La
fabbrica/Cave
Acquabona
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Acquabona - Il calcare frantumato raggiungeva lo
stabilimento nel periodo di sfruttamento delle cave |
La Società Solvay, protesa
alla ricerca della pietra calcarea, operò accurati sondaggi nella
località già nel maggio del 1912, con risultati molto
soddisfacenti. Pertanto il 27 aprile 1913 acquistò da Emilio
Monti, per la somma di 45.000 lire, la prima area utile per gli
scavi. Vennero alcuni operai a spianare il terreno e frequentarono
l'osteria, che tornò gradatamente ad animarsi.
Il 28 aprile 1914 ebbe luogo l’asta definitiva del
fallimento Mastiani Brunacci. Gran parte dell’esteso territorio
agricolo, fu appannaggio dei cinque fratelli Vestrini che avevano in corso concreti contatti con la
Solvay, cui rivendettero la zona delle Cave dell’Acquabona.
Questa la versione ufficiale, in realtà la Solvay aveva
preferito non partecipare in prima persona all'asta come
avrebbe potuto, preferendo indicare ai Vestrini le aree di
suo interesse che acquistò nello stesso anno.
Alla ditta Rotigliano furono affidati i lavori per la costruzione delle prime
due case, commissionate dall'Azienda belga mentre già era allo
studio il progetto della teleferica lunga 4400 metri e nel 1914
vengono ordinati alla ditta Ceretti § Tanfani i cavi di scorrimento per portare la pietra al
nuovo stabilimento.
Nei primi mesi del 1915 sono iniziate le fondazioni dei piloni e sono
giunte tonnellate di carpenteria. Più tardi dopo la guerra, iniziò la
costruzione della casa del capo-cava, signor Mannocci. Quando la fabbrica
iniziò la produzione si lavorava all'Acquabona dieci ore nei
giorni feriali, sei ore la domenica, a forza di piccone e pala.
Nel 1917 la forza-lavoro era di circa cinquanta persone, fra
minatori, caricatori, addetti alla torre, addetti alla tramoggia,
manovali, apprendisti e donne. La paga media era di 35 centesimi
l'ora più 75 centesimi di carovita al giorno, con eccezione per
gli apprendisti e soprattutto per le donne, la cui paga oraria era
di soli 17 centesimi. Gli operai mangiavano pane e
cipolla sul posto di lavoro. Solo di primo mattino, qualche volta,
e soprattutto al tramonto, andavano a bere un bicchiere di vino
per colmare l'arsura. Quando la guerra finì e la
produzione dello Stabilimento si fece più massiccia, cominciarono
a scatenarsi le prime battaglie sociali. La scintilla della più
grave e più lunga agitazione operaia nella storia della Solvay, si
accese appunto all'Acquabona. Avvenne il 17 dicembre 1919. Quel
giorno ebbe avvio lo sciopero dei 62 addetti alle cave, che
trascinò, poi, gli altri dipendenti della Società e provocò la
serrata della fabbrica e mesi di miseria. La vertenza trovò
finalmente il suo blocco solo nell'aprile del 1920, dopo quasi
cinque mesi, il più lungo sciopero visto da queste parti. Le cave dell'Acquabona ebbero il loro periodo di
maggior sfruttamento negli anni dal 1924 al 1928. Impiegarono fino
a 500 operai, poi la cava perse di importanza, mentre veniva
avviato lo sfruttamento delle assai più ricche cave di San Carlo.
Nel 1930 rimanevano solo 66 persone e l'anno seguente era
praticamente chiusa.
(Sintesi da "Sale e Pietra" di
Celati-Gattini)
Il «Calcare di Rosignano»
Fornace da calce Solvay, alle cave dell’Acquabona
Adunanza dell’19 giugno 1914. Filovia per trasporto materiale della
Ditta Solvay
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