La fabbrica/Clarene |
|
|
|
29 settembre 1985 - L'impianto Clarene in fase di ultimazione lavori |
1986 Va in marcia il Clarene
La Solvay, la multinazionale
belga leader mondiale per la
produzione di carbonato di
sodio, torna ad espandersi in
Italia. Ieri e stato inaugurato
a Rosignano Solvay (il paese in
provincia di Livorno che ha
preso il nome dall'azienda
l'impianto per la produzione di
clarene, un tecnopolimero
con elevate caratteristiche di
impermeabilità ai gas, in
particolare all'ossigeno e agli
odori, che trova l'applicazione
ideale nell'imballaggio
Nonostante il «Terminale di
Vada» permettesse di acquistare
l’etilene a prezzi più bassi dei
costi sostenuti con il cracking
di Rosignano,
l’approvvigionamento di questa
materia prima era ancora molto
critico. Secondo la Solvay, che
ne importava mediamente a prezzi
di mercato, 100.000 tonnellate
all’anno, l’etilene aveva un
costo superiore del 25-30% in
più rispetto a quello che
avrebbe pagato se lo
steam-cracking fosse stato in
prossimità dei propri
stabilimenti. Questa situazione
derivava dall’applicazione del
Piano Chimico Nazionale il cui
scopo era incentivare lo
sviluppo delle regioni insulari
attraverso l’espansione della
chimica di base. Con questo
piano, attraverso finanziamenti
pubblici a tasso ridotto e
agevolazioni fiscali, impianti
di steam-crackinq avevano
trovato sviluppo nei poli
chimici della Sardegna (Porto
Torres e Cagliari) e della
Sicilia (Priolo e Gela). Prima
dell’approvazione del piano, la
direzione italiana aveva fatto
pressione, presso il Governo,
perché fossero estese le
agevolazioni pubbliche anche
all’industria chimica del
centro-nord d’Italia. Solvay
aveva proposto di inserire gli
stabilimenti di Rosignano in una
rete petrolchimica del
centro-nord articolata nelle tre
raffinerie di Porto Marghera,
Ravenna e Livorno. La proposta
fu scartata dal Governo per
favorire lo sviluppo dei centri
insulari. Negli anni Ottanta,
dunque, la distribuzione
geografica dei centri di
produzione di etilene non
favoriva la Solvay che doveva
sostenere costi elevati. Fu per
questa ragione che Solvay decise
di acquistare l’etilene
dall’estero, stipulando nel 1979
un contratto di fornitura di
etilene con la società francese
Naptha Chimie che si avvaleva
del suo cracking di Lavera
presso Marsiglia e rivolgendosi
successivamente ad alcune
raffinerie dell’America Latina
(Argentina e Brasile) e del Nord
Africa (Algeria). Proprio in
quegli anni Solvay si trovava
anche a dover fronteggiare la
forte pressione proveniente
dalla concorrenza italiana
(società appartenenti al gruppo
ENI) e da quella estera (Imperial
Chemical Industries, ICI) nel
settore delle materie plastiche.
Di fronte alle difficoltà
d’approvvigionamento di etilene
incontrate sul piano nazionale e
alla concorrenza estera, Solvay
iniziò a studiare una serie di
strategie per risultare più
competitiva sul mercato
internazionale. L’obbiettivo fu
il perseguimento di una
modernizzazione delle proprie
strutture e dei propri impianti.
Secondo la direzione italiana
della società occorreva
orientare le proprie produzioni
verso qualità di materie
plastiche sempre più sofisticate
(polietilene, PVC, ecc.), sia
per contenere i propri costi,
sia per fronteggiare la
concorrenza. Gli anni Ottanta
videro quindi il gruppo
intensificare gli sforzi nel
settore delle materie plastiche.
Il prodotto verso cui la
multinazionale belga voleva
concentrarsi era il polimero del
cloruro di vinile, noto più
comunemente come PVC, ottenuto
dal cloruro di vinile monomero (VCM)
un'antica conoscenza per
Rosignano. La domanda
internazionale di questo
prodotto, era in costante
aumento grazie alle numerose
applicazioni come imballaggi
alimentari, tubi, telai,
infissi, rivestimenti interni
delle automobili, materiale
ospedaliero, ecc. Si aprivano
per questo prodotto interessanti
prospettive e Solvay non
intendeva perdere
importanti quote di mercato.
L’iniziativa di Bruxelles era
anche appoggiata dalle
associazioni sindacali. Infatti,
di fronte al calo
dell’occupazione registrato a
Rosignano nella prima metà degli
anni Ottanta, Nell’ottobre 1988 si forma un Comitato pro-fererendum con varie formazioni politiche, ma prende sempre più consistenza anche il fronte del no. Il PCI, localmente con oltre il 55%, procede anche ad una sorta di "primarie" dei propri iscritti residenti nel comune dalla quale risulta la vittoria del sì, con l'88%. Tuttavia perplessità sul progetto si manifestarono anche nei partiti di sinistra come PSI e lo stesso PCI. Questa situazione fa decidere il Consiglio comunale per il referendum popolare ammettendo anche i cittadini con età superiore ai 16 anni.
I sindacati
invitano a votare “sì”, in quanto la Commissione tecnica incaricata dal
Consiglio comunale ha dichiarato quasi nullo
l’inquinamento dell'impianto e l’Unità Sanitaria
Locale garantisce il controllo dell’ambiente. PCI, DC, PSI e PRI,
raccomandano il “sì”. La vittoria del “no” quindi appare assai improbabile.
Con questo scottante risultato in mano, il sindaco Giuseppe Danesin, pur non essendosi vincolato al risultato, dirama un comunicato stampa dove dichiarava la propria volontà di rifiutare la concessione edilizia alla Solvay. Il Consiglio comunale ratifica tale decisione. Dura e comprensibile la reazione della Solvay al comportamento dell’Amministrazione comunale. Spiazzati il sindacato e i partiti locali, che devono prendere atto di un esito del tutto imprevisto. Il capitolo PVC si chiude così. (Sull'argomento, il volume "Una straordinaria esperienza di lotta" di Maurizio Marchi e "Rosignano ed il Piano Chimico Nazionale" scaricabili dal sito) |
Torna a
Cronistoria Solvay/1986 Vedi anche "Il caso del PVC a Rosignano" di Cheli e Luzzati |
||
Rosignano Solvay la fabbrica |