Villa Clementina poi Montezemolo
ed i Bagni Portovecchio
Fra il 1915 ed
il '44 al centro della
rada di Portovecchio,
spicca un ampio ed un po' pretenzioso fabbricato,
con tanto di piccola torre secondo la moda lanciata dal
Patrone con il suo castello. Si tratta della casa d'estate
del Generale Cordero di Montezemolo marchese Carlo, nonno di Luca Cordero di
Montezemolo. Carlo Cordero di Montezemolo compra la villa già
esistente, da Clementina Reali, possidente livornese, coniugata
con Ferruccio Pellegrini, il 31 maggio 1919. La villa con
giardino, di nuova e recente fabbricazione, di 28 vani su due
piani oltre a soffitte, sottosuolo e torretta laterale che si
eleva a tre piani con scala a chiocciola in ferro, detta "Villa
Clementina" ha una superficie di 2.630 mq. e confina con terreno
ortivo, villa dr. Marconi, strada di Portovecchio, spiaggia del
mare e proprietà Cardon, viene acquistata al prezzo di lire
30.000. Prezzo successivamente valutato troppo basso di fronte
ad una perizia del 1922 che fissa un valore di lire 341.000. La
lunga causa legale aperta dalla parte venditrice nel tentativo
di rescindere il contratto sarà vana. Costruita su
terreno argilloso, per far fronte ai cedimenti legati alle
forti piogge dei primi anni, viene dotata di un grosso muraglione di contenimento
lungo 20 metri, alto 3-4, con uno spessore alla base di circa 4.
Inoltre nello scantinato verso il mare vengono realizzati
dalla proprietà Reali-Pellegrini, due locali, uno uso magazzino
e l'altro per ricovero imbarcazioni, oltre ad un bagnetto con 16 eleganti
cabine con terrazza sovrastante che prendono il nome di
"Stabilimento Balneare Portovecchio" (sotto).
(Documenti originali
da collezione privata
di Cecilia Cantini
per gentile concessione)
Bozze di progetto e disegni costruttivi del "Bagno Portovecchio"
di
Ferruccio Pellegrini del 1917
Nel giugno 1944, la villa
Montezemolo fu bombardata e le rovine con l'unica stanza
rimasta, furono acquistate da Santino Bandini nel 1946, che con
l'impresa Bartoletti di Portovecchio, iniziò la ricostruzione e
nell'estate del 1949 aprì la "Pensione Belvedere" gestita in
famiglia e rimasta attiva fino agli anni '60, quando, con la
morte di Santino nel '56 e le conseguenti suddivisioni fra
fratelli, fu ristrutturata in appartamenti rimasti di proprietà.
La figlia Marcella negli anni successivi ha ampliato ed
attrezzato il bagno sottostante costituito inizialmente dallo
stanzone delle barche, malamente pavimentato a cemento e poi da
una decina di piccole cabine per ognuno dei due lati. Sopra una
rudimentale terrazza. Nel 1957 il bagno viene allargato, apre il
bar e la pizzeria, che si distingue per le famose
"schiacciatine". Oggi è gestito dai nipoti Alessandro e Riccardo
ed è aperto come ristorante tutto l'anno.(Per gentile concessione della sig.ra Marcella Bandini)
Siamo
all'inizio del 1922, la motorizzazione civile sta iniziando la
sua marcia inarrestabile ed anche il Generale Montezemolo viene
sollecitato dal proprio avvocato, con la lettera seguente, a
prendere parte all'iniziativa industriale dell'ing. Barison
progettista di un nuovo tipo di motore, così come ha fatto anche
l'ing. Guglielmo Vestrini a Firenze
(vedi).
Ill. sgr. Generale Carlo Cordero Marchese di Montezemolo -
Castiglioncello.
