Nato a Livorno il 30 agosto 1876,
muore a Ponte a Moriano (LU) il 26 giugno 1939. Entrato
all'Accademia Navale di Livorno nel 1891 è nominato guardiamarina nel
1896, sottotenente di vascello nel 1898, tenente di vascello nel 1901.
Nell'agosto del 1915 è capitano di corvetta, nel giugno 1917 è promosso
capitano di fregata, dal luglio 1917 al maggio 1919 è ispettore dei
«MAS» ed è al comando di una motosilurante che si distingue in un'azione
che gli varrà la concessione della medaglia d'oro al valor militare e in
seguito (1928) anche il titolo nobiliare di conte. Promosso nell'agosto
del 1918 capitano di vascello per meriti di guerra, nel maggio del 1919
viene collocato, a sua domanda, in ausiliaria. Aderisce al fascismo
divenendone il massimo rappresentante nella città natale, e nelle
elezioni del 1921 viene eletto deputato, sempre nel collegio di Livorno.
E' anche proprietario de "Il Telegrafo" il giornale cittadino. Dopo la
marcia su Roma è al sottosegretariato della Marina Mercantile (19
novembre 1922-5 febbraio 1924), ove cerca di ammodernare la flotta con
premi di navigazione e di demolizione; introduce il nuovo Regolamento
sulla sicurezza della vita umana in mare ed abolisce ogni residua
libertà sindacale per i lavoratori del Mare. Dal febbraio al maggio 1924
è ministro delle Poste e successivamente, per un decennio, ministro
delle Comunicazioni, nuovo, grande ed unico dicastero comprendente la
Marina Mercantile, le Poste, i Telegrafi e le Ferrovie. Personalità di
spicco del regime, riceve da questo onori e riconoscimenti: nel luglio
1923 è contrammiraglio di divisione, poi ammiraglio di divisione; il 24
settembre 1930 è chiamato da Mussolini a far parte del Gran Consiglio
del fascismo, nel 1931 è ammiraglio di squadra e nel 1936 ammiraglio
d'armata. Il 30 aprile 1934 è eletto per acclamazione presidente della
Camera Fascista che sta per diventare, anche formalmente e
giuridicamente, Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Il popolare
«Ganascia», così chiamano Costanzo Ciano i livornesi che nel 1936 lo
hanno visto a tavola nella memorabile cacciuccata di piazza Mazzini,
tornava apposta a Livorno per memorabili cacciuccate. Era ghiotto anche
di stoccafisso e ogni volta che passava da Antignano se lo faceva
preparare dal fratello Gino, ma gli appetiti non erano esclusivamente
culinari. Muore d'infarto nella notte tra il 26 e il 27 giugno
a 63 anni anche se ne dimostrava di più. Ha esalato l’ultimo respiro
nella sua villa di campagna, a Ponte a Moriano, dopo aver banchettato
con la moglie Carolina ad Antignano, nella casa dei migliori amici livornesi, i fratelli Baiocchi.
Riceve onori solenni. È il primo grande gerarca ad essere salutato in
pompa magna. Il primo e l'ultimo. Il re è in lacrime davanti alla sua
salma. Mussolini accorre dalla Romagna pilotando un trimotore. La
Livorno fascista lo amava perché era sanguigno e generoso, ed era
rimasto un livornese verace. I funerali richiamano a raccolta l’Italia
del consenso. Da Tripoli giunge in volo Balbo. Quattro corone si
impongono sulle altre: quelle di Hitler, di Gòering, di Ribbentrop e di
Hess. Unico assente l’ex segretario del partito Giurati, che aveva
accusato Ciano di affarismo. Due mesi dopo scoppia la guerra mondiale.
(Da Internet ed Il Tirreno).
Costanzo Ciano era forse l’uomo più ricco d’Italia. Negli anni in cui fu
al governo aveva accumulato un patrimonio personale di un miliardo di
lire (un miliardo di allora). Nei pressi di Firenze aveva acquistato tre
proprietà del valore complessivo di 80 milioni. Le maniglie della villa
che stava costruendo in quella proprietà erano di corallo e le
incorniciature delle finestre in tartaruga. Solo questi accessori erano
costati 800.000 lire. Anche suo figlio Galeazzo, benché non ne avesse
bisogno, s’era arrangiato. Un anno dopo la sua morte vennero requisiti
agli eredi i 114 appartamenti che possedeva a Roma. A differenza dei
plutocrati americani, che avevano raggiunto il potere attraverso la
ricchezza, i gerarchi fascisti avevano seguito il percorso opposto.
