Castiglioncello ieri |
Origini e scopi del Museo Archeologico Nazionale di Castiglioncello |
L'idea di un piccolo Museo Archeologico di Castiglioncello, decentrato rispetto al grande Museo fiorentino dell'Etruria, nasce in Luigi Adriano Milani intorno al 1908. Gli scavi che egli ha personalmente condotto nell'area del Castello Pasquini a partire già dal 1903 come Soprintendente alle Antichità dell'Etruria hanno fruttato una notevole quantità di materiali, fra corredi tombali e oggetti sporadici, a dimostrazione che la sua intuizione sulla presenza in Castiglioncello di una necropoli di vaste dimensioni e di notevole importanza è perfettamente fondata. È in questi anni che egli comincia a preoccuparsi di acquisire un'area sulla quale edificare il tempietto-museo il cui progetto ha già in mente. Occorre una dignitosa sistemazione per i materiali del sepolcreto e un luogo isolato e pittoresco per suscitare nel visitatore il sentimento di un passato remoto tornato alla luce. Idea forse un poco retorica, alla radice della quale tuttavia sta una concezione che è invece del tutto attuale conservare ed esporre nel luogo d'origine i monumenti che appartengono alla storia locale. La donazione del terreno, ad opera del barone Fausto Patrone, avviene, dopo molte insistenze da parte di Milani, nel 1910 e consiste in un'area circolare di dieci metri di raggio posta sulla cima del Paggetto di Punta Righini, poi detto del Museo, in vista del mare e praticamente libera da altri edifici. Il progetto è affidato a Giuseppe Castellucci, architetto dell'Ufficio Regionale dei Monumenti di Firenze, dal quale il Milani pretende la fedele riproduzione di un'urna fittile d'età ellenistica a forma di tempietto proveniente da Riparbella e conservata nel museo fiorentino. Per la gioia del Castellucci egli impone anche, per le decorazioni architettoniche esterne che corrono su tutti i lati dell'edificio, la copia in cemento policromo delle terrecotte del tempio di Luni e del grande acroterio centrale del tempio di Talamone, raddoppiato ai due lati del tetto. La costruzione del Museo può dirsi completata fra il 1912 e il 1914, anno in cui Luigi Adriano Milani muore, avendo atteso fino all'ultimo al completamento dell'edificio e alla sistemazione espositiva dei materiali, compresa la splendida urnetta cineraria in alabastro di Velia Cerinei ritrovata nel 1905, che altri Soprintendenti avrebbero certo assegnato al museo centrale. Le vicende successive del Museo sono legate all'accrescimento delle sue collezioni derivante dalle non poche scoperte, a carattere prevalentemente casuale, che continuano a verificarsi nel territorio di Castiglioncello dopo il 1914 e fino al 1954, anno in cui, fra via Tripoli e via Asmara, viene alla luce un notevole numero di tombe con corredi di una certa consistenza: questa volta il materiale è accolto presso il Municipio di Rosignano Marittimo, in attesa della prossima costituzione del Museo Civico. Per circa un ventennio il piccolo Museo così fortemente voluto da Milani tenterà di sopravvivere a se stesso, ma la carenza di spazi, l'assenza di sistemi adeguati di sicurezza, i problemi di manutenzione e l'esistenza di un Museo Civico in espansione ne provocano nel 1972 la chiusura: la Soprintendenza Archeologica per la Toscana decide di trasportare a Firenze i materiali per i necessari restauri, mentre alcuni pezzi monumentali, quali l'urnetta di Velia Cerinei, trovano ospitalità nel Museo Civico di Rosignano Marittimo. Il progetto è di riallestire il Museo di Castiglioncello con nuovi criteri, una volta terminato il restauro dei materiali, progetto che tacita momentaneamente la fortissima resistenza della cittadinanza di fronte alla perdita di quello che è considerato un vanto locale. Un accordo con l'Amministrazione Comunale di Rosignano prevede il passaggio della gestione del Museo di Castiglioncello all'Ente Locale. (Pamela Gambogi). (Sintesi da: "Guida al Museo Archeologico di Rosignano Marittimo" di E.Regoli e N.Terrenato scaricabile dal sito) Adunanza Comunale dell'8
agosto 1911 - Museo archeologico in Castiglioncello.
