Rosignano Marittimo ieri/fornaci

Fornace Solvay-Acquabona. Porte di accesso alle camere di cottura. Fornace Solvay-Acquabona. Porte di accesso alle camere di cottura. Fornace Solvay-Acquabona. Porte di accesso alle camere di cottura. Fornace Solvay-Acquabona. Forno di cottura. Fornace Solvay-Acquabona. Forno di cottura. Fornace Solvay-Acquabona. Forno di cottura. Fornace Solvay-Acquabona. Forno di cottura. Fornace Solvay-Acquabona. Forno di cottura. Fornace Solvay-Acquabona. Forno di cottura. Fornace Solvay-Acquabona. Forno di cottura. Fornace Solvay-Acquabona. Forno di cottura. Fornace Solvay-Acquabona. Forno di cottura. Fornace Solvay-Acquabona. Rilievo di campagna, stato di fatto nel 2006. Fornace  di Col di Leccio. Resti dell'edificio nel 2005. Fornace di Colli-Acquabona. Plantario dell'Estimo di Rosignano del 1795 con a sx la fornace dell'Arcivescovado di Pisa.
 

Fornace Solvay-Acquabona, rilievo di campagna. Fornace di Col di Leccio. Fornace di Colli-Acquabona, plantario dell'Estimo di Rosignano (1795)  (Foto G. Zanoboni)

   Le attività manifatturiere prossime al paese erano costituite da cave e da fornaci da calce, per l’abbondanza di materia prima in loco, quelle per la produzione dei laterizi si trovavano invece ai piedi del colle dove affiorano le marne argillose ed i terreni alluvionali depositati dal fiume Fine, dove al di sotto di circa 1 metro di terra si rinviene uno spesso strato di argilla.
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                        Fornace da calce Solvay, alle cave dell’Acquabona

La presenza di questa grande fornace da calce sul poggio del mulino a vento di Rosignano M.mo (ad un centinaio di metri, in direzione nord-est, dal medesimo) è riconducibile alla presenza delle cave di calcare aperte all’Acquabona dalla Società Solvay nel periodo che va dal 1914 alla metà degli anni Trenta. La pietra calcarea, materia prima indispensabile per la produzione della soda, era trasportata nello stabilimento con una teleferica lunga 4400 m. Nell’Archivio Solvay non vi è traccia di questa fornace, così come nei ricordi degli anziani della zona. Eppure, viste le dimensioni dell’impianto, abbiamo ragione di credere che in essa sia stata prodotta la calcina per costruire molte delle case del villaggio Solvay. Le informazioni sull’intero complesso scaturiscono esclusivamente dal rilievo di campagna, eseguito con grandi difficoltà per la presenza di una folta vegetazione e dislivelli non indifferenti. L’impianto si componeva di ben cinque camere di cottura, di un piano inclinato su cui scorreva un carrello di carico del materiale cotto, di un piccolo edificio (ubicato nella parte più alta dell’intero complesso) all’interno del quale si trovava il motore per il sollevamento del carrello e una stanza con pareti inclinate (a forma di tramoggia) per la raccolta del materiale; questo, attraverso una bocchetta posizionata più in basso, veniva caricato su un mezzo di trasporto.

                                                       
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Fornace da calce di Col di Leccio
La fornace, che produceva calce idraulica, non risulta censita nei catasti antichi e neppure all’impianto del catasto moderno. Sulla cartografia corrente è riportato il toponimo “Fornace”, ma un sopralluogo sul posto non ha permesso una visita completa delle strutture superstiti in quanto coperte da una folta vegetazione. I resti delle murature e la presenza di un basamento in cemento armato lasciano supporre un’origine piuttosto recente, probabilmente di poco precedente all’ultima guerra. La fornace si trovava sotto alla cava di prestito del materiale, costituito da un banco di Calcari con Calpionella. Il suo abbandono, stando alle testimonianze raccolte in loco, sembra risalire ai primi anni Sessanta del Novecento quando alla gestione della manifattura vi erano Ervezio Donati ed il padre Jacopo, quest’ultimo proveniente dalla fornace delle Gore di Sotto a Castelnuovo della M.dia.
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                              Fornace da ceramica del Saracino
Ubicata ai piedi di Poggio Cuccoli (toponimo antico dell’odierno Poggetto), dove nel Medioevo sorgeva un castello (Montecuculi/Cuccaro è attestato nel 1038), si tratta dell’unica fornace medievale di cui abbiamo notizia nel Comune di Rosignano M.mo. La segnalazione è fornita da Franco Sammartino, che ebbe modo di imbattersi nei resti della fornace durante le ricerche sull’insediamento del Bronzo Antico di Casa Saracino. Si trattava di una manifattura nella quale veniva cotto vasellame acromo da fuoco e da mensa. Il sopralluogo, eseguito nel luglio 2006 (circa 20 anni dopo il ritrovamento) insieme allo scopritore, non ha dato risultati in quanto l’argine sul quale era addossata la fornace è stato livellato ed il sito molto probabilmente è oggi ricoperto di terra.

