Vada ieri/il Fascismo   
Il fascismo a Vada  (Foto Bernini - Arch.P. Pagnini - Per gentile concessione del C. di Frazione di Vada)

ll Fascismo muove i primi passi in Consiglio Comunale:
                        Adunanza 2 luglio 1923 – Spazzino di Vada - Licenziamento

Il Consigliere Morelli mentre rileva che è giunto il momento di provvedere alla riduzione della burocrazia ed del personale del Comune, propone che il primo provvedimento debba essere preso contro lo spazzino di Vada. Il posto è coperto da Pellegrini Raffaello il quale è un noto bolscevico e una delle quattro canaglie antinazionali ancora esistenti in Vada. Fu eletto in un concorso dove prese parte lui solo, perché a molti combattenti che avrebbero avuto maggior diritto al posto, era noto che sua moglie aveva allevato una bambina del Segretario Comunale ed egli era perciò privilegiato. Il Consigliere Petrucci osserva che è strano si parli di privilegio nella nomina mentre vi era un solo concorrente. Il Consigliere Sarti dichiara che questo salariato non fa nemmeno il suo dovere e ricorda il ritardo nel piantare vari platani, di poi seccati e l’aver portato la sena per la costruzione della casa a un suo genero.
Il Consigliere Garbaglia è di opinione che trattandosi di un antinazionale il Consiglio non debba tergiversare. Il Presidente che era Sindaco all’epoca della nomina del Pellegrini, osserva che a quel tempo Vada aveva come rappresentanti cinque socialisti e un repubblicano e da la sua parola d’onore che mai il segretario Comunale gli raccomandò o gli parlò del Pellegrini.
Il Consigliere Morelli propone:
Il Consiglio Comunale di Rosignano Marittimo adunatosi il giorno 2 luglio 1923 approva incondizionatamente l’immediato licenziamento dello spazino comunale della frazione di Vada per negligenza assoluta e per non poter soggiacere assolutamente nella sua qualità di Consigliere prettamente fascista e combattente a sovvenzionare persona quale denigratrice della Patria e del Fascismo.
Nessuno domandando la parola, la proposta che sopra viene posta in votazione e resulta approvata per alzata di mano alla unanimità dai 27 Consiglieri presenti.