Tuttavia nessuno costrinse Indro Montanelli a recensire nella terza
pagina del «Corriere della Sera», il 30 ottobre 1940, il libro di
Roberto Farinacci su Costanzo Ciano, morto l’anno
prima: «Nella lotta entrò com’era entrato nelle acque della flotta
nemica: guardando diritto davanti a individuare il nemico. Il nemico non
era un uomo e un partito; il nemico era il malcostume elettorale e
parlamentare Costanzo Ciano, nell’Italia di allora, faceva la figura di un
Prometeo incatenato. A un certo punto, come gli succedeva sulla nave,
senti la rotta che bisognava tenere. Anche per lui, come per tanti altri
italiani, i migliori, il Fascismo fu una intuizione, un gesto di fede,
compiuto senza calcolo. “A bordo, dopo Dio, il padrone è il capitano”.
Costanzo Ciano cercò il suo Capitano, Lo trovò, e da quel giorno Lo
seguì fedelmente, senza una pausa di esitazione, a Lui dando tutto...».
(Da: "Otto milioni di biciclette" di Romano Bracalini)
I faraoni di monte Burrone
Quando Costanzo Ciano morì fu aperta una sottoscrizione
per costruire un "monumento eterno" sulla collina che sovrasta Livorno.
Sul monte Burrone che domina Livorno come una fortezza si cuociono al
sole le rovine imponenti del progettato mausoleo della famiglia Ciano,
cominciato già quando la guerra infuriava in Europa, interrotto per
l'incalzare degli eventi, fatto saltare dai guastatori tedeschi in
ritirata. Lo scoppio di una mina che lacerò l'aria la mattina del 9
luglio 1944, stroncò il faraonico sogno di grandezza, scosse dalle
fondamenta l'effimero castello che doveva ricordare una gloria
imperitura come le piramidi della Valle dei Re. Restano i ruderi che
hanno sfidato per due decenni l'erosione del mare, la furia dei vandali,
soffocati dalla boscaglia più invadente, smaniosa di riconquistare il
terreno perduto. Restano, la struttura fondamentale del tempio, tutto in
cemento armato, con le due scalinate di 70 gradini, i sarcofaghi di
marmo rosso che dovevano dare eterna dimora alle spoglie dell'Eroe di
Buccari e di Maria Magistrati Ciano. Pochi turisti vanno lassù per la
bella strada panoramica a meditare sulla breve storia dei faraoni di
monte Burrone travolti dalla ventata che sconvolse il mondo. Il
mausoleo, come le tombe dei faraoni ha voluto le sue vittime. Due
bambini, uno di 15 e l'altro di 4 precipitarono abbracciati nella
voragine e si sfracellarono sui blocchi di cemento. Era il giorno di
Pasqua del 1962. Sono già trascorsi molti mesi, si sono spenti gli echi
di una polemica che si era subito accesa. Cosa dovremmo farne del
monumento? Distruggerlo? Dedicarlo ad un Grande livornese o lasciarlo
così prendendo le dovute precauzioni perché non si ripetano incidenti?
Servirebbe da monito alle generazioni future ed una targa dovrebbe
ricordare la storia dei faraoni di monte Burrone. Una storia che merita
di essere raccontata.
Alla mezzanotte del 27 giugno 1939, Costanzo Ciano, nato il 30 agosto
1876, da Raimondo e Argia Puppo, in via del Convento, morì per un
improvviso malore. «Sua Eccellenza, Eroe della Patria e del Fascismo,
dice l'annuncio ufficiale, di cui Livorno era madre orgogliosa, non è
più. Egli è mancato repentinamente verso le 24. Sua Eccellenza aveva
passato la serata a Livorno in casa di amici. Verso le 10,30 prese
congedo e partì con la contessa per la sua residenza a Ponte a Moriano.
