Il professor Pier Luigi Viola nasce ad
Arezzo, primo di due figli, il 24 novembre 1917. Si laurea, nel 1943, a
Pisa, in Medicina e Chirurgia. Nel 1945 viene assunto dalla Solvay come
assistente medico del Servizio Sanitario Aziendale di Rosignano. Inizia la
propria esperienza pratica, arricchendola con uno studio tenace che si
concretizza in quaranta pubblicazioni scientifiche e due libere docenze, la
prima all'Università di Perugia in Patologia generale, la seconda, in
Medicina del lavoro, presso l'Università di Pisa. Docente di
Medicina del lavoro presso la stessa Università, ricercatore nell'Istituto
Regina Elena di Roma per lo studio e la cura dei tumori, membro del gruppo CEFIG, dirigente il gruppo
consultivo nell'Aschimici per la medicina del lavoro e membro delle "Permanent
Commission of International Association on Occupation Health", "Royal
Society of Medicine" di Londra, "American Occupational Medical Association",
riceve attestati particolari anche da membri dell'Accademia delle scienze
dell'URSS per i suoi studi in cancerologia. Viene nominato direttore
dell'Ospedale aziendale Solvay nel 1960. In quest'importante incarico, si
pone anche il problema delle trasfusioni di sangue, organizzando, con
Luciano Leonardini, nel 1963, il G.A.D.S. ed ottiene, a tale scopo, prima
una stanza all'interno della struttura ospedaliera, poi la casa del custode
(Pagni) vicino al cancello. Effettuato, nel 1971, il passaggio
dell'ospedale all'INAM e, poi, all'USL Bassa Val di Cecina, diviene
Direttore del servizio di Medicina ed Igiene del Lavoro (dislocato ora
all'interno della fabbrica in zona ex Aniene) che, oltre all'analisi
ambientale, si pone il problema della prevenzione per eliminare le
condizioni che potevano provocare malattie.
Dal 1953 si fabbrica a Rosignano il
VCM (cloruro di vinile monomero), utilizzato non soltanto per la produzione
di materie plastiche come il PVC (policloruro di vinile), ma anche come
propellente nelle bombolette di vari prodotti di largo consumo come lacche
per capelli, deodoranti ambientali, vernici a spruzzo. Nei primi anni '60,
il professor Viola riscontra gravi alterazioni ossee (acroosteolisi),
derivanti, forse, dall'esposizione al cloruro di vinile.
Egli presenta una relazione sugli
effetti cancerogeni dell'esposizione al cloruro di vinile negli animali alla
conferenza internazionale sul cancro di Houston (1970): i ratti, esposti a
30.000 ppm (parti per milione) di gas di cloruro di vinile monomero
sviluppavano tumori della pelle, dei polmoni e delle ossa.
A maggio 1971, quando "Cancer Research"
pubblica il suo articolo, Viola viene invitato a presentare i risultati del
proprio lavoro a Washington dall'Occupational Healt Committee.
I rappresentanti delle imprese
produttrici, infatti, sono allarmati dai dati raccolti dal medico italiano
in collaborazione con l'Istituto Regina Elena di Roma, ma sperano che le
sue scoperte non siano applicabili ad altre specie animali o ad esseri
umani esposti a dosaggi inferiori.
Poiché, infatti, nei ratti i tumori si
erano sviluppati nella ghiandola di Zymbal, situata nell'orecchio e di cui
non esiste un corrispondente nell'uomo, si sperava che la malattia potesse
svilupparsi solo in questi animali. Studi successivi del ricercatore
confermano che il monomero è cancerogeno anche se non esiste una
precisa conferma per gli organismi umani.
Per questo motivo, nel 1972, le
industrie europee affidano a Cesare Maltoni, Direttore del Centro per la
prevenzione dei tumori e la ricerca oncologica di Bologna, di verificare se
le scoperte di Viola siano fondate. I dati del professor Maltoni
confermarono che l'esposizione al cloruro di vinile anche a dosaggi più
bassi di quelli indicati da Viola, fa comparire tumori e non soltanto
nella ghiandola di Zymbal.
