Alcune delle fornaci
ottocentesche, di seguito descritte, producevano laterizi
quando il paese di Rosignano Solvay ancora non esisteva ed
il territorio che lo avrebbe ospitato, all’epoca detto “del
Piano”, si presentava come un’area scarsamente abitata,
delimitata ad ovest dal mare, ad est dal colle di Rosignano,
a sud dal Fiume Fine, a nord dal Botro Crepatura. Una
fornace del secolo scorso, conosciuta come “Fornace del
Fine” (oggi scomparsa), è ben documentata presso l’Archivio
Solvay, da dove sono state tratte le notizie riguardanti sia
la specifica manifattura, sia i dati di carattere più
generale relativi ad aspetti tecnico-pratici e
socio-economici sulla fabbricazione dei mattoni nei primi
decenni del Novecento.
Fornace da mattoni al Ponte della Fine
La fornace, appartenuta alla
facoltosa famiglia Berti Mantellassi, non compare nelle
mappe del catasto del 1823-32 mentre risulta tra quelle
censite nell’aggiornamento catastale del 1842-44, dove viene
descritta “... munita di coperta ed ha l’annesso di una
capanna” e così è registrata nel 1845: “questo nuovo
fabbricato contiene una fornace con l’annesso segregato di
una capanna”. La sua costruzione pertanto può essere
collocata a cavallo delle suddette date e coincide con un
momento di forte richiesta di materiali per l’edilizia sui
terreni appoderati della vicina ex Tenuta di Vada. I
documenti fiscali dell’epoca non specificano il tipo di
prodotto lavorato, tuttavia, vista l’ubicazione,
individuabile dove oggi si trova il fabbricato di un
cantiere per barche (Gavazzi) sull’argine destro del Fiume
Fine, riteniamo che si trattasse di una fornace da
mattoni. La sua vita produttiva fu comunque breve, in
quanto nel 1850 veniva demolita per dare passaggio alla
nuova strada litoranea (attuale S.S. Aurelia). Poco
distante, a monte del nuovo ponte sul quale la ferrovia
Livorno — Vada superava il Fine, i Beni Mantellassi, nel
primo decennio del Novecento, avrebbero costruito un’altra
fornace da mattoni ben più moderna e produttiva della
precedente, poi acquistata dalla Società Solvay.
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Fornace da mattoni “della Fine” o Fornace Solvay
(vedi
"La fabbrica")
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Fornace da mattoni del
Catelano
La fornace era
ubicata in località “Steccaia”, fra il Podere di Catelano e
l’argine destro del Fiume Fine; distava circa 1,5 km da una
fornace di età romana individuata alla sinistra del Fine in
località Poggio Fiori. Già nel Cinquecento gli estimi
dell’epoca riferiscono di un “Guado alla fornace sulla
Fine”, che “era presso la confluenza del botro di Marmentana”,
toponimo ancora oggi esistente nella zona. Censita alla
stesura del Catasto Toscano (1823), probabilmente si
trattava della più grande manifattura da laterizi del
Comune, tanto da far supporre che “possa aver ricoperto una
funzione quasi di tipo industriale” come si evince da una
fornitura di “mattoni grossi” a favore della pubblica
amministrazione (1840). Nel 1843, anno in cui aveva inizio
la costruzione delle case dell’appoderamento nel Piano di
Vada, la fornace veniva potenziata con la costruzione di un
altro manufatto. Quest’ultimo, tuttavia, sfuggiva
all’imposta fino al 1884, quando veniva descritto come
“Fornace a riverbero”. In quegli anni i due impianti, posti
uno vicino all’altro all’indirizzo “Steccaia a Grotti, n.
27, luogo detto Catelano”, erano così registrati: “Fornace
da mattoni contenente 40.000 pezzi” (la particella 109) e
“Fornace da mattoni con N° 14.000 pezzi” (la particella 172)
con un evidente riferimento al numero di mattoni in essi
contenuti. Nel 1914 tutto il complesso, compreso un
appezzamento di terra adibito “in parte per cava e piazzale
per fornace”, passava per fallimento dai Mastiani Brunacci
ai Vestrini. Non ci sono notizie sicure su quando la
manifattura abbia smesso di funzionare, per certo dopo la
sua dismissione fu trasformata in tabaccaia. La cartografia
attuale riporta ancora il toponimo “Fornace”, ma niente
rimane, negli edifici esistenti, a testimoniare la funzione
produttiva di un tempo.
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Fornace da calce del
Bargingo
Poche sono le notizie raccolte (testimonianze orali fornite
da persone del posto) su questa fornace, le cui origini
sembrano risalire all’immediato dopoguerra. Gestita da
Nocchi Guido, la fornace aveva due forni e produceva sia
calce idraulica sia calce “da spengere”. Quest’ultimo tipo
di prodotto, ottenuto mediante un processo di cottura
incompleta della pietra, fu presto abbandonato a favore
della calce idraulica. La fornace, che riforniva il mercato
locale, smise di funzionare negli anni Settanta, lasciando
il posto ad una struttura artigianale per la lavorazione del
marmo. Il sito dove era ubicata la manifattura (in Via del
Bargingo) è ancora riconoscibile per la presenza di un
capannone artigianale. I forni, costruiti a ridosso di un
argine, sono stati riempiti e le bocche del fuoco murate. E'
ancora presente la strada di accesso al piazzale soprastante
dove si aprivano i due camini per l’uscita dei fumi e
attraverso i quali avveniva il caricamento della pietra da
calce nel forno (dall’alto).
Da "Antiche manifatture
del territorio livornese" di Taddei-Branchetti-Cauli-Galoppini, scaricabile dal sito) |