La camicia di Baldassarre
Siamo in cinque, di
fronte ad un cancello chiuso. Intorno l’incomparabile campagna
senese. Dietro quel cancello c’è il convento delle Monache
Clarisse Cappuccine, un tempo residenti in Siena, ma da qualche
anno “sfrattate” e trasferite tra Staggia e Colle di Val d’Elsa.
Un muro di cinta circonda un secolare parco, un orto e gli
edifici del convento, raccolti intorno alla bella chiesa. Mentre
premo il pulsante del campanello, ripenso al motivo per cui
siamo qui. Alle lunghe peripezie che mi hanno accompagnato in
questa avventura. Tutto ha avuto inizio molto tempo fa, quando
venni a sapere, per caso, che esisteva una teca-reliquiario con
all’interno una “veste di Baldassarre Audiberti”. Ma dove si
trovasse quest’interessante oggetto, ancora non lo sapevo. A
forza di cercare, ho intuito che l’area in cui era conservato
apparteneva alla giurisdizione della Soprintendenza ai Beni
Storici Artistici ed Etnoantropologici di Siena e quindi, mi
sono rivolto là, per sapere il luogo esatto dove veniva
custodito.
Gentilmente, mi veniva
comunicato che la teca-reliquiario si trovava presso le Monache
Clarisse Cappuccine e quindi inviavo una lettera alla Madre
Superiora, narrandole delle mie ricerche sull’Audiberti e quindi
dell’importanza che rivestiva quella reliquia da loro
conservata. Purtroppo, quando mi arrivò la risposta, fu peggio
di una doccia gelata: loro erano Monache di Clausura e quindi
non mi potevano ricevere, che non insistessi...Figuriamoci se io
non insistevo, di fronte a cotanto oggetto, legato alla vita di
Baldassarre, a cui ho dedicato ben 12 anni di ricerche per ogni
dove. Iniziavo quindi una lunga manovra di accerchiamento delle
povere Monache, in modo da poter conoscere che cosa
effettivamente contenesse la teca-reliquiario. Intanto, ad un
secondo “assalto” alla Soprintendenza, corrispondeva la
comunicazione inviatami dalla dottoressa Maria Mangiavacchi, in
cui mi si dicevano le misure della teca (h. 14,5 – l. 29,2 – p.
21 cm.), l’intestazione ed il contenuto: una camicia di
Baldassarre e la copia di certe sue riflessioni. E questo, se
possibile accendeva ancor di più la mia curiosità e il bisogno
di poter vedere, almeno in foto, quegli oggetti baldassarriani.
Poi, come sempre, ci si
sono messe le consuete “coincidenze”. Io conosco un solo
sacerdote che fa capo alla Diocesi di Siena. Lo informo del mio
desiderio di conoscere il contenuto della teca, conservata dalle
Monache di Colle e gli chiedo a chi posso rivolgermi. Con mia
sorpresa, mi risponde che lui è amico di quelle Monache e che
spesso va a celebrare la Santa Messa al convento. Chiederà lui.
Non mi pare vero! Intanto inizia l’attesa. Purtroppo, quando
arriva la risposta, ecco un’altra doccia fredda: le Monache non
sanno esattamente dove sia la teca-reliquiario, devo chiedere in
Soprintendenza, visto che sono stati dei suoi funzionari ad
impacchettare gli oggetti schedati, al momento del trasloco. Mi
sembra di essere capitato in un “gioco dell’oca”, dove ogni
tanto si torna alla partenza...
Arriviamo al settembre
2012. Alcuni amici vanno con il parroco di Pieve a Quarto, don
Duilio Sgrevi, a Staggia per la Festa della rivista "Il Timone".
Mi telefonano perché sono rimasti incuriositi nel vedere che c’è
anche la consegna del “Premio Viva Maria” a Antonio Socci. Lo so
io che esiste un premio dedicato al Viva Maria? Certo che sì!
Anzi, visto che sono là, mi salutino l’organizzatore, don
Stefano Bimbi, l’amico delle Monache.
