Non
ci sono ruderi nè immagini, ma elementi storici si: fra il 967 ed il
1453...
Il
castello
2 dicembre
967. Per la prima volta in un documento compare il Castello di
Vada. Ottone I il Grande, imperatore della casa di Sassonia,
vi aveva soggiornato mentre percorreva l'antica via Emilia;
in quell'occasione aveva concesso un diploma a favore
dell'Arcivescovo di Volterra, Pietro con il quale dichiarava
che il Castello di Vada non era più nel territorio
Volterrano bensì nel "comitatus pisanus". Quindi il castello
di Vada passa alla Repubblica di Pisa.
(Nencini 1925 - Per
ulteriori elementi puoi scaricare la "Monografia storica di
Rosignano Marittimo" dalla sezione Scaricolibri del sito)
Siamo in pieno feudalesimo,
quindi nell'epoca dei castelli, ne sorgono
in tutta Europa, inizialmente in legno, poi in muratura sempre
più imponenti ed in luoghi sicuri e difendibili, a difesa dei
castellani e delle famiglie al loro servizio. Ma sorgono anche
sul mare quando c'è da difendere attività commerciali e le
persone a queste legate. Il castello di Vada è uno di questi
dettato dalla necessità di difesa dai saraceni, dai Normanni e
dopo il 1000 dalle Repubbliche Marinare, Amalfi, Genova, Pisa
e Venezia.
Secondo don Mario Ciabatti in "Vada nei secoli": da indagini
fatte da me ritengo che il Castello ed il Monastero fossero
dove oggi è il grandioso fabbricato detto della “ dogana ”
ridotto per abitazioni delle Guardie di Finanza, Uffici, Deleg.
di Porto ecc., i cui muri sono tutti circondati da
contrafforti in muratura di oltre un metro di spessore fatti
fare dalla Repubblica Pisana (1125) per difendere il Castello
da aggressioni Genovesi. Nell'interno esisteva anche una bella
Cappella decorata con stucchi artistici, con due ingressi, uno
lato Padule e l'altro della Chiostra, la quale Chiesa non più
officiata venne trasformata per uso dei militi forestali che
in seguito vennero trasferiti alla Casa dei Cavalleggeri in
Pineta sud di Vada. Ritengo che questo mio parere già
appoggiato dall'esistenza dei muri sotterrati in piazza con
terra di riporto dove passava la vecchia strada Cavalleggeri e
che io ho visti quando fu eseguita la posa dei tubi dell'acqua
per lo Stabilimento Solvay, nel tratto Dogana - Casa Pescucci
a circa un metro dalla superficie esterna, muri veduti altra
volta quando il Comune di Rosignano Marittimo portò l'acqua
del Felciaione a Castiglioncello.
(Per ulteriori elementi puoi scaricare il volume "Vada nei
secoli" dalla sezione Scaricolibri del sito)
Nel 1075 Il castello di Vada subisce il suo primo
assalto da parte di una
flotta genovese. Ma i genovesi ripiegano per difendere
Rapallo che i pisani hanno nel frattempo devastato.
Nel 1080 un
certo Ubaldo del fu Lamberto da Rasiniano dona al monastero di S.Felice
a Vada un vigneto presso la pieve di S. Giovanni a Rosignano.
Nel
1125 i genovesi tornano a
Vada e questa volta conquistano
il castello e lo tengono per
circa 40 anni,
fino al 1165, ma in questo anno i pisani riconquistano Vada, completano
il porto con una difesa
più efficace e
incominciano
a fortificare
il castello con una cerchia
di possenti
mura. I lavori durano per
ben 16 anni.
Il 30 agosto 1200 Ugo
di Cacciabote, signore di Castiglioncello concede dei pascoli a dei pastori
venuti dalla Garfagnana. Questi pagano l'affitto raccogliendo per il
castellano una quantità di fascine di legna che vengono poi portate al
ponte sulla Fine ed imbarcati. E' un documento interessante perché ci
rivela che le barche risalivano il fiume fino al ponte dove era stato
allestito un imbarcadero per lo scarico e il carico delle merci. Da
altri documenti sappiamo che questo approdo si chiamava Galafone e
dovette funzionare per alcuni secoli a servizio, specialmente, di
Rosignano.
