guerra e dell'obiezione di coscienza al servizio militare) per i quali il suo superiore del tempo, il cardinale Ermenegildo Florit, arcivescovo di Firenze, lo esiliò prima a Calenzano e poi a Barbiana. Don Milani obbedì, ma ebbe la sapienza di far tesoro di quella esperienza tra le montagne toscane condividendo i bisogni e i disagi degli abitanti del posto. La sua scuola, ovviamente del tutto gratuita, diventò un punto di riferimento per decine e decine di ragazzi che guidò fino al conseguimento della maturità e, per molti, fino all'università, al grido del motto "I care!", "mi interessa, mi faccio carico", in opposizione - era solito spiegare - al motto fascista "Me ne frego!". Distinguo politico di non poco conto che non piacque molto ai partiti di destra ed ai conservatori dentro e fuori la Chiesa. Ma non a papa Francesco che proprio quell'"I care" rilancerà nella visita del 20 giugno alla scuola di Barbiana, ridando a don Lorenzo Milani l'onore che gli fu maldestramente tolto dalle gerarchie ecclesiali del suo tempo. (Di Orazio La Rocca per Il Tirreno del 24/4/2017)

       Francesco e Lorenzo stamani si parlano da soli. Il raccoglimento SULLA TOMBA DEL PRIORE
Stamani papa Francesco pregherà sulla tomba di don Lorenzo Milani da solo. Un incontro a tu per tu nel piccolo cimitero di Barbiana. Un dialogo breve, come tra vecchi amici che non hanno bisogno di tante parole per andare dritti al cuore. Sopra la terra il cardinale gesuita a mani giunte, che arrivato "dalla fine del mondo" al soglio pontificio, ha lasciato tutti di stucco scegliendo di chiamarsi come il poverello di Assisi. A difesa degli ultimi. Sotto la terra il prete insofferente all'autorità costituita, vestito nella cassa da morto coi paramenti sacri e gli scarponi, che ha fatto del "prendersi cura" (I Care) e della fede gli strumenti di riscatto dei poveri.
IL PROGRAMMA - La visita di papa Francesco sulla collinetta di Barbiana durerà un'ora o poco più. Niente proclami, zero incontri solenni. Il programma è quello di una visita privata, quasi di famiglia. Dopo essere stato di buon mattino nei luoghi di don Primo Mazzolari a Bozzolo, in provincia di Mantova, l'arrivo a Barbiana. L'elicottero del pontefice atterra nello spiazzo sottostante la chiesa di cui è stato parroco don Lorenzo Milani alle 11,15. Lo salutano il cardinale e arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, e il sindaco di Vicchio, Roberto Izzo. Il Papa raggiunge il cimitero di Barbiana in automobile assieme al cardinal Betori. Qui il momento clou. La preghiera in solitudine davanti alla tomba di don Milani. Poi sarà il momento degli incontri. Fuori e dentro la chiesa con gli 80 ex allievi del priore di Barbiana. Il papa visiterà brevemente il laboratorio, l'aula dove don Milani insegnava ai ragazzi. Successivamente uscito dalla casa, dopo il saluto di Betori, il Santo Padre tiene un discorso all'aperto, nel giardino della piscina, alla presenza degli ex allievi, di un gruppo di sacerdoti della diocesi e di alcuni ragazzi seguiti da realtà educative della diocesi. L'elicottero del papa è pronto a ripartire a mezzogiorno a mezzo. Il ritorno in Vaticano è previsto per l'una e un quarto.
CHI INCONTRA PAPA FRANCESCO - Viaggiano tutti sui settant'anni, alcuni con la salute malferma, gli ex allievi del priore di Barbiana. Ma non mancheranno all'appuntamento: Michele Gesualdi, presidente della Fondazione don Lorenzo Milani, già presidente della Provincia di Firenze dal 1995 al 2004 per il Partito popolare italiano; Agostino Burberi (Gosto), della Fondazione don Lorenzo Milani; Maresco Ballini, del gruppo di Calenzano; Nevio Santini, del gruppo di Vicchio. Papa Francesco parlerà anche con i familiari di don Lorenzo. Con Andrea, Flavia e Valeria Milani, figli di Adriano Milani (fratello maggiore di don Lorenzo). Ci sarà modo di condividere le esperienze anche dei vecchi nove sacerdoti che hanno fatto il seminario con don Milani. Tra questi: don Antonino Spanò della parrocchia di Badia a Ripoli, don Silvano Nistri e don Mino Tagliaferri. Altri 17 parroci saranno presenti all'incontro con papa Francesco. Ne citiamo alcuni. Monsignor Andrea Bellandi, vicario generale della diocesi di Firenze; don Alfredo Amerighi, attuale parroco di San Donato a Calenzano (prima parrocchia di don Milani); don Remo Collini, era parroco nel Mugello ai tempi di don Milani; don Giuliano Landini, attuale parroco di Vicchio; don Roberto Bartolini, parroco di Montespertoli. Infine 30 ragazzi: 5 dell'Opera Madonnina del Grappa, 5 seguiti dalla Caritas diocesana, altri 5 di Villa Lorenzi, altrettanti dell'Associazione Cinque Pani e Due Pesci. Infine 5 dell'Opera per la Gioventù Giorgio La Pira. Ogni gruppo con un accompagnatore.
Di Samuele Bartolini 20/6/17
 

