Vada ieri/il Fascismo |
Il fascismo a Vada (Foto Bernini - Arch.P. Pagnini - Per gentile concessione del C. di Frazione di Vada) |
ll Fascismo muove i primi passi in
Consiglio Comunale:
10 ottobre 1926.
Festa paesana per l'inaugurazione della Casa del Fascio alla
presenza di Costanzo Ciano. La sede è
in una palazzina accanto alla chiesa rialzata poi nel 1929. Anche il paese marinaro
ammantato di tricolore ed eccezionalmente animato, ha bruciato le tappe
per la costruzione della sua Casa del Fascio. Tra le rappresentative
musicali spicca la Fanfara dell'Avanguardia Labronica. Gli interventi sono
aperti dal segretario della Federazione Fascista di Livorno comm. Augusto
Galeotti. Alle 16.40 inizia il suo discorso ufficiale l'avv. Dino Borri
che intrattiene il foltissimo uditorio con vibranti accenti, giungendo
fino a preconizzare (con un decennio in anticipo) i futuri destini
imperiali. Così affermano le cronache del tempo. Poi parla Costanzo Ciano,
ma brevemente, con tono pacato. Forse il ministro è stanco. Alle 8 del
mattino già era ad Altopascio a tagliare il nastro di una nuova scuola,
poi a Capannori, quindi a Lucca, sul Piazzale delle Mura a provvedere alla
consegna di nove gagliardetti ed altrettanti Fasci della provincia e poi
al Teatro cittadino, prima del pranzo. Accompagnato dal fido segretario
dott. Minale, Ciano è atteso a Livorno da Pietro Mascagni e da Dina Galli
che recita al «Politeama», da De Rodinis che lo condurrà al giornale «Il
Telegrafo», e da una cena di gala all'Hotel Corallo. Scarne, dunque, le
sue frasi pronunciate a Vada, anche se non prive di un ardente saluto a
Mussolini.
L'inaugurazione della Casa del Fascio a Rosignano Solvay il 5 settembre e
questa di Vada svoltisi nell'arco di solo trentacinque giorni, attestano
le fortune del Partito Fascista nel nostro territorio. È una penetrazione
incisiva, tanto che le adesioni prima sfiorano e poi raggiungono le mille
unità. Per un opportuno ed immediato raffronto basti dire che gli iscritti
al Fascio, a Piombino, sono circa settecento mentre a Cecina non
oltrepassano quota trecentocinquanta. I numeri rimarcano con eloquente
chiarezza lo slancio della nostra comunità nell'inalberare le insegne del
Littorio...Nella somma dei vari fattori che hanno reso possibile la
notevole affermazione del Fascismo nel comune, due sembrano
di importanza fondamentale: la presenza nella nostra zona di
una grande industria e la totale mancanza di disoccupati. È
vero che la Società Solvay (secondo il suo stile) si
mantiene in disparte e guarda con evidente distacco alla
realtà politica, ma non è altrettanto vero che molteplici ed
importanti sono i suoi supporti indiretti. Le paghe sicure,
le assegnazioni degli alloggi appositamente costruiti, la
cassa pensioni, le indennità per infortuni e malattie, e
l'uso delle strutture sociali, ricreative e sportive
rappresentano motivi d'indubbia portata. Spiegano come la
frazione, pur ufficialmente costituita da pochi anni, possa
e sappia sfoderare i maggiori consensi al credo del Duce,
unitamente ai paesi limitrofi...Nel 1926 gli iscritti al Partito Fascista assommano a 1.088: 275 a Rosignano Solvay,
250 nel capoluogo, 140 a Vada, 128 a Castiglioncello, 124 a Gabbro, 106 a
Castelnuovo, 65 a Nibbiaia. Sono già in attività, poi, anche quattro
sezioni femminili, con circa cento aderenti: 36 a Castiglioncello, 33 a
Solvay, 24 a Rosignano Marittimo e 10 a Vada. Non sono dati da trascurare.
La partecipazione delle donne, inizialmente già abbastanza consistente,
sarà destinata a diventare sempre più nutrita. Giova ripetere che la
rivelazione esalta la località nuova, sorta accanto al complesso
industriale, popolata da gente giovane e che ha «il pane sicuro», in larga
misura. A Solvay, infatti, il rapporto tra gli aderenti al «Littorio» e
gli abitanti è di uno ad otto. La cifra presenta indubbio valore ed
assoluto risalto pur se bisogna aggiungere che il fascismo ottiene vistosi
risultati anche in tutte le altre zone del nostro Comune che più o meno
risentono dei vantaggi economici dovuti all'azienda chimica. Non c'è
opposizione. I residenti rimasti fedeli ad altri partiti o quanto meno
considerati «sovversivi» raggiungono, appena la dozzina. Lo affermano gli
elenchi puntigliosamente stilati dai Carabinieri «Fino ad oggi non ha dato
luogo a rilievi» è la frase di rito che sigla ognuna delle dodici schede,
quelle relative a persone che a fermi propositi e a salde convinzioni,
allineano anche un comportamento tranquillo.
