Il Cantiere
Navale Luciano Gavazzi, sulla cresta dell'onda da oltre 40 anni, è
abilitato alla costruzione di imbarcazioni fino a 150 tonnellate.
Il titolare Luciano, Maestro d'ascia, iscritto al n° 25 del Registro
della Marina Mercantile Italiana presso il compartimento di Livorno, si
è fatto conoscere ed apprezzare sopratutto per le sue capacità
costruttive.
Abile nella lavorazione del legno e della vetroresina, ha costruito
scafi famosi come lo Snipe, il Finn, il Rivetto e l'Optimist.
Dal 1963, il cantiere è riconosciuto idoneo alla costruzione della
famosa imbarcazione a vela "VAURIEN", della quale ha ottenuto
l'esclusiva per l'Italia sia per la produzione che per la distribuzione
commerciale.
Se è vero che il successo sta anche nei numeri, 1530 Vaurien prodotti ad
oggi, e 3 i titoli Mondiali vinti, lo dimostrano.
Da metà anni 80, la produzione del Cantiere si è arricchita di scafi
importanti come il Nostromo 25 ed il Nostromo 21, pilotine di successo,
ormai famose in tutta Europa, sopratutto per la qualità costruttiva, le
doti marine e l'affidabilità. (Dal sito:
www.gavazziluciano.com)
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Le barche dei campioni del mondo
Dai Vaurien alle pilotine: sessant’anni vissuti sulle ali del vento e
delle onde.
Da quando ha cominciato
a lavorare su “Usodimare II” è ringiovanito. «E’ come se avesse quarant’anni
di meno» dicono gli amici di una vita, quelli che ogni giorno vanno a
trovarlo nel suo cantiere sulla vecchia Aurelia, a metà strada fra Rosignano
Solvay e Vada, alle spalle delle Spiagge Bianche. Lui, Luciano Gavazzi, non
si ferma un attimo: ha 81 anni, ma lo spirito è quello di un ragazzo. Gli
occhi sono come spilli: vivaci e attenti. Non dimentica nulla, ricorda una
per una le barche che ha costruito e in mezzo agli strumenti del mestiere -
maestro d’ascia da quasi sessant’anni - mette insieme uno dietro l’altro i
flash di un lavoro che l’accompagna da quando era poco più che adolescente.
C’è odore di mare, quello che arriva dalla spiaggia distante in linea d’aria
meno di trecento metri, sotto la volta del capannone addossato ad una
vecchia casa colonica. Ci sono poi gli odori del legno e della vetroresina
che si mescolano a quelli delle vernici. Sulle selle ci sono alcune pilotine
(la serie “Nostromo” 21 e 25 è uno dei fiori all’occhiello del cantiere) e i
banchi da falegname sono carichi di attrezzi. Si fa lo slalom fra i piccoli
cabinati, si sale una scala in ferro che porta al primo piano del capannone
e si schiude quello che è da sempre il vero mondo di Luciano, quello delle
barche a vela. «Telefafà è del 1966. Ha sempre lo scafo bianco, come allora,
sul quale c’è scritto “campione del mondo”. «Sono passati 46 anni, ma è come
fosse ieri quando i miei nipoti Fabio e Fabrizio, nelle acque di Orbetello,
diventarono campioni del mondo di classe Vaurien. Quella barca l’ho fatta
io, come altre centinaia». E’ proprio la vela la “passionaccia” di Gavazzi
che dei Vaurien, in Italia, è stato il primo costruttore, ed è uno dei più
longevi in Europa. Questa deriva ha ormai sessant’anni: la disegnò il
francese Jean Jacques Herbulot nel 1952, ma è ancora una “ragazzina”.
Proprio in questi giorni le regate dei Vaurien sono protagoniste al Trofeo
velico Accademia navale e Città di Livorno, dove in tutto sono presenti 14
classi. E lui, Luciano, dopo aver insegnato al nipote Marco Faccenda di
Castiglioncello (pluricampione del mondo di questa classe) a costruirle,
continua a farle con la stessa dedizione che lo accompagna da quando
all’inizio degli anni sessanta Monsieur Herbulot gli concesse la possibilità
di produrle. «Certo che uso la vetroresina, ma il legno è un’altra cosa,
tutto un altro fascino». Apre un album di fotografie in bianco e nero e
comincia a raccontare: «Non avevo ancora vent’anni quando feci la domanda al
Cantiere di Donoratico, quello dei conti della Gherardesca, che allora
costruiva barche da canottaggio, da regata, piccoli cabinati. Feci la prova
di lavoro e mi presero: mi fecero subito lavorare sei pattini in legno. Nel
mezzo, si era all’inizio anni Cinquanta, ci fu il militare in artiglieria.
