Castelnuovo ieri/fornaci  
Fornace da calce dei Potenti. Resti anno 2000. Fornace da calce dei Potenti sulla particella 120. Catasto 1822. La fornace del Campaccio presso Campo Orlando. Resti della struttura nel 2004. Fornace delle Gore, ampliata ad abitazione. Fornace della fattoria di Paltratico. Fornace di Pietro Pardini. Plantario dell'Estimo di Castelnuovo 1975.
 
Le fornaci nell'abitato di Castelnuovo e dintorni

LE FORNACI da mattoni

Nell’area di Castelnuovo della Misericordia si conoscono fornaci sia nell’abitato sia in aperta campagna. Le prime erano generalmente “da calce”, per il facile approvvigionamento di rocce calcaree disponibili sul posto. Vecchie cave di prestito di “sasso da calce” sono individuabili sul Poggio Terra Rossa, alle Gore ed a Casa Le Serre, dove l’estrazione della pietra (Flysch calcareo marnoso di Poggio San Quirico) ha portato alla formazione di un piccolo laghetto. Cave minori potevano essere aperte dove affioravano i “Calcari di Castelnuovo”, ovvero in quella fascia di territorio, lunga e stretta, che dal Debbio di Cesarotto arriva a Cafaggio, passando per Castelvecchio e Castelnuovo.

Le seconde, “da mattoni”, si trovavano nelle colline che da Castelnuovo della Misericordia degradano verso est in direzione del Fiume Fine, dove affiorano le “Marne e marne argillose" del Miocene superiore e le Argille azzurre del Pliocene inferiore. La localizzazione delle fornaci rispondeva all'esigenza di contenere i costi di trasporto sia dei prodotti finiti sia delle materie prime. Per questa ragione si preferiva costruirle vicino ai manufatti da realizzare, in prossimità di strade carrabili e, soprattutto, dove c'era disponibilità di legname, acqua, argilla (per i mattoni) e pietra calcarea (per la calce). Le fornaci riportate sui plantari del 1795 e quelle registrate nel Catasto del 1823 sono tutte scomparse; restano testimonianze di  fornaci presenti all'impianto del Catasto Fabbricati (1876), tra le quali: a Castelnuovo della Misericordia quella "da calce" di Potenti Stanislao e quella a mattoni ("Fornace a due forni") di Cuneo Aleandro, ai Polveroni di Vada (Vedi Vada oggi/Fornaci). (Da "Segni storici del paesaggio rurale" di Roberto Branchetti)

                              Fornaci da mattoni dei Batini 

I Batini compaiono sulla scena economica di Castelnuovo della Misericordia come imprenditori “mugnai” a partire dalla fine del secolo XVIII, quando risultano proprietari di un mulino a tre palmenti sulla Sanguigna e di una fornace da mattoni al Riascio. Un’altra fornace dello stesso tipo, da loro posseduta negli anni quaranta dell’Ottocento, era situata in località Cioccaja, nei pressi della Via Emilia.

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La fornace del Riascio  

La prima citazione di questa fornace compare nell’Estimo di Castelnuovo della Misericordia del 1795, quando viene registrata fra i beni che componevano il Podere di Riascio. Il catasto del 1823 ne individua l’ubicazione (un centinaio di metri a ovest della casa poderale) e ne fornisce le dimensioni (circa 25 mq). L’indagine di campagna non ha rivelato tracce dell’opificio poiché l’area di pertinenza del fabbricato poderale si è notevolmente ampliata ed altre strutture agricole si sono sovrapposte al sito di fornace.

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La fornace del Chiappino 

La fornace non è rappresentata nelle mappe del Catasto Toscano (1823) e neppure nei successivi aggiornamenti cartografici, pertanto la sua individuazione territoriale risulta difficile. L’opificio è citato nell’aggiornamento catastale del 1842/44 (Sez. B, particella 573) fra i beni di Batini Pietro e risultava essere stato attivo fino al 1839.

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Fornace da mattoni del Piastraio  

Lungo la salita che dalla Via Emilia porta a Castelnuovo della Misericordia (S.P. del Chiappino), poco oltre Casa Piastraio, si trovava una fornace da mattoni che le registrazioni catastali del 1884 attribuivano a Quagherini Benedetto, livellare della Pia Casa di Misericordia di Pisa. Nel 1891 l’opificio, censito in “luogo detto Le Piastraie Via di Castel Nuovo”, passava per successione al figlio Olinto e dopo un ventennio di attività veniva demolito (1910). La recente indagine di campagna, agevolata da una precisa rappresentazione cartografica dell’opificio, ha individuato un’abbondante presenza di frammenti di laterizi sparsi nel campo (oggi coltivato a seminativo) dove sorgeva il manufatto.