Durante il tragitto Sua Eccellenza fu colto da improvviso mortale
malore. Soccorso e confortato dalla consorte Egli spirava appena giunto
alla villa. Erano le 24,5. Sua Eccellenza la Contessa Carolina Ciano ne
dava Ella stessa con voce convulsa dall'angoscia la notizia al figlio.
La stessa comunicazione veniva fatta pochi minuti dopo al Duce del
Fascismo». Il giorno
successivo, Mussolini, il Re, il segretario del partito, tutta l'Italia
in orbace giunse a Ponte a Moriano per rendere omaggio allo scomparso.
Mentre telegrammi di condoglianze, più o meno sincere, giungevano dai
Capi di Stato di tutto il mondo, la salma sfilava su un affusto di
cannone per le vie di Livorno, seguita dal Duce in atteggiamento
addolorato, ma fiero, da donna Rachele, da Edda, da Galeazzo e Carolina
Ciano, dalle alte gerarchie, dagli squadristi, da una marea di folla
mobilitata dall'organizzazione del regime. Si leggeva in un manifesto
listato a lutto: «Ora egli
passa per queste strade per l'ultima volta ed il popolo ancora è
accorso, non più in festa...Oggi domina il nero».
Domina infatti il nero, fra due ali di uomini in uniforme fascista, le
aquile d'argento che brillano al sole, i resti mortali furono
trasportati al cimitero della Purificazione, provvisoria dimora. Una
regia perfetta, una coreografia che lasciò qualche segno anche nel
popolo livornese, pur così poco sensibile alla grandiosità retorica. La
salma del Grande, si disse, riposerà nel Famedio di Montenero, ma si
seppe poi che la famiglia insisteva per la Purificazione, dove erano
stati tumulati i genitori dell'Eroe, Raimondo e Argia. Questa soluzione
non poteva andare bene al Fascismo che reclamava la sua parte. «La
gloria guerriera e fascista di Costanzo Ciano, sarà esaltata degnamente
nella sua Livorno». Nacque così l'idea del mausoleo grandioso, un
monumento al regime più che all'uomo, alla dinastia, più che all'Eroe.
«Il Podestà, si apprende da un bollettino diramato il 29 giugno 1939, ha
convocato d'urgenza la consulta municipale al palazzo comunale per
commemorare il Grande Scomparso. Per la vivissima sua commozione ha
dovuto interrompere il suo dire ed ha fatto dare lettura di uno schema
di deliberazione da lui predisposto per stabilire quanto segue: che sia
erogato un primo fondo di lire 100.000 col quale aprire una
sottoscrizione cittadina per l'erezione di un monumento che eterni le
gesta marinare di Costanzo Ciano.... Il fascismo voleva insomma una
piramide per il suo faraone e chiedeva al popolo di costruirla,
imponendo al popolo il «sacrificio e l'onore». Tutti gli ingranaggi
della macchina del regime furono messi in moto. Agli operai ed agli
impiegati fu tolta una giornata di paga, agli industriali furono
richiesti «sostanziosi fondi» che potessero costituire valido
esempio. «Per onorare fascisticamente il Grande Figlio di Livorno», fu
ripetuto senza sosta, per mesi e mesi. Apparve sui muri a lettere
cubitali questo comunicato: «Tutti i fondi e le offerte per onorare la
memoria di Costanzo Ciano debbono affluire alla Tesoreria della
Federazione dei Fasci di combattimento di Livorno a palazzo Littorio».
La sottoscrizione riscosse subito un grande successo e le casse del
Fascio si riempirono in breve, si che rimase soltanto il problema di
costruire il mausoleo.
Ma nel frattempo erano accadute molte cose, l'Italia era entrata in
guerra sfidando il mondo intero, l'attenzione popolare fu tutta presa
dai drammatici eventi che si succedevano con impressionante rapidità.