Perdonerà se mi permetto arrecarle disturbo. Si sta costituendo
a Livorno una Società per la fabbrica di automobili, in
relazione ad un nuovo motore ideato dall'ing. Barison di Milano,
che è persona di grande ingegno e che ha studiato il detto
motore e le vetture che verranno costruite, in modo che non si
potrebbe desiderare migliore. Detto motore è completamente in
alluminio con rivestimento delle camicie in acciaio e pur
essendo di piccola forza da un rendimento eccezionale, superiore
a qualsiasi altro motore di pari forza ed è di una semplicità
unica, tantochè sono stati eliminati circa 105 pezzi. La vettura
di 15 Hp raggiunge una velocità di 95 km/h ed ha un consumo
minimo di benzina e olio, ma anche di gomme per la sua
leggerezza. Io ritengo fermamente che essa debba avere un grande
avvenire. Il Ministero ha mandato degli ingegneri per visitare
il motore e farne applicazione nel campo aviatorio. Lo stesso
Conte di Torino entrerà socio con 5.000 lire. Vorrebbe Ella sig.
Generale, sottoscrivere una piccola parte di capitale? La vedrei
volentieri in questa industria che ritengo ottima. La società ha
già raccolto un miglione e mezzo, costituito da un gruppo di
capitalisti Milanesi, uno di Genovesi, uno di Toscani e qualcuno
di Roma, ma si vorrebbe portare il capitale a due miglioni. Io
potrei nel caso col sigr. ingr. Barison e col Marchese Cairati
che è uno dei più forti azionisti, venire colla vettura a farle
una visita a Castiglioncello, se a Lei non dispiacesse, per
farle vedere il motore e la macchina, nel caso che Ella fosse in
massima di sottoscrivere qualche cosa. Il capitale verrebbe
versato a decimi in un periodo di quattro o cinque mesi. Voglia
scusarmi e ossequiarmi la sua gentile famiglia e gradire i miei
più distinti saluti. Avv. Alfeo Giavarini via V. Emanuele.
Livorno. 18/1/1922
(Documenti originali
da collezione privata
di Cecilia Cantini
per gentile concessione)
Il generale Montezemolo che aveva circa 80 anni ed era molto
amico della pressoché coetanea contessa Ginori che abitava in
piazza, era un vecchietto assai arzillo da tutti i punti di
vista. Al mattino partiva da solo a nuoto finché non si vedeva
scomparire la sua testa calva oltre la punta. Il nipote Carlo,
col patino, lo seguiva da lontano, ma senza farsi vedere, il
generale non voleva aiuti. Al ritorno faceva esercizi ginnici
sulla spiaggia e, spesso, al pomeriggio si allontanava nella
macchia della Ragnaia con qualche signora, assai scalpore fece
una sua storia con una giovane svedese.
Il 15 maggio 2009 muore
un altro degli abitanti della villa, Massimo Cordero di
Montezemolo, padre di Luca Cordero di Montezemolo, nato a
Castiglioncello
il 23 dicembre del 1920. Ha trascorso l’infanzia nella
villa di famiglia a Portovecchio che per tanti anni ha visto la
presenza dei genitori di Massimo: Mario Cordero di Montezemolo
(nato nel 1888) e sua moglie Clementina Deciani.
Luca Cordero di Montezemolo è primogenito dei tre figli di
Massimo Cordero dei marchesi di Montezemolo (Rosignano M.mo 23
dicembre 1920 - Roma 14 maggio 2009) e di Clotilde Neri (nata a
Bologna il 26 agosto 1922). I Montezemolo appartengono ad
un’antica famiglia piemontese per generazioni al servizio di
Casa Savoia, della quale sono rappresentanti il cardinale Andrea
Cordero Lanza di Montezemolo e il colonnello Giuseppe Cordero
Lanza di Montezemolo, vittima alle Fosse Ardeatine. Massimo
Cordero di Montezemolo è’ stato un grande uomo per l’agricoltura italiana, sapendo
rinnovare la categoria degli agronomi proiettandoli in una
dimensione moderna e competitiva. Massimo Montezemolo, infatti,
è stato per oltre cinquant’anni un punto di riferimento costante
per l’intero mondo agricolo, in particolare per i Consorzi
di Bonifica, forte della straordinaria esperienza acquisita
prima come Dirigente e Segretario dell’Associazione Nazionale
delle Bonifiche.