Una mezzora dopo mi
arriva una seconda telefonata da Staggia: don Stefano ricambia i
saluti e mi fa sapere che l’indomani andrà dalle Monache; gli
devo rimandare l’indicazione di ciò che cerco nel convento. Ed
io eseguo.
Probabilmente qualcosa è
cambiato nel Convento, tant’è che dopo pochissimi giorni, mi
arriva la disponibilità delle Monache a ricercare la
teca-reliquiario e infine la notizia che l’hanno ritrovata.
Posso andare a Colle, mi verrà mostrata e fatta fotografare.
Posso anche portare qualche amico.
Ritorniamo al cancello
iniziale; una vocina risponde al citofono e dopo aver saputo chi
c’è, la serratura si apre. Percorriamo il vialetto tra i
cipressi ed arriviamo alla porta del convento. Ci attende sulla
soglia Suor Paola, che con un sorriso sornione ci dice: “Eh,
questo Baldassarre … quanta gente che lo cerca...”. Poi ci porta
dentro e ci fa visitare la chiesa, la sacrestia e qualche altra
stanza. Non credo che si sia accorta di quanto ormai non stiamo
più sulla pelle, tanta è la voglia di vedere gli oggetti di
Baldassarre, ma comunque anche quello che ci fa vedere è molto
interessante e di gran valore, sia artistico che religioso.
Alla fine entriamo in una
sala dove sono raccolte tutte le reliquie e le testimonianze
della Beata Passitea Crogi, la fondatrice delle Monache Clarisse
Cappuccine. Passitea? E chi è? Suor Paola ci spiega e man mano
che va avanti, non possiamo fare a meno di rimanere a bocca
aperta: Passitea (1564-1615) è stata una eccezionale mistica.
Figlia di una terra che ha dato i natali a Santa Caterina e a
San Bernardino, non sfigura affatto accanto ai suoi più illustri
concittadini. Infinite le grazie, i miracoli, i fatti prodigiosi
a lei attribuiti, fino alle stimmate! Fu aperto un processo di
beatificazione, di cui si conservano circa 800 pagine fitte di
testimonianze, ma poi tutto si arenò: si dice che fosse stata la
paura che Passitea oscurasse la fama della grande Caterina...
Mentre Suor Paola spiega,
io guardo in una vetrina il saio, il cilicio ed altri oggetti
della Beata, che è stata portata da Siena a Colle, con le sue
Monache e riposa accanto alle sue testimonianze. Capisco il
perché queste monache conservino oggetti di Baldassarre: lui
amava i mistici ed in particolare i francescani; non per niente
andava spesso anche a Città di Castello, a pregare sulla tomba
di Veronica Giuliani, anche lei una clarissa cappuccina. Di
sicuro, il Buon Uomo era devoto anche della Beata Passitea e
durante uno dei suoi pellegrinaggi al convento senese, dove lei
riposava, le buone monache, con qualche scusa gli hanno fatto
lasciare la vecchia camicia per una più nuova e la prima se la
sono tenuta per reliquia di colui che già immaginavano, in un
prossimo futuro, santo. Come del resto aveva fatto il parroco di
Cozzano, con le scarpe scalcagnate ed i pantaloni laceri.
Finalmente veniamo
portati nella stanza dove è stato appoggiato il
reliquiario-teca. Mentre attendiamo la Madre Superiora, non
posso fare a meno di guardare l’oggetto del desiderio...E mentre
suor Paola ci narra una singolare storia, di una Madonna con
Bambino di origini tedesche, io ascolto controvoglia e intanto
sbircio la teca. E’ ricoperta di una carta rossa e beige, con
motivi vegetali e sopra in una targhetta c’è scritto: “Qui c’è
la camicia del / ven. Baldassare Audiberti / eremita. / E
l’Immagine della S. Sindone”. Sì, ho letto bene, la camicia che
ha avvolto il Pellegrino di Vercelli, conservata assieme alla
copia del telo che avvolse il Salvatore...
Mentre la curiosità sta
facendo salire l’impazienza, ecco arrivare su una carrozzella la
Madre Suor Caterina, spinta da suor Liliana. Dopo i saluti e le
presentazioni, ci viene data l’autorizzazione ad aprire la teca.