Reperti archeologici e le
origini moderne
Veglia ai dolci riposi,
Veglia ai meriggi stanchi; agli autunni piovosi, ai verni algidi e bianchi.
Ma, poiché il tempo edace
su di tè non trascorre,
veglia a quest' erma pace, vecchia, medicea torre. Dalla "Monografia storica del comune di Rosignano Marittimo" di Pietro Nencini pubblicata nel 1925, scaricabile dal sito.
A Castiglioncello una
vicenda a tinte gialle, mai
risolta. L'hanno sempre detto, a Castiglioncello, e non con mezze parole ma con accenti risoluti: voce di popolo... Hanno sempre detto che qualche operaio, addetto ai lavori per la costruzione della ferrovia litoranea, si “fece d'oro” coi reperti etruschi affiorati in galleria. Sussurri e grida, dunque, su episodi circondati ancora da un alone di mistero. La vicenda “a tinte gialle” avvenne realmente. Ne dettero conferma testimonianze attendibili. Sono restate a suffragarla in via ufficiale carteggi di irrefutabile contenuto. Anche se la questione restò irrisolta, mai svelato l'enigma. Forse ci sarebbe voluto Hercule Poirot od il Commissario Maigret per sbrogliare “il caso”. Gli investigatori del posto - e del tempo - si dimostrarono incapaci di far luce sui fatti. Eppure furono ripetutamente spronati da sollecitazioni di autorevoli personalità. In data 29 maggio 1905 il Prefetto di Pisa si fece premura di indirizzare al Sindaco di Rosignano Marittimo una nota pervenutagli dal Direttore del Museo Archeologico di Firenze. Insieme alla lettera non mancò di esternare il personale e perentorio invito ad intensificare le indagini. Il documento, in maniera indiretta, ma indiscutibile è rimasto a chiarire che già nei primi mesi del 1905 i cantieri per la nuova strada ferrata erano in piena attività. Lasciamo la parola al Direttore del Museo del capoluogo regionale: “Com'è noto in occasione dei lavori ferroviari in Castiglioncello, fu trovata una tomba a camera con un'urna etrusca scolpita, di buona arte etrusca, che gli operai avevano tentato di trafugare, asportandola di nascosto. “Il Maresciallo dei Carabinieri di Rosignano ha già opportunamente iniziato un'inchiesta sui dubbi da me e da altri esposti in ordine alla possibilità che gli operai abbiano compiuto il trafugamento di qualche oggetto, epperciò credo opportuno di mettere sull'avviso gli stessi Carabinieri affinchè scrupolosamente ed insistentemente indaghino se gli operai non siansi in realtà impadroniti dell'oreficeria ed altri oggetti che sono soliti a rinvernirsi dentro le urne scolpite, allorché d'arte più scadente ed in tombe meno importanti. “L'urna raccolta, che tentavasi di trafugare, porta il nome etrusco di Velia Carinei e non è credibile che non contenesse oggetti preziosi più notevoli del semplice orecchino potuto recuperare nell'esplorazione del sepolcro. “La tomba era vergine, quindi la mia presunzione del trafugamento ed il dubbio che manchino sia l'altro orecchino e l'anello d'oro dell'urna in parola e lo specchio di bronzo proprio di quel tempo. “Come conclusione del mio studio sugli oggetti di detta tomba, dovrei confermare il giudizio che quegli operai abbiano dunque sottratto o tengano nascosti alcuni reperti, contro le prescrizioni delle leggi. “Questa inchiesta credo opportuna come esempio a molti operai addetti ai lavori in corso a Castiglioncello perché, come finora si crede, hanno distrutto le tombe rinvenute, appropriandosi degli oggetti di qualche valore, nonostante le raccomandazioni dell'Impresa di