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Fornace da mattoni al Fontaccio  

L’Estimo di Castelnuovo della Misericordia del 1795 riporta una fornace da mattoni “rovinata” in località “Il Fontaccio”, probabilmente la stessa menzionata nei documenti estimali del 1578 e del 1622. Si tratterebbe, in tal caso, di una delle più antiche fornaci da laterizi di cui abbiamo notizia in Castelnuovo della Misericordia, forse quella che servì alla fabbricazione dei mattoni necessari al restauro del Castello (1566), come ricordato da una lapide posta sopra la porta d’accesso. In merito alla ricerca del luogo di ubicazione dell’opificio c’è da rilevare che il plantario allegato all’estimo suddetto è mancante proprio della tavola (l’unica andata perduta) dove era situata la fornace. Per certo sappiamo che la fornace era posta “alle pendici del Castello” (ad est del medesimo), non distante da un botrello (del Fontaccio). Il sopralluogo di campagna ha portato all’individuazione, nel campo adiacente al fosso (affluente in destra del Botro San Giorgio) che scorre ai piedi del castello, di un gran numero di pietre lavorate e materiale ceramico, tra cui alcuni mattoni “mal cotti”. Il ritrovamento, supportato dalle indicazioni contenute nei documenti di archivio, lascia supporre con buona probabilità che si tratti del sito ricercato.

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Fornace da calce dei Potenti  

A breve distanza dal fabbricato delle Case Nuove nella seconda metà dell’Ottocento fu costruita una fornace da calce che si affacciava sulla strada comunitativa per Rosignano. Censito nel Catasto Fabbricati del 1876 fra le proprietà di Stanislao Potenti con una consistenza di piani 1 e vani 1. L’opificio veniva accatastato due anni più tardi con una consistenza ed una rendita superiore rispetto alla precedente registrazione. Nel 1914, quando i figli di Stanislao ne dichiararono l’avvenuta “demolizione”, il suo reddito imponibile risultava lo stesso del 1890. L’impianto, di cui rimangono evidenti testimonianze, si avvaleva della pietra calcarea estratta da una cava aperta sui fianco meridionale del Poggio Terra Rossa. Il sito di cava, ancora oggi visibile, era servito da una strada selciata tuttora esistente (Strada vicinale delle Serre).
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Fornaci da calce ai Pianottoli

In località Pianottoli della Chiesa (oggi Via delle Case Nuove), nel 1785 la Pia Casa della Misericordia di Pisa costruiva un lungo fabbricato (ancora esistente) suddiviso in cinque case con ingresso indipendente. In esso, stando alle risultanze catastali del 1823-32, si trovavano anche due piccole fornaci, di cui non è specificato il tipo (si presume da calce), intestate rispettivamente a Balzini Cosimo e Magnozzi Marco. La loro vita produttiva deve essere stata relativamente breve, infatti, dopo questo riferimento non si hanno più notizie dei due impianti.

(Da "Antiche manifatture del territorio livornese" di Taddei-Branchetti-Cauli-Galoppini, scaricabile dal sito)
                      LE FORNACI da calce alle Gore di Sotto

Erano costituite da edifici in muratura o più semplicemente da buche scavate direttamente nel terreno (fornaci a volo). Vi si potevano cuocere laterizi e calcina. La camera di combustione poteva essere quadrata o circolare, sempre con pareti di grosso spessore per evitare la dispersione del calore una volta prodotto. Frontalmente era presente una apertura per l'introduzione del combustibile (sempre legna reperibile in zona) e per lo scarico del materiale cotto. La carica della pietra calcarea da cuocere avveniva dall'alto attraverso una apertura che era anche il camino di uscita dei fumi di combustione. La cottura sempre tenuta sotto controllo, durava 3-4 giorni con un consumo di legna di 3,5-4 q.li per tonnellata di calce prodotta. Dalla fine del '700 ai primi decenni del '900 si assiste ad un notevole sviluppo dell'edilizia rurale, resa possibile dalla presenza di fornaci a carattere artigianale, spesso costruite nelle vicinanze del fabbricato da erigere. Nei disegni a destra sono visibili alcuni esempi di fornace sempre ridossate ad un terreno rialzato per favorire il caricamento dall'alto.
L’attività estrattiva nelle cave e la produzione di mattoni e calcina nelle fornaci sembra così essere stata assai notevole nel Piano di Livorno e nei Monti del Capitanato vecchio. Senza dubbio dovette rappresentare la maggiore attività industriale presente al di fuori della città di Livorno fino a tutto il secolo XVIII. (Da "Segni storici del paesaggio rurale" di Roberto Branchetti)
Sulle prime colline ad est di Castelnuovo della M.dia, lungo la strada per Nibbiaia, tra il XVIII e la prima metà del XX secolo, sono esistite varie fornaci da calcina che traevano la materia prima (sasso da calce) dagli abbondanti giacimenti presenti nella zona. 