La portiamo sopra il largo tavolo, al centro della stanza e
iniziamo a slacciare la bandella anteriore, mentre il cuore
inizia a battere forte e le mani a diventare leggermente sudate.
Alziamo lievemente il coperchio, in modo da poter aprire la
bandella anteriore. Appare un’altra parete in legno, con quattro
archi suddivisi da tre colonnine; dietro si intravede un
contenitore in nylon.
A quel punto apriamo il
coperchio e tiriamo fuori il contenuto. Per prima cosa c’è un
foglio intestato “Copia di Riflessioni scritte di proprio pugno
da Baldassarre Audiberti il 26 dicembre 1851”. Si tratta della
copia di una lettera inviata dal parroco di Ottavo, don Polvani,
ad un suo amico senese, certo Angiolo Ticci. Si capisce che la
moglie del Ticci aveva chiesto a Baldassarre qualche notizia sul
suo passato, ma Don Polvani comunica che Baldassarre“...Le manda
a dire per mezzo mio, che la sua malattia lo ha privato di onni
[ogni, n.d.a.]
ricordanza delle cose passate, questo è vero segno che Dio vuole
che Baldassarre non pensi più che a le cose presenti per
prepararsi facilmente a andare a presentarsi al Tribunale della
Divina Giustizia per essere judicato secondo la vita che ma
menato nel Mondo...”. Non insista, dunque, la signora e permetta
a Baldassarre di obbedire alla volontà di Dio.
Quindi apriamo
l’involucro. Con devota delicatezza estraiamo la camicia e con
grande emozione la spieghiamo, per stenderla sul tavolo.
Mentre andiamo avanti ci
“appare” Baldassarre: ora la corta manica che ha avvolto il
braccio destro, ora l’altra dove stava il sinistro, e poi il
colletto, l’apertura sul davanti ed infine abbiamo l’intera
camicia distesa ed aperta. Che emozione! Ci troviamo di fronte
un vestito di una persona piccola, magra, con delle braccia
fini, come mostrano gli stretti polsini. Come una “sindone”,
appare la traccia del vecchio eremita, del suo sudore, della sua
pelle, che strusciando per anni sulla stoffa, ha reso liso
l’indumento. Vediamo in basso, le tracce di un antico lavoro di
cucito, che ha sostituito il margine inferiore – ormai consunto
– con un pezzo di stoffa nuovo. Qua e là, tracce di rammendi e
cuciture di qualche anima buona, di suora o contadina, che
durante il suo errare gli aveva richiuso qualche strappo.
Guardiamo bene e notiamo due cifre ricamate in rosso: I.B.
Notiamo che sono a rovescio, a significare che stavano sul pezzo
di tela con cui fu realizzata la camicia. Probabilmente si
trattava di un lenzuolo di lino, parte del corredo in dote di
qualche antica fanciulla, che era stato trasformato in una
camicia. Per Baldassarre? Oppure per qualcun altro? Non lo
sappiamo.
Poi notiamo che sulla
parte anteriore sinistra, in basso, manca un bel pezzo di
stoffa: è stato tagliato in differenti circostanze, con le
forbici. Ci hanno di certo ricavato pezzetti di reliquie per
donare ai devoti del Pellegrino penitente.
Guardiamo, osserviamo,
accarezziamo, immaginiamo, sogniamo...
Infine scattiamo numerose
foto. E’ venuto il momento di ripiegare la camicia di
Baldassarre e poi di rimetterla nella sua teca-reliquiario. È a
quel punto che la Madre Superiora vi impone sopra le mani aperte
ed appaiate, quindi ci invita a recitare una preghiera per una
famiglia del luogo, bisognosa dell’intercessione di Baldassarre.
Mentre preghiamo per quei nostri fratelli sconosciuti, non
possiamo fare a meno di pensare a quel “venerabile” eremita,
santo mancato, che devotamente andava a pregare sopra la tomba
di un’altra santa mancata, la beata Passitea.
Mentre andiamo via dal
convento, ci sentiamo lievi e sereni, come quel poverello che
indossava la vecchia camicia.