Il 25 marzo 1202 nella
pieve di Rosignano, il console di giustizia, alla presenza di due
consoli della terra come testimoni, impone a Ugo di Cacciabote di non
molestare l'arcivescovo. Ugo comunque in cambio riesce ad ottenere
l'approdo di Galafone alla foce della Fine con la possibilità di
chiedere pedaggi.
Il 1 luglio 1206 Don
Barone, abate del Monastero di S. Felice a Vada si impegna a pagare un
censo di 24 soldi annui all'arcivescovo di Pisa per l'uso delle acque
del fiume Fine e nel 1221 l'abate
Rustico, del Monastero di S. Felice di Vada, vende il mulino presso il ponte
sulla Fine.
Il 6 agosto 1284 grande storica battaglia navale alle secche
della Meloria davanti a Livorno, fra Pisa e Genova,
vinta da quest'ultima, la repubblica pisana incominciò
a decadere. I suoi territori e soprattutto le
fortificazioni costiere divennero più facile preda,
per cui diverse potenze ne approfitteranno. Questo
spiega il passaggio, in epoche successive, del
Castello di Vada prima a Firenze poi ad altre
Signorie.
Nel 1405 i fiorentini occuparono e saccheggiarono il castello
con le milizie capeggiate da Attendolo Sforza da Cutignola.
Nel 1431 nuova battaglia e smantellamento da parte di Nicolò
Piccinino, per il Duca di Milano, ma nel 1433 lo riebbero i
fiorentini a seguito degli accordi di "pace".
Si arriva al 13 febbraio 1437, con i fiorentini che presso il
castello, costruiscono i magazzini per il sale che veniva
ancora prodotto nelle saline locali.
Nel dicembre 1452 il castello viene assediato dagli Aragonesi e avrebbe
potuto resistere a lungo, se il castellano Rosso
Attavanti, lasciatovi dai fiorentini, non l'avesse venduto al
condottiero delle armate napoletane Antonio Olcina, che potè
così occuparlo, ma l'anno successivo 1453 i fiorentini
nell'estate stringono l'assedio in modo talmente serrato che i
soldati napoletani, lasciati dentro a presidiare il castello,
consapevoli di non riuscire a difenderlo, lo incendiarono e lo
abbandonarono il 26 ottobre. I fiorentini, trovandosi di
fronte quei " miserabili resti ", non vollero per ragioni
politiche cercar di ricostruirlo, ma al contrario demolirono
tutto ciò che restava sopra la terra. Ecco la ragione
dell'ultimo sterminio del Castello di Vada e la desolazione,
per conseguenza, del paese.
Nel 1462 a complicare la già difficile sopravvivenza, nuova ondata di peste, ma
ormai gli abitanti della costa sono pochi.
Nel 1485 nuova occupazione dei
fiorentini. Tempi sempre più duri per i pochi abitanti
intorno alla torre che cercano di allontanarsi verso le
colline dove la sopravvivenza appare più facile.
Il 27 febbraio 1496, il
capitano fiorentino Oriaco dal Borgo, con le sue truppe forti di 1000
fanti e 200 cavalli leggeri, occupa dopo
aspro combattimento il porto di Vada. Del castello non c'è più traccia.
Monastero e Pieve
In merito al Monastero
di S.Felice in Vada don Mario Ciabatti riporta che: nonostante che io abbia
fatte numerose ricerche negli archivi in merito alla
istituzione e fondazione del Monastero di S. Felice in Vada e
della Chiesa ivi esistente Chiesa Plebana di S. Giovanni e
Paolo di cui parlano Emanuele Repetti e Giovanni Targioni
Tozzetti ed altri cronisti, niente ho trovato di positivo
all'infuori di quanto essi storici scrissero a riguardo.
La sua nascita sembra risalire subito dopo il Mille, nel
periodo in cui vi era urgente e necessario bisogno di un
oculato controllo della costa, con attività antisaracena,
promossa dai Papi e sviluppata dai Pisani, a cui Vada era
soggetta. I monaci di questo monastero appartenevano
all'Ordine di San Benedetto e seguivano la regola "Ora et
Labora" nella vita comunitaria fra confratelli,
nell'obbedienza all'Abate, nell'importanza data al lavoro
quotidiano. I monaci del monastero di San Felice si occuparono
dell'andamento dei mulini del Piviere di Rosignano e di Vada.
