La Valle dei
Fortulla nel Comune di Rosignano Marittimo è immediatamente a sud
della Val di Chioma ed è da questa separata dal rilievo di Sasso
Grosso, sul quale si erge l’abitato di Nibbiaia. Altri rilievi che
delimitano il bacino idrografico del Botro Fortulla sono Monte
Carvoli (a levante), alla cui sommità si ergono i resti di una
fortezza di altura di età etrusca (vedi) e Poggio S. Quirico (a
mezzogiorno), dal quale scaturiscono polle termali (23-24 C°) e
minerali (ricche di acido carbonico) che alimentano il botro stesso.
Dopo aver raccolto le acque di alcuni fossi (dell’Acquadolce, della
Pisciarotta, della Macchia Escafrullina), il Fortulla, con un
percorso di circa 4 km, sfocia in mare a sud di Campolecciano. La
valle, per caratteristiche fisiche sfavorevoli (orografia
accidentata, esposizione ai venti marini, ecc.) è stata da sempre
scarsamente abitata e l’aspetto odierno, prevalentemente boschivo e
con pochi terreni agricoli e a pascolo, non deve discostarsi troppo
da quello dei secoli passati. Alla fine del Settecento, quando le
allivelazioni granducali delle terre di Nibbiaia avevano già portato
alla costruzione delle prime case, in questa zona le attività
economiche principali si limitavano a qualche “carbonaia” ed alla
coltivazione di alcuni “sodi”; solo una “porcareccia” era presente
all’intero della vallata e si trovava dove oggi esistono le case del
podere S. Quirico. L’area, distante dai centri abitati e selvaggia,
assumeva una qualche importanza militare lungo la fascia costiera,
dove scorreva l’antica strada dei Cavalleggeri. Nei pressi della
foce del Fortulla era infatti ubicata una delle tante “Casette de’
Soldati” che davano riparo alle guardie della marina (i
Cavalleggeri). Intorno alla metà dell’Ottocento l’Avv. Gaetano Lami,
proprietario di una vasta estensione di terreno in gran parte
boschivo (dalla foce del Chioma fino al Poggio S. Quirico),
trasformava il podere di Campolecciano in fattoria,
i cui edifici sono oggi racchiusi tra la Variante Aurelia e la
ferrovia Livorno-Roma e
costruiva un mulino da cereali sul vicino Botro Fortulla. Nella
vallata furono attive dal 1919 al 1939 (con fasi alterne di
estrazione) le miniere di
magnesite
di Campolecciano e dal 1938 al 1942 le miniere di ferro della
Macchia Escafrullina.
(Da: "Antichi Mulini
del territorio livornese" di R.Branchetti e M. Taddei
scaricabile dal sito)
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Nei dintorni di Nibbiaia vi
sono diverse sorgenti di acque minerali come quella di «Occhibolleri»,
della «Padula» e del «Debbione»; acque che hanno proprietà
terapeutiche e purgative.
(Nencini 1925).
Quest’area
termale era conosciuta fino dal periodo romano, come attestano i
reperti archeologici rinvenuti intorno alle polle. I
Monti Livornesi hanno anche una sorgente termale della quale da alcuni
medici è stata lodata l'efficacia curativa nei dolori articolari e
nelle ischialgie e simili affezioni morbose. Di quest'acqua, che
trovasi nei terreni posseduti adesso dai signori Menicanti, fu fatto
uno studio accurato nel 1848 dagli insigni scienziati prof. Giuseppe
Orosi e Paolo Savi, e le notizie che ne raccolsero e i resultati
dell'analisi che fecero furono pubblicati in un opuscolo dal quale
ricaviamo quello che può interessare il visitatore di Montenero e suoi
dintorni. Nei poggi, nel fondo dei quali il torrente Fortulla si
è scavato un letto e proprio sul lato sinistro, si trovano due acque
termali di notevole importanza: una quasi sulla sua sponda, l'altra
più a S. E. e distante dall'altra circa un quarto di miglio. La prima,
detta della Padula, è tanto abbondante che si calcola getti 5000
barili d'acqua nelle ventiquattro ore; essa fu scoperta dall'Avv. Lami
nell'occasione di restaurare un piccolo padule colà esistente da tempo
immemorabile e dove crescevano molte erbe palustri. Per rintracciare
la sorgente delle acque che abbondantemente si vedevano pullulare fu
necessario scavare un fosso profondo circa dieci braccia; e nel
rimuovere il fango e la terra delle vicinanze della polla, essendosi
trovati vasi antichi, utensili di terra cotta e numerose monete di
rame e di argento appartenenti all'epoca dell'Impero Romano, nacque il
pensiero che quelle acque potessero essere state, anche negli antichi
tempi romani, non solamente adoprate a benefizio dell'umana salute, ma
aver goduto di una qualche celebrità. Quest'acqua scaturisce da un
fondo ghiaioso insieme a gran quantità di bolle di acido carbonico ed
ha quasi sempre una temperatura su i 23 o i 24 gradi centigradi,
talché ancora nell'inverno mantiene bella lussureggiante vegetazione
nel circostante terreno; è limpidissima, di sapore acidulo ferruginoso
e nel suo corso deposita un abbondante sedimento di pura ocra.