Santino
Gallorini
( ottobre 2012
per gentile concessione))
E l’ago è uscito dal
"pagliaio" BALDASSARRE ha fatto scoprire le sue vere origini
Baldassarre Audiberti, il famoso "pellegrino penitente"
dell’Ottocento che riposa ad OTTAVO (AR) - noto anche come "il
santo delle croci" - diceva di essere nato il 6 gennaio di un
anno intorno al 1760 ad ANNOTONE nel Piemonte, in provincia di
Vercelli. Dopo aver ricercato per anni inutilmente, un luogo con
un nome similare a quello di Annotone (e derivati: Anottone,
Anetone …) e un Atto di Battesimo di Baldassarre nelle 137
parrocchie della Diocesi di Vercelli, avevo abbandonato le
indagini e pubblicato la biografia dell’Audiberti.
Ogni
tanto però, continuavano ad arrivarmi segnalazioni di croci
piantate da Baldassarre, così come suoi ricordi: una stampa del
1841, la sua camicia, una "reliquia" con i suoi capelli, alcuni
racconti con lui protagonista. Io aggiungevo il tutto ad un
fascicolo intitolato "Baldassarre dopo il libro", in previsione
di un’eventuale ristampa o nuova edizione del volume "Pellegrino
verso il cielo" (Effigi 2010). Poi, nei primi mesi del 2016,
una lettera spedita nel dicembre 1972 da un ragioniere di
Montepulciano al parroco di Anghiari, mi provocava molto
scetticismo, ma altrettanta curiosità. Nella missiva,
casualmente ritrovata nell’Archivio della Propositura di
Anghiari dall’amico Mario Del Pia, che me l’aveva inviata per
conoscenza, il mittente (rag. Piero Tiraboschi) illustrava a don
Nilo Conti lo stato di certe sue ricerche su Baldassarre
Audiberti. Siccome anche lui era andato invano a Vercelli a
cercare la località Annotone e l’atto di battesimo, avanzava
l’ipotesi che Baldassarre avesse mentito e che in realtà non
fosse nato nel vercellese, ma in Francia e precisamente ad ANNOT,
nelle Alpes de Haute Provence.
Tiraboschi non dava alcuna spiegazione a sostegno della sua
ipotesi, pertanto la prendevo come una delle tantissime teorie
che per due secoli hanno accompagnato la figura dell’Audiberti,
molte delle quali ero riuscito a smentire nel mio libro.
Guardando ai toponimi francesi della cartografia al 25.000,
avevo a suo tempo trovato una trentina di località che potevano
lontanamente assomigliare a quella in cui Baldassarre aveva
sempre dichiarato di essere nato. Ero consapevole però, della
frase sibillina che don Domenico Polvani, il parroco di Ottavo,
aveva fatto scrivere sulla lapide che ricorda Baldassarre nella
chiesa parrocchiale dove è sepolto:
"… apparve uomo misterioso
nomato Baldassarre Audiberti".
Don Domenico aveva
avuto per cinque anni e mezzo in casa sua Baldassarre infermo,
ma alla sua morte lo definiva "misterioso" a testimoniare che
non tutto quello che gli aveva raccontato lo giudicava vero.
Ecco quindi, che per non lasciare nulla d’intentato, ho iniziato
a cercare tracce dell’Audiberti ad Annot, contattando il Maire
Jean Ballester e l’Archivista della Curia Vescovile di Digne Les
Bains, Jacques Olive. Grazie alle loro indicazioni, ho
rintracciato un incredibile Atto di Battesimo di un
Balthazar Honnoré Audibert,
figlio di Jacques André e nato ad Annot il 6 gennaio 1761:
praticamente la traduzione di quanto io cercassi, cioè
Baldassarre Onorato Audiberti figlio di Giacomo, nato il 6
gennaio verso il 1760. Una coincidenza davvero inimmaginabile.