(Breve sintesi da:"La ciminiera dimezzata" di Celati-Gattini)
Biografia di Costanzo Ciano nella sezione
PERSONE POLVERONI, 2 NOVEMBRE 1926 - Un luttuoso episodio dapprima sconcerta e lascia col fiato sospeso la gente della nostra terra. Accade ai Polveroni di Vada, la sera del 2 novembre 1926. Durante una sparatoria, tanto improvvisa quanto convulsa, viene colpito in maniera gravissima un giovane meccanico di Vada, Ferdinando Cecchetti, mentre altri suoi camerati riportano ferite di varia entità. Teatro del conflitto a fuoco è una casa all'inizio della borgata. A pian terreno è adibita a rivendita di generi alimentari e di tabacchi,e occasionalmente, funge anche da sala da ballo. Al primo piano, al quale si accede mediante una scala esterna, si trova l'appartamento dell'esercente, il cinquantenne Destito Destri. I gradini, il ballatoio e le due strade che giù si incrociano ad angolo retto sono presidiate da un nutrito gruppo di fascisti. Il bottegaio ed il figlio Dominio, non ancora diciassettenne, (compirà gli anni dopo ventun giorni) sono invece asserragliati dietro le finestre della casa. Colpi di bastone alla porta, insistenti senza grida ma poi parlano le pistole, dalle due parti. È la voce che annuncia una tragedia. Ferdinando Cecchetti si abbandona in fin di vita nelle braccia di un amico, sul ballatoio, e si odono anche dei lamenti, nel buio. Sono passate le ventidue e c'è subito un concitato affannarsi nel prestare i soccorsi. In auto il giovane ventitreenne viene condotto all'ospedale di Livorno ed affidato alle cure del dott. Paci, cui in breve si uniscono il dott. Boralevi ed il prof. Lillà. Il referto stilato dai sanitari non lascia adito a troppe speranze. Dice: «Ferita d'arma da fuoco alla regione temporale sinistra ed alla bozza frontale destra. Stato comatoso. Pericolo di vita». Nelle primissime ore del mattino di mercoledì 3 novembre, Ferdinando Cecchetti cessa di vivere. Altri due feriti giungono nel frattempo all'ospedale labronico (mentre due contusi sono curati sul posto). Si tratta del ventiduenne Edoardo Zani e del ventenne Zeffiro Vannucci. È stato appositamente fermato alla stazione ferroviaria di Vada, il diretto Roma-Torino per poter adagiare i due giovani in un vagone di prima classe e condurli, in maniera rapida ed agevole, nel capoluogo di provincia. Lo Zani è ricoverato d'urgenza con prognosi riservata per i colpi di almeno tre proiettili, mentre il Vannucci viene medicato, dimesso e subito interrogato dal Questore dott. Masci. Ai Polveroni, intanto, il comandante della tenenza dei Carabinieri di Rosignano trae in arresto Destito Destri ed il figlio Dominio. Saranno incarcerati ed accusati di omicidio e di tentato omicidio. La loro casa, nella stessa notte, viene incendiata con tutte le masserizie. I muri sventrati nella furia delle fiamme rimarranno per oltre mezzo secolo in balia delle intemperie, della pioggia e del vento al principio della borgata, come a rimarcare una tragedia con tutti i più evidenti connotati del «giallo». Gravano infatti tante ombre, sulla vicenda. Affiorano dopo le prime riflessioni e si manifestano in specie nel procedimento istruttorio. In proposito appare significativa la memoria difensiva stilata in data 1 luglio 1927 dagli avvocati Morando e Gattai, e indirizzata alla Corte d'Assise di Firenze. Il testo riporta il parere di periti che stabiliscono come il proiettile fatale sia stato sparato dal basso verso l'alto e da destra verso sinistra e si fa ben capire quindi, come sia partito per cause accidentali da un'arma impugnata dagli assalitori. Il calibro conferma l'asserzione: si tratta di un proiettile 6.35 mentre il Destri possiede ed ha fatto uso di una pistola a tamburo a cinque colpi 7.65 ed ha consegnato alle autorità, non utilizzata ed inceppata, una Beretta calibro 9. Gli avvocati dei Destri portano elementi probatori, pur non trascurando di battersi per la legittima difesa attuata dai loro patrocinati, che non subiscono alcuna condanna. Sono molto controverse anche le cause dell'azione punitiva. Si sa che l'ultima scintilla è accesa la stessa sera del 2 novembre alle 21.30, fra alcuni fascisti entrati in bottega ed i Destri, padre e figlio. Volano parole e percosse, contro i bottegai. C'è, addirittura, uno scambio di pistole. I fascisti si impossessano dell'arma del giovane Dominio, ma lasciano cadere sul pavimento della rivendita la Beretta calibro 9. I Destri in fretta e furia allontanano gli avventori e salgono in casa sbarrando porte e finestre. Intuiscono che saranno assaliti.
L'animosità dei seguaci di
Mussolini contro l'esercente di Polveroni è palese e neppure di vecchia
data. La versione più attendibile sembra sia da addebitarsi ad uno
sfratto, portato a compimento contro un inquilino del bottegaio, ma tale
da suscitare l'aperta e dichiarata riprovazione di un allora alto
esponente politico locale. Si allude, tuttavia, anche al fatto che nella
sala da ballo dei Destri sia stata suonata spesso «Bandiera Rossa».
Infine ci sono altre voci. Dicono che l'esercente abbia commentato in
maniera sarcastica, o quanto meno inopportuna il fallito attentato
contro il Duce avvenuto Bologna. Il bilancio, comunque, è amarissimo. È
rappresentato dalla morte di un giovane ventitreenne e da una famiglia
in buona parte distrutta. Lo dice lo stesso Dominio Destri, nel 1977,
quando ritornato a Vada, confida ad un giornalista le sue vicissitudini
e quelle del padre. È anziano, al tempo, ma robusto, con due grandi
baffi e fuma in continuazione. Nel raccontare, però, la successione
degli eventi (nove mesi di carcere, compensati con una pensione di
trentamila lire mensili) gli si rabbuia il viso gli si spezza la voce.
(Da "La ciminiera
dimezzata" di G. Celati - L. Gattini). |
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