Rosignano Marittimo chiese ed oratori

Vecchia croce stradale inizialmente in legno, poi rifatta in metallo, forse della serie del 1841 descritta sotto. La targa è più recente: "CRISTO RE DEI SECOLI" Il comitato parrocchiale 14-aprile-1901
(In località Paradiso 300 m. prima del bivio con la via della Giunca).

  Un fanatico piemontese, o francese, secondo alcuni, come dal cognome, Baldassarre Audibert, ai primi di ottobre del 1841 imprese ad inalzare croci di legno, con tutti gli emblemi della passione di Gesù Cristo, su piedestalli di muratura ai bivi delle strade di tutta la Toscana. A Rosignano lo croci furono collocate al Paradiso, alla Fonte, nella Villa, al Giardino, al podere Fedeli per la strada di Castiglioncello, a Caletta, alla strada del Mazza, oggi Cardon, etc. Le croci venivano erette con grandi cerimonie, processioni, canti di fede; quella del Paradiso, della Croce del popolo e quella del podere Fedeli, già del Niccolini, furono rimesse in ferro e tuttora esistono; le altre sono tutte scomparse. L'Audibert aveva comunicato il suo fanatismo alla turbe, che lo chiamavano l'Uomo buono, l'Uomo Santo, l'Omino. (Monografia storica del comune di Rosignano Marittimo  di P. Nencini 1925 scaricabile dal sito)  
Puoi vedere il basamento e l'epigrafe della croce di Caletta all'inizio di via della Cava su Rosignano S./ieri (foto 14). 
Di cippi come questo, posti ai crocicchi delle strade ve ne sono ancora parecchi nel nostro comune, ed hanno una storia che forse non tutti conoscono e che vale la pena di raccontare. Risalgono al 1845 e sono tanti, sparsi per la Toscana da un singolare personaggio che si faceva chiamare Pio Baldassarre Audibert (alla francese). Diceva di essere nato in Francia nel 1758, muto dalla nascita e di aver avuto una rivelazione a "Lione di Francia" dove "l'Arcangelo Gabrielle" gli avrebbe consegnato una lettera scritta "dal nostro Signor Gesù Cristo" "in caratteri d'oro" facendogli riacquistare la parola e spingendolo a girare il mondo predicando la penitenza. Assorto in questo compito, girava la Toscana rivolgendosi ai facoltosi proprietari terrieri (come il Berti della lapide posta sul cippo di Caletta all'inizio di via della Cava) invitandoli a porre queste croci in luoghi significativi del territorio. Le croci avevano tutte una tipologia simile, poggiando su di una base di pietra a forma di montagna (il Golgota) erano generalmente di legno e portavano i segni della crocifissione come la lancia, la spugna, le tenaglie i chiodi ecc. Le cronache ce lo descrivono come un uomo molto trasandato nell'aspetto, ma secondo alcuni studiosi di tradizioni popolari le sue prediche, non in contrasto con la chiesa ufficiale, tradivano un'origine ed una educazione colta (Ferretti) Un'altra versione descrive l'Audibert, soldato napoleonico, pentitosi delle malefatte sue e dei suoi commilitoni, che inizia a "piantare" queste croci in segno di penitenza. Sulla base scrive FEBO (in un latino approssimativo le iniziali di 'fecit edificare Baldassare Odibert', e perciò sono chiamate, anche nelle carte topografiche, Croci di Febo. Morì vicino ad Arezzo nel 1852. Un personaggio della devozione popolare, quindi che non mancò di attirarsi anche le battute salaci (siamo in Toscana che diamine!) da parte dei suoi detrattori come quella poesiola che suona così:                                           «Baldassare Audiberte
                                               Mangia beve e si diverte
                                                Pianta croci alli cantoni
                                                Alla barba dei coglioni».