Nel 1945 si Laurea in Scienze Agrarie con Lode presso
l’Università degli Studi di Bologna, abilitandosi alla
professione di dottore agronomo nel 1946. Dal 1946 al 1955 è
capo del Servizio Agrario del Consorzio della Bonifica Renana.
Dal 1955 al 1956 è Capo dell’Ufficio Bonifiche e Trasformazioni
Fondiarie nel Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno. Dal 1956
al 1986 è prima Dirigente poi (1966) Segretario
dell’Associazione Nazionale delle Bonifiche e delle Irrigazioni.
Dal 1968 è Presidente dell’Agriconsulting SpA – Società per la
consulenza e lo sviluppo delle attività agricole. Durante la sua
carriera è stato componente del Consiglio Superiore
dell’Agricoltura presso il Ministero Agricoltura e Foreste,
della Commissione Censuaria Centrale del Ministero delle
Finanze, dell’Accademia Nazionale di Agricoltura,
dell’International Association of Agricoltural Economist, del
Consiglio dell’ITALICID – Sezione italiana dell’International
Commission on Irrigation and Drainage. Autore di numerose
pubblicazioni riguardanti gli aspetti tecnici ed economici
dell’agricoltura con particolare riferimento alla bonifica
idraulica ed all’irrigazione. E’ stato Presidente del Consiglio
dell’Ordine Nazionale dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali
dal 1985 al 1992.
Perchè il Gen. Carlo Cordero di Montezemolo arriva a
Castiglioncello nel 1919?
Ce ne parla un documento esclusivo scritto di suo pugno che
racconta la situazione amministrativa di Magliano Toscano
(28 km da Grosseto), paese dal quale proviene e dove ha
acquistato il
26 settembre 1906 dalla famiglia Bonucci, con regolare rogito
notarile una azienda agricola, comprendente l'oratorio privato
della Santissima Annunziata.
Successivamente viene eletto Podestà di Magliano, ma poco più
tardi decide di trasferirsi in una zona "vergine" quale era la
Castiglioncello di allora, abbandonando il paese maremmano
"inquinato" dalla malavita che il suo carattere di militare
integerrimo non può tollerare come accadrà
il 21 maggio 1923 quando, tra gli eletti nel primo consiglio
Comunale dell'epoca fascista a Rosignano M.mo, c'era anche il Generale Cordero di
Montezemolo, che però rassegnò immediatamente le dimissioni,
perché la nomina a consigliere comunale proveniva da elezioni
contestabili, almeno in qualche frazione, per irregolare
costituzione e funzionamento dei seggi, violenze ed esclusioni a
danno di ex combattenti.
Sotto il documento
che descrive la situazione di Magliano in quegli anni:
1910 - L’AUTORITA’ CONNIVENTE CON LA CAMORRA IN MAGLIANO TOSCANO
Il Comune di Magliano in Toscana era da molti anni in mano di
una camarilla di poche persone obbedienti ai cenni di un capo il
quale pur non abusando forse, personalmente della cosa pubblica,
lasciava e spingeva a fare, per più sicuro mezzo di dominio, una
mezza dozzina di cagnotti che con l’obbedienza a questo capo
tenevano sottomesso il paese.
Tuttavia, replicate
denuncie, erano giunte alla Prefettura di Grosseto ed erano una
denuncia continua gli stessi conti comunali, mai presentati a
tempo, o presentati colmi di irregolarità e di disordine, ma la
camorra era un ottimo agente elettorale devoto alla costituzione
e la Prefettura sapeva e taceva. Citiamo qualche fatto:
Un esattore scappa lasciando
considerevoli vuoti di cassa. Rimane collettore l’ex Sindaco e
Cavaliere. La Prefettura manda un Commissario, il Menicani, che
riferisce cose gravi. Nessuno si muove.
