La fabbrica/Maria Josè |
15 luglio 1939 - Visita alla fabbrica, al complesso residenziale
ed inaugurazione Canottieri Solvay |
Nata
principessa del
Belgio,
fu l'ultima
regina d'Italia
come consorte di
Umberto II di Savoia sposato l'8 gennaio del 1930 nella Cappella
Paolina del palazzo del Quirinale. Poiché
il suo regno durò solamente dal
9 maggio al 12 giugno 1946, venne soprannominata dagli italiani
"regina di maggio". La principessa e l'operaio - Nel 1939 venne ad inaugurare il Circolo Canottieri Quando da piccola ci leggevano le fiabe, il personaggio principale era quasi sempre la regina. Buona, bella, la vedevo davanti ai miei occhi con lo scettro in mano, abiti splendidi e un mantello che non finiva mai. Quando a Rosignano si sparse la voce che veniva la principessa Maria Jose di Savoia, non chiusi occhio per tutta la notte, immaginavo anche lei bella, regale e molto buona. Il giorno venne davvero: era una splendida giornata di luglio del 1939 (sembrava fatta apposta)! Scappai dalle mani di mia madre per vederla da vicino il più possibile, il mio sogno di bimba si stava avverando! Alta, bionda, con due occhi celesti come due laghi alpini, elegantissima con una gonna lunga e stretta con spacchi laterali ridottissimi, una giacca a righe bianche e blu e in testa un ampio cappello di paglia di Firenze, che al primo alito di maestrale volò via. Sorridente mi guardò e per molto tempo vedevo davanti i suoi occhi. La mia bocca spalancata al massimo non seppe dire altro che: «Viva Maria Josè, come sei bella». Aveva accettato l'invito che la direzione belga della fabbrica le aveva rivolto approfittando di un suo soggiorno presso la tenuta di San Rossore. La stessa mattina si era dovuta sobbarcare un cerimoniale faticoso, condito dall’ abbraccio della folla, che accorsa da ogni parte, salutava con calore quella figura di futura regina, che avvertiva diversa dagli altri membri della dinastia monarchica, lei non troppo ossequiente al regime. Fu così che la principessa sentì la necessità di ristorarsi un po’ all’ombra e le venne proposto di entrare nella casa che faceva angolo fra le due vie: la villetta al piano terra di Virgilio Livi operaio della Solvay. Fu accolta con molta emozione dalle tre giovani figlie: Bianca, Isola e Livia e della moglie Pia, che da donna decisa qual'era, fece subito accomodare "sua maestà" sul divano del salotto "buono" e provvide a portare un bicchiere di acqua tenuta in fresco nel pozzo, alla signora. (Era stata anche presente all'inaugurazione dei Canottieri). Maria Josè dovette trovarsi a suo agio in quella famiglia e mostrò immediata simpatia verso le tre ragazze, felici di poter scambiare normali convenevoli con quella signora così importante, ma dai modi così semplici e cordiali. Guardò con piacere anche i disegni di Bianca Livi ed alcuni schizzi che allora faceva ispirandosi a Greta Garbo, li apprezzò e le chiese se per caso voleva frequentare l'Accademia di Belle Arti a Firenze. Le disse che stava per sposarsi ed allora Maria Josè promise che le avrebbe mandato un regalo. Promessa che mantenne puntualmente. Il regalo consisteva in un quadro con cornice, sormontata dalla corona Savoia che ritrae la principessa con i due figli piccoli allora: Maria Pia e Vittorio Emanuele. (Si può ammirare dalla foto 6 e dalle notizie scritte dal figlio di Bianca, prof. Carlo Rotelli). La principessa pur essendo di ascendenti stranieri, si era sentita bene accolta e serenamente ospitata nella casa semplice di un operaio socialista. Giuliana Marliani P.S. Casa Livi all'angolo fra Via del Popolo e l'attuale Via Terracini, già Via dei Cavalleggeri è la casa dei nonni di Carlo e Paolo Rotelli, dove ha vissuto Bianca Livi e sono cresciuti i due figli. La casa è ancora lì, immutata, villetta come allora, esternamente identica. Da li cominciavano i campi fino al mare e quindi fino ai Canottieri (Nota di Paolo Rotelli che ringraziamo). E domani mettetevi le scarpe di Francesca Ferrari «.. .e domani mettetevi le scarpe!» ha detto oggi, con tono deciso, ai suoi ragazzi il direttore del “Duca degli Abruzzi”, l’istituto di avviamento professionale di Rosignano Solvay. Qui, quando la scuola finisce e fa caldo, per le strade bianche e polverose battute con la pietra cavata all’Acquabona, puoi correre anche con vecchi zoccoli malridotti e consumati. Tutti stanno scalzi, o quasi. Le scarpe