E' un fatto curioso e singolare come la zona, oggi
conosciuta per le note Spiagge
bianche per il
colore caratteristico dovuto agli
scarichi a mare
dei reflui di
lavorazione del carbonato di
sodio ad opera della vicina azienda chimica, già
in passato portasse questo nome. Nell'alto Medioevo, in epoca longobarda,
negli ambienti delle ex terme romane di S. Gaetano venne edificata una
struttura cilindrica che poteva essere una cisterna, tuttora visibile. Col
passare dei secoli questa costruzione fu utilizzata come calcara, cioè
forno per la produzione della calce ricavata dai materiali marmorei di
parti delle strutture degli edifici termali. Questo materiale di colore
bianco fu la "pietra bianca" che dette il nome ad un botrello che nel
tempo passato scorreva nella zona. Questo nome si estese a tutta la
località e alla spiaggia antistante: le "spiagge bianche"
Ieri
come oggi, dunque, a determinare
l'aspetto della zona sarebbero gli inerti
di carbonato di
calcio.
(Da: "Quaderni Vadesi", Vada Frammenti di
Storia, Parrocchia di
San Leopoldo e "Strade di pietra, vie d'acqua e
di vento" di Giuseppe Milanesi e Roberto Branchetti)
Il toponimo
"Saracine" ci ricorda come
le zone costiere del Tirreno
fossero oggetto di incursioni piratesche da parte di
Turchi e Barbareschi.
Fu proprio per porre un freno a queste scorrerie,
che causavano devastazioni,
morti e schiavi
fra le popolazioni rivieresche, che
Cosimo I dei Medici,
granduca di Toscana, decise
il potenziamento
della difesa costiera
mediante l'edificazione
di nuove torri in aggiunta a
quelle preesistenti
d'epoca medioevale, nell'occasione
ripristinate
e consolidate. Alcuni
secoli fa l'arrivo
dell'estate era vissuto come un
incubo costante dalle popolazioni
costiere per via
delle micidiali
aggressioni
saracene. Oggi invece
queste popolazioni
aspettano altre "invasioni",
quelle dei turisti.
(Vedi anche Vada/Spiagge
Bianche...ma). (Da: "Strade di pietra, vie d'acqua e
di vento" di Giuseppe Milanesi e Roberto Branchetti)
Le uniche strutture edilizie presenti
lungo la via dei Cavalleggeri erano le torri e i fortilizi di avvistamento
e sporadiche «case da lavoratore» (Con tale termine venivano indicati, gli
edifici rurali destinati ad accogliere le famiglie dei lavoratori: il
lavoratore era una figura «distante» dal contadino: con lavoratore, si
voleva indicare colui che svolge tutte le mansioni lavorative periodiche e
occasionali). Il Manetti afferma che queste architetture militari «hanno
costituito per secoli un punto di riferimento per sparuti abitatori come
pastori, pescatori o boscaioli che vivevano in capanne provvisorie...le
stesse relazioni parlano di come la torre fornisse loro un rifugio dai
pericoli di varia natura e in alcuni casi costituisse un centro di
raccolta data la presenza presso la torre di una piccola cappella ove si
recava saltuariamente un sacerdote coraggioso»
(R. MANETTI, Torri costiere
del litorale toscano: loro territorio e antico ruolo di vigilanza
costiera, .)
Per gran parte del tratto a sud del
fiume Fine, la via dei Cavalleggeri era poco più di un viottolo di terra
battuta che in occasione delle frequenti piogge, si trasformava
immediatamente in un vero e proprio fiume di fango, nonostante che la via
fosse già stata restaurata sotto la Reggenza, nel 1753, al fine di
«rendere più facile ai cavalleggeri la guardia del littorale». Tant' è,
che i traffici commerciali la utilizzavano solo marginalmente, preferendo
a questa la via mare, (almeno fino al 1825, anno in cui venne
riqualificata la via Maremmana) meno veloce, ma senz'altro più sicura e
tranquilla.
Nel periodo della breve parentesi
napoleonica (1799-1814), l'unica trasformazione stradale rilevabile
sull'area costiera, fu la realizzazione della direttrice San
Vincenzo-Piombino (l'attuale via della Principessa) .
(Da: "C'era una volta un brigantino"
di Stefano Rossi scaricabile dal sito)
TORRI
E CASTELLANI
Molti autori indicano
gli anni fra il 1541 e il 1548, come il periodo in cui, su ordine di Cosimo
I° dei Medici, furono erette alcune torri, fra Castiglioncello a Calafuria.
Lo stesso Duca, aveva nel 1543, durante un viaggio a Genova, per la
restituzione delle fortezze di Pisa, Livorno e Firenze che erano state
consegnate a Carlo V di Spagna dopo la morte del Duca Alessandro, espresso
l'intenzione di difendere maggiormente il littorale Toscano dalle incursioni
barbaresche e dalla Flotta Turca, agli ordini dell'Ammiraglio Barbarossa.