I creditori del Comune,
compreso qualche impiegato non ligio alla camorra e da tempo non
pagato, reclamano. La Prefettura manda un Commissario, il
Baccaglione il quale costata fatti così gravi e tali da
richiedere l’immediato intervento dell’autorità giudiziaria, ma
la relazione rimane con la precedente a dormire in Prefettura
insieme con quella dei revisori del conto del 1906 nella quale
si costatava un ammanco di oltre tremila lire di cartelle
vendute il cui importo non fu totalmente versato.
E le cose vanno sempre
peggiorando. Così un deposito dell’appaltatore del pietrisco
stradale è ingoiato. Così è ingoiato un altro deposito fatto
dall’ appaltatore del dazio comunale e una nuova vendita di
cartelle patrimoniali del Comune avviene senza che si possa
sapere ove va il ricavo.
La Prefettura dorme,
l’Autorità giudiziaria non si muove e il paese, tutto agli
ordini del capo camorra trema e tace.
Ma qualche denuncia più
ardita arriva più in alto e dal Ministero degli Interni è
mandato l’ispettore Taddei, il quale malgrado la camorra
imperante, che toglie la memoria e la parola agli interrogati,
riesce a costatare fatti tali che il Prefetto viene traslocato,
il Comune disciolto, inviato un commissario Regio.
Il paese ha un largo respiro
di sollievo e di speranza. L’arrivo del commissario è accolto
dalla più cordiale e unanime manifestazione di gioia, dalle
grida di evviva il commissario, evviva il Re, abbasso la
camorra, mentre la banda paesana percorse le vie del paese al
suono della Marcia Reale.
Ma la gioia dura poco,
perché mentre si sperava veder finalmente agire l’autorità
giudiziaria e le manette per slegare molte lingue e raccogliere
molte prove, l’autorità giudiziaria continuò a dormire e il
Commissario energico nello spendere i denari del Comune in opere
non sempre utili, non altrettanto energico nel rivedere i conti
antichi, lascia ben presto scorgere la parte che egli
rappresentava in commedia dopo ché capita in paese (visita più o
meno fortuita) un certo onorevole suo amico (il Matteucci).
Ed ecco i fatti:
1° - L’intimità tra il
commissario e il capo camorra (individuo che si vanta di essere
stato assolto in grado di appello, d’un reato commesso a suon di
quattrini, si fa stretta e continua.
2° - Nelle assenze non
infrequenti né brevi del commissario (il quale intanto prende
moglie) il capo camorra spadroneggia in municipio e si installa
nell’ufficio del commissario e n’ha in tasca la chiave.
3° - La revisione delle
liste elettorali, primo dovere d’un commissario in tali
frangenti, è affidata persone notoriamente conniventi con la
camorra e incapaci di ribellarsi e nelle liste rimangono i morti
anche da molti anni, gli emigranti all’estero anche da molti
anni, coloni ed impiegati da lungo esondati in altri comuni,
nulla tenenti in quel di Magliano, mentre viceversa tutti quelli
che avrebbero diritto all’elettorato e ne han fatte regolare o
documentata domanda, ma non han fatto pari adesione alla
camorra, ne rimangono esclusi con pretesti vari. Il più
frequente di tali pretesti lo smarrimento dei documenti
presentati.
Di questi smarrimenti che il
Comune fa dei documenti che gli si presentano e che non gli fa
comodo ricevere se ne possono citare centinaia. E non mancano
gli smarrimenti che lasciano adito a sospetti di cose assai
gravi non pur anco rilevate da commissari e ispettori dopo
cinque o sei mesi di gestione, oppure, se rilevate, messe
pietosamente a tacere a scopo di salvataggio.
Eccone uno caratteristico.