si rimandano all’inverno o servono nelle occasioni vere. Da un paio di giorni, però, c’è un fermento nuovo in tutto il paese. La scuola è chiusa ma il custode è addirittura venuto a cercarli nella piazzetta e al campino, questi ragazzi, per richiamarli da parte del direttore. Tutti a scuola, di nuovo! Commenti sottovoce accompagnano la sorpresa. «Perché? Che cosa sta per succedere?» In due giorni i bimbi e i bidelli si sono dati un gran da fare, ciascuno alla sua misura: i piccoli hanno tenuto ferme le scale ai grandi che riverniciavano l’atrio della scuola; qualcuno ha pulito i corridoi fino a rendere brillanti i pavimenti. Il preside ha ordinato di tornare anche domani e di mettere le scarpe e, possibilmente, un vestito buono. Che ci sia da aspettarsi qualcosa di grosso l’hanno capito un po’ tutti. E poi c’è un nervoso via vai di macchine e di carabinieri. «Domani, in visita alla nostra scuola e al paese, ci sarà un’importante autorità. Portate gli amici, le vostre madri e le ragazze. E mettetevi le scarpe!» Il comunicato del direttore. Qualcuno, bisbiglia «il Duce», qualcun’altro lo pronuncia a voce piena, con speranza: «Il Duce. Domani il Duce in visita a Rosignano. Il Duce in visita. Allora è un’occasione, si verrà con le scarpe e vestiti per bene!» Quella mattina, chi non è emozionato? Fa caldo a Rosignano, una bella giornata, non c’è vento e il paese si è preparato tutto, bandiere stendardi e vessilli, tutti vogliono far bella figura. La dirigenza belga della fabbrica appare in fervente attesa. La folla si accalca ai bordi di Viale Vittorio Emanuele III. Davanti alla scuola elementare “Ernesto Solvay”, bassa e di mattoncini rossi, sono già allineati il preside e le maestre, con qualche bimbo, piccoli balilla e balilla moschettieri. I più grandi rumoreggiano schierati davanti alla facciata del “Duca degli Abruzzi” e provano il portamento da valorosi giovani italiani. A tutti, così un po’ stretti nei vestiti buoni e con le scarpe risuolate, è vietato entrare nell’istituto. Troppo brillante il pavimento e troppo polverose le suole. Dall’altro lato della strada, proprio di fronte, aperto e ben illuminato, il nuovo ufficio della “Cassa della mutua aziendale”, con la signorina di fabbrica in sobria eleganza, a rappresentare l’avanguardia di una moderna politica d’assistenza e di attenzione per i dipendenti, gli operai e le loro famiglie. Fabbrica, scuola, ospedale e teatro; lavoro e dopolavoro, dovere, sicurezza e svago. Nordica organizzazione per l’efficiente comunità neo-istituita. C’è da esserne orgogliosi. Alle Otto il direttore dell’istituto, finito un giro di ispezione, comunica con tono deciso che la visitatrice così attesa è Maria Josè del Belgio, principessa di Piemonte. Tra i professori e le maestre la novità genera scompiglio. «Come? Non viene il Duce!» «No, stiamo aspettando la principessa Savoia» Quando la notizia striscia tra i ragazzi, non ci si crede. «La principessa? Ma come la principessa?» «Si, viene in fabbrica, l’hanno chiamata gli ingegneri belgi e visiterà il paese» «Ma allora è un’occasione, meno male ci siamo messi le scarpe. Chi 1’ha mai vista una principessa!» Con veloci sguardi d’intesa molti ragazzi dell’istituto concordano che, insomma, aspettare la principessa è quasi meglio che aspettare il Duce. Dalla presidenza la professoressa di lavori donneschi e manuali, nonché di taglio e cucito, spolvera prontamente una bella foto della principessa con la primogenita Maria Pia, appena nata e già in posa reale. Lì, in bella mostra, su un banco coperto da un centro ricamato dalle allieve, cornice dorata, stemma di casa Savoia e dedica, ricorderà di certo quel corredino grazioso, partito da Rosignano, al quale tanto le ragazze della classe di taglio e cucito avevano lavorato nell’attesa della nascita dell’infanta. Dal Viale Ernesto Solvay l’auto arriva lentamente, nera e lucida, le ruote con il rigo bianco e la capote abbassata. Si vedono un cappellino di paglia e una mano che saluta. La principessa è stata già accolta nella foresteria della fabbrica dal direttore dello stabilimento e dal direttore per l’Italia del gruppo belga. Ha poi incontrato gli impiegati e proseguito la visita scortata dal maresciallo in alta uniforme e dal questore, in compagnia anche dell’ambasciatore belga in Italia. Ha visitato l’Ospedale ben equipaggiato con il reparto maternità, la dispensa