                                             Il reo don Milani

Il 28 ottobre del 1967 – cinquant’anni fa – don Milani fu condannato in appello per la sua lettera ai cappellani militari a favore dell’obiezione di coscienza. Il priore era già morto da 4 mesi. Ma il giudice lo condannò. Fu definito “il reo don Milani”. Nell’anno dei facili santini, mi piace proporre la vera storia di don Milani. Il Reo. Il Grande Disobbediente. Alla famiglia ricca e borghese. Alla Chiesa preconciliare. Allo Stato che metteva in carcere gli obiettori di coscienza. Vi propongo il finale del mio libro "Processo all’obbedienza. La vera storia di don Milani". Laterza.

“Mentre Lettera a una professoressa era in stampa, don Milani comprese di aver i giorni, le settimane contate. Come se dovesse partire per un lungo viaggio decise di sistemare un po’ di cose che gli stavano particolarmente a cuore. Come Eda Pelagatti, che aveva accudito lui e i ragazzi come una mamma. Don Lorenzo le destinò i diritti di autore.

Convinto poi, come disse più volte ai suoi ragazzi che il segreto pedagogico non fosse esportabile, il priore si mise a bruciare nella stufa molti documenti della scuola e la chiuse e il 25 aprile 1967, fece le valige per andare ad abitare dalla mamma, in via Masaccio numero 218 a Firenze. Prima di salutare i ragazzi si mise a guardare una a una le stanze della canonica e della scuola. Infine disse loro: “Ragazzi, chissà se ci ritornerò”.

Il morbo di Hodgkin che lo colpì a morte fece sentire i suoi aculei nel 1960, ma per tre anni si brancolò nel buio nella sua esatta diagnosi. Che arrivò il 7 febbraio del 1964 quando mamma Alice informò la figlia Elena che Lorenzo veniva curato per “un linfogranuloma dichiarato”. Dalla metà del 1964 agli inizi del 1967 la vita del priore fu sottoposta a ricoveri ospedalieri e continue, dolorose cure, ma il priore continuò a tenere le sue lezioni a letto o seduto in uno sdraio. Nonostante la malattia e i lancinanti dolori, in quello squarcio di anni, don Milani sfornò due opere come "L’obbedienza non è più una virtù" e "Lettera a una professoressa".

Anche nel periodo dell’agonia, a casa dalla mamma, da fine aprile alla morte, il priore non si tolse la veste di maestro. Continuò ad insegnare ai suoi ragazzi: “Ci diceva, sul letto di morte, che bisognava per tempo imparare a morire. Chi non si abbandona alla morte vuol dire che prima non si è abbandonato alla vita, alle passioni e all’amore”, ricorda Edoardo Martinelli, un ex allievo del priore, autore di "Progetto Lorenzo Milani", pubblicato nel 1998 dal Centro documentazione che porta il nome del priore di Barbiana.

L’ultima lezione don Milani la tenne il 24 giugno, un sabato. Avvertendo che il suo Getsemani stava per concludersi, chiese ai suoi ragazzi di venire a salutarlo per il suo congedo dalla vita. “Ragazzi, un grande miracolo sta avvenendo in questa stanza: un cammello passa per la cruna di un ago”.

Due giorni dopo, il 26 giugno, un lunedì, il priore spirò con il corpo proteso in avanti e sostenuto da Michele Gesualdi. “Un piccolo rigolo di sangue e due occhi sgranati in avanti indifferenti al gioco della vita”, ricorda Martinelli.

“Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi, non è vero che non ho debiti verso di voi. L’ho scritto per dar forza al discorso! Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo posto”, scrisse nel testamento.

Quattro mesi dopo, il 28 ottobre 1967, si tenne il processo d’appello. Don Milani fu costretto, prima di morire, il 1 dicembre 1966, a scrivere di nuovo ai giudici per giustificare la sua assenza. Poche righe, ironiche. Da congedo finale: “Caro presidente, io ho la bua. Tanta tanta bua. Che sei bischero a farmi venire a Roma? Se mi vuoi vedere vieni te. Un bacio anche a tua moglie”.

Don Milani questa volta fu condannato. La condanna non poté però essere applicata. “Il reato è estinto per la morte del reo”, scrissero i giudici.

La legge sull’obiezione di coscienza verrà approvata soltanto nel 1972. Tantissimi giovani che, a partire da quella data, ne hanno usufruito. Gli studenti, i professori, i preti, i cristiani in cerca di Dio, soprattutto i poveri. E  le donne e gli uomini che nella loro vita si pongono il problema dell’obbedienza e della coscienza, del bene e del male, non possono non provare gratitudine per il coraggio e la passione del “reo “ Lorenzo Milani. Di Mario Lancisi · 28 ottobre 2017.

Biografia di don Lorenzo Milani nella sezione PERSONE

 


a Castiglioncello ieri

 

Vai a "Castiglioncello - Lorenzo prima di Don Milani"
Torna a Castiglioncello oggi/Passeggiata don Milani
Torna a Castiglioncello ospiti/Adriano Milani/Don Milani

Torna  a Indice Cronache