Castiglioncello ieri

1956 - L'ultima edizione della fiera del bestiame. Qui i fratelli Loriano e Loreno Falaschi con due delle loro vacche da esposizione.  (Arch. Ediz. Comiedit)

                    La fiera in pineta.   
1940 - Erano i tempi in cui l'avvenimento più importante dell'anno era la fiera che si svolgeva in pineta, la seconda domenica di agosto. Arrivava gente da tutte le parti dei dintorni a piedi e soprattutto in bicicletta con un fazzoletto sul sellino per non sporcare i pantaloni e le mollette per i panni a chiudere in fondo i calzoni perché non toccassero la catena e non si sporcassero. La piazzetta dietro la farmacia era un vero enorme parcheggio di biciclette. C'erano i giochi e i banchetti dei "duri di menta" e del croccante, c'erano i banchi dove si poteva comprare la fetta del cocomero per fermare la sete, c'erano i banchi di ogni mercanzia e i giovanotti compravano la pallina del Giappone, una pallina del diametro di 7-8 cm. fatta con spicchi di stoffa colorata e riempita di segatura e un lungo elastico attaccato. Tenendo l'elastico in mano veniva lanciata sui sederi delle giovani fanciulle accompagnando il gesto con la cantilena: "la pallina del Giappone che si tira nel groppone!". I bambini facevano gli occhi dolci ai palloni colorati riempiti di idrogeno e allo zucchero filato e il gerarca Teruzzi, elegantissimo, sfilava per la pineta con gli ascari e uno stuolo di bellissime donne a cui comprava la bigiotteria più varia che si trovava sugli appositi banchetti. Si leggeva Cino e Franco e l'Avventuroso e al cinema, a piedi, si poteva andare soltanto alla Solvay. I ragazzi avevano le loro attrici preferite e le discussioni sulle loro procaci bellezze occupavano tutto il tempo del viaggio. Del resto era il solo modo di vederle giacché non c'erano tutte le riviste che ci sono ora.
(Da: "Dar tempo dell'etruschi ar tempo de' caini" di Castaldi-Lami-Marianelli, scaricabile dalla sezione Scaricolibri del sito)
                             La fiera di Sant'Antonino

1955 - Il prossimo 8 agosto avremo l'annuale giornata di fiera. Già ce ne siamo accorti noi di Castiglioncello e specie l'avvicinarsi di questo retaggio medievale è stato segnalato dai bagnanti e dai villeggianti in quanto, con disappunto generale ed unanime (e vorremmo che il sindaco con i componenti  della giunta comprendessero il significato di questi due aggettivi)in quanto dagli ultimi di luglio la pineta non è più accessibile ai numerosi ragazzi che vi giocano liberamente ed a quanti cercavano un posticino ombroso e tranquillo. Oltre venti baracconi in prevalenza piste per automobiline e tiri a segno hanno invaso per molte e molte centinaia di metri quadrati quella porzione di pineta che ancora rimaneva libera da manomissioni ed hanno al seguito una lunga teoria di carrozzoni, carri attrezzi, bagagli ecc. Si calcola che vi siano oltre 200 persone e che i mezzi igienici di cui dispone la pineta per tale numero di persone sia molto deficiente per la mancanza di servizi adeguati. L'anno scorso su queste stesse colonne fu vivamente deprecato che proprio la pineta, che per i castiglioncellessi, ha oltre tutto un valore altamente morale e sentimentale, fosse lasciata per quindici, venti giorni in balia ai carrozzoni, agli strilloni, agli imbonitori. Sembrava che su questo fossimo tutti d'accordo: Azienda Autonoma, popolazione, stampa, poi come sempre succede, tutto è accaduto nel silenzio ed oggi ne troviamo in pineta un numero maggiore forse raddoppiato. Tutto questo dimostra come l'amministrazione comunale e non ci maraviglia, persegua nel suo spirito antituristico nei riguardi di Castiglioncello, spirito antituristico da noi più volte rimarcato, anche a proposito della conferenza stampa tenuta a fine d'anno dal sindaco. E' bene che il sindaco e di componenti della giunta sappiano e si persuadano che la tanto lamentata occupazione della pineta non è il parto di un giornalista piantagrane desideroso di polemizzare, ma è l'espressione più genuina e spontanea di tutto Castiglioncello a cominciare dagli alberghi che raccolgono le voci dei loro ospiti, dei commercianti e degli esercenti, specie di luoghi di divertimento che si vedono lesi nei loro interessi, della popolazione stessa e ripetiamo ha per la sua pineta e già lo ebbe a dimostrare in altri tempi, un culto tutto speciale. Noi vorremmo che di ciò se ne facessero interpreti i consiglieri comunali di Castiglioncello e tenessero viva, anzi agitassero la questione fin da oggi, con interpellanze al sindaco, con pressioni presso gli uffici competenti, affinché prima della nuova estate 1956 la questione degli ambulanti e dei girovaghi sia risolta e ne venga regolato e distribuito l'afflusso nel comune di Rosingnano M.mo.  Nulla chiediamo per ora all'Azienda Autonoma, la prima interessata sull'argomento. Ci ripromettiamo però di prospettare la questione al nuovo consiglio di amministrazione di cui auspichiamo l'evento più presto possibile.
(Luigi Pancaldi La Nazione 3 agosto 1955)
                                                             