Ma questo Balthazar sarà stato davvero il Baldassarre che è
sepolto ad Ottavo? Ho setacciato a tappeto oltre 5.000 documenti
della parrocchia di Annot - dagli inizi del 1700 al 1865 - ho
trovato i genitori, gli zii, i nonni, i fratelli, le sorelle di
Balthazar. Ho trovato quando nacquero e quando morirono, ho
trovato dove abitavano, quello che possedevano. Non avevo
ancora, però, un elemento certo per identificare il Balthazar
con il Pellegrino che conosciamo. Poi, casualmente ho trovato un
"Balthazar
Audibert Ecclesiastique"
testimone ad un matrimonio
celebrato nella chiesa di Annot nel 1781. Il Balthazar che avevo
individuato era nato nel 1761, quindi se quello che appariva
testimone era lui, aveva 20 anni. E il termine "ecclesiastique"
si poteva ben interpretare con un seminarista. Di nuovo ho
contattato l’Archivio Diocesano di Digne, ma Monsieur Olive mi
ha detto che là non ci sono conservati documenti di quel
periodo. Ho scritto allora agli Archives Départementales des
Alpes de Haute Provence. Ho avuto la fortuna di incontrare il
funzionario Pascal Boucard, una persona gentilissima,
disponibile e cordiale, che
à titre
exceptionnel
ha fatto per me la ricerca
d’archivio, arrivando ad una clamorosa ricostruzione.
Balthazar
Audibert entrò davvero in seminario e negli Anni Ottanta del
Settecento diventò
prêtre,
prete.
Nel 1788 lo
troviamo vicario del
curé
(curato, parroco)
di Ubraye,
desservant
(cappellano)
della piccola chiesetta di un borgo quasi al confine con il
comune di Annot: Rouainette. Rimase cappellano di Rouainette
fino al marzo 1791, quando giurò fedeltà alla Costituzione
Civile del Clero. Neppure un mese dopo Papa Pio VI emanò il
Breve "Charitas
quae",
con cui condannava
la Costituzione Civile, vietava ai sacerdoti e vescovi francesi
di giurare fedeltà ad essa e obbligava coloro che avessero già
giurato - come il prêtre Balthazar - ad abiurare entro 40
giorni. Ma il non giurare o l’abiurare il giuramento fatto alla
Costituzione Civile esponeva i sacerdoti a grandi pericoli, come
l’arresto, la deportazione e in certi casi perfino la morte.
Molti preti e vescovi fuggirono all’estero. Altri furono
costretti ad allontanarsi dalla Francia. Da aprile 1791 nei
documenti di Rouainette c’è un altro sacerdote e non appare più
il
prêtre
Balthazar
Audibert.
Tramite successivi
documenti, veniamo a sapere che Balthazar emigrò oppure fu
cacciato dalla Francia. Appare in una lista degli emigrés del
Dipartimento e ai suoi genitori furono sequestrati i beni
immobili: casa, terreni lavorativi, castagneti, vigna …
Balthazar Audibert non appare più nei documenti di Annot e
quindi, verosimilmente, non tornò al suo paese. Dove sarà
emigrato? Al momento non lo so con certezza, ma il suo vescovo -
Mons. Henri Hachette - che emigrò qualche tempo prima di
Balthazar, si rifugiò assieme ad un sacerdote al momento ignoto
e al suo cameriere, prima a Nizza e in seguito a Fossano (CN)
nel Piemonte. Anche il vescovo della limitrofa diocesi di Senez,
Mons. Jean-Baptiste Ruffo, dopo essere fuggito a Nizza, si
rifugiò a Torino. Probabilmente, Balthazar si rifugiò in
Piemonte, forse proprio nel territorio di Vercelli,
italianizzando il suo nome, cognome e luogo di nascita: "Annotone"
è alquanto vicino nella pronuncia ad
Annotains,
come si chiamano
gli abitanti di Annot.
Da Vercelli Balthazar, ormai diventato Baldassarre, iniziò a
muoversi peregrinando verso Roma. Già fin dal 1795 venne
segnalato nelle campagne aretine, a Camaldoli e alla Verna. Nel
1798 fu ricoverato nell’ospedale aretino come "Baldassarre
Onorato Audiberti".