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                                Fornace da calce della Maestà

Salendo lungo via di Serra Grande alla volta di Rosignano Marittimo, nel punto in cui questa arteria si immette nella S.P. Traversa Livornese per Castelnuovo, sulla destra esisteva una fornace “da calce a due forni”, di piani 1 e vani 3, che il Catasto Fabbricati del 1876 censiva fra i beni di Meucci Ridolfo, proprietario anche di un’altra fornace “da mattoni” ai Polveroni. Le due manifatture nel 1880 passavano per successione agli eredi; due anni più tardi a Silvio andava la proprietà della fornace dei Polveroni e a Rodolfo (nipote di Ridolfo, essendo il padre Albano nel frattempo deceduto) quella della Maestà. Lo stato di cambiamento e la rappresentazione cartografica della fornace, che occupava un’area di quasi 300 mq (presumibilmente pari ad un rettangolo di m 15x20), risalgono al 1884. Quasi venti anni dopo (1902) ne veniva registrata la demolizione, con un rimborso d’imposta dal 27 giugno di quell’anno fino al 31 dicembre 1903. Il sopralluogo sul posto non ha rivelato tracce evidenti della preesistente fornace: nell’argine che si affaccia sulla strada provinciale si rinvengono resti di macerie di indubbia provenienza; nel campo, da tempo incolto e ricoperto di erba, affiorano in maniera sporadica grosse pietre calcaree mentre massi più grandi (probabile area di cava) sono accumulati sul bordo nord-ovest della collina.
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Fornace da mattoni di Colli-Acquabona
La fornace è censita nell’Estimo della Comunità di Rosignano (1795) fra i beni della Mensa Arcivescovile di Pisa, proprietaria all’epoca di molte case e vasti territori nella Comunità di Rosignano dato che oltre alla grande Tenuta di Vada, l’Arcivescovado di Pisa possedeva case nel borgo di Rosignano e terreni che da Colli-Acquabona si estendevano fino a Maccetti e Lecciaglia Bassa. Riteniamo che i laterizi prodotti nella fornace siano serviti per i fabbisogni locali dell’Arcivescovado, tra i quali la costruzione dell’edificio settecentesco del Poggetto (oggi  agriturismo), recante sulla porta d’ingresso lo stemma dell’Arcivescovo Franceschi di Pisa (Vedi). Ci sembra utile, ai fini della ricerca, riportare alcuni brani scritti dall’attuale proprietario dell’immobile, dr. Piero Santi:
Non ho dati precisi sulla sua costruzione, ma sono sicuro che è precedente al 1777. L’ho potuto desumere da alcune mezzane (mattoni di cm 14x28, di spessore cm 2,5 fatti a mano) che ho trovato datate così. La data è stata scritta a mano con un chiodo! Sono state certamente impastate nella fornace che esisteva sino a prima della guerra, vicino alla sede attuale del Consorzio Agrario, prima del Fiume Fine in direzione della località Maccetti. Poiché l’indagine di campagna, supportata dalla rappresentazione cartografica dell’opificio, ha permesso di individuare con precisione il luogo dove si trovava l’antico manufatto, è opportuno precisare che la fornace alla quale si riferisce lo scrittore non è questa, ma un’altra di epoca più recente (vedi fornace di Maccetti). La presente era ubicata circa trecento metri a nord del Poggetto, alla sommità di una dolce collina dove si rinvengono resti di laterizi e ceramica bruciata dal fuoco. Poco distante, un boschetto (ad est) ricopre quella che forse era l’area di cava dell’argilla, come proverebbe la maggior pendenza del terreno rispetto all’intorno. Nel catasto del 1823 la fornace non è più censita.
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                             Fornace da mattoni di Maccetti
Si trattava di una fornace di dimensioni contenute (circa 32 mq), che fu accatastata fra i beni di Cipollini Gaspero nel 1884 con una consistenza di piani 1 e vani 1. La sua ubicazione, prossima alla Via Emilia, la rendeva facilmente raggiungibile da tutte le direzioni. Passata per permuta tre anni più tardi a Fontana Gradulfo, nel 1897 la fornace era acquistata al pubblico incanto dal Conte Mastiani Francesco, che probabilmente se ne servì per fabbricare i laterizi necessari ai fabbisogni della tenuta (circa 550 ettari), che possedeva nel Comune di Rosignano Marittimo. Quando nel 1914 la famiglia Mastiani Brunacci cedette per fallimento ai fratelli Vestrini la vasta proprietà fondiaria, al suo interno si trovavano, oltre a questa, altre due fornaci. La manifattura dell’Acquabona fu probabilmente demolita durante l’ultima guerra o subito dopo; essa è ancora rappresentata nella mappa d’impianto del catasto moderno (1942). Ancora oggi, sulla destra dell’odierna strada che dal Consorzio Agrario conduce a Maccetti (un centinaio di metri prima del ponte sulla Fine), al bordo di un campo si rinvengono abbondanti resti di ceramica e pietre.

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 Fornace da calce di Rivignali
Il 3 novembre 1846 veniva concesso a Lorenzo Torna, fornaciaio già in attività fin dal 1839, “il permesso di poter edificare una fornace sull’andamento della strada della Giunca e precisamente presso Rivignali”. Dopo questa citazione non si hanno più notizie della fornace, neppure il Catasto Fabbricati del 1876 ne fa menzione. Tuttavia abbiamo ragione di credere che si tratti della stessa fornace, ubicata nei pressi de “La Croce” (sulla S.P, Traversa Livornese, di fronte al fabbricato di Rivignali), rimasta attiva fino agli anni Sessanta del secolo scorso. Alla sua gestione, nel secondo decennio del Novecento, vi fu un certo Potenti di Castelnuovo della Misericordia. Oggi al suo posto troviamo una casa per civile abitazione che niente conserva della pregressa attività produttiva. L’unica testimonianza è rappresentata dai resti di pietra cotta, visibili sull’argine della strada a fianco del fabbricato.  
Da "Antiche manifatture del territorio livornese" di M. Taddei, R. Branchetti, L. Cauti, R. Galoppini, scaricabile dal sito)

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