Tuttavia il regime che si cullava nell'illusione della vittoria facile,
non aveva dimenticato il suo disegno: costruire a monte Burrone l'opera
immortale. E nel primo annuale della morte di Ciano fu pubblicato il
progetto del mausoleo, preparato dallo scultore Arturo Dazzi e
dall'architetto Marcello Piacentini. Con la retorica prosa di allora fu
così annunciato al pubblico: «Una via serpeggiante, dal litorale salirà
sul monumento che nella sua altera solitudine, nelle linee severe nelle
quali è stato ideato, dirà della Grandezza e della Gloria dell'Eroe del
mare, alto e vigilante sul lido d'Italia. Dietro alla statua si alzerà
un faro che nella solitudine delle notti risplenderà lontano sui flutti
placidi o muggenti della tempesta, vigilando l'anima stessa dell'Eroe,
che veglierà su Livorno e sul Tirreno». Vediamo in parole più semplici
come doveva essere il mausoleo. Vi si doveva accedere con la strada che
fu infatti costruita e di recente asfaltata che domina la città e
Antignano. Avrebbe dovuto condurre proprio davanti alla chiesa scavata
nella collina, che doveva apparire come un blocco granitico con una sola
porta bassa rispetto alla costruzione, la cui facciata era completamente
nuda. Ai lati due interminabili gradinate, ciascuna divisa in due rampe
per salire fino ai piedi della torre a forma di matita con l'apice
sottile dove era stato ricavato lo spazio sufficiente per il faro. La
luce tanto potente che sarebbe stata visibile anche dalla Corsica. Tre
altari erano stati progettati per la chiesa che avrebbe dovuto contenere
un'altra scalinata, oltre all'ascensore per poter ammirare da vicino il
monumento vero e proprio. Costanzo Ciano con le braccia incrociate, il
volto eretto, gli occhi verso il mare, avrebbe vigilato in piedi su
un'autentica scogliera marina trasportata sulla volta della chiesa alla
base della torre. «Chiari i simboli, annunciarono le autorità con la
consueta prosa, il faro, la rupe su cui l'erma si posa, le scale
tagliate nella pietra nuda, per cui dal piano risonante del respiro dei
flutti, dolcemente si salirà verso la vetta, per raggiungere il simbolo
più eloquente della grandezza della Patria». Erano così cominciati i
lavori che proseguivano alacremente. Intanto gli aerei italiani
bombardavano Malta, Balbo perdeva la vita nel cielo di Tobruk, il Duce
passava in rivista le truppe che «avevano messo in ginocchio la
Francia». Questi sono i titoli delle prime pagine dei giornali
dell'epoca: «A Londra si scommette se e quando sbarcheranno i tedeschi»,
«Scacco inglese all'Africa Orientale», «Aperta all'Italia la via del
Sudan», «La nostra flotta mette in fuga i britanni nel Mediterraneo», ed
avanti di questo passo. L'Asse vinceva ovunque, gli italiani venivano
cullati nell'illusione di una guerra facile ormai agli sgoccioli.
Cominciano un anno più tardi le delusioni e crollano i miti. L'impero
fascista si dissolve, dall'Africa Settentrionale giungono le notizie dei
primi rovesci. Nessuno parla più di Costanzo Ciano ed i lavori vengono
interrotti. L'Italia è mobilitata, ha bisogno di ferro e di cemento, si
strappano le cancellate, si sogna di tornare alla vittoria con lo stesso
linguaggio infarcito di magniloquenza. Poi la catastrofe.
I tedeschi sono padroni di tutto e profanano anche il mausoleo. E' un
buon osservatorio, non possono rinunciarvi. Piazzano sulla torre già
costruita una mitragliera e sulla cupola della chiesa un apparecchio di
ascolto per gli aerei alleati che ormai bombardano quotidianamente
Livorno. I monteneresi rammentano l'aerofono a forma di grande telaio
che sulla vetta del monte girava incessantemente su se stesso per
captare il rombo dei motori lontani e rammentano anche le visite
mattiniere dei cacciabombardieri americani che a volo radente cercavano
di spazzar via la postazione tedesca. La mitragliera sulla torre tossiva
disperatamente per allontanare il pericolo che si faceva sempre più
vicino. Finché una mattina gli aerei fecero terra bruciata e la
mitragliera saltò. Un'ambulanza militare, quando tornò il silenzio, salì
su per la bella strada panoramica ancora sassosa, per discenderla poco
dopo a rotta di collo, grondante il sangue dei morti e dei feriti. I
tedeschi se ne andarono per sempre, ma prima di fare le valigie,
minarono la torre che, in una limpida mattina di luglio, (verso le
11,30), si sollevò sulla base, parve librarsi per un attimo, ricadde
pesantemente in un nuvolo di polvere sulla chiesa, che resistette bene.