A conferma che il "cerchio si è chiuso", abbiamo adesso anche le
numerose firme di Balthazar Honnoré Audibert - del 1776, 1781 e
dal 1788 al 1790 - ed è possibile confrontarle con quelle che
Baldassarre appose in calce all’interrogatorio del Vicario di
San Giovanni Valdarno nel 1825 e a quello del Vicario di
Pontassieve nel 1826, constatandone una forte somiglianza,
seppur molto distanti nel tempo.
Rimangono
molti interrogativi, tra i quali: perché Balthazar una volta in
Italia non si rivelò mai quale sacerdote? Perché se voleva
eclissarsi, una volta in Italia tradusse il suo nome in
italiano, invece di cambiarlo completamente? Sarà mai tornato a
trovare i suoi parenti ad Annot? La caratteristica per la quale
ancora oggi è ricordato nel Centro Italia, quella di favorire
l’innalzamento delle croci con i simboli della Passione, l’avrà
mutuata dalle sue zone di origine?
Al momento possiamo soltanto formulare ipotesi.
Il fatto che non si rivelasse quale sacerdote lo spiegherei
essenzialmente così: il prêtre Balthazar fu senz’altro sconvolto
dal Breve papale che sconfessò la Costituzione Civile del Clero
e obbligò a ritrattare coloro che come lui avevano giurato
fedeltà ad essa. Si sarà sentito un "traditore" di Cristo, del
Papa, della Chiesa, dei suoi parrocchiani, quindi indegno di
continuare ad amministrare i sacramenti e a celebrare la messa.
Il fatto
che Balthazar invece che cambiare il suo nome in "Mario Rossi"
abbia italianizzato le sue generalità, lo spiegherei
essenzialmente con il non voler essere costretto a giurare il
falso di fronte a precise domande delle autorità, ma anche per
lasciare una flebile speranza ad un’eventuale sua
identificazione da parte di un parente, un confratello, un
vescovo che lo avessero ricercato. E in effetti, proprio questa
sua scelta oggi è stata determinante per farmelo identificare.
Se sia mai tornato ad Annot, non so dirlo e nemmeno ipotizzarlo.
Non lo escluderei, però. Posso invece ricollegare alle usanze
dei territori delle Basses Alpes, l’attività di Baldassarre di
favorire la collocazione di croci con i simboli della Passione
di Cristo. Nel territorio intorno ad Annot ci sono croci
analoghe a quelle messe da Baldassarre in Toscana. Addirittura,
sulla parete del muro castellano, adiacente alla chiesa
parrocchiale di Annot, dove Balthazar fu battezzato, c’è
un’enorme croce come quelle "baldassarriane".
Sono stato ad Annot, ho parlato con il parroco - Père Jacques
Rigaud - che fa servizio in ben 10 chiese, tra cui quella di
Rouainette di cui fu cappellano Balthazar, gli ho lasciato una
copia del libro e gli ho raccontato le ultime novità. Père
Jacques è rimasto meravigliato e affascinato dalla storia di
Baldassarre, "annotain" di origini, ipotizzando un suo viaggio a
Ottavo. In seguito mi ha fatto sapere che:
"je prie déjà
le père Balthazar",
già prega
Baldassarre. Mentre le ricerche proseguono, rimane lo stupore
nel constatare che dopo durissime, lunghe, ma inutili ricerche,
quando ormai le speranze di trovare le origini di Baldassarre mi
apparivano analoghe al rintracciare un minuscolo ago in un
immenso pagliaio, ecco che l’ago è fuoriuscito da sé dal
pagliaio e si è fatto trovare! Un altro dei tanti misteri e
delle tante coincidenze che hanno accompagnato la mia ricerca
sul "santo delle croci". Santino Gallorini
(dicembre 2016 per gentile concessione)
Gli AUTOGRAFI di BALDASSARRE
Adesso che sappiamo
dove è nato Baldassarre Audibert/Audiberti e cosa abbia fatto
nei suoi primi trent’anni di vita, possiamo anche visionare
alcuni suoi autografi e confrontarli con quelli già conosciuti,
perché facenti parte di due “arresti” in cui il Penitente
incorse nel 1825 e 1826. A questo materiale si è aggiunta
recentemente una LETTERA su tre facciate, scritta da Baldassarre
nel giugno 1818 ad un suo amico di Roma. Di questa lettera, che
a fine Ottocento era passata nelle mani di un
padre carmelitano di Firenze, io ne conoscevo l’esistenza e
pertanto l’avevo cercata per tanto tempo presso alcuni archivi
fiorentini, ma senza successo. Pareva sparita! Salvo comparire
adesso, da tutt’altra parte ed arrivare a me tramite il Dottor
Luca Bertinotti di Pistoia, che ha saputo della sua esistenza
dallo storico di Montale (PT), Dottor Andrea Bolognesi, il quale
mi ha gentilmente inviato una copia digitale della stessa.
