Foto 1-2 - La casetta di 10 metri per 6, con
brande in legno sovrapposte e un camino fratino, ci dormivano i fratelli Aliboni, Andrea,
Paolo, Moro e Bagatello, quando venivano da Antignano per la pesca dei
muggini. Il pesce lo portavano a Livorno, con un cavallino, un certo
Caino. Fino a che Diego Martelli aveva
tenuto per sé la tenuta di Castiglioncello anche il terreno che
circondava il golfo dell'Ausonia, approdo naturale fin dal tempo degli
Etruschi, era brullo e nudo, con la sola casetta del Demanio affittata ai
pescatori Aliboni che sorgeva, fino agli inizi del
'900, nell'insenatura del Porticciolo. Tale edificio, acquistato nel 1873 da Diego Martelli, fu demolito durante
la costruzione dell'albergo Miramare, intorno al 1910.(Da: "Castiglioncello: un
secolo di immagini" di C. Castaldi e G. Marianelli scaricabile
dalla sezione
Scaricolibri
del sito)
...
In primavera gli antignanesi
usavano trasferirsi a Castiglioncello per "fare la stagione",
insieme ai pescatori locali che nel periodo del "passo dei
muggini", interrompevano anch'essi ogni altra pratica per dedicarsi
al lavoro della "mugginara". Campo di pesca era uno specchio di
mare davanti alla scogliera di "Punta Righini". Parte dei
calamenti vi rimanevano impostati per tutto il periodo del passo, mentre
le reti venivano calate giornalmente ed erano controllate da un
avvistatore che sorvegliava le acque dall'alto di uno scoglio e avvertiva
gli altri all'avvicinarsi dei branchi di pesce.
Dopo la stagione della mugginara, l'attività si riduceva a pesche minori
che spesso venivano fatte su espressa ordinazione dei clienti. Ma tanto
bastò a dare continuità a questo lavoro. Così nel lento susseguirsi
degli eventi nel clima paesano, insieme alla tradizione, ebbero naturale
spicco le famiglie che di essa mantennero l'identità, come ad Antignano
gli Aliboni ed a Castiglioncello i Simoncini...(Da: "Pescatori
di altri tempi" di Claudio Castaldi scaricabile dalla sezione Scaricolibri del sito)
La pesca sotto i Medici
La Dinastia Medicea, erede della vittoria su Pisa dopo le lunghe guerre
operate dalla Repubblica Fiorentina per lo «sbocco al mare», intraprese
una brillante politica marinara, facendo di Livorno una
città-porto-fortezza appunto per lo sviluppo dei traffici e del
commercio. Livorno però, ancora per molto tempo dopo la sua elevazione
al rango di città (1577), ebbe grossi problemi di popolamento per la
nota insalubrità dell’aria e la durezza della vita; perciò non sorprende
il fatto che in quegli anni i pochi residenti si dedicassero alle
attività indirizzate dal Granduca più che alla pesca: ciò spiega perché
non poté svilupparsi una flottiglia livornese da pesca, per la quale,
oltre tutto, mancava ogni tradizione. Per tutto il XVII secolo e per la
prima metà del XVIII la pesca nei mari della Toscana fu esercitata da
flottiglie liguri e napoletane che però avevano l’obbligo (e
l’interesse) di portare a vendere il pescato a Livorno. La pesca in mare
era libera a tutti, tranne che per il tonno (esisteva una tonnara
all’Isola d’Elba, dopo che fu abbandonata quella di Antignano dei tempi
di Cosimo I) e per i muggini alla Mugginara della Torre del Romito e a
quella di Castiglioncello, che venivano date in appalto.
(Da: "Il Capitanato Nuovo di Livorno" di Renzo Mazzanti)
1839 - La pesca nella Mugginara di
Castiglioncello può continuare.