  10 ottobre 1926. Festa paesana per l'inaugurazione della Casa del Fascio alla presenza di Costanzo Ciano. La sede è in una palazzina accanto alla chiesa rialzata poi nel 1929. Anche il paese marinaro ammantato di tricolore ed eccezionalmente animato, ha bruciato le tappe per la costruzione della sua Casa del Fascio. Tra le rappresentative musicali spicca la Fanfara dell'Avanguardia Labronica. Gli interventi sono aperti dal segretario della Federazione Fascista di Livorno comm. Augusto Galeotti. Alle 16.40 inizia il suo discorso ufficiale l'avv. Dino Borri che intrattiene il foltissimo uditorio con vibranti accenti, giungendo fino a preconizzare (con un decennio in anticipo) i futuri destini imperiali. Così affermano le cronache del tempo. Poi parla Costanzo Ciano, ma brevemente, con tono pacato. Forse il ministro è stanco. Alle 8 del mattino già era ad Altopascio a tagliare il nastro di una nuova scuola, poi a Capannori, quindi a Lucca, sul Piazzale delle Mura a provvedere alla consegna di nove gagliardetti ed altrettanti Fasci della provincia e poi al Teatro cittadino, prima del pranzo. Accompagnato dal fido segretario dott. Minale, Ciano è atteso a Livorno da Pietro Mascagni e da Dina Galli che recita al «Politeama», da De Rodinis che lo condurrà al giornale «Il Telegrafo», e da una cena di gala all'Hotel Corallo. Scarne, dunque, le sue frasi pronunciate a Vada, anche se non prive di un ardente saluto a Mussolini. L'inaugurazione della Casa del Fascio a Rosignano Solvay il 5 settembre e questa di Vada svoltisi nell'arco di solo trentacinque giorni, attestano le fortune del Partito Fascista nel nostro territorio. È una penetrazione incisiva, tanto che le adesioni prima sfiorano e poi raggiungono le mille unità. Per un opportuno ed immediato raffronto basti dire che gli iscritti al Fascio, a Piombino, sono circa settecento mentre a Cecina non oltrepassano quota trecentocinquanta. I numeri rimarcano con eloquente chiarezza lo slancio della nostra comunità nell'inalberare le insegne del Littorio...Nella somma dei vari fattori che hanno reso possibile la notevole affermazione del Fascismo nel comune, due sembrano di importanza fondamentale: la presenza nella nostra zona di una grande industria e la totale mancanza di disoccupati. È vero che la Società Solvay (secondo il suo stile) si mantiene in disparte e guarda con evidente distacco alla realtà politica, ma non è altrettanto vero che molteplici ed importanti sono i suoi supporti indiretti. Le paghe sicure, le assegnazioni degli alloggi appositamente costruiti, la cassa pensioni, le indennità per infortuni e malattie, e l'uso delle strutture sociali, ricreative e sportive rappresentano motivi d'indubbia portata. Spiegano come la frazione, pur ufficialmente costituita da pochi anni, possa e sappia sfoderare i maggiori consensi al credo del Duce, unitamente ai paesi limitrofi...Nel 1926 gli iscritti al Partito Fascista assommano a 1.088: 275 a Rosignano Solvay, 250 nel capoluogo, 140 a Vada, 128 a Castiglioncello, 124 a Gabbro, 106 a Castelnuovo, 65 a Nibbiaia. Sono già in attività, poi, anche quattro sezioni femminili, con circa cento aderenti: 36 a Castiglioncello, 33 a Solvay, 24 a Rosignano Marittimo e 10 a Vada. Non sono dati da trascurare. La partecipazione delle donne, inizialmente già abbastanza consistente, sarà destinata a diventare sempre più nutrita. Giova ripetere che la rivelazione esalta la località nuova, sorta accanto al complesso industriale, popolata da gente giovane e che ha «il pane sicuro», in larga misura. A Solvay, infatti, il rapporto tra gli aderenti al «Littorio» e gli abitanti è di uno ad otto. La cifra presenta indubbio valore ed assoluto risalto pur se bisogna aggiungere che il fascismo ottiene vistosi risultati anche in tutte le altre zone del nostro Comune che più o meno risentono dei vantaggi economici dovuti all'azienda chimica. Non c'è opposizione. I residenti rimasti fedeli ad altri partiti o quanto meno considerati «sovversivi» raggiungono, appena la dozzina. Lo affermano gli elenchi puntigliosamente stilati dai Carabinieri «Fino ad oggi non ha dato luogo a rilievi» è la frase di rito che sigla ognuna delle dodici schede, quelle relative a persone che a fermi propositi e a salde convinzioni, allineano anche un comportamento tranquillo. (Breve sintesi da:"La ciminiera dimezzata" di Celati-Gattini)                             Biografia di Costanzo Ciano nella sezione PERSONE
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POLVERONI, 2 NOVEMBRE 1926 - Un luttuoso episodio dapprima sconcerta e lascia col fiato sospeso la gente della nostra terra. Accade ai Polveroni di Vada, la sera del 2 novembre 1926. Durante una sparatoria, tanto improvvisa quanto convulsa, viene colpito in maniera gravissima un giovane meccanico di Vada, Ferdinando Cecchetti, mentre altri suoi camerati riportano ferite di varia entità. Teatro del conflitto a fuoco è una casa all'inizio della borgata. A pian terreno è adibita a rivendita di generi alimentari e di tabacchi,e occasionalmente, funge anche da sala da ballo. Al primo piano, al quale si accede mediante una scala esterna, si trova l'appartamento dell'esercente, il cinquantenne Destito Destri.

I gradini, il ballatoio e le due strade che giù si incrociano ad angolo retto sono presidiate da un nutrito gruppo di fascisti. Il bottegaio ed il figlio Dominio, non ancora diciassettenne, (compirà gli anni dopo ventun giorni) sono invece asserragliati dietro le finestre della casa. Colpi di bastone alla porta, insistenti senza grida ma poi parlano le pistole, dalle due parti. È la voce che annuncia una tragedia. Ferdinando Cecchetti si abbandona in fin di vita nelle braccia di un amico, sul ballatoio, e si odono anche dei lamenti, nel buio. Sono passate le ventidue e c'è subito un concitato affannarsi nel prestare i soccorsi.

In auto il giovane ventitreenne viene condotto all'ospedale di Livorno ed affidato alle cure del dott. Paci, cui in breve si uniscono il dott. Boralevi ed il prof. Lillà. Il referto stilato dai sanitari non lascia adito a troppe speranze. Dice: «Ferita d'arma da fuoco alla regione temporale sinistra ed alla bozza frontale destra. Stato comatoso. Pericolo di vita». Nelle primissime ore del mattino di mercoledì 3 novembre, Ferdinando Cecchetti cessa di vivere.