segnalare subito le scoperte di oggetti antichi”. Tutto facile, ha sempre asserito la gente, trafugamenti a man salva, quelli dei monili e di altre cose minute e di pregio. Era ben nota anche la procedura, messa in atto senza varianti da coloro che si occupavano degli scavi. Come affiorava dalla roccia un qualsiasi reperto, subito si provvedeva a nasconderlo in un anfratto già predisposto. Poi, a mezzogiorno, quando le donne castiglioncellesi venivano a portare il pranzo ai congiunti, altro non occorreva che passar loro la refurtiva. Questa spariva d'un tratto, sotto gli ampi vestiti femminili. Veniva sventato, così, anche qualche saltuario controllo, disposto alla fine del turno. Certo non ci voleva Poirot e neppure il Commissario Maigret per capire come andava la faccenda. Il Sindaco Mastiani-Brunacci, lette le vibranti richieste dell'archeologo e le intimazioni prefettizie, visto che i Carabinieri non avevano ottenuto risultati nella loro inchiesta, pensò bene di passare la pratica al Delegato di Pubblica Sicurezza del capoluogo. Il tentativo, però, non dette frutti. Ecco infatti, in data 4 giugno 1905, la risposta del funzionario: “Si restituisce la nota alla S. V. informandola che dalle accurate indagini praticate dal sottoscritto, insieme al Comandante della locale stazione dei RR. CC., non si è potuto ottenere qualsiasi piccolo indizio atto a far supporre che, dalla tomba etrusco rinvenuta a Castiglioncello, siano stati trafugati degli oggetti di valore. “Da persone degne di fede si è avuta la certezza che i primi due operai, scopritori della tomba, asportarono soltanto l'urna ivi rinvenuta, e cercarono di nasconderla per sottrarla agli sguardi dei curiosi. “Intendevano, poi, consegnarla al barone Patrone, verso cui hanno un certo rispetto, e subito dopo la tomba venne minutamente esplorata senza alcun risultato. Tuttavia le indagini continuano e nulla sarà tralasciato affinchè esse abbiano a stabilire se realmente in tale circostanza ebbero a verificarsi dei trafugamenti”. Il Conte Teodoro Mastiani-Brunacci non si scompose. Letto il documento ordinò al segretario comunale di inviarlo in copia al Prefetto di Pisa, con lettera di accompagnamento e pari numero di protocollo (il 2262, categoria 10, Classe 5, Fascicolo 13). Le dicerie della gente proprio non vennero divulgate a caso: esiste la prova... provata. Qualcuno, a Castiglioncello, “si fece d'oro” coi reperti etruschi. Comunque Velia Carinei, dopo qualche tempo, potè continuare il suo riposo sul promontorio. Il prof. Luigi Milani, Sovrintendente alle Antichità e agli Scavi per l'Etruria, propugnò infatti la costituzione del minuscolo Museo della località balneare, sorto su di un poggetto, fra il verde, e successivamente arricchito da altri cimeli non soltanto etruschi, ma anche romani e medioevali. Il terreno venne donato dal barone Patrone. La costruzione del piccolo fabbricato fu per metà a carico dello Stato e per metà frutto di donazioni private. Al custode, quali soli compensi, furono lasciate le... mance e il ricavato dei biglietti d'ingresso. Al momento del varo dell'opera, nella seduta dell'8 agosto 1910, il Consiglio Comunale sentenziò ad una sola voce: “Si approva, perché non ci sono spese per l'Amministrazione”. Ben detto. O meglio: ben scritto. (Da: "Quando la luna sorrise al lampionaio" di Celati - Gattini)
1932 - Museo archeologico,
protezioni esterne agli
abusi. |
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