Pubblicherò qui il materiale al momento in mio possesso, in modo
che ognuno possa confrontare la calligrafia del testo (quando
c’è) e la firma in calce. Le conclusioni le trarrò in fondo. La
prima firma autografa di Balthazar Audibert
risale al 4 novembre 1776. Il 3 novembre a Jacques André
Audibert e a sua moglie Marguerite nacque una figlia: Marianne.
Il giorno seguente la bimba fu battezzata nella chiesa
parrocchiale di Annot e ne fu padrino il fratello maggiore,
Balthazar, che sottoscrisse l’atto. Balthazar aveva 15 anni.
Passano pochi anni e ritroviamo il nostro Balthazar testimone ad
un matrimonio, anch’esso celebrato nella chiesa di Annot. Il 18
settembre 1781 si sposano
Jacques
Baret di Braux e
Marie
Anne Emeric di Annot. Due sono i testimoni che sottoscrivono
l’atto e uno – come registra il parroco - è: Balthazar Audibert
Ecclesiastique. Dunque, il ventenne Balthazar è un seminarista,
non ancora diventato sacerdote. La sua firma è alquanto
essenziale: “Audibert eccl.”.
Pochi anni dopo Balthazar diventa sacerdote, pretre, ma non
subito riusciamo a trovare documenti da lui compilati. Bisognerà
attendere il 1788, quando sarà Desservant (Cappellano) della
piccola parrocchia di Rouainette e ogni tanto sostituirà il
parroco della vicina Rouaine. Il primo atto risale all’8
novembre 1788 quando
proprio
a Rouaine amministrerà il Battesimo alla
piccola Marie Cibile, nata il giorno prima. Balthazar si firma
“Audibert pretre desservant”. Tra il novembre 1788 e l’aprile
1791, quando il pretre Balthazar Audibert per obbedienza al Papa
annullerà il Giuramento alla Costituzione Civile del Clero
(giuramento fatto il precedente 6 marzo) e sarà costretto ad
abbandonare la sua parrocchia e la Francia per rifugiarsi
verosimilmente in Piemonte e probabilmente a Vercelli, ci sono
diversi atti parrocchiali. Sono sopravvissuti, seppur
parzialmente, i due registri della
parrocchia di Rouainette in cui il parroco annotava in duplice
copia Battesimi, Morti e Matrimoni. Possiamo quindi osservare
testi piuttosto lunghi scritti dal Pretre Balthazar Audibert.
Non tutti i documenti compaiono in entrambi i registri, perché
come
ho scritto sopra, alcune pagine mancano. Comunque, facendo il
calcolo dei vari documenti, troviamo 16 Battesimi e 7 Morti.
Nessun Matrimonio.
Abbiamo detto che
dopo
l’aprile 1791 il pretre Balthazar fuggì dalla Francia, riparò in
Piemonte, probabilmente a Vercelli o nelle sue vicinanze. Lì
“diventò” Baldassarre Audiberti da Vercelli. E qualche anno dopo
(1792) iniziò a peregrinare verso Roma, transitando da Firenze e
dal territorio aretino. Sappiamo che sicuramente Baldassarre fu
alla Verna e a Camaldoli nel 1795. Nel 1798 e nel 1802
Baldassarre fu ricoverato all’Ospedale di Santa Maria sopra i
Ponti di Arezzo, ma non lasciò suoi
scritti autografi o sue firme. Occorrerà attendere il 1818 per
poter riavere un autografo di Baldassarre. Si tratta di una
lunga lettera, su due fogli e tre facciate, scritta il 23 giugno
al Signor Francesco Giuntini (?) di Roma mentre Baldassarre è a
Camaldoli quale Oblato. La firma non è in fondo, ma nella
seconda facciata e appare come Baldassare Audibertj.
