Un
fanatico piemontese, o francese, secondo alcuni, come dal cognome,
Baldassarre Audibert, ai primi di ottobre del 1841 imprese ad inalzare
croci di legno, con tutti gli emblemi della passione di Gesù Cristo, su
piedestalli di muratura ai bivi delle strade di tutta la Toscana.
A Rosignano lo croci furono collocate al Paradiso, alla Fonte, nella
Villa, al Giardino, al podere Fedeli per la strada di Castiglioncello, a
Caletta, alla strada del Mazza, oggi Cardon, etc. Le croci venivano
erette con grandi cerimonie, processioni, canti di fede; quella del
Paradiso, della Croce del popolo e quella del podere Fedeli, già del
Niccolini, furono rimesse in ferro e tuttora esistono; le altre sono
tutte scomparse.
L'Audibert aveva comunicato il suo fanatismo alla turbe, che lo
chiamavano l'Uomo buono, l'Uomo Santo, l'Omino.
(Monografia storica del comune di Rosignano Marittimo
di P. Nencini
1925 scaricabile dal sito)
Puoi vedere il basamento e l'epigrafe della croce di Caletta all'inizio
di via della Cava su
Rosignano S./ieri
(foto 14).
Di cippi come questo, posti ai crocicchi delle strade ve ne sono ancora
parecchi nel nostro comune, ed hanno una storia che forse non tutti
conoscono e che vale la pena di raccontare. Risalgono al 1845 e sono
tanti, sparsi per la Toscana da un singolare personaggio che si faceva
chiamare Pio Baldassarre Audibert (alla francese). Diceva di essere nato
in Francia nel 1758, muto dalla nascita e di aver avuto una rivelazione
a "Lione di Francia" dove "l'Arcangelo Gabrielle" gli avrebbe consegnato
una lettera scritta "dal nostro Signor Gesù Cristo" "in caratteri d'oro"
facendogli riacquistare la parola e spingendolo a girare il mondo
predicando la penitenza. Assorto in questo compito, girava la Toscana
rivolgendosi ai facoltosi proprietari terrieri (come il Berti della
lapide posta sul cippo di Caletta all'inizio di via della Cava)
invitandoli a porre queste croci in luoghi significativi del territorio.
Le croci avevano tutte una tipologia simile, poggiando su di una base di
pietra a forma di montagna (il Golgota) erano generalmente di legno e
portavano i segni della crocifissione come la lancia, la spugna, le
tenaglie i chiodi ecc. Le cronache ce lo descrivono come un uomo molto
trasandato nell'aspetto, ma secondo alcuni studiosi di tradizioni
popolari le sue prediche, non in contrasto con la chiesa ufficiale,
tradivano un'origine ed una educazione colta
(Ferretti)
Un'altra versione descrive l'Audibert,
soldato napoleonico, pentitosi delle malefatte sue e dei suoi
commilitoni, che inizia a "piantare" queste croci in segno di penitenza.
Sulla base scrive FEBO (in un latino approssimativo le iniziali di 'fecit
edificare Baldassare Odibert', e perciò sono chiamate, anche nelle carte
topografiche, Croci di Febo. Morì vicino ad
Arezzo nel 1852. Un personaggio della devozione popolare, quindi che non
mancò di attirarsi anche le battute salaci (siamo in Toscana che
diamine!) da parte dei suoi detrattori come quella poesiola che suona
così:
«Baldassare Audiberte
Mangia beve e si diverte
Pianta croci alli cantoni
Alla barba dei coglioni».