Spiritacci toscani, ma occorre precisare che il buon frate era un impostore: difatti era nato a Vercelli e si chiamava Odiberti. Comunque questi cippi è meglio restaurarli e alla svelta; l'Audibert diceva che quando le sue croci fossero state distrutte sarebbe venuta la fine del mondo! Fra le altre millanterie l'Odiberti, ne vantava una particolarmente interessante. Sosteneva infatti di essere stato addirittura membro della Convenzione rivoluzionaria che aveva decretato la condanna a morte di Luigi XVI e che faceva porre i cippi per espiare questa sua antica colpa. In pratica cinse di croci anche il perimetro dell’Amiata. Le croci ci sono ancora con le loro brave date e la sigla: B.A.P. 1846 (Baldassarre Audibert pose) e c’è ancora la credenza che chi alla fine del mondo si troverà dentro quel perimetro sarà salvo. Chi sarà fuori, appartiene all’altra faccia della medaglia: quella delle streghe, dei draghi e dei demoni. Lo chiamavano "l'omo bono", perchè in fondo era un brav'uomo. La sua predicazione è stata particolarmente presente sull'Amiata e sarà raccolta dai seguaci di Davide Lazzaretti (1834-1878), il profeta fondatore di una comunità religiosa che dette non pochi grattacapi alle autorità dell'epoca, disposte a tollerare l'eresia, ma poco disposte ad accoglierne le istanze sociali di uguaglianza (praticavano una sorta di comunismo primitivo). Una palla in fronte porrà fine all'avventura del Lazzeretti.
(Per gentile concessione del prof.Giacomo Luppichini)

Vai alla cronaca della visita al Convento delle Monache Cappuccine di Colle val d'Elsa, per vedere la reliquia della camicia di Baldassarre ed il documento " BALDASSARRE ha fatto scoprire le sue vere origini"  
  Il 14 dicembre 2010 è uscito un libro su Baldassarre Audiberti da Vercelli scritto da Santino Gallorini.
Girando per le campagne della Toscana e dell’Umbria, chi non ha visto croci con i simboli della Passione (canna, lancia, galletto, chiodi, martello, tenaglie ecc.), lungo le strade, agli incroci, vicino ad una chiesetta? Magari incorniciate da qualche svettante cipresso, spesso sopra un basamento con un’iscrizione o una data.
Molte di queste croci furono innalzate nella prima metà dell’Ottocento da un personaggio ai suoi tempi famosissimo, considerato un vero santo: Baldassarre Audiberti da Vercelli, morto nel 1852 nella canonica di Ottavo (Arezzo) e sepolto nell’adiacente chiesa di S. Maria.
Baldassarre fu un personaggio singolare, avvolto dal mistero delle sue origini e di ciò che abbia fatto nei primi trent’anni della sua vita. A suo tempo sul suo conto fiorirono varie leggende, che lo vollero vescovo scismatico francese, poi pentitosi oppure generale napoleonico, che disgustato dalla guerra e dalle sue violenze efferate, avrebbe trasformato il fucile e la sciabola in una croce. Arrivò in Toscana verso il 1790, dicendosi originario di Vercelli. Suo desiderio era peregrinare fra i tanti santuari della regione e di quelle limitrofe, mendicando quel poco che gli serviva per vivere. Per circa 60 anni girò il Centro Italia come umile pellegrino, amato e venerato dalle popolazioni, ma anche da sacerdoti e vescovi. Gli attribuivano doti soprannaturali e vari miracoli; in particolare la guarigione degli ammalati. Fu stimato da tanti parroci e vescovi della Toscana, fra i quali gli Arcivescovi di Siena e di Firenze.
Anche il Granduca Leopoldo II lo ebbe in stima e se nel 1831 lo chiamò al capezzale della morente moglie Nanny, in Palazzo Pitti a Firenze, nel turbolento 1848 gli chiese consiglio.
Come abbiamo già detto, girò in lungo e in largo per il centro Italia, innalzando croci con i simboli della Passione. Ne innalzò ovunque, a centinaia. Pensate che ad Agliana di Pistoia, in soli tre giorni partecipò alla collocazione di ben 24 croci.