Fornace del Campaccio 

Lasciato Castelnuovo della Misericordia, sulla sinistra della strada che porta a Nibbiaia (S.P. del Vaiolo, prima del campo di calcio, si scorge un vecchio muro in pietra con una bocca da fuoco (l’altra risulta crollata), che è quanto resta di una calcara a due buche di cui si ignorano le origini ed il proprietario dell’epoca. Nessuna persona del posto è stata in grado di fornire notizie sull’opificio; questo confermerebbe un abbandono dell’attività produttiva risalente almeno ai primi decenni del secolo scorso.

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Fornace di Pietro Pardini 

La prima citazione di una “fornace da calcina” alle Gore di Sotto risale al 1795, anno in cui viene registrata a nome di Pietro Pardini nell’Estimo di Castelnuovo della Misericordia e rappresentata nel relativo piantano. Si presume che la calce prodotta possa essere servita per l’ampliamento del paese, in particolare per la costruzione di cinque grandi fabbricati (comprendenti un totale di diciannove case) avvenuta fra il 1785 ed il 1793. I fabbricati erano suddivisi in cinque gruppi: il primo gruppo, ai “Pianottoli”, era composto di cinque case; il secondo, terzo e quarto gruppo, ciascuno formato da tre case, erano ubicati al Campaccio; il quinto gruppo, formato da cinque case, era localizzato alle Capannacce.  Nel Catasto Toscano del 1823-32 l’impianto non è più menzionato. L’ubicazione della fornace può essere individuata dove oggi si trova il primo fabbricato sulla destra subito dopo il campo di calcio. Poco distante da questa manifattura alla fine dell’Ottocento sarebbe stata costruita la fornace dei Chiellini.

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Fornace dei Chiellini, poi Malenchini  

Una fornace da calcina è censita per la prima volta nel Catasto Fabbricati del 1876 fra le proprietà di Raffaello Chiellini, con una consistenza di piani 1 e vani1. Individuata territorialmente sul lato sinistro della strada che da Castelnuovo va a Nibbiaia, quasi di fronte a quella settecentesca di Pietro Pardini, nel 1884 la fornace fu ereditata dai figli di Raffaello, Francesco e Giuseppe. Nei primi anni del Novecento, divenuti i Malenchini i nuovi proprietari, la piccola fornace veniva abbandonata e ricostruita più grande e moderna sul lato opposto della strada, dove è ancora possibile scorgerla (con difficoltà) addossata all’argine destro della carreggiata. Dell’impianto originario è riconoscibile una parte della struttura in cemento armato mentre il piccolo edificio ad uso delle maestranze è stato trasformato in abitazione. Queste le registrazioni dei successivi passaggi di proprietà:

1888 - Chiellini Giuseppe fu Raffaello.

1891 - Chiellini Paolina nei Malenchini, Carlotta fu Raffaello nei Chiellini.

1896 - Chiellini Paolina fu Raffaello nei Malenchini.

Nel 1908 una relazione relativa ad un progetto per la costituzione di una Società Anonima finalizzata alla produzione di calce idraulica riporta la seguente descrizione:

I vasti giacimenti di calcare che si tratterebbe di cedere alla costituenda società si trovano nella località detta “LA GORA” a poca distanza da Castelnuovo della Misericordia e servono ora per l’alimentazione di due fornaci da calce idraulica, capaci di un prodotto giornaliero di 20 tonnellate, ma potranno servire senza incorrere in forte sfruttamento anco per altri forni a fuoco continuo prodotto dall’antracite minuta.

Il progetto prevedeva l’acquisto dei terreni e dei forni (che risultavano già costruiti), di proprietà Malenchini.

1909 - Donazione a favore di Malenchini Raffaello di Dino.

1912 - Biundel Gahan Santiago fu Giovanni.

1915 (3 agosto) - Viene accatastata la nuova “fornace da calce a fuoco continuo con annesso capannone”. Il numero della particella rimane lo stesso, ma la consistenza catastale aumenta da 1 a 3 vani, così come il reddito accertato che passa da £ 33,34 a £ 400. Dal confronto fra le mappe dei catasti antico e moderno risulta che la nuova fornace fu realizzata sul lato destro della strada per Nibbiaia.