Per la cura delle aree coltivabili esistenti nella zona, erano
sorti alcuni mulini. Nell'anno 1221, l'abate fece edificare un
mulino che fu chiamato "Riposo" e lo concesse ai Bombardieri,
famiglia che abitava a Rosignano. Il mulino cessò la sua
attività nel 1727 e poi fu trasformato in casa colonica. Si
suppone che questo mulino sia quello di cui è scritto in uno
statuto di Pisa redatto dal Conte Ugolino della Gherardesca di
dantesca memoria nell'anno 1285. Lo statuto, intitolato "De
ponte faciendo super goram ", dichiarava che "il Podestà e il
capitano del Popolo di Pisa dovevano fare eseguire agli uomini
di Rosignano e di Vada un ponticello di legno sopra la gora
del mulino di Vada, col riattare tutti i fossi o scoli d'acqua
tra Rosignano e Vada, e dovevano far obbligo alle Comunità
frontiste di restaurare la strada che da Rosignano sboccava
sulla via della Salce, detta 'Pojane
' (Emilia). Il lavoro doveva essere eseguito entro un mese
a carico dei lavoranti. Per l'uso della gora e delle acque del
fiume Fine con il diritto di
deviarne il corso e condurlo per gora al mulino o ai mulini,
l'abate Barone si obbligava a pagare ogni anno un censo di 24
soldi alla Mensa arcivescovile di Pisa, nel cui territorio
scorreva il fiume. L’obbligo di questo pagamento era esteso
anche gli abati successori, per le costruzioni che vi
'avrebbero potuto edificare. Nel 1221, l'abate Rustico, previo
il consenso dei Consoli di Vada e di un altro monaco, vendette
metà del mulino. I beni del monastero di San Felice erano
assai vasti e comprendevano terreni in Vada, Rosignano,
Riparbella, vicino al fiume Cecina e
persino in Sardegna, dove aveva possedimenti ricevuti in
donazione nel 1170 da un certo giudice Costantino diArborea.
Sempre nello stesso anno il monastero ebbe 25 appezzamenti di
terra, situati nel distrétto del Piviere di Rosignano, donati
dai figli del conte Gherardo della Gherardesca, Ranieri e Gherardo, con il
consenso delle loro mogli, Emilia eAdelisia che erano a Vada
per un Concilio. Il 28 ottobre dello stesso 1170 il monastero
divenne proprietario di 5 pezzi di terra del distretto di
Riparbella. A sua volta, il monastero alienò parte dei propri
beni. Il 21 ottobre 1068 venne ceduto un appezzamento di
terreno ad un certo Leone. L'abate di San Felice, Rolando,
vendette il 16 ottobre 1136, la terza parte del monastero che
possedeva in Pisa all'arcivescovo Uberto, per la sua
mensa. Nel 1170 anche i Conti della Gherardesca ricevettero a
titolo di feudo, come compenso per
la donazione dei loro possedimenti in Rosignano, i beni
che il Monastero aveva in varie
località, fra cui il Castel di
Casalgiustri. Tra l'abate del
monastero e il pievano di Vada sorse una controversia riguardo
al diritto di sepoltura. La disputa fu risolta
dall'intervento
dell 'Arcivescovo Vitale che, in
un Atto del 21 gennaio 1245,
dichiarò "con lodo" che "tutti quelli che morivano nelle case
della Parrocchia dell'Abbazia
di San Felice si seppellissero in tale chiesa e tutti coloro
che venissero ad abitare nel detto Castello o che fabbricavano
abitazioni nei confini della
Pieve di Vada si seppellissero
appresso quest'ultima"» Dopo
una decina d'anni da questo episodio il monastero risulta
ospitare solo l'Abate con un altro monaco e, nel 1255, con una
Bolla Pontificia il Papa Alessandro IV assegna il monastero con tutti i suoi beni
alle monache Domenicane di Sant'Agostino in
Romea, vicino a Pisa. Queste
suore seguivano la regola dei Frati Predicatori. Nel 1257, il
29 settembre, una seconda Bolla dello stesso Pontefice,
diretta all'Abate Cistercense di
S. Pantaleone in diocesi di
Lucca e al Guardiano dei Frati
minori di Pisa, dichiara che il Monastero di San Felice doveva
essere assegnato alle Monache sopracitate. Nel 1479 viene data
notizia della partenza delle monache dal nostro monastero e
del loro trasferimento
a San Paolo in Horto, nella
diocesi di Pisa. Il Canonico Don Antonio Vellutini, afferma
l'esistenza di un antico convento dedicato a San Michele,
forse ubicato nella località chiamata attualmente
"Conventaccio", mentre il canonico Mario Ciabatti riteneva che
in questa zona doveva esserci l'antica Pieve di Vada. In una
pianta della zona, datata 1823, sono segnati i ruderi di un
convento, nel luogo che potrebbe essere la località del
Conventaccio. Secondo quanto vecchi vadesi affermano, in quel
luogo sono state trovate ossa umane che fanno pensare a un
luogo di sepolture, che nel Medioevo, come sappiamo, venivano
fatte presso una chiesa o presso un convento.