Passano sette anni e Baldassarre viene fermato dalla polizia
granducale mentre è nelle campagne di Reggello. Viene poi
accompagnato dal Vicario di San Giovanni Valdarno e da questo
interrogato il 17 aprile 1825.
In calce al lungo interrogatorio, Baldassarre appone la sua
firma: Baldassare Audibertj, con la j a capoverso perché era
arrivato in fondo alla pagina.
Poco più di un anno dopo Baldassarre viene di nuovo
arrestato. Era di notte e Baldassarre dormiva in una capanna
presso la parrocchia di Santo Stefano a Torri, fra Pontassieve e
Rignano sull’Arno.
Alcuni poliziotti di
Pontassieve, che avevano seguito il gran movimento del popolo
della zona, alla ricerca di un santo pellegrino che si aggirava
nelle campagne, nottetempo arrivarono alla
capanna dove Baldassarre
dormiva, lo arrestarono e lo portarono a Pontassieve. Il mattino
del 13 giugno 1826, il Vicario di Pontassieve lo
interrogò
e compilò un lungo verbale d’interrogatorio che Baldassarre
sottoscrisse in calce: Baldassare Audibertj. A Baldassarre fu
fatta scrivere anche una dichiarazione dove dava atto che la
polizia gli aveva restituito delle somme di denaro che aveva con
sé al momento dell’arresto e che lui aveva questuato per il
restauro di una cappellina dedicata alla Madonna del Buon
Consiglio, situata non troppo distante da Fiesole.
Veniamo adesso ad una valutazione delle firme e degli scritti
autografi del Pretre Balthazar Audibert
e del Pellegrino Penitente Baldassarre Audiberti.
Se osserviamo bene, la stessa persona lo stesso giorno del 1826
fa una D di Baldassare aperta, con asta che va all’indietro, e
subito dopo fa una D di Audibertj differente, chiusa e con asta
dritta.
Nel 1825 fa le due D, di Baldassare
e
di Audibertj, uguali, chiuse e con asta dritta. Nel 1818
entrambe le D sono aperte e con asta all’indietro. Ma l’Audibertj
del 1818 è quasi identico all’Audibert del 1789 del Pretre
desservant di Rouainette, a sua volta differente dalla firma del
1788 (D chiusa e asta dritta) e dalle precedenti.
Se confrontiamo i lunghi testi del Pretre Balthazar (1788-1791)
con quelli del Pellegrino Baldassarre (1818 e 1826), vi troviamo
parecchie assonanze: la S maiuscola di Signé è simile
a quella di Santo e di Soldi; la m di mil e di marraine è simile
a quella di maggior e di mi; la g di guion, agé ecc. è simile a
quella di gloria, goderlo ecc., la n di né è simile a quella di
nostra; la q di que è simile a quella di quattro ecc. ecc. Si
potrebbe continuare anche con altre lettere (p, r, c ...)
Insomma, tenendo bene in considerazione i quasi trent’anni che
intercorrono tra gli ultimi scritti del Pretre Balthazar e
quelli del Pellegrino Baldassarre (tra il 1791 e il 1818), non
possiamo fare a meno di notare le tantissime similitudini tra le
due calligrafie, al punto di non aver alcun dubbio sul fatto che
si tratti della stessa mano. E ben conosciamo le varianti
presenti sia nella calligrafia di Balthazar che in quella di
Baldassarre, addirittura nel medesimo documento e in documenti
vicinissimi temporalmente.
Anche la calligrafia ci conferma dunque che il Pretre Balthazar
Audibert nato ad Annot il 6 gennaio 1761 e il Pellegrino
Baldassarre Audiberti, morto ad Ottavo l’8 luglio 1852 e lì
sepolto, sono la stessa persona.
Santino Gallorini
(luglio 2019 per gentile concessione) |