Altri due feriti giungono nel frattempo all'ospedale labronico (mentre due contusi sono curati sul posto). Si tratta del ventiduenne Edoardo Zani e del ventenne Zeffiro Vannucci. È stato appositamente fermato alla stazione ferroviaria di Vada, il diretto Roma-Torino per poter adagiare i due giovani in un vagone di prima classe e condurli, in maniera rapida ed agevole, nel capoluogo di provincia. Lo Zani è ricoverato d'urgenza con prognosi riservata per i colpi di almeno tre proiettili, mentre il Vannucci viene medicato, dimesso e subito interrogato dal Questore dott. Masci. Ai Polveroni, intanto, il comandante della tenenza dei Carabinieri di Rosignano trae in arresto Destito Destri ed il figlio Dominio. Saranno incarcerati ed accusati di omicidio e di tentato omicidio. La loro casa, nella stessa notte, viene incendiata con tutte le masserizie. I muri sventrati nella furia delle fiamme rimarranno per oltre mezzo secolo in balia delle intemperie, della pioggia e del vento al principio della borgata, come a rimarcare una tragedia con tutti i più evidenti connotati del «giallo».

Gravano infatti tante ombre, sulla vicenda. Affiorano dopo le prime riflessioni e si manifestano in specie nel procedimento istruttorio. In proposito appare significativa la memoria difensiva stilata in data 1 luglio 1927 dagli avvocati Morando e Gattai, e indirizzata alla Corte d'Assise di Firenze. Il testo riporta il parere di periti che stabiliscono come il proiettile fatale sia stato sparato dal basso verso l'alto e da destra verso sinistra e si fa ben capire quindi, come sia partito per cause accidentali da un'arma impugnata dagli assalitori. Il calibro conferma l'asserzione: si tratta di un proiettile 6.35 mentre il Destri possiede ed ha fatto uso di una pistola a tamburo a cinque colpi 7.65 ed ha consegnato alle autorità, non utilizzata ed inceppata, una Beretta calibro 9. Gli avvocati dei Destri portano elementi probatori, pur non trascurando di battersi per la legittima difesa attuata dai loro patrocinati, che non subiscono alcuna condanna.

Sono molto controverse anche le cause dell'azione punitiva. Si sa che l'ultima scintilla è accesa la stessa sera del 2 novembre alle 21.30, fra alcuni fascisti entrati in bottega ed i Destri, padre e figlio. Volano parole e percosse, contro i bottegai. C'è, addirittura, uno scambio di pistole. I fascisti si impossessano dell'arma del giovane Dominio, ma lasciano cadere sul pavimento della rivendita la Beretta calibro 9. I Destri in fretta e furia allontanano gli avventori e salgono in casa sbarrando porte e finestre. Intuiscono che saranno assaliti.