Foto 4 -
Le bellezze naturali di Castiglioncello quali apparvero a quei
primi visitatori ci vengono oggi restituite proprio dai dipinti che i
Macchiaioli vi realizzarono da quel momento e nei dieci anni a seguire:
un paesaggio quasi incontaminato, interrotto dalla ricca varietà di
sfumature verdi, quelle cupe delle tamerici, quelle argentee dei lecci,
e le tonalità verde rame della vegetazione più bassa, intervallate dai
gialli e dagli ocra dei terreni appena liberati dalle colture del
frumento e del granturco nei brevi spazi pianeggianti adiacenti la
Punta, dominata dal Torrione Mediceo. Le scogliere dai colori «terra di
Siena», naturali e bruciati, si perdevano in lontananza fino ad una
striscia di acqua marina insolitamente verde-azzurra; bovi immobili
nella solitudine austera degli altopiani si alternavano a casolari
sparsi tra la vegetazione; infine il mare color smeraldo,
straordinariamente limpido e trasparente per il singolare effetto dei
fondali bassi e della sabbia bianca, nei giorni particolarmente limpidi
restituiva alla vista le sagome delle prospicienti isole
dell'Arcipelago, quella dell'Isola d'Elba, allungata e adagiata sulla
linea dell'orizzonte, e i più tozzi profili di Capraia e di Gorgona...(Da:
"Arte e
storia a Castiglioncello dai Macchiaioli al '900" di Francesca Dini,
scaricabile dal sito)
Chi
era Diego Martelli
Straordinaria
figura di uomo e di intellettuale, Diego Martelli è uno dei maggiori
protagonisti della Civiltà Ottocentesca Italiana. La sua poliedrica
personalità, la sua cultura, il suo sincero anticonformismo lo videro
proteso in ogni ramo della cultura e profondamente impegnato nelle più
rilevanti questioni sociali e politiche del suo tempo. Critico
d'arte sensibile e colto, Martelli ebbe il potere ed il merito di
orientare e guidare la riuscita del maggior movimento pittorico italiano
del XIX° secolo, quello dei Macchiaioli e di contribuire all'affermazione
dell'Impressionismo francese. La sua militanza critica a fianco dei
realisti toscani - Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Silvestro Lega,
Raffaello Sernesi, Giuseppe Abbati, Odoardo Borrani e altri - fu prima di
tutto comunanza fraterna di mezzi e di intenti; ed egli, benestante, fu
per ognuno di loro prodigo di aiuto morale e materiale. Avendo intuito le
potenzialità innovative di quel movimento artistico, alimentò le
discussioni estetiche che portarono quei pittori alla maturità e alla
consapevolezza di se stessi.
Grazie
alla sua vasta cultura in materia storico-artistica Martelli maturò una
conoscenza storica del problema di cui ancor oggi ci stupiamo per
l'attualità dei concetti espressi: l'assoluta originalità del Movimento
Macchiaiolo, la sua leadership culturale
e artistica entro i confini nazionali, il ruolo di "avanguardia"
che rivestì a livello europeo, anticipando quel fenomeno di universale
portata che fu l'Impressionismo.
A tale immagine di critico
illuminato si affianca quella non meno affascinante, del politico che lo
storico Alessandro Galante Garrone ha definito "garibaldino senza
enfasi", "intollerante d'ogni ipocrisia e d'ogni insincero
accomodamento", "imperterrito anticlericale",
"adoratore della Francia nata dalla rivoluzione e fin dalla
giovinezza sospettoso di qualsiasi misticismo politico".
La
chiave di lettura del pensiero politico di Martelli risiede nell’
inscindibilità del binomio Libertà - Eguaglianza sociale; poiché egli
credeva che non vi potesse essere rivoluzione politica senza rivoluzione
sociale, fu tra coloro che ritennero il Risorgimento «tradito» dalla
mancata attuazione di quelle riforme sociali che, affrancando larghi
strati della popolazione del Regno da piaghe secolari, avrebbero reso il
disegno dell'Unità nazionale reale ed effettivo. Di qui l'impegno
politico che dopo il 1876, abbandonate le posizioni astensionistiche dei
Repubblicani, lo avvicinò ad una sorta di radicalismo moderato, ricco di
echeggiamenti proudhoniani e di suggestioni positiviste. I suoi scritti
politici ora affrontano le antiche piaghe della prostituzione, del
latifondo e dell'analfabetismo, ora propugnano la concessione del
divorzio, la parità dei diritti tra uomo e donna, il diritto dei
lavoratori ad un'equa retribuzione, sempre argomentando con straordinaria
lucidità, onestà e modernità di ragionamento. Oppositore del
trasformismo di Depretis e della politica colonialista di Crispi, fa
intimo di Agostino Bertani, Andrea Costa, Felice Cavallotti, Giovanni
Bovio e dunque svolse funzione di raccordo tra i gruppi progressisti
toscani e i vertici politici nazionali. Se
in Arte e in Politica l'apporto ideale, umano e civile di Martelli fu di
straordinaria rilevanza, non si debbono certamente sottacere l'impegno di
scrittore e di critico letterario e i rapporti di reciproca stima con
Giosuè Carducci, Renato Fucini, Luigi Capuana, Giovanni Marradi, Emile
Zola, Paul Alexis, Georges Lafenestre, Marcellin Desboutin, Enrico
Nencioni, Gustavo Uzielli; e tanto meno la sua applicazione, seppure
limitata alla gestione del patrimonio di fattorie e terreni ereditati dal
padre, ad un'agricoltura razionale e tecnologicamente avanzata, nonché
l'interesse concreto e fattivo per lo sviluppo urbanistico di
Castiglioncello di cui previde il destino di cittadina turistica e
balneare.