La fiera di Sant'Antonino
1956 - Quest'anno (ma pare sarà l'ultima edizione causa troppi rumori estivi) l'annuale fiera di Sant'Antonino cade nel secondo lunedì del mese. Coincide quasi con Ferragosto quando Castiglioncello è pieno come il classico uovo ed in verità l'afflusso dei bagnanti che in questo periodo è sempre ingente, quest'anno si è avuto in anticipo di qualche giorno così che il tutto esaurito è cosa fatta e riesce difficilissimo se non è impossibile trovare una camera, ma anche un letto dove trascorre la notte. Buone prospettive per tutti, ma specialmente degli innumerevoli banchetti dei venditori che in occasione della fiera in doppia fila occupano il lungo viale della pineta. Come in tutte le fiere, sui banchetti si trovano in vendita le cose più disparate, più eterogenee, ma soprattutto abbondano torroni, zucchero filato, mandorlato, non parliamo poi dei brigidini che vengono offerti "gratis" per assaggio. Dai centri vicini le corriere porteranno alla fiera masse compatte di visitatori e dopo aver fatto qualche acquisto ricordo, dopo essersi ben rimpinzate di leccornie vorranno provare le molte emozioni che offre il Luna Park che, paradiso dei piccoli e inferno dei grandi, occupa per una quindicina di giorni, buona parte della pineta in completa antitesi con la "Zona del Silenzio" promessa da grandi cartelli all'ingresso di viale Marconi, ma tant'è "Semet in anno licet insanire"
(Il Tirreno 12/8/1956)
                                     Finisce la fiera