Nel 1891 il Municipio espropria dai Fratelli Fortuni un
appezzamento di terra che non paga mai, quantunque da qualche
conto municipale il conto appaia saldato. I reclami degli
espropriati sono continui e sempre, si capisce, insoddisfatti.
Arriva il commissario e si reclama con nuova fiducia. Ma
egualmente invano perché prima si risponde che ci vuol tempo a
trovare e consultare i documenti, poi che i documenti mancano,
che la cosa è vecchia, che è meglio non pensarci più.
4° - I conti consuntivi del
Comune non sono riveduti o lo sono ad “usum delphini”. A chi
rileva la cosa si sussurra confidenzialmente che si son già
fatte denuncie all’autorità giudiziaria e su di essa si scarica
la responsabilità dei ritardi. Ma nessuno agisce.
5° - Viceversa impiegati su
impiegati vengono assunti per sbrigare gli affari del Comune,
senza riguardo per la sue esauste finanze, mentre poi, viceversa
ancora, si adibisce a copista il maestro comunale distogliendo1o
dalla scuola. Eppure l’analfabetismo nella gioventù del povero
comune amministrato dalla camorra sale a percentuali del 90%.
6° - Nessun provvedimento è
preso dal R. Commissario per riparare all’ingiusta e in taluni
casi crudelmente iniqua ripartizione delle tasse comunali, fatta
dalla precedente camorristica amministrazione.
Finalmente dopo cinque mesi
di sovrano potere del commissario si arriva alle elezioni del
nuovo Consiglio e qui i fatti dimostrano anche più evidentemente
come il Regio funzionario sia stato ben addomesticato dalla
camorra volente e nolente (?) l’autorità superiore. E così:
1° - Il brigadiere
intimidisce con minaccia d’arresto e perquisizioni personali
elettori incensurati che egli sa ribelli alla camorra e subito
dopo tre o quattro dei cagnotti della camorra, alcuni candidati
e non digiuni di gravi imputazioni, di condanne e di carcere,
circondano quei meschini, mettono loro la scheda in mano e li
accompagnano all’urna sotto gli occhi dalla consenziente
autorità.
2° - Giunti alla fine dello
scrutinio, dopo che tutti gli impiegati comunali antichi hanno
votato contrariamente a certe promesse del commissario uno di
questi impiegati corre allo spiraglio dell’uscio dove il
commissario stesso sta spiando l’esito dalla votazione e gli
sussurra giulivo: “sì vince, si vince”.
3° - Il R. Commissario
ripete volentieri a tutti la profezia che sarà sindaco del paese
il famoso capo camorra perché lo circonda l’affetto, la stima,
la simpatia universale. Viceversa appena intravisto l’esito
dalle elezioni che lasciano capolista, ma con soli tre voti di
maggioranza sull’ultimo eletto (28 contro 25) il detto
famigerato individuo, l’irritazione di tutto il paese si fa tale
che ci vogliano sforzi di pacificazione non indifferenti per
impedire il succedere di fatti gravi e fischi assordanti e grida
di abbasso accolgano i vittoriosi con il capo camorra, che
trovano prudente chiedere l’assistenza dei carabinieri (i quali
dovrebbero, si accompagnarli, ma a ben altro domicilio) per
rientrare in casa loro.
Senza commenti.
(Documenti originali
da collezione privata
di Cecilia Cantini
per gentile concessione. Si
ringrazia il Sindaco ed il sig.
Vittoriano Baccetti di Magliano T. per le informazioni
supplementari).
Adunanza 30 settembre 1923 –
Dimissioni del Consigliere Gen. Cordero di Montezemolo
Il Presidente ricorda che presentate le dimissioni da
Consigliere Comunale il Marchese Carlo di Montezemolo, il
Consiglio Comunale non prese alcuna decisione essendosi offerta
una Commissione di combattenti a parlarci per appurare le vere
cause delle dimissioni.
Il Consigliere Galli riferisce che la Commissione ha avuto il
progettato abboccamento e che ha udito dall’interessato come le
sue dimissioni sono dovute alla persuasione in lui, non essere
avvenute regolarmente le elezioni a Castiglioncello e Nibbiaia.