L'altra polla detta, degli Occhi Bolleri resta a scirocco distante un
quinto di miglio da quella della Padula, in terreno più elevato e
prossima a quella scoscesa pendice di gabbro che è chiamata Monte S.
Quirico. Se ne trova raccolta l'acqua in una vasca divisa in due
compartimenti e chiusa entro piccola costruzione, dal fondo della
quale si solleva continuamente gorgogliando gran quantità di gas,
appunto come dai così detti Bulicami del Volterrano e Senese ai quali
quella polla rassomiglia anche per il forte odore di gas idrogeno
solforato che se ne esala.
Da: "Notizie geologiche e chimiche
intorno alle acque acidule e ferruginose di S. Quirico presso Livorno"
redatte per cura del sig. Prof. Cav. Paolo Savi e sig. Prof. Cav. G. Orosi, seconda edizione, Livorno, Tip. La Minerva di B. Ortalli, 1864.
I MOLINI E LE TERME LUNGO LA FORTULLA
Nel 1849 il Comune deliberò di acquistare un'azione da L. 100, secondo
la proposta del Priore Avv. Gaetano Lami, allo scopo di costituire una
Società edificatrice di molini lungo il corso del botro della Fortulla e
di stabilimenti termali e marini a Campolecciano. Per i bagni termali la
Società si sarebbe valsa dell'acqua acidula ferruginosa che scaturisce a
un miglio e mezzo dalla foce della Fortulla con una temperatura di 23°,
secondo le analisi dei Prof. Savi ed Orosi dell’ R. Università di Pisa.
L'impianto era stato studiato dall' ing. lucchese Lorenzo Nottolini col
concorso del Prof. Targioni. Gli stabilimenti non furono impiantati, ma
alcuni molini si, mediante le riserve delle acque invernali della
Fortulla; riserve ottenute con dighe di sbarramento in muratura
attraverso alla vallata, le quali riserve preludevano ai colossali
bacini montani che in gran numero oggi si costruiscono nelle varie
regioni d' Italia.
(Nencini 1925)
L’opificio del mulino era
posto sull’argine sinistro del torrente, a poche centinaia di metri
dalla foce, su un terreno pianeggiante. Il sito è raggiungibile
attraverso una strada sterrata che, staccandosi dalla S.S. 1 (via
Aurelia), nei pressi del Fortullino, passa sotto il ponte della
ferrovia. Procedendo a dritto, oltre i piloni della Variante Aurelia, si
incontrano due vecchi fabbricati rurali, uno dei quali conteneva il
mulino. Nel 1849 il Comune di Rosignano — su proposta del Priore Avv.
Gaetano Lami — deliberava l’acquisto di una azione da £ 100, allo scopo
di costituire una società edificatrice di mulini lungo il Fortulla e di
stabilimenti termali e marini a Campolecciano.