La Pieve. Secondo quanto ha scritto il Targioni Tozzetti nell'opera
già citata, "nell'anno 780 l'Ecclesia SS Joannis et Pauli de Vada,
fu donata alla badia di S. Savino nel Piano di Pisa, e nell 'anno
1043 vi era una chiesa dedicata a San Giovanni, col titolo di Pieve
.donde si può inserire che era luogo abitato". Il canonico Piombanti
asserisce che questa Pieve esisteva già nell'anno 780 e don Mario
Ciabatti riferisce che nello stesso anno essa donò, insieme a tre
nobili pisani, una parte delle saline di Vada per la costruzione
della Badia di San Savino presso Calci (Pisa). Il canonico Mario
Ciabatti afferma anche che nel 1043 la Pieve di Vada, dedicata ai
Santi Giovanni e Paolo fece una donazione alla chiesa di Santa Maria
e di San Quirico a Moxi (le Badie) di beni situati in Val di Perga,
ricevuti dai Longobardi. La pieve possedeva certamente molti terreni
che comprendevano anche quello di Collemezzano sul quale c'era
la chiesa di San Lorenzo, in quanto queste terre erano di proprietà
della comunità vadese sin dal dominio di Volterra. Quando la Mensa
Arcivescovile di Pisa divenne proprietaria di grandi estensioni
territoriali tra Rosignano e Vada, nel secolo XI ricevette per
donazione dal marchese Gottifredo di toscana e dalla Contessa
Beatrice, sua consorte la Pieve di S. Giovanni e Paolo con tutti i
beni, case e terre. Sappiamo che la pieve di Vada e il Monastero di
San Felice si contesero il diritto di sepoltura e che la contesa
venne chiusa con l'intervento dell'Arcivescovo di Pisa, Vitale, nel
1245. La Pieve fu distrutta nel 1452, dai napoletani, quando furono
devastati il Castello, la Torre e una parte del Borgo di Vada, che
venne definitivamente demolito dai Fiorentini nel 1453.
(Da: "Quaderni Vadesi n°3
"Vada Frammenti di storia" a cura di Brunella Vallini
Colombini)
60 anni di
battaglie legali per la proprietà della selva di Asca
fra
l'arcivescovo di Pisa ed i vadesi..