Già nel 1971, in ogni modo, arriva
all'Istituto Superiore di Sanità uno studio sull'oncogenesi di questa
sostanza, segnalata come "estremamente grave".
Molto più tardi, però, vengono adottate
le misure necessarie ad eliminare i rischi connessi sia alla lavorazione sia
all'impiego di questa sostanza: è grandissimo merito scientifico del
Direttore dell'Ospedale Solvay avere per primo studiato ed analizzato il
fenomeno e sottoporlo agli ambienti internazionali.
Al vertice sanitario dei medici che
operano negli stabilimenti Solvay (2-3-4 novembre 1977), il professore
afferma: "Allo scienziato incombe l'obbligo di approfondire le sue
conoscenze e di fare la fotografia più esatta possibile della pericolosità
dei prodotti. Spetta, poi, ad altri sostenere e promuovere quei
provvedimenti legislativi che se, da una parte, debbono tutelare quel bene
irrinunciabile che è la salute dell'uomo, dall'altra debbono preoccuparsi di
non distruggere le fonti della sua ricchezza.
E' in questa occasione che ognuno deve
assumersi le proprie responsabilità, che non è consentito tirarsi indietro
per paura di compromettersi".
Il 15 marzo 1985, all'età di 67 anni,
quest'uomo, la cui fama ha varcato i confini nazionali, muore
improvvisamente stroncato da un infarto nel suo laboratorio. Questo breve
ricordo vuole essere una testimonianza per le nuove generazioni del suo
impegno di medico e di ricercatore, della sua serietà ed onestà
professionale e della sua umanità.
(Breve sintesi da: "Dalle AM-Lire all'Euro" di Carlo Mancini e Leo
Gattini)
******
QUEL PATTO SEGRETO DEGLI INDUSTRIALI PER NASCONDERE IL CLORURO MORTALE
Nel 1972 ci fu un patto fra la Mca
(Manufacturing Chemist Association), la Dow Chemical e le compagnie
Montedison, Ici, Rhone Poulainc e Solvay, per tenere segreta la
cancerogenità del Cvm, cloruro di vinile monomero, sostanza usata per
fabbricare la plastica. Lo sostiene il magistrato veneziano Felice Casson
che vuole riaprire il caso del Petrolchimico di Porto Marghera e dice di
avere in mano documenti esplosivi che attesterebbero l’esistenza di questo
accordo di segretezza illimitato nel tempo. Ma in realtà dei pericoli del
CVM s’inizia a parlare alla fine degli anni ’60, e proprio a Rosignano,
grazie agli studi condotti da un medico che lavora per la Solvay nel cui
stabilimento si trova un impianto di cloruro di vinile. E’ il novembre 1969,
Tokyo. Il professor Pier Luigi Viola rivela gli studi condotti sui ratti
esposti a VCM. Ma è a Houston, un anno dopo, che il medico descrive gli
effetti letali (tumori) del VCM per i topi. Pier Luigi Viola è il direttore
dell’ospedale Solvay di Rosignano. E’ qui che inizia i suoi studi. Siamo nel
1967. Racconta Sergio Porciani, tecnico di laboratorio oggi in pensione,
braccio destro di Viola in queste ricerche. «Lavoravo al Polietilene quando
Solvay mi disse di affiancare il professore nell’attività di laboratorio.
Tutto nacque perché erano state scoperte lesioni a livello di ossa delle
mani ad un operaio in Francia. Così iniziammo le ricerche sui criceti,
proprio perché avevano una grande mobilità e potevano essere utili per gli
esami da condurre». Poi si passò ai ratti. «Mi ricordo che prima di trovare
i topi adatti, visto che si tratta di animali facilmente aggredibili da
tumori, il professore li incrociò maschio-femmina fino alla centesima
generazione».