Spiritacci toscani, ma occorre precisare che il buon frate era un
impostore: difatti era nato a Vercelli e si chiamava Odiberti. Comunque
questi cippi è meglio restaurarli e alla svelta; l'Audibert diceva che
quando le sue croci fossero state distrutte sarebbe venuta la fine del
mondo! Fra le altre millanterie l'Odiberti, ne vantava una
particolarmente
interessante. Sosteneva infatti di essere stato addirittura membro della
Convenzione rivoluzionaria che aveva decretato la condanna a morte di
Luigi XVI e che faceva porre i cippi per espiare questa sua antica
colpa. In pratica cinse di croci anche il perimetro dell’Amiata. Le croci
ci sono ancora con le loro brave date e la sigla: B.A.P. 1846
(Baldassarre Audibert pose) e c’è ancora la credenza che chi alla fine
del mondo si troverà dentro quel perimetro sarà salvo. Chi sarà fuori,
appartiene all’altra faccia della medaglia: quella delle streghe, dei
draghi e dei demoni. Lo chiamavano "l'omo bono", perchè in fondo era un brav'uomo. La
sua predicazione è stata particolarmente presente sull'Amiata e sarà
raccolta
dai seguaci di Davide Lazzaretti (1834-1878), il profeta fondatore di
una comunità religiosa che dette non pochi grattacapi alle autorità
dell'epoca, disposte a tollerare l'eresia, ma poco disposte ad
accoglierne le istanze sociali di uguaglianza (praticavano una sorta di
comunismo primitivo). Una palla in fronte porrà fine all'avventura del
Lazzeretti. (Per gentile concessione del prof.Giacomo Luppichini)
Vai alla
cronaca della visita al Convento delle Monache Cappuccine di
Colle val d'Elsa, per vedere la reliquia della camicia di
Baldassarre ed il documento
" BALDASSARRE ha fatto scoprire le
sue vere origini"
Il 14 dicembre 2010 è uscito un libro su Baldassarre Audiberti da Vercelli scritto da
Santino Gallorini.
Girando per le campagne della Toscana e dell’Umbria, chi non ha
visto croci con i simboli della Passione (canna, lancia,
galletto, chiodi, martello, tenaglie ecc.), lungo le strade,
agli incroci, vicino ad una chiesetta? Magari incorniciate da
qualche svettante cipresso, spesso sopra un basamento con
un’iscrizione o una data.
Molte di queste croci furono innalzate nella prima metà
dell’Ottocento da un personaggio ai suoi tempi famosissimo,
considerato un vero santo: Baldassarre Audiberti da Vercelli,
morto nel 1852 nella canonica di Ottavo (Arezzo) e sepolto
nell’adiacente chiesa di S. Maria.
Baldassarre fu un personaggio singolare, avvolto dal mistero
delle sue origini e di ciò che abbia fatto nei primi trent’anni
della sua vita. A suo tempo sul suo conto fiorirono varie
leggende, che lo vollero vescovo scismatico francese, poi
pentitosi oppure generale napoleonico, che disgustato dalla
guerra e dalle sue violenze efferate, avrebbe trasformato il
fucile e la sciabola in una croce. Arrivò in Toscana verso il
1790, dicendosi originario di Vercelli. Suo desiderio era
peregrinare fra i tanti santuari della regione e di quelle
limitrofe, mendicando quel poco che gli serviva per vivere. Per
circa 60 anni girò il Centro Italia come umile pellegrino, amato
e venerato dalle popolazioni, ma anche da sacerdoti e vescovi.
Gli attribuivano doti soprannaturali e vari miracoli; in
particolare la guarigione degli ammalati. Fu stimato da tanti
parroci e vescovi della Toscana, fra i quali gli Arcivescovi di
Siena e di Firenze.
Anche il Granduca Leopoldo II lo ebbe in stima e se nel 1831 lo
chiamò al capezzale della morente moglie Nanny, in Palazzo Pitti
a Firenze, nel turbolento 1848 gli chiese consiglio.
Come abbiamo già detto, girò in lungo e in largo per il centro
Italia, innalzando croci con i simboli della Passione. Ne
innalzò ovunque, a centinaia. Pensate che ad Agliana di Pistoia,
in soli tre giorni partecipò alla collocazione di ben 24 croci.