(Ai lavori di progettazione di tutto il complesso immobiliare partecipò
anche il noto architetto lucchese Lorenzo Nottolini). Come riportato da
Nencini “Gli stabilimenti non furono impiantati, ma alcuni mulini sì,
mediante le riserve delle acque invernali del Fortulla; riserve ottenute
con dighe di sbarramento in muratura attraverso la vallata, queste
riserve preludevano ai colossali bacini montani che in gran numero oggi
si costruiscono nelle varie regioni d’Italia”. Sul numero dei mulini
effettivamente costruiti non vi è certezza: dalle risultanze catastali
emerge l’esistenza di un solo impianto mentre le notizie raccolte
confermerebbero la presenza di due opifici. Nel contratto di divisione
dei beni del fu Gaetano Lami (1870), un solo “mulino da cereali” compare
fra le quote assegnate ad Alfredo, uno dei tre figli che ereditarono la
fattoria. L’opificio nel 1876 era censito fra le proprietà di Lloyd
Tommaso che lo aveva acquistato due anni prima da Lami Alfredo. Una
rappresentazione del mulino, con l’assegnazione delle rispettive
particelle, venne effettuata nel 1884, quando l’immobile fu trasferito
nelle proprietà di Sidney Sonnino
che aveva comprato il mulino dai Lloyd nel 1882. Nella specifica
catastale si precisa la consistenza del “Mulino a due palmenti” (piani 1
e vani 1) e della “Casa annessa al mulino” (piani 2 e vani 5). La vita
produttiva di questo impianto (condizionata dalla notevole distanza dai
centri abitati e dalla modesta portata del Botro Fortulla) non superò il
mezzo secolo; nel 1890 la Commissione Mandamentale di Rosignano ne
decretava infatti lo stato di cambiamento ed il suo passaggio al catasto
rustico. Notizie precise sul complesso molitorio provengono da Fiaschi
Mario, un ex. mugnaio di Rosignano nipote di Fiaschi Agostino (nato nel
1850) che vi lavorò nel 1880
(Durante il periodo di servizio al mulino del Fortulla, Agostino
perse due figli, morti di vaiolo in seguito all’epidemia che aveva
colpito Nibbiaia). Il Fiaschi asserisce che “gli opifici erano due ed
avevano la ritrecine; due macine lavoravano a casa, ovvero al mulino
principale, ed una alla ripresa, ubicata più in basso”. Nella mappa
d’impianto del N.C.T. (1939) l’immobile, comprendente il mulino
principale e la casa annessa, è rappresentato alla particella 73 del
Foglio 47 di Rosignano M.mo. Il mulino è oggi riconoscibile solo dal
muro della gora addossato all’opificio “principale”, che risulta
inglobato in un vecchio fabbricato costituito da abitazioni e magazzini.
Al piano rialzato si rinvengono due forni di cui uno sembra risalire
all’impianto originario. Della “ripresa” non vi è traccia; essa potrebbe
essere stata cancellata in seguito alla costruzione di un altro edificio
rurale posto a pochi metri di distanza. Sul muro della gora, nel lato
che guarda il torrente, è rimasta l’apertura di un “troppo pieno”, con i
monolitici in arenaria recanti le scanalature dove scorreva la serranda;
altre canalizzazioni sono completamente scomparse, così come la serra
murata distrutta dalla grande piena del 1949.
(Da: "Antichi
Mulini del territorio livornese" di R.Branchetti e M. Taddei,
scaricabile dal sito)
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Nell'area
compresa fra Castiglioncello e Gabbro si aprono grosse faglie
appenniniche nelle serpentiniti; in corrispondenza di queste faglie si
hanno fenomeni di alterazione, con formazione di grossi filoni di
magnesite. A Macchia Escafrullina sono state rinvenute masse di
melnikovite e marcasite alterate. Al Fortullino e a Nibbiaia compare
la rarissima melanoflogite, associata a quarzo, dolomite e cinabro.
Vicino Castelnuovo della Misericordia, tracce di minerali cupriferi
(rame).
La genesi di questa mineralizzazione è attribuibile all'azione
idrotermale di acque ricche di anidride carbonica risalite lungo le
faglie prodotte durante la fase finale distensiva dell 'orogenesi
appenninica. (Marinelli, 1955). Alla fine del secolo scorso furono
fatte delle ricerche per calcopirite ad est del castello di
Castiglioncello. Tali ricerche, sebbene abbiano incontrato il
minerale, sono state sospese ai primi anni del 1900. Nella zona oltre
alla magnesite sono state coltivate a Macchia Escafrullina, per un
certo periodo marcasite e melnikovite per estrarre ferro. La
Melanoflogite è un minerale rarissimo, sinora segnalato in poche
ocalità, quali la zona di Castiglioncello-Campolecciano-Fortullino,
Rocalmuto in Sicilia, la Boemia ed il Mt. Hamilton in California. Il
minerale si presenta sotto forma di aggregati sferoidali traslucidi o
trasparenti disseminati, come gocce di rugiada, sulle superfici
mineralizzate a magnesite e dolomite delle brecce di rocce
ofiolitiche. Raramente si presenta in cristalli cubici isolati e, per
lo più, l'aggregazione tipica è quella sferoidale. La composizione
chimica del minerale (SiO2 biossido di silicio) è la stessa del
quarzo. Il nome deriva dal
greco melanos (melanos) = nero e flogos (flogos) = fuoco che indica la
proprietà del minerale di annerire se riscaldato. Il minerale si è
originato per alterazione carbonatica dei serpentini che ha portato
alla formazione di rocce carbonatiche ricche di Magnesio e alla
segregazione della fase silicea sotto forma di melanoflogite ed opale.