Poi cominciarono le applicazioni. Nelle gabbie veniva introdotto, secondo
varie dosi, il cloruro. Le cavie reagivano, venivano esaminate le loro urine,
il sangue. Si raccoglievano i primi dati. Una volta, a Rosignano, arrivò
anche una partita di 24 scimmie da sottoporre ai test: inutilizzabili perché
affette da un virus. Solvay voleva capire gli effetti sulla salute di questa
sostanza lavorata, dal 1953, al VC (dove esisteva l’impianto che consentiva
la sintesi di acetilene + acido cloridrico gassoso, poi chiuso nel 1978) e
inviata, in carri cisterna, agli altri stabilimenti del gruppo dove si
trasformava nella comune plastica, (il PVC di tutte le docce pluviali, per
capire). «No, in quegli
anni nessuno pensava che il CVM fosse cancerogeno - racconta un vecchio
operaio - tanto che, essendo allo stato liquido, il cloruro di vinile
evapora facilmente producendo freddo, quindi in estate era normale mettere
le gavette nel liquido per conservare il cibo». A Rosignano non vengono mai
fatti dalla Medicina del Lavoro studi specifici sull’uomo. «Anche perché
l’impianto è all’aperto - sottolinea Porciani - con un’elevata dispersione».
E gli esami sui dipendenti della fabbrica indicano un’incidenza di tumori
bassissima. Ma la scoperta che l’esposizione ad elevate quantità di CVM
provoca tumori è deflagrante. Prima il dottor Bartolini, della Montedison,
poi l’oncologo Maltoni visitano il laboratorio di Viola e fanno ulteriori
studi. Arrivano alle stesse conclusioni. Ormai la miccia è innescata.
L’effetto bomba, per Rosignano, è il referendum del 27 novembre 1988 quando
la città chiude le porte al nuovo impianto di PVC in progetto. Ma il
terribile monomero farà vittime altrove, non qui. E il caso diventa anche
una rappresentazione teatrale, “Storie di plastica”, rivisitazione delle
morti del Petrolchimico di Marghera. Ora, con il ricorso in appello del
magistrato Felice Casson, il testo dello spettacolo di Marco Paolini potrà
avere una terza edizione. E un terzo titolo. Lo anticipa Francesco Niccolini,
sceneggiatore di Livorno coautore con Paolini di “Storie di plastica” e
successiva versione. Il testo dell’opera nasce dalla denuncia di un ex
operaio di Marghera, Gabriele Bortolozzo che lavorava al reparto VCM e che
scopre di essere l’unico superstite. I suoi compagni sono tutti morti. Lui
mette insieme dati, numeri, cartelle cliniche. Fa una ricerca, poi parte
l’esposto a Casson. Tutti assolti, dirà il Tribunale. Ma ora il magistrato
vuol riaprire il caso. (A.Rocchi
e B.Antoni da "Il Tirreno" del 16/05/2004)
******
«VIOLA APRI' LA STRADA, FORSE MIGLIAIA DI MORTI, MA NESSUNO LO SA»
«Pier Luigi Viola ha il grande merito di aver aperto la strada della
ricerca; ha trovato le prime prove della cancerosità del cloruro di vinile.
Senza di lui, la scienza non avrebbe fatto passi avanti in questo settore».
Il vicepresidente dei Verdi, Gianfranco Bettin, si è fortemente battuto
perché le morti bianche al Petrolchimico di Porto Marghera avessero
finalmente un responsabile. Sappiamo che il processo di primo grado ha
assolto tutti gli imputati: era il 2 novembre del 2001; sappiamo anche anche
che il pubblico ministero in quel dibattimento, Felice Casson, si batte
perché il processo d’appello abbia una conclusione assai diversa. Sulle
morti bianche di Porto Marghera, Bettin, consigliere regionale del Veneto,
prosindaco di Mestre e docente di sociologia alla facoltà di Scienze
politiche a Firenze, ha scritto un libro, “Petrolkiller” (Universale
economica Ferltrinelli) a quattro mani con il giornalista
del Gazzettino, Maurizio Dianese. In quel volume ci sono le prove
dell’«accordo di segretezza» firmato dai signori della chimica mondiale.