1919 - Di Cola Nazzareno di Francesco ed altri. La fornace da ora in poi è descritta “da laterizi a fuoco continuo con annesso capannone”, ma certamente si tratta di un errore; infatti, testimonianze orali di persone del posto confermano che la fornace produceva calce e smise di funzionare negli anni Cinquanta. Una ulteriore prova è fornita dall’atto costitutivo, redatto in data 17 aprile 1951, della “Società Produzione Calce” con sede in Castelnuovo della Misericordia, avente per oggetto l’escavazione di pietra e cottura di calce. La durata della società era prevista fino al 1953 e fra i quattro soci compariva Donati Jacopo, già proprietario dal 1935 al 1946 della fornace.

1921 - Maneschi Marino fu Giovacchino, Elliot Giovanna.

1935 - Donati Jacopo fu Amaddio, che la gestiva in proprio.

1946 - Franchi Orlando fu Biagio.

Nella cava di prestito del sasso da calce, ubicata in località Le Serre, si estraeva il “Flysch calcareo-marnoso di Poggio S. Quirico”. Il materiale lapideo era trasportato con barrocci (in seguito con camion) lungo una vecchia strada acciottolata che dalla sommità del crinale scendeva verso Castelnuovo della M.dia. La strada, ancora esistente, oggi è inserita nella rete escursionistica provinciale (Percorso n° 11 Trekking Costa degli Etruschi) e nella cava (a fossa) si è formato un laghetto alimentato da una vena d’acqua affiorante.

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Fornace da calce di Diego Martelli  

Nei pressi di un guado dove l’antica “Via della Fonte al Leccio”, oggi nascosta e dimenticata nel folto della boscaglia, superava l’omonimo botro (il sito è individuabile a sud delle “Case Debbi”), fu costruita nei primi anni Ottanta dell’Ottocento una piccola fornace da calcina di circa 36 mq, che venne accatastata (1884) con una consistenza di piani 1 e vani 1. Si trovava all’interno della vasta tenuta (di oltre 800 ettari) che Diego Martelli possedeva sulle colline poste fra Castiglioncello e Castelnuovo della Misericordia e che vide, ospiti graditi, numerosi pittori macchiaioli. E' probabile che in questa fornace sia stata cotta la calce necessaria alla costruzione di alcuni dei dieci fabbricati colonici (più i relativi annessi) che si contavano nei 14 poderi della tenuta. Tutta la proprietà, fornace compresa, nel 1889 passava al barone Fausto Patrone, costruttore alla fine dell’Ottocento della residenza privata a forma di castello che domina la baia di Castiglioncello (l’odierno “Castello Pasquini”), e da questi (1912) al Tenente Attilio Gotti. Secondo le risultanze catastali dell’epoca la vita produttiva della fornace fu abbastanza breve, essa infatti era riportata già “in rovina” nel 1892. Al sopralluogo (in area boschiva) non sono state rilevate tracce della struttura, ma solo grandi massi di pietra calcarea forse accumulati in vista di un loro utilizzo nel processo di cottura. 

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Fornace da mattoni di Paltratico  

Una piccola fornace (circa 25 mq), oggi completamente scomparsa, era censita nel catasto del 1823 fra le proprietà di Lobin Francesco. Nel luogo dove le mappe dell’epoca riportano l’opificio, oggi vi è un campo coltivato e sul terreno si rinvengono resti di mattoni. La presenza della fornace è certamente da associare alla costituzione della fattoria di Paltratico avvenuta a cavallo fra il XVIII ed il XIX secolo per opera di Ranieri e Matteo Martelli, componenti di una ricca famiglia livornese. Costoro, fin dal 1777, avevano preso a livello dalla Pia Casa della Misericordia il podere di Paltratico, ampliandolo fino a trasformarlo in tenuta (circa 240 ettari) e costruendovi (1795-1800) una villa padronale. L’opera di valorizzazione della fattoria fu proseguita per tutto l’Ottocento dalla famiglia Lobin e vide l’edificazione di nuove case su podere, l’ampliamento della villa, la costruzione di un piccolo acquedotto rurale ancora esistente che dal vicino Monte Carvoli portava l’acqua in fattoria. E’ ragionevole supporre che il fabbisogno di laterizi per realizzare queste opere sia stato soddisfatto proprio dalle fornace in questione. Nel 1870, quando i Lobin estinsero il livello gravante su Paltratico, il piccolo opificio era ancora elencato fra i beni della fattoria riportati nell’atto di affrancazione, mentre una ventina di anni più tardi risultava distrutto e quindi tolto dall’estimo.  (Da "Antiche manifatture del territorio livornese" di Taddei-Branchetti-Cauli-Galoppini, scaricabile dal sito)

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