Così finì il sogno di gloria dei faraoni di monte Burrone, un sogno di
cui è rimasto solo il ricordo ed un rudere immenso sulla collina che
domina la città. Nel dopoguerra sono stati avanzati diversi progetti per
recuperare ciò che è rimasto. Un monumento ai Caduti del mare? Un
monumento a Mascagni? Lasciare tutto come sta?
Le rovine, i sarcofaghi di marmo rosso, continuano ad arrostirsi al
sole, esposte all'azione distruttrice degli elementi e dei vandali. Si è
disperso nella polvere il mito del faraone di monte Burrone. Non
dovrebbe andare perduto ciò che fu costruito nell'eterna umana illusione
di lasciare un'impronta indelebile nei secoli avvenire.
(Piero Gioli per "Il Telegrafo" del
29/11/1963)
Il Mausoleo di Ciano a Livorno
E' a Livorno, alle spalle della città, in località monte Burrone ciò che
resta dell'imponente monumento costruito per ospitare la tomba del
gerarca fascista e della sua famiglia. La costruzione del Mausoleo ebbe
inizio dopo la morte di Ciano, avvenuta il 26 giugno 1939. Livorno
gli deve molto: grazie a lui il cantiere navale è diventato il
principale dell'impero, nel 1925 ha ottenuto la provincia, poi lo
stadio, l'ospedale ed una importante espansione urbanistica. E' naturale
che il Podestà cittadino voglia ricordare con un monumento importante la
memoria del grande livornese, bandiera del fascismo. Niente di meglio di
un vero Mausoleo. Secondo il progetto
originario, il monumento avrebbe dovuto essere costituito da un grande
basamento sormontato da una statua marmorea, alta 12 metri, dello stesso
gerarca e da un colossale faro a forma di fascio littorio alto più di 50
metri. Il Mausoleo fu finanziato da una sottoscrizione pubblica aperta
dal Podestà di Livorno ed i lavori furono affidati a Gaetano Rapisardi per
la parte architettonica, e allo scultore Arturo Dazzi per quella
monumentale. La costruzione procedette rapidamente, tanto che, malgrado
lo scoppio della guerra, nei primi anni quaranta era già stato
realizzato il faro, che con la sua luce avrebbe dovuto ricordare lo
spirito immortale di Ciano. Tuttavia, l'epilogo della dittatura fascista
impedì il completamento dell'opera, che fu lasciata nella forma di un
massiccio torrione alto circa 17 metri, mentre il faro fu minato dai
guastatori tedeschi e abbattuto. La statua di Ciano, terminata solo in
parte, non fu mai posta in opera e giace ancora sull'Isola
Santo Stefano nell'arcipelago
della Maddalena, in Sardegna,
presso la cava nella quale era ancora in lavorazione al momento della
sospensione dei lavori. Ciò che resta del Mausoleo è
incentrato attorno ad una vasta sala voltata,
delimitata da colonne d'impostazione classicheggiante, alla quale si
accede mediante una severa apertura architravata;
presso il corridoio d'ingresso si riconoscono inoltre i resti del vano
scale e del pozzo per l'ascensore, che avrebbero dovuto condurre i
visitatori alla sommità del basamento. La copertura, sopra la quale
sarebbe stata innalzata la statua di Ciano, è anch'essa incompleta ed è
costituita essenzialmente dall'estradosso della volta sottostante. Attualmente il monumento,
abbandonato da oltre sessant'anni e sottoposto a continui vandalismi,
viene saltuariamente utilizzato dalla Brigata
Paracadutisti Folgore e dal Tuscania per
esercitazioni di discesa con la corda. Con la caduta del fascismo anche
le statue di Genova, La Spezia, Brindisi che inneggiavano all'eroe di
Buccari, sono state decapitate e distrutte, resta solo una statua di
bronzo al Museo Navale di La Spezia.