Gli ultimi anni della sua vita li passò paralizzato nella canonica della parrocchia di Ottavo, presso Arezzo, ospite del parroco don Polvani. Morì nel 1852 ed il suo corpo fu imbalsamato, per poterlo poi esporre per quattro giorni alla devozione di migliaia di fedeli, accorsi da ogni parte. Infine, fu adagiato in una cassa, a sua volta inserita in una controcassa e poi sepolto nella chiesa di Ottavo. Il parroco tagliò un suo vestito in tantissimi frammenti, che poi cucì su fogli di carta autenticati dalla sua firma: spiegò che erano ricordi del pellegrino di Vercelli, ma è troppo facile il vedervi una forte speranza che in breve tempo diventassero reliquie di un venerato santo, già amato dal popolo. Purtroppo per Baldassarre, pochi anni dopo la sua morte, la Toscana entrò a far parte del neonato Regno d’Italia e quindi lui, benvoluto dal Granduca, diventò un “santo” del vecchio regime, con il conseguente blocco dell’eventuale processo canonico.
In ogni caso, Baldassarre continuò ad essere amato e venerato dai suoi toscani, che per decenni ne conservarono la memoria, ancora viva in tante aree della Toscana, come l’Amiata, il Volterrano, il Pistoiese. Sulla Montagna Cortonese è vivo ancora oggi il detto “o chi ti credi di essere, Baldassarre?”, rivolto a chi manifesta troppo zelo religioso.
Dopo circa dieci anni di ricerche sugli archivi statali, diocesani e parrocchiali, aiutato da tanti lettori di giornali e di periodici in cui avevo pubblicato articoli su Baldassarre, nonché dagli Audiberti di Francia e d’Italia, ho raccolto documenti, memorie, croci ed altri elementi riconducibili al Penitente di Vercelli. Ne è nato un libro di circa 250 pagine, con più di 115 foto, intitolato "Pellegrino verso il Cielo. Baldassarre Audiberti, il santo delle croci" – Edizioni Effigi di Arcidosso (GR). La Prefazione è stata fatta da S. E. il cardinale Angelo Comastri, Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano.
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PREFAZIONE
di Angelo Card. Comastri. Arciprete della Basilica Papale di San Pietro in Vaticano. Presidente della Fabbrica di San Pietro. Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano.
Un tempo i modelli da tutti coralmente riconosciuti erano i Santi: ai Santi si guardava per imparare a vivere, perché giustamente essi erano considerati persone veramente realizzate.
Un tempo, quando veniva battezzato un bambino, scrupolosamente si sceglieva il nome di un Santo, affinché proteggesse e guidasse la nuova creatura: pensate che, fino a cinquanta anni fa, in Italia i nomi più diffusi erano… Maria e Giuseppe! Un tempo ogni categoria di lavoratori aveva un santo protettore, ogni paese aveva il santo patrono e dovunque era possibile vedere i segni della devozione del popolo verso i Santi.
Oggi le cose sono cambiate: restano ancora le feste patronali, restano i santi protettori, resta ancora l’architettura esterna della devozione, ma disgraziatamente si è svuotata: cioè non incide più sulla vita. Infatti i modelli ai quali oggi guarda la gente non sono più i Santi, ma le persone di successo. Poco importa se il successo è effimero; poco importa se le persone di successo sono banali, o peggio ancora, volgari: quel che conta è che abbiano successo.
Il successo, in qualsiasi forma ottenuto, oggi purtroppo, accredita le persone per essere modelli ai quali tutti guardano con ammirazione. Allora può accadere, come è accaduto, che sessantamila persone vadano a seguire il concerto di una cantante di successo, la quale provocatoriamente si fa chiamare con il nome santo della Madonna: è un fatto veramente deplorevole e rivelatore del vuoto spirituale di tanta gente. Questa situazione è veramente pericolosa: infatti, se i modelli ai quali si guarda sono sbagliati e devianti, ne derivano comportamenti sbagliati e deviati. E, così, lentamente il livello morale della società si abbassa fino al fango e le persone, quasi inavvertitamente, si trovano sporche e senza valori e senza ideali: esattamente quello che sta accadendo! Non ve ne accorgete?