Un’estate alla metà degli anni ‘50 passò tutto agosto senza che avessimo visto arrivare la fiera, ma qui a Castiglioncello la fiera non l’avremmo più vista. Ancora oggi qualcuno sostiene che la fiera faceva troppo rumore e per questo smisero di farla; ma non regge, perché anni dopo la pineta ospitò il luna-park. E’ vero, peraltro, che, eccetto qualche bimbo, nessuno se ne risentì; tanto che oggi non si trova a Castiglioncello chi ricordi con precisione quella data. Gli unici che ne hanno una memoria concorde e più motivatamente attendibile, poiché vi erano direttamente interessati, sono Gino Bindi, allora uomo di fiducia alla fattoria “Le Spianate” e Alessandro Falaschi, Sandrino, in quegli anni mezzadro nel podere dov’è oggi il residence “Fattoria nel parco”. Con lui testimoniano i figli Loriano e Loreno. In occasione della fiera, infatti, veniva allestita una mostra di vacche e tutti gli operatori agricoli del paese vi conducevano i loro migliori esemplari a cui, per abbellimento, veniva avvolta la coda con un vistoso fiocco rosso ed incorniciato il muso con pendagli scacciamosche di stoffa variopinta appesi alle corna, in sostituzione degli straccetti usuali. La data dell’ultima fiera che indicano Gino Bindi e i Falaschi, pur senza garantirne la certezza, è il 1955. Gli animali venivano esposti nello spazio fra la strada che dall’Aurelia giunge al viale della pineta Marradi e il recinto del campo di calcio. Lungo il viale dei pini, i banchetti. E in prossimità della vasca, solitamente, c’era l’attrazione del cantastorie, con i pannelli su cui erano raffigurati i passi salienti del racconto con cui l’artista girovago incantava i passanti. La sua voce si confondeva con quella che proveniva dall’alto di un palco lì vicino dove due venditori di torroni ne proponevano confezioni di differenti varietà: uno preparava i pacchi e l’altro li reclamizzava indossando un’enorme maschera di Totò, larga quanto le sue spalle. Ragazzi e giovanotti facevano scorrerie nella pineta a scovar bimbe e ragazze da colpire a sorpresa con una palletta a spicchi colorati riempita di segatura e trattenuta da un elastico: era per tutti la “pallina del Giappone che si picchia nel groppone”, secondo un’espressione che circolava allora; si lancia, colpisce e ritorna. Finita la fiera, la sera, tornavano a transitare in quello stesso viale che le aveva fatto da cornice, sporadiche comitive di ragazze e ragazzi che ogni tanto facevano largo al passaggio di macchinoni vistosi senza cappotta, quelli dei film americani, quasi sempre diretti al dancing “La lucciola”, dai quali scendevano belle donne in abito lungo ed uomini in blu. Quello stesso anno, a marzo, era uscita la Fiat 600 a 590 mila lire: quasi sei mesi dello stipendio di un impiegato. Ma in paese non se ne vedevano molte. Più facile vedere mezzi per lavorare la terra. Alla fattoria “Spianate” disponevano di un trattore Fiat affidato in uso a Gino Bindi. L’anno dopo Alessandro Falaschi userà un trattore Landini ‘a testa calda’, monocilindrico: per metterlo in moto bisognava prima scaldargli la testata, con un fuoco a legna, in genere una fascina o arbusti raccolti in un secchio; una volta in moto conveniva tenerlo acceso tutto il giorno. Dal mare alle colline più prossime, il territorio è disseminato di poderi; dodici alla sola fattoria delle Spianate, quattro dei quali con doppi alloggi di grandi dimensioni, denominati Spianate 1, 2, 3 e 4: sono quelli che si vedono sul crinale a sinistra imboccando la rampa per la variante Aurelia. Poco più a monte, dietro questi, l’abitazione del podere denominato “Casina” dove abitava la famiglia Mercati, persone di cordiale ospitalità: restano mitici i primi maggio dal Mercati. “Nessuno di questi poderi disponeva della conduttura dell’acqua per l’uso domestico - ricorda Gino Bindi - le famiglie fruivano di una conduttura che attingeva ad una sorgente del poggio Pelato. E il terreno, già poco fertile, non poteva essere irrigato. L’unico pozzo della fattoria era al podere Campofreno, nei pressi del fabbricato che oggi accoglie il ristorante “Le Spianate”. Per questo motivo - riferisce ancora Gino Bindi - verso la metà degli anni ‘50, il proprietario Ernst Goldschmidt decise di far costruire una diga sul fosso Piastraia per ottenere un laghetto a cui potessero attingere i poderi nelle vicinanze, ma la produzione restò comunque insoddisfacente, se non quando deficitaria”. Più fertili si riscontravano altri appezzamenti nella zona verso Portovecchio e Caletta. Fino al ‘65 nella zona di Poggio Allegro, inoltre, fu attivo un frantoio, di proprietà della Società Karma titolare della quale era la famiglia Magrini. Alla metà degli anni ‘50, comunque, i poderi erano quasi tutti abitati, tanto che pochi anni dopo furono costruite nella zona collinare alcune sedi distaccate della scuola elementare. Un ambiente rurale, che aveva le sue propaggini fino in prossimità della scogliera con la quale confinava il podere gestito dalla famiglia Falaschi. Ricordano oggi i figli Loriano e Loreno col babbo Alessandro: “A quei tempi avevamo le coltivazioni anche nel terreno dove ora c’è il cinema. Si portava l’uva da tavola a vendere a Livorno, col barroccino e per superare il Romito si doveva noleggiare un altro cavallo da mettere a trapelo, cioè in aiuto al nostro”. I ricordi si affollano e tra i più vividi, come quello del pescatore che a volte passava con la corba dei muggini o il secchio dei polpi e allora facevano scambio con uova o prosciutto. Per gli affitti estivi si usava ancora la formula “camera e cucina a mezzo”, ovvero i bagnanti dormivano nella camera dei proprietari o inquilini, i quali, con qualche branda, si adattavano a dormire in cucina o in garage, (ma poteva accadere anche il contrario); e per i pasti, tutti a tavola insieme, con la radio accesa; ad una notizia più importante delle altre i capifamiglia si alzavano e andavano a sentire da vicino. Poteva capitare che l’ospite locale una sera andasse a “frega”, cioè la pesca notturna con la fiocina lungo la scogliera: la mattina la casa odorava di pesce: scorfani e polpi prevalevano; quel giorno era cacciucco per tutti. D’inverno qualcuno andava nel bosco munito di una balla e una zappetta a scavare i ciocchi alle radici delle piante di stipa; ardono a lungo e questo “far ciocchetti” costituiva un piccolo, gradito risparmio. Per fare una piccola scorta di ciocchi bastava salire su in “pineta alta”, cioè a monte del castello Pasquini. In questa pineta, su alcuni pini più alti c’erano i capanni di postazione per sparare ai colombi di passo. Non di rado, fra i cespugli si potevano rinvenire proiettili o bombe a mano o altri residuati inesplosi dei passaggio del fronte. Manifesti monitori affissi ai muri di paese avvertivano del pericolo indicando di rivolgersi, in questi casi, alle autorità preposte, nonché le modalità di primo allertamento. La guerra era finita dieci anni prima. Ora la gente vuole in fretta il futuro che l’attualità sta caricando di promesse e nel quale confida. E ad esso si vuoi disporre serenamente.
(Estratto da: "Fine della fiera" di Claudio Castaldi pubblicato su Alando n°1 giugno 2008 a cura delle Ediz. Comiedit)

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