La statua di Costanzo Ciano nell'isola di Santo Stefano
Una statua incompiuta scolpita nel
granito. E’ quella di Costanzo Ciano, che è rimasta sull'isola di Santo
Stefano, nell'arcipelago della Maddalena, in Sardegna, nelle cave di
granito di Villamarina. Per volere del fascismo, il monumento al
comandante livornese, alto ben 13 metri, avrebbe dovuto rendere più
solenne il mausoleo eretto nella sua città di origine, sulle colline di
Monteburrone. Ma dal 1943 il busto del consuocero del Duce, ben
lavorato dagli scalpellini isolani, è sistemato sul piazzale di cava. Il
capo è ricoperto dal ‘nordovest’ tipico dei naviganti. Qua e là lo
circondano i pezzi rovesciati di un corpo che non si sa se verrà mai
ultimato. Ma a chi appartiene oggi l’opera? ‘’E’ della mia famiglia’’
dice Pasqualino Serra, proprietario della Cava. ‘’E’ rimasta lì
– spiega - non pagata. Nel 1946-47 ci fu un concordato con il Comitato
di Livorno: i materiali che era già partiti per Livorno sono stati
pagati, mentre ciò che è rimasto alla cava, chiusa dal ’66, non è stato
saldato’’. E così Serra, che è stato sindaco di La Maddalena dal ’93 al
’97 rimarca: ‘’La statua sta dove è nata, dal 25 luglio del ’43. Il
giorno dopo, il 26 – racconta – arrivò a mio padre (allora proprietario
della cava dell’isola di Santo Stefano, ndr) il telegramma da parte del
comitato committente del monumento che ordinava di sospendere la
lavorazione’’. ‘’Oggi ci sono
turisti che fanno le foto. Ma sto pensando a una collocazione del
monumento - che va ultimato - su un picco dell’isola, in modo che possa
essere visibile ai naviganti’’. E, taglia corto: ‘’La statua però non
deve rappresentare più Ciano, ma tutti i gloriosi nocchieri isolani
della marina sarda''. Quanto al progetto originario,
‘’per dimensione sarebbe stato il secondo complesso
monumentale d’Italia, dopo l’altare della Patria. L’opera progettata da
Arturo Dazzi, lo scultore più famoso dell’epoca, sarebbe stata collocata
sul Mas stilizzato, mentre alla spalle era previsto un faro a forma di
fascio littorio’’. ‘’Quando venne Dazzi – tiene a precisare Serra –
prima di iniziare i lavori volle vedere il punto di cava dal quale
sarebbe stato tratto il granito. Si innamorò del posto tanto da
esclamare: ‘Chiamiamo questo posto Velamarina, non Villamarina’’. Poi
l’artista, conquistato dai venti isolani, aggiunse: ‘’Ciano lo faccio
con il ‘Nordovest’ perché la statua deve ricordare i naviganti. Io credo
che lo scultore volesse già lanciare la statua oltre il fascismo.
D’altra parte Dazzi era un poeta…’’. Serra spiega anche di ‘’non
aver alcun rapporto oggi con gli eredi di Ciano’’, confessando invece
che ‘’quando Spadolini fu ministro della Difesa, il Comitato ‘Livorno
Nostra’ mi aveva chiesto di donare la statua perché fosse collocata
all’interno dell’accademia navale. Feci notare loro – aggiunge l’ex
sindaco di La Maddalena – che si trattava della statua di un grande
gerarca fascista e mi risposero che il ministro era d’accordo a
collocarla nel piazzale dell’accademia. Il problema a quel punto era
mio: replicai secco che non avevo alcuna intenzione di regalare loro la
statua. Avevo già subito l’esproprio di importanti terreni da parte
della marina per la base americana di Santo Stefano. E non mi era ancora
passata...’’. Le testimonianze fotografiche
della lavorazione del colosso di Ciano, così come tutti i documenti
cartacei relativi all’opera ‘’sono andati distrutti in un’azione
vandalica di cui è stato oggetto l’ufficio della cava negli anni ’67-68.
Hanno portato via tutti i ricordi, ma non lo spirito che si respirava
allora tra gli scalpellini dell’isola’’.
(Novembre
2006) |
|