viveri per i dipendenti e il Teatro Solvay. Poi è il momento delle scuole elementari. I bimbi cantano e ridono. Le donne la acclamano, le signore francesi o belghe le rivolgono saluti nella loro lingua straniera e ricevono risposta speciale tra connazionali. E lei, girato l’angolo, arriva anche dai ragazzi e dalle ragazze della scuola tecnica. Sorride e saluta. Accolta dal calore di chi 1’aspettava, riceve l’enfatico inchino del direttore e finalmente le regali suole calpestano con soddisfazione il pavimento lucidato. Saluta e poi «Viva il Re!» esclama la principessa straniera con l’inconfondibile ‘r’ scivolata d’oltralpe. Riparte con l’auto e la capote abbassata. “Verso dove?” Va verso i Canottieri, il bagno costruito e attrezzato per lo svago estivo degli impiegati, da un lato, e gli operai dall’altro. Due rotonde dove ballare di fronte allo stesso mare. Nessuno va a casa. Tutti via, a correre dietro all’auto, a cercare di precederla per farsi sempre ritrovare oltre l’angolo, a salutare ancora e a urlare «Viva il Re!» Via Umberto Savoia, Via Cavalleggeri, tutti alla chiesa dedicata a Santa Teresa. Si fermerà li, hanno detto. E nuova anche la chiesa in questo paese. Rientra nelle opere donate alla cittadinanza dalla fabbrica. Lavoro e dopolavoro: oltre alla cura del corpo anche quella dell’anima. La folla continua a precedere il corteo ed è tutto un gran movimento. E come stare fermi? Tutti si emozionano. Fa caldo e meno male non c’è vento. «Vieni qua!» urlano le mamme alle bimbe. «Mamma ma c’è una principessa!» Sì perché una bimba quando la rivedrà una principessa? L’hai sempre immaginata come nelle favole e le foto sui giornali. Poi se te la trovi proprio vicina, scesa nel tuo mondo di quotidiana semplicità, allora cerchi di catturarne tutti i particolari. E bella. In testa, al posto della corona un cappello bianco. Ma è lo stesso una principessa, lunga gonna bianca con due spacchi, giacca a righe blu, scarpe basse. Ha il passo deciso e sorride. Diventerà regina. «Elegante!» sentenziano le mamme. «Ma non ha nemmeno il vestito lungo con lo strascico e i gioielli, come si era visto sui giornali per il matrimonio!» la disillusione delle figlie, che hanno troppo sognato. A sorpresa si rende necessaria un’altra visita e la sosta avviene addirittura nel salotto di uno degli operai che lavora in fabbrica e che, come molti altri, si è costruito la casa da solo, grazie al mutuo concessa ai dipendenti dalla società. Come se avesse visitato le case di tutti, è accolta con semplice riverenza e dissetata con ottima acqua. La principessa risponde con gentilezza e cortesia, s’interessa alle ambizioni delle giovani figlie. La giornata ormai ha preso i toni dell’evento indimenticabile. Una visita veloce ai bagni, poi la sosta nel piazzale della chiesa, e ancora «Viva il Re!» La Fiat fa presto a scomparire. Diretta chissà dove, magari verso altre visite, altri saluti e sorrisi. Tutti a casa allora, grandi e piccoli, sudati e accaldati. La giornata speciale è finita e le scarpe buone tornano nell’armadio. Nel pomeriggio tutti al mare a fare il bagno e a raccontarsi come una storia, ma vera, questa piccola favola. E mezzogiorno e gli operai di turno in fabbrica vanno a mangiare, non si saranno neppure accorti dell’evento. Una piccola via ancora senza nome e con poche case, nota come “via della vecchia” o “della nonna”, per l’anziana che di solito siede sull’angolo, porterà la memoria di quella giornata. Via Maria Josè del Belgio, principessa di Piemonte. Più lunga a dirsi che a farsi a piedi. Fa caldo e il sole picchia perpendicolare sulla testa di una giovane donna di educazione nobile e con aspirazioni da sovrana, straniera in questa terra che l’acclama. Oggi ha incontrato la comunità di un paese dalla familiare architettura nord europea, ma stranamente posto sulle rive del Tirreno. Tetti a punta come se ci nevicasse, mattoncini rossi per i solidi muri delle case e pini giovani che fanno ancora poca ombra. E stanca, si asciuga il sudore dalla fronte e, nel segreto del sedile posteriore di un’auto nera col tettuccio abbassato, si sfila le scarpe con elegante disinvoltura e i piedi finalmente liberi si godono un fresco sollievo, mentre lei si rilassa al vento. E domani si rimetterà le scarpe. (Da "Ritratti Castiglioncello e dintorni 1935-2019") |
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