L'animosità dei seguaci di Mussolini contro l'esercente di Polveroni è palese e neppure di vecchia data. La versione più attendibile sembra sia da addebitarsi ad uno sfratto, portato a compimento contro un inquilino del bottegaio, ma tale da suscitare l'aperta e dichiarata riprovazione di un allora alto esponente politico locale. Si allude, tuttavia, anche al fatto che nella sala da ballo dei Destri sia stata suonata spesso «Bandiera Rossa». Infine ci sono altre voci. Dicono che l'esercente abbia commentato in maniera sarcastica, o quanto meno inopportuna il fallito attentato contro il Duce avvenuto Bologna. Il bilancio, comunque, è amarissimo. È rappresentato dalla morte di un giovane ventitreenne e da una famiglia in buona parte distrutta. Lo dice lo stesso Dominio Destri, nel 1977, quando ritornato a Vada, confida ad un giornalista le sue vicissitudini e quelle del padre. È anziano, al tempo, ma robusto, con due grandi baffi e fuma in continuazione. Nel raccontare, però, la successione degli eventi (nove mesi di carcere, compensati con una pensione di trentamila lire mensili) gli si rabbuia il viso gli si spezza la voce. (Da "La ciminiera dimezzata" di G. Celati - L. Gattini).
                                  Adunata alla casa del fascio
Era il 10 giugno del 1940. Nel pomeriggio, qui a Vada, c'era del fermento. Tutti chiamati verso la casa del fascio per ascoltare un importante discorso del "duce". C'era la guerra da circa nove mesi in Europa, e l'esercito tedesco stava mietendo vittorie incredibili. Il "Blitzkrieg", la guerra lampo, era la parola che più ricorreva nei notiziari radiofonici ascoltati con grande interesse nelle case e nei locali pubblici. Una musica marziale invadeva la piazza di Vada in quel pomeriggio, da quei due altoparlanti fissati sul terrazzo al primo piano della casa del fascio, lì accanto alla nostra Chiesa. Erano le 18; la musica era cessata ed uno scroscio di applausi la sostituì. Provenivano, quegli applausi, da Piazza Venezia in Roma, al cui balcone si era affacciato lui, il Capo del Governo, il "duce" del fascismo. Con quella voce tagliente che lo caratterizzava e scandendo le parole come nelle grandi occasioni e con pause ad effetto, annunciò essere stata consegnata la dichiarazione di guerra agli Ambasciatori di Francia ed Inghilterra ...Come in tutte le piazze d'Italia, anche in questa di Vada urli di consenso, bracci destri alzati a mano distesa e gridi di: "saluto al Duce!!" allorché le pause ben collocate dall'oratore, lo imponevano, come prassi voleva. Ma qualcosa si avvertiva in piazza, una atmosfera che non persuadeva del tutto. Il consenso non sembrò quello generale e genuino di altre volte. E' da credere, ripensandoci, come ancora fresco fosse nel ricordo ciò che era accaduto quattro anni prima in questa stessa piazza, il 5 maggio 1936, allorché, dalla solita voce di Palazzo Venezia fu annunciata l'entrata delle truppe Italiane in Addis Abeba e quindi la cosiddetta "conquista dell'Impero". Grande giubilo. Ci fu addirittura una particolare festa quattro giorni dopo, la tarda sera del 9, quando Mussolini proclamò la rinascita dell'Impero "sui colli fatali di Roma". Fino a tarda notte i vadesi festeggiarono con tanta gente ammassata in quella che allora si chiamava Piazza Ferdinando Cecchetti (vedi sotto), lì dietro la Chiesa, davanti agli edifici Puccini e Pescucci. Fu dato alle fiamme un grande fantoccio che raffigurava ironicamente il Negus d'Etiopia Hailè Selassiè, tra il giubilo generale e le immancabili battute ironiche di molti dei tanti vadesi presenti. Ma se quel 1936 fu l'anno del maggiore consenso al regime dominante, fu anche l'anno dell'emergere di qualche dubbio. In luglio iniziò la guerra civile in Spagna nella quale italiani, militari e politici, si ritrovarono in trincee opposte. Anche Vada dette un contributo di sangue con la morte di un suo giovane concittadino: si chiamava Virgilio Marinai. In ottobre nasce il cosiddetto "asse Roma-Berlino", e nelle case non erano pochi i genitori che storcevano la bocca avendo qualche anno prima fatto alle fucilate con questi nuovi alleati. A Berlino dove si svolgeva la XI Olimpiade, il nostro nuovo alleato Hitler, si allontanava dalla tribuna per non stringere la mano e premiare Jesse Owens, il negro americano vincitore dei 100 metri piani. Intanto in Italia nello sport, oltre la "Juventus" nel calcio, attirava la vittoria di Bartali al "Giro d'Italia" e quella di Achille Varzi nel "Gran premio automobilistico di Tripoli". Per noi giovani grande interesse fu poter leggere giornalini illustrati come : "Topolino", "Il Corriere dei Piccoli", "L'Uomo Mascherato" con Mandrake e il fido negro Lotar, "Flash Gordon" o " Cino e Franco". Ma cominciammo anche ad entusiasmarci di un nuovo genere musicale: quello del "Jazz", dello "Swing", del "Be-Pop" che l'orchestra di un fantastico Gorni Kramer faceva gustare come soffio americano di un piacevole modernismo... Finito il discorso la gente si allontanava dalla casa del fascio con la testa in giù, come a scrollarsi di dosso qualcosa di fastidioso. Evidentemente la parabola del regime fascista che fino al 1936 stava cabrando, quel 10 giugno del 1940 assunse la posizione di flesso. La "picchiata" fu sentita il 25 aprile dell'anno 1945.
(Da Q.Vadesi 11 a cura di Vinicio Bernini)                                                                                             Per la formazione fascista dei giovani vedi QUI
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Ferdinando Cecchetti era nato a Vada, il 5 Febbraio 1904. Fu uno dei primi fascisti della Sezione (U. Igliori) dal 22 Ottobre 1922 facendosi notare per il suo giovanile fervore e per lo zelo col quale serviva il movimento fascista. Appena venne costituita la Milizia si affrettò subito ad iscriversi, partecipando attivamente ai numerosi servizi richiesti, sempre disciplinato e pronto a tutte le consegne. Milite fedele della Rivoluzione era di esempio agli stessi camerati per entusiasmo e dedizione. Non mancava mai a nessun raduno e su lui si poteva fare il più sicuro affidamento. La notte del 2 Novembre 1926 si recò a Polveroni, dove in una sparatoria rimase ucciso da un colpo d’arma da fuoco mentre altri camerati restarono feriti in quella che sembrò essere una spedizione punitiva verso la famiglia di Dominio Destri, che dovette rifugiarsi all'estero. La sua fine immatura lasciò in tutti un senso di doloroso rimpianto e la sua salma venne seguita da tutta la popolazione.
(Da "Fascisti a Livorno e Provincia" 1937)

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Vedi gli elenchi dei fascisti dal movimento squadrista nel Comune di Rosignano M. ai partecipanti alla marcia su Roma, alle date di fondazione dei Fasci di Combattimento, agli ufficiali e graduati deceduti o feriti in O.M.S.

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