Alla
morte del padre, avvenuta il 30 luglio 1861, Diego diviene il legittimo
proprietario dei vasti possedimenti, più di mille ettari, estesi tra le
province di Pisa e Livorno che costituiscono l'eredità dei Bernardi di
Pisa, zii di Carlo Martelli. Una
più esatta descrizione dei luoghi si ricava dalla perizia dell'ingegner
Andrea Paoli, datata 12 agosto 1884,
nella quale si distingue tra la Fattoria del Pastino, il terreno boschivo
di Nibbiaia e la tenuta di Castiglioncello comprendente anche le terre e
le case del Campaccio e Castello in Castelnuovo della Misericordia.
All'epoca di tale perizia, numerosi mutamenti sono stati apportati dalla
gestione Martelli; essi riguardano non solo la cessione in epoca
anteriore, esattamente nel novembre 1865, della fiorente fattoria di
Capannoli presso Pontedera, già parte integrante dell'eredità Bernardi,
ma anche l'acquisizione da una anonima società demaniale dei terreni
e caseggiati che si trovano al di sotto della Regia Strada Litoranea: si
tratta dei circa 31 ettari costituenti la cosiddetta "Punta" di
Castiglioncello, annessi alla proprietà nel 1872 e descritti dal Paoli
come un insieme di terreni in parte lavorativi e in parte macchivi, sui
quali "s'ergono fra gli altri due fabbricati o ville destinate per
villeggiatura e per i bagni marini; per la speciale posizione sul mare -
si legge nella perizia - parte di questo terreno si presterebbe alla
costruzione di altri villini destinabili all'uso che sopra" .
La
fiducia nelle rilevanti risorse turistiche di Castiglioncello determina e
condiziona tutta la lunga gestione Martelli. Prediletta tra le sue
proprietà per la straordinaria bellezza naturale, la fattoria di
Castiglioncello diviene sin dall'inizio la stabile dimora del critico che
la fa conoscere ed amare anche ai suoi amici pittori.
Le
continue peripezie economiche cui Martelli si sottoporrà nel corso della
sua travagliata esistenza sono quasi sempre determinate dal desiderio di
apportare migliorie alla sua proprietà, di favorirne in qualche modo le
naturali predisposizioni che egli intuisce e che, come un buon padre
farebbe con il proprio figlio, egli cerca di favorire; ragion per cui
insegue mutui e prestiti, si imbarca in speculazioni troppo azzardate per
i suoi mezzi (è il caso dell'acquisto della Punta e delle vicissitudini
che conseguono); attua permute di terreni con famiglie confinanti, fa
eseguire perizie ed analisi dei terreni con un impiego di sostanze non
indifferente. Il suo particolare intuito lo porta a concepire già nel
1873 un piano di edificazione della Punta che ancor oggi stupisce per la
sua attualità. Tuttavia, forse perché non mosso da pure finalità
speculative, che intuiamo poco conformi, del resto, al suo carattere retto
e generoso, Martelli non riuscirà che in minima parte ad attuare i suoi
ambiziosi progetti per il futuro di Castiglioncello; finché, non più
giovane, sopraffatto dalle sventure economiche, dovrà suo malgrado
arrendersi alla necessità di cedere le sue amate terre, subendo così una
delle più grandi disillusioni della sua vita. Il 5 gennaio 1889, Martelli
vende al barone Lazzaro Patrone, per lire 314.264, le fattorie del Pastino
e di Castiglioncello, lasciando per sempre le casa nella quale ha vissuto
per quasi trent'anni; la bella villa rustica, tante volte raffigurata nei
dipinti di Abbati, Borrani, Fattori, Sernesi, sparisce nello spazio di
pochi mesi sotto la mole medievale del Castello costruito da Leonildo
Luparini da Castelnuovo secondo il gusto del nuovo proprietario.
(Da:
"Arte e storia a Castiglioncello dai Macchiaioli al '900" di
Francesca Dini, scaricabile dal sito)
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