E’ suo convincimento infine che ci siano di mezzo ripicche
personali. Propone per altro che le dimissioni siano respinte
per riguardo all’uomo di cui si tratta, ex generale decorato al
valore e persona coltissima.
Il Consigliere Petrucci fa notare che per quanto egli abbia
tutta la deferenza pel generale di Montezemolo, sente che se di
respingono le sue dimissioni non si fa un complimento ai
colleghi di Castiglioncello e Nibbiaia.
Nessun altro domandando la parola il Presidente mette a
votazione segreta le dimissioni del Cons. Gen. Montezemolo,
avvertendo che chi voterà la fava accetterà le dimissioni, chi
invece introdurrà nell’urna il lupino le respingerà.
Eseguita la votazione viene fatto lo scrutinio dal Presidente
assistito dai Consiglieri Morelli, Cavallini e Lottini e si
ottiene il seguente resultato:
Votanti 23 maggioranza 12
Fave cioè voti favorevoli all’accettazione delle dimissioni
n.13
Lupini cioè voti contrari
9
Astenuto
1
Il Presidente proclama che le dimissioni del Gen. Montezemolo
sono state accettate.
I bagni Salvadori
Gli adiacenti bagni "Salvadori" inizialmente di Cesare e
Corrado Donati, dal 1930 passarono a Adolfo Salvadori (detto
Merlo) e ai suoi figli, Gastone (1915), Piero (1920), Fosco
(1925).
Prima della seconda guerra mondiale Adolfo aveva gestito i
vicini bagni "Generale Montezemolo". Adolfo veniva dall'Aia
della Vecchia sotto Nibbiaia, si era portato a
Castiglioncello, giovanissimo e aveva trovato casa in Poggio
Allegro sulla strada del cimitero, che allora non c'era, e
lavorato alle cave della Magnesite a Campolecciano. I Salvadori,
rimasti senza bagno dopo il bombardamento, nel 1945 ebbero il
permesso dalla nuova Amministrazione comunale di mettere una
cabina li vicino e dal 1946 in pochi anni si moltiplicò.
Cominciarono a tornare i villeggianti che si portavano
l'ombrellone e lo lasciavano in custodia, in tal modo iniziarono
di nuovo l'attività. Quando qualcuno aveva sete, non aveva altra
scelta che quella di andare alla fontina della spiaggia delle
suore ai Pungenti (vedi)
e, nel '50, fu deciso di aprire un piccolo bar, costruito sul
terreno avuto dai Cardon, fino a formare il nuovo bagno che
porta il loro nome adiacente al Belvedere. Con gli anni Sessanta
il bagno assume la struttura di oggi con i moletti anti erosione
ed il bar in muratura. Fosco in particolare segue con cura
l'evoluzione, poi le direttive passano al figlio Andrea, che ha
dato al bagno la sistemazione attuale, aprendo anche la
adiacente galleria d’arte "La macchia" per mostre ed eventi
culturali. Fosco si è spento a 87 anni nel luglio 2012. I tre
Salvadori, figli di Adolfo, tenevano i bagni e facevano un altro
lavoro: il padre capo guardia all'Aniene dove lavorava anche
Piero, mentre Gastone era alla Solvay. Nel '55 Piero ottiene la
licenza per un emporio a Castiglioncello e si installa in un
piccolo fondo sulla curva di Portovecchio. Gli anni passano, il
bagno diventa grande e attrezzato, l'emporio si sposta in uno
spazio più grande, nasce la pensione Riviera, per i tre fratelli
arriva il benessere, bisogna riconoscere sudato, qualcuno si
sposta in campagna lasciando spazio ai figli.(Sintesi
da: "Dar tempo
dell'etruschi ar tempo de' caini" di Castaldi-Lami-Marianelli,
scaricabile dalla sezione Scaricolibri del sito)
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