Ritorniamo ai Santi, ritorniamo ai modelli che elevano l’uomo e lo aiutano a far emerge il meglio di sé. In tal senso, può certamente giovarci la lettura di questo libro, frutto di ricerche pazienti ed accurate di Santino Gallorini, appassionato di storia e devotamente attento alla vita dei santi.
L’autore, con quest’opera, propone la vita di Baldassarre Audiberti di Vercelli (1760? – 1852): un uomo vissuto da umile e povero pellegrino, impegnato nel collocare la Santa Croce di Cristo nelle strade e sui monti e dovunque gli fosse possibile.
La sua fama si sviluppò negli anni ’20 dell’Ottocento, quando ormai si era stabilito fra Toscana, Umbria e Lazio (con puntate anche nelle Marche e negli Abruzzi). Il capo della Polizia Granducale di Firenze lo reputava un sant’uomo. Lui si definiva pellegrino-penitente e ormai la gente lo considerava un taumaturgo e si rivolgeva a lui per tanti motivi. Lui stesso nel 1826 dichiara alla polizia: “Chi mi chiede la benedizione, chi mi dimanda consiglio per salvare l’anima, chi vuol guarigione nelle malattie, chi direzione negli affari e simili e io do loro quei consigli che può dare un cristiano, cioè aver timor di Dio, fuggire i cattivi compagni, la cattiva pratica e le occasioni tutte pericolose e peccaminose”. Nel 1831 lo stesso Granduca Leopoldo II lo chiamò al capezzale della moglie ammalata, per pregare e ottenerne la guarigione.
Dal 1836 abbiamo documenti che ci attestano come l’Aubiberti abbia cominciato la sua più celebre attività: l’innalzamento delle croci con tutti i simboli della Passione di Gesù (anche se alcuni testimoni ci dicono che fin dal 1796 avesse iniziato questa pia usanza). Ne innalzò ovunque, in ogni parte della Toscana, in Umbria e nell’alto Lazio (ad Agliana di Pistoia, in quattro giorni, partecipò all’innalzamento di 24 croci!). Molte di queste croci sono ancora oggi documentate, seppur sostituite da manufatti più recenti o da esemplari in ferro.
Nel 1847 si ammalò e rimase per 5 anni e 5 mesi in un letto nella canonica della parrocchia di Ottavo (Arezzo). Qui vennero tantissime persone che avevano bisogno del suo aiuto per problemi materiali e spirituali. Qui mandò i suoi messi anche Leopoldo II, per sapere cosa fare nei difficili momenti del 1848. Morì ad Ottavo nel 1852 e fu seppellito in chiesa.
Egli rimase nella memoria della gente di Toscana e nel luglio del 2002, quando ad Ottavo fu ricordato il 150° anniversario della sua morte, sono arrivati sacerdoti e fedeli da mezza Toscana.
Che cosa ci può dire, oggi, la storia avventurosa di quest’uomo? Innanzitutto ci ricorda che siamo tutti pellegrini: siamo appena accampati in questo mondo e ogni giorno facciamo un passo verso l’eternità. Come sarebbe logico e intelligente non attaccarci troppo alle cose di quaggiù!
Baldassarre Audiberti ci ricorda che, nel viaggio della vita, c’è un segnale di speranza, c’è una luce che illumina il cammino: è la croce di Cristo! San Francesco d’Assisi, anch’egli pellegrino e penitente come Baldassarre Audiberti, quando guardava il Crocifisso si commoveva e piangeva e sentiva un grande dolore per il fatto che gli uomini non rispondono con amore all’amore del Crocifisso. Possa questa originale biografia (di cui siamo tanto grati al diligentissimo autore) restituirci il cuore del pellegrino e lo sguardo limpido di S. Francesco d’Assisi e di Baldassarre Audiberti!

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