Oltre al
castello e alla corte di Vada gli arcivescovi pisani
possedevano la selva di Asca, un vasto territorio con campi,
prati, selve e paludi, confinante ad est con le curie di
Collemezzano e Belora, a nord con la palude che era presso la
chiesa di Sant'Andrea di Canneto, vicino all'abbazia di San
Salvatore "ad Moxi" (Le Badie) e ad ovest con il mare e con la via che
portava a Cecina; il possesso della selva di Asca fu sempre
oggetto di lite fra gli arcivescovi e il comune di Vada: l'11
luglio 1183 i pubblici giudici del Comune di Pisa emisero una
sentenza contro i consoli di Vada a favore dell'arcivescovo
Ubaldo per il possesso di Asca; ma nonostante la sentenza del
1183, la lite continuò ancora. Tra l'arcivescovo e il Comune
fece da intermediario il pievano di Vada, Francesco: il 14
luglio 1221 il console giurò dinanzi al pievano che sarebbero
stati rispettati i patti già stabiliti tra le due parti e il
22 febbraio 1222 venti uomini di Vada, a nome di tutta la
comunità, confermarono il compromesso tra il loro console e il
pievano. L'11 luglio dell'anno seguente sulla base
dell'accordo stipulato dal pievano, l'arcivescovo Vitale fu
messo in possesso della corte di Vada e della selva di Asca
dal Comune pisano. Il comune di Vada però non si arrese; gli
abitanti occuparono la selva, ingiuriarono i messi vescovili e
recarono danni alla pieve e all'abbazia di San Felice.
L'arcivescovo comminò loro la scomunica e ricorse al legato
pontificio in Tuscia, il cardinale di San Marco. Questi il 4
aprile 1228 stabilì che i consoli di Vada pronunciassero un
giuramento di fedeltà nelle mani dell'arcivescovo Vitale e
ubbidissero ai mandati della Chiesa; in cambio l'arcivescovo
avrebbe dovuto assolverli dalla scomunica. Contro questa
sentenza il comune di Vada si appellò al nuovo legato papale
in Tuscia, il cardinale di Santa Sabina, e al capitano
generale dell'imperatore nella Tuscia, il conte Pandolfo "de
Fascenella". L'arcivescovo Vitale, attraverso il suo
procuratore Bertoldo, nunzio del comune di Pisa, in
Castelfiorentino respinse come illegittimo l'intervento del
tribunale laicale nella causa promossa davanti al conte
Pandolfo dal procuratore di Vada contro l'arcivescovo di Pisa,
perché nella lite era stato nominato un arbitro che aveva già
emesso un lodo accettato dal comune di Vada, e inoltre, perché
il sindaco del comune di Vada aveva appellato contro tale lodo
presso il cardinale di Santa Sabina legato papale in Tuscia.
Successivamente, avendo il conte Pandolfo respinte tali
eccezioni, Bertoldo, procuratore dell'arcivescovo Vitale,
ricorse al giudice del conte e poiché anche da questi ebbe un
diniego, si appellò al re Enzo, all'imperatore e al papa. Il papa, Gregorio IX,
nominò giudice nella sentenza Berlinghieri, vescovo di
Pistoia. Il 23 marzo 1241 il vescovo di Pistoia riconobbe i
diritti dell'arcivescovo di Pisa sulla selva di Asca e sulla
corte di Vada. Il console di Vada continuò però ad affermare
i diritti di proprietà da parte del suo comune. Il vescovo di
Pistoia subdelegò l'abate di San Michele in Borgo di Pisa
perché definisse la questione, e il 7 gennaio 1242, quest'ultimo
emise la sentenza per cui l'arcivescovo di Pisa doveva essere
messo in possesso dei beni contestati. Il 16 marzo 1242,
sulla piazza antistante la pieve nel borgo di Vada, gli
abitanti si riunirono a parlamento e dettero pieno mandato ai
propri consoli di giurare fedeltà all'arcivescovo. Non sembra però che
tutti siano stati favorevoli: alcuni infatti aderirono alla
decisione del 16 marzo dopo alcuni giorni. Da allora non si
ha memoria di altre liti tra l'arcivescovo e gli uomini di
Vada: gli abitanti del castello avevano riconosciuto quanto
fosse difficile il dover lottare contro l'arcivescovo padrone.
Il castello di Vada esisteva ancora nel 1408. In quest'anno
sono concesse a livello varie case poste nel castello e nel
borgo di Vada. Dopo la metà del secolo XV, Vada iniziò a
spopolarsi e il castello fu abbandonato. In una mappa
catastale della tenuta di Vada è riportato quanto rimaneva di
questo nel XVIII secolo: un muro perimetrale, una parte del
fossato ed un pozzo al centro; esso confinava con la dogana e
con la torre di Vada.
(Da "Le pievi e i castelli
della diocesi pisana nella marittima" di Enzo Virgili,
scaricabile dal sito) |