Questo processo di alterazione delle rocce ofiolitiche ha portato
nella zona di Castiglioncello-Fortullino-Campolecciano alla formazione
di cospicue quantità di rocce carbonatiche magnesiache. Infatti queste
zone sono state soggette ad intensa attività mineraria sino alla prima
metà del secolo scorso per l'estrazione della Magnesite (MgCO3) minerale
utilizzato per la produzione di porcellane e materiali refrattari.
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Dalla spiaggia è ben visibile lato
sud il promontorio sul quale si ergeva l'antica "Casetta dei soldati"
che serviva alla sorveglianza costiera. Nel 1870, al posto del piccolo
edificio venne edificata la villa del banchiere Emanuele Orazio Fenzi.
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Da Castiglioncello per Livorno, si giunge al segnale che indica la
località "Fortullino" - Residence "Il Boschetto". Si attraversa la corta
galleria presente sulla destra finché si arriva ad un vasto piazzale
sotto la superstrada (SS. n°1) dove si può parcheggiare l'automobile.Il
percorso, che ha una lunghezza totale di circa 11 km, si snoda
attraverso la valle del torrente Fortulla e ci porta dal mare fino alla
sommità del Monte Carvoli a quota 352 m/s.l.m.
Lasciare le macchine nei pressi del Residence "Il Boschetto" in località
FORTULLINO fra la vecchia Aurelia e la variante. Si incomincia risalendo
la valle lungo una vecchia mulattiera che ci porterà ad incrociare la
sorgente sulfurea detta “Padula” che pare fosse usata dai romani per le
sue caratteristiche oligominerali e la sua temperatura costante di 24°
per un impianto termale, del quale sono stati trovate le tracce
consistenti in frammenti di ceramica d’epoca. Nella zona è presente
anche un’interessante gruppo di lecci ultracentenari. La sorgente si
trova presso uno di questi a pochi metri dalla strada. Subito dopo
raggiungeremo, con una brevissima deviazione, la sorgente ipotermale
detta di “Occhi Bolleri”, nei campi bassi di S.Quirico in mezzo ad un
campo. Questa piccolissima sorgente fuoriesce con manifestazioni
rumorose, con un gorgoglio come di acqua in ebollizione ed è ricca di
anidride carbonica e solfidrato, (acido solfidrico dal caratteristico
odore di uova marce), uno “spettacolo” crudele che potremo osservare
sarà dato dai numerosissimi insetti che scendendo a bere nelle pozze
sono rimasti asfissiati dalle esalazioni venefiche. Continueremo sul
sentiero per incrociare le tracce della miniera “Escafrullina” dalla
quale veniva estratto ferro e magnesite e della quale potremo vedere
numerose tracce di gallerie e lavori minerari. La macchia Escafrullina
prende questo nome da una leggenda medievale che riportava in questi
boschi la presenza di una maga con questo nome. Percorrendo la valle
incontreremo “Il Muraglione” una vecchia diga usata come invaso di acqua
per la lavorazione dei minerali estratti nei primi decenni del 1900
posto a poche decine di metri dalla confluenza dei due torrenti.
Ancora
salendo, adesso in discreta pendenza, attraverso il bosco fino ad
incrociare, a quota 260 m/s.l.m., la strada Castelnuovo-Nibbiaia (Via
del Vaiolo) che attraverseremo per giungere, con un ultimo strappo,
sulla sommità di Monte Calvoli dove sono presenti due cerchie di cinte
murarie di ignota origine. (Vedi escursione specifica su questo menu).
Scendendo di nuovo verso la valle, passando da casa “Pian dei Lupi”, e
dalla necropoli ubicata nei pressi, verso il Poggio di San Quirico, si
raggiunge la miniera di Campolecciano, da dove veniva estratta la
magnesite e, volendo, potremo entrare in una breve galleria ancora
agibile. A meno di 500m. dalla foce si incontrano sulla destra alcuni
vecchi fabbricati rurali, uno do questi era il mulino ad acqua della
Fattoria di Campolecciano.
Nella zona costiera fra Fortullino e Chioma, alla metà
dell'800, l'avv. Gaetano Lami costituiva la fattoria di Campolecciano e
la dotava di un mulino da grano azionato con le acque del Botro Fortulla.
Seguiamo ora il corso della Fortulla fino allo sbocco in
mare passando sotto i ponti della ferrovia e della strada. Raggiungeremo
infine le auto in località il Boschetto.
Non fidarsi di
lasciare in auto soldi e documenti, perché si sono avute brutte
sorprese in passato.
Il persorso può anche essere abbreviato alla metà seguendo il corso
del botro senza arrivare fino a Monte Carvoli e tornando indietro per lo
stesso sentiero. E' in ogni caso assai interessante. |