Negli anni successivi, egli non mancò di provvedere in merito, reclutando
cavalleria, inviando lungo la costa le "Bande" militari di Pietrasanta, Pisa
e Volterra, facendo costruire nuove fortificazioni e restaurare le strutture
preesistenti. Luca Martini, suo fedele consigliere, oltre all’incarico di
provvedere e dirigere i lavori di bonifica del territorio pisano, fu
responsabile delle fortificazioni sino alla sua morte, avvenuta a Pisa nel
1561. Nel 1565, per il mantenimento delle Torri della Marina veniva
usato parte del ricavato del Diritto d'ancoraggio nel porto di
Livorno. Dalla Legge del Nuovo aggiunto all'antico territorio di Livorno
del 1606 e dalla cartografia coeva, apprendiamo che le strutture
difensive lungo la costa erano: la Torre del Maroccone (Boccale),
quella del Mattaccino (Calafuria), la Torre del Salvatore
(Romito) e la Torre di Quercianello (Castiglioncello). Da altre fonti
apprendiamo che all'epoca esistevano anche la Torre degli Archibuseri
(Cavalleggeri), la Torre di S.Iacopo, il Forte della Ardenza e
oltre il fiume Fine, la Torre di Vada. Nel 1648 , il Governatore di
Livorno Filippo Pandolfini, a seguito di una sua visita alle fortificazioni
della costa, indicava fra l’altro che, che il quartiere dei Cavalleggeri,
era ben tenuto dal capiranno Fabbri, mentre l'Antignano e le torri della
marina presentavano gravi problemi di manutenzione. In tutto, ogni sera,
montavano di guardia 168 soldati. L'ufficio della fabbrica di Livorno di
S.A.S. era preposto ai lavori di restauro delle torri e posti della marina e
in numerosi documenti possiamo verificare lo stillicidio di piccole e grandi
spese relative a questi continui interventi. L'anno 1721, l'Alfiere Luigi
Ercolani realizzò, essendo in visita a questi posti una carta della costa
Tirrenica, annotandovi tutte le torri e i posti che assommavano al numero di
26: dai Cavalleggeri alla Torre Nuova indicando la distanza in miglia fra un
posto e l'altro e il numero degli uomini presenti. Nell'arco di circa 22
miglia, fra il Forte dei Cavalleggeri e la Torre di Vada la guarnigione era
di 86 uomini, così ripartiti: al posto dei Cavalleggeri 18 soldati, Torre
Ardenza 4, Forte d'Antignano 18, Torre Maroccone nessuno, Torre Mattaccini
4, Torre Romito 7, Casetta di Chioma 4, Casetta di Campo Lecciano 5, Capanna
del Ginepro 3, Torre Castiglioncello 6, Casetta Monte alla Rena 5, Casetta
Pietra Buona 3, Torre di Vada 9 uomini. Nel 1743 un'altra carta intitolata
Maremma di Rosignano e di Campiglia ci mostra il quadro della
situazione, alla luce della emergenza legata alla epidemia di peste che
imperversa nel meridione d'Italia. Infatti, rispetto alla precedente, in
questa mappa sono elencati un numero maggiore di posti, per altro tutti
costituiti da strutture provvisorie di legno, come il casotto del Giardino
con 4 uomini di stanza, la capanna del posto dell'Arancio 3 uomini, e in
prossimità della Città di Livorno, la Torre del mulinaccio con 4 soldati.
Anche tutte le altre postazioni, nell'occasione, ebbero un aumento di
organico e quindi in tutto si contano 122 militari, fra tenenti, caporali e
comuni di Cavalleria; cannonieri (pagati e non), fucilieri caporali e
comuni, e invalidi (soldati riformati) oltre ai castellani equiparati ai
tenenti. Analoghe indicazioni scaturiscono dalla relazione del Col. E.
Warren, redatta nel 1749 e arricchita dalla descrizione grafica, in pianta e
in alzato delle varie fortificazioni. Nei decenni successivi
(1757-1765-1778) furono emanati Regolamenti e Istruzioni per i
Torrieri, castellani, Posti di cavalleggeri e Soldati con riferimento sempre
più predominante alla tutela Sanitaria del Granducato, problema
assillante data le ripetute recrudescenze di focolai d'infezione nei paesi e
nei porti in diretta comunicazione mercantile con Livorno. Norme pignole e
minuziose regolavano tutti i possibili eventi relativi a naufragi,
spiaggiamenti e stracchi di robbe sul Littorale toscano e tutte le
attività di pesca, diporto, commercio, erano regolamentate e soggette al
controllo fiscale dei soldati. Periodiche visite effettuate da ufficiali
superiori, tenevano aggiornato il Governatore, della situazione del sistema
difensivo e delle eventuali lacune e mancanze. Nel 1782 vengono istituite le
cosiddette Dogane di Marina, ossia posti regolamentati di approdo, ai quali
i castellani e i torrieri dovevano prestare collaborazione e assistenza. La
parentesi francese non apportò sensibili mutamenti al servizio guardia-coste
e nel 1814, con la restaurazione, il servizio riprese i vecchi ritmi,
perdendo progressivamente funzioni e motivazioni. Nel 1850 furono prese in
consegna dal Genio Militare tutte le Fortificazioni dal soppresso
Scrittoio delle regie fabbriche e fra il 1861 e il '62 tutte le torri e
i posti armati passarono dall'Amministrazione militare a quella delle regie
Dogane e quindi al Demanio Civile. In alcune strutture, come a Calafuria e
al Romito vi fu una breve presenza della guardia di Finanza che si sostituì
ai militari. Nel 1864, le ultime strutture, la casetta del Fortullino,
quella di Monte all Rena e il Forte di Vada vennero ufficialmente presi in
consegna dalla Direzione Demaniale di Pisa. Dopo il 1866, il sistema venne
definitivamente smantellato, le prerogative di servizio rimaste furono
delegate alle nuove capitanerie di Porto e alcune strutture vendute a
privati. |