Gli ultimi anni della sua vita li passò paralizzato nella
canonica della parrocchia di Ottavo, presso Arezzo, ospite del
parroco don Polvani. Morì nel 1852 ed il suo corpo fu
imbalsamato, per poterlo poi esporre per quattro giorni alla
devozione di migliaia di fedeli, accorsi da ogni parte. Infine,
fu adagiato in una cassa, a sua volta inserita in una
controcassa e poi sepolto nella chiesa di Ottavo. Il parroco
tagliò un suo vestito in tantissimi frammenti, che poi cucì su
fogli di carta autenticati dalla sua firma: spiegò che erano
ricordi del pellegrino di Vercelli, ma è troppo facile il
vedervi una forte speranza che in breve tempo diventassero
reliquie di un venerato santo, già amato dal popolo. Purtroppo
per Baldassarre, pochi anni dopo la sua morte, la Toscana entrò
a far parte del neonato Regno d’Italia e quindi lui, benvoluto
dal Granduca, diventò un “santo” del vecchio regime, con il
conseguente blocco dell’eventuale processo canonico.
In ogni caso, Baldassarre continuò ad essere amato e venerato
dai suoi toscani, che per decenni ne conservarono la memoria,
ancora viva in tante aree della Toscana, come l’Amiata, il
Volterrano, il Pistoiese. Sulla Montagna Cortonese è vivo ancora
oggi il detto “o chi ti credi di essere, Baldassarre?”, rivolto
a chi manifesta troppo zelo religioso.
Dopo circa dieci anni di ricerche sugli archivi statali,
diocesani e parrocchiali, aiutato da tanti lettori di giornali e
di periodici in cui avevo pubblicato articoli su Baldassarre,
nonché dagli Audiberti di Francia e d’Italia, ho raccolto
documenti, memorie, croci ed altri elementi riconducibili al
Penitente di Vercelli. Ne è nato un libro di circa 250 pagine,
con più di 115 foto, intitolato "Pellegrino verso il Cielo.
Baldassarre Audiberti, il santo delle croci" – Edizioni Effigi
di Arcidosso (GR). La Prefazione è stata fatta da S. E. il
cardinale Angelo Comastri, Vicario Generale di Sua Santità per
la Città del Vaticano.
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PREFAZIONE
di Angelo Card. Comastri. Arciprete della Basilica Papale di San
Pietro in Vaticano. Presidente della Fabbrica di San Pietro.
Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano.
Un tempo i modelli da tutti coralmente riconosciuti erano i
Santi: ai Santi si guardava per imparare a vivere, perché
giustamente essi erano considerati persone veramente realizzate.
Un tempo, quando veniva battezzato un bambino, scrupolosamente
si sceglieva il nome di un Santo, affinché proteggesse e
guidasse la nuova creatura: pensate che, fino a cinquanta anni
fa, in Italia i nomi più diffusi erano… Maria e Giuseppe! Un
tempo ogni categoria di lavoratori aveva un santo protettore,
ogni paese aveva il santo patrono e dovunque era possibile
vedere i segni della devozione del popolo verso i Santi.
Oggi le cose sono cambiate: restano ancora le feste patronali,
restano i santi protettori, resta ancora l’architettura esterna
della devozione, ma disgraziatamente si è svuotata: cioè non
incide più sulla vita. Infatti i modelli ai quali oggi guarda la
gente non sono più i Santi, ma le persone di successo. Poco
importa se il successo è effimero; poco importa se le persone di
successo sono banali, o peggio ancora, volgari: quel che conta è
che abbiano successo.
Il successo, in qualsiasi forma ottenuto, oggi purtroppo,
accredita le persone per essere modelli ai quali tutti guardano
con ammirazione. Allora può accadere, come è accaduto, che
sessantamila persone vadano a seguire il concerto di una
cantante di successo, la quale provocatoriamente si fa chiamare
con il nome santo della Madonna: è un fatto veramente
deplorevole e rivelatore del vuoto spirituale di tanta gente.
Questa situazione è veramente pericolosa: infatti, se i modelli
ai quali si guarda sono sbagliati e devianti, ne derivano
comportamenti sbagliati e deviati. E, così, lentamente il
livello morale della società si abbassa fino al fango e le
persone, quasi inavvertitamente, si trovano sporche e senza
valori e senza ideali: esattamente quello che sta accadendo! Non
ve ne accorgete?