Tutti d’accordo per non svelare i pericoli del Cvm (cloruro di vinile
monomero) sul fisico; tutti cinicamente d’accordo nel dare via libera alla
«libertà di morire»; tutti preoccupati dagli esperimenti di Viola, portati
avanti in uno laboratorio della Solvay a Rosignano.
«Casson, nel corso del processo, citò - senza averne la disponibilità - un
documento italiano che parlava del “patto di segretezza”. Quella
documentazione è stata aquisita dai giudici appena due giorni fa e ci fa
sperare in una conclusione diversa in appello» dice Bettin. Nel suo libro,
lei parla delle ricerche di Pier Luigi Viola. «Noi raccontiamo i suoi
esperimenti sui topi, che risalgono agli anni Sessanta. Erano esperimenti
pionieristici, ma permisero a Viola a raggiungere già nel ’69 il forte
sospetto della cancerosità del Cvm e nel ’72 la certezza della sua
pericolosità. Successivamente, toccò a Maltoni trovare un nesso sempre più
stringente fra tumore e e Cvm. Esiste una casistica di decessi causati dal
clururo di vinile in Italia? «Per il momento, i 157 riconosciuti dal
tribunale di Venezia; la stima, invece, parla di migliaia di morti». (MAURIZIO
DI MAURO)
******
LA FIGLIA: «MIO PADRE, SCIENZIATO-PIONIERE SOLITARIO E SCOMODO PER
TUTTI»
Il 15 maggio 1985, il professor Pier Luigi Viola moriva, a 67 anni,
stroncato da un infarto nel suo laboratorio. Coincidenze del destino: 19
anni dopo esatti, la figlia Laura Viola, psichiatra e neurochirurgo
infantile, ricostruisce quel «grande giallo» che è stata la vicenda intorno
alla ricerca del padre. Il primo, in assoluto, che nel 1969, in un congresso
a Tokyo, denunciò che i ratti investiti dal VCM si erano ammalati di tumore.
Tra le carte del professore, dopo la sua scomparsa, la figlia trovò le prime
venti pagine del libro in cui Viola avrebbe raccontato la sua esperienza,
nata da «una ricerca sperimentale sugli effetti del mercurio i cui risultati
gli provocarono meraviglia e sgomento. In quegli anni anche le Sette Sorelle
del petrolio erano investite dal problema del VCM». Il libro si sarebbe
intitolato “Storia di un ricercatore di campagna dalle mani pulite”. Su
quelle «mani pulite» Laura Viola pone l’accento. Suo padre, nativo di Arezzo
e studente a Pisa, trasferitosi nel dopoguerra a Rosignano, era «un uomo
libero, un libero pensatore, che mai si fece strumentalizzare da denaro e
paura, che lavorava in nome della salute e della ricerca. Fu il professor
Maltoni più tardi che, incaricato da Montedison, continuò la ricerca e fece
uno studio comparato con casi su esseri umani». Nel 2002, al professor
Viola, Solvay intitolò il servizio di Medicina del Lavoro. Maltoni, invece,
«agli occhi della sinistra ha avuto tutti i meriti, perché era iscritto al
PCI. Mio padre portò avanti la ricerca indipendentemente da tutto e tutti,
credeva nella ricerca e aveva rapporti ottimi con tutti. Non era iscritto a
nessun partito».
Aveva un rospo bloccato nella gola ed è uscito. Laura Viola ha collaborato
con il magistrato Felice Casson («gli ho scritto tante lettere dicendogli
tutto quello che sapevo»), ma a tutt’oggi non riesce ad accettare che una
corte di giustizia abbia sminuito la ricerca del padre motivando che «quelle
sperimentazioni erano solo sui ratti». «L’intera vicenda - conclude Laura
Viola - è rimasta un giallo. La verità, poi, non è emersa; è stata una
storia con lotte, tensioni e troppe ombre».
(Barbara Antoni per "Il Tirreno") |