Ritorniamo ai Santi, ritorniamo ai modelli che elevano l’uomo e
lo aiutano a far emerge il meglio di sé.
In tal senso, può certamente giovarci la lettura di questo
libro, frutto di ricerche pazienti ed accurate di Santino
Gallorini, appassionato di storia e devotamente attento alla
vita dei santi.
L’autore, con quest’opera, propone la vita di Baldassarre
Audiberti di Vercelli (1760? – 1852): un uomo vissuto da umile e
povero pellegrino, impegnato nel collocare la Santa Croce di
Cristo nelle strade e sui monti e dovunque gli fosse possibile.
La sua fama si sviluppò negli anni ’20 dell’Ottocento, quando
ormai si era stabilito fra Toscana, Umbria e Lazio (con puntate
anche nelle Marche e negli Abruzzi). Il capo della Polizia
Granducale di Firenze lo reputava un sant’uomo. Lui si definiva
pellegrino-penitente e ormai la gente lo considerava un
taumaturgo e si rivolgeva a lui per tanti motivi. Lui stesso nel
1826 dichiara alla polizia: “Chi mi chiede la benedizione, chi
mi dimanda consiglio per salvare l’anima, chi vuol guarigione
nelle malattie, chi direzione negli affari e simili e io do loro
quei consigli che può dare un cristiano, cioè aver timor di Dio,
fuggire i cattivi compagni, la cattiva pratica e le occasioni
tutte pericolose e peccaminose”. Nel 1831 lo stesso Granduca
Leopoldo II lo chiamò al capezzale della moglie ammalata, per
pregare e ottenerne la guarigione.
Dal 1836 abbiamo documenti che ci attestano come l’Aubiberti
abbia cominciato la sua più celebre attività: l’innalzamento
delle croci con tutti i simboli della Passione di Gesù (anche se
alcuni testimoni ci dicono che fin dal 1796 avesse iniziato
questa pia usanza). Ne innalzò ovunque, in ogni parte della
Toscana, in Umbria e nell’alto Lazio (ad Agliana di Pistoia, in
quattro giorni, partecipò all’innalzamento di 24 croci!). Molte
di queste croci sono ancora oggi documentate, seppur sostituite
da manufatti più recenti o da esemplari in ferro.
Nel 1847 si ammalò e rimase per 5 anni e 5 mesi in un letto
nella canonica della parrocchia di Ottavo (Arezzo). Qui vennero
tantissime persone che avevano bisogno del suo aiuto per
problemi materiali e spirituali. Qui mandò i suoi messi anche
Leopoldo II, per sapere cosa fare nei difficili momenti del
1848. Morì ad Ottavo nel 1852 e fu seppellito in chiesa.
Egli rimase nella memoria della gente di Toscana e nel luglio
del 2002, quando ad Ottavo fu ricordato il 150° anniversario
della sua morte, sono arrivati sacerdoti e fedeli da mezza
Toscana.
Che cosa ci può dire, oggi, la storia avventurosa di quest’uomo?
Innanzitutto ci ricorda che siamo tutti pellegrini: siamo appena
accampati in questo mondo e ogni giorno facciamo un passo verso
l’eternità. Come sarebbe logico e intelligente non attaccarci
troppo alle cose di quaggiù!
Baldassarre Audiberti ci ricorda che, nel viaggio della vita,
c’è un segnale di speranza, c’è una luce che illumina il
cammino: è la croce di Cristo! San Francesco d’Assisi, anch’egli
pellegrino e penitente come Baldassarre Audiberti, quando
guardava il Crocifisso si commoveva e piangeva e sentiva un
grande dolore per il fatto che gli uomini non rispondono con
amore all’amore del Crocifisso. Possa questa originale biografia
(di cui siamo tanto grati al diligentissimo autore) restituirci
il cuore del pellegrino e lo sguardo limpido di S. Francesco
d’Assisi e di Baldassarre Audiberti! |