Una volta congedato tornai al cantiere per circa un anno. Ma c’era crisi, si
lavorava una settimana sì e una no. Così decisi di mettermi in proprio». Da
Donoratico a Castiglioncello, in un fondo sull’Aurelia a Portovecchio. Nel
frattempo Luciano aveva studiato e scoperto tutti i segreti delle barche:
l’obiettivo era diventare maestro d’ascia. Cosa che avvenne regolarmente. I
gozzi, allora, erano gli scafi più richiesti, non solo dai pescatori, ma
anche da chi poteva permettersi la barca per diporto. E poi c’era la vela:
«Ho sempre avuto questa passione. Ai tempi che lavoravo a Donoratico, appena
arrivavo a casa, andavo a vedere le barche a vela ai Canottieri Solvay di
Rosignano. Guardavo e imparavo: non ho avuto un maestro vero e proprio.
Uscivo in barca con gli amici Onis e Stevan Bigazzi, ne
avevano una di cinque metri e mi portavano con loro. Nel frattempo costruii
una classe Snipe. Si chiamava “Miss K” e fu seconda ai Mondiali in America.
Poi presi a fare i Vaurien e a salirci come prodiere. Feci anche un
campionato in Olanda: partimmo io e il timoniere Paolo Miniati. Da Rosignano
all’Olanda con un Maggiolino Volkswagen e la barca sul tetto». Sfoglia
l’album dei ricordi ed ecco un giovane Paolo Panelli insieme a
un’altrettanto giovane Bice Valori con in braccio Alessandra, la figlia
della coppia più comica della tv anni ’60. E’ così che entra in scena “Usodimare
II”, sì proprio la barca che ha ringiovanito Luciano. «La
costruii per Panelli nel 1960: dopo 52 anni gli ho ridato la vita» dice. E
quasi si commuove. «La varammo al Circolo Nautico di Castiglioncello.
“Usodimare II” la feci tutta in legno di cedro, lunga 10 metri, 5 posti
letto, bagnetto e cucinino, ci vollero otto mesi per finirla.
Don Mario la benedì e Bice Valori fu la madrina con la bottiglia di
spumante. Era la fine degli anni settanta quando Panelli decise di venderla:
la comprò la Cidonio, una società che faceva lavori marittimi e che la usò nei
cantieri da Genova alla Sicilia, poi ne persi le tracce. L’ho ritrovata a Bocca
d’Arno l’anno scorso quando il proprietario, Roberto
Quercetani di Calci, che l’aveva acquistata negli anni ’90 da un signore di
Livorno, me l’ha portata per un profondo restauro. Un’emozione quando l’ho
rivista. Negli anni aveva fatto dei lavori, l’avevano mezza plastificata.
Noi, qui in cantiere, l’abbiamo riportata a legno, abbiamo rivisto tutto il
fasciame, e l’abbiamo calafatata di nuovo, con una gomma speciale. Fra un
mese tornerà in mare». Le foto in bianco e nero lasciano il posto a quelle a
colori. C’è Luca Agamennoni,
livornese, campione di canottaggio, che nei Fossi che attraversano il cuore
di Livorno sale su un pattino di legno per sfilare in porto prima del Palio
dell’Antenna. «Lo vede come è bello questo pattino. Non c’è un un solo
chiodo infisso nel legno. E’ di Masolino D’Amico, della famiglia di cineasti
che hanno casa a
Castiglioncello: venne a vederlo mentre lo costruivo, rimase a bocca
aperta». E’ l’orgoglio del maestro d’ascia. Luciano si fa fotografare a
bordo di “Telefafà”
fresca di
rimessaggio: venduta dopo quel famoso 1966 del Mondiale vincente, Gavazzi la
ritrovò anni dopo a Bracciano: «Detti al proprietario una barca nuova pur di
riaverla». A giugno, come ogni anno, riprenderà il mare. Ci salirà il figlio
di Luciano. Lui, invece, resterà sulla spiaggia per osservarla mentre
veleggia sull’orizzonte dell’estate.
(Elisabetta
Arrighi "Il Tirreno" 22 aprile 2012)
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Addio a Gavazzi grande velista e costruttore navale
Luciano Gavazzi, classe 1931, il prestigioso velista e costruttore nautico
ci ha lasciato il 20 agosto 2014 a 83 anni. Proprio pochi mesi fa, durante
il Trofeo Accademia navale-Città di Livorno 2014, aveva ricevuto da
Assonautica e dalla Port Authority un riconoscimento alla sua carriera
trascorsa a costruire barche da diporto, a vela e a motore; una carriera che
ha preso il via entrando neanche ventenne al Cantiere navale di Donoratico
fondato nell'immediato dopoguerra dal conte Gaddo della Gherardesca
riprendendo la tradizione del cessato cantiere Foggi-Agretti di Livorno,
divenuto famoso soprattutto nella realizzazione di imbarcazioni da
canottaggio. Acquisita la qualifica di maestro d’ascia, Gavazzi si mette in
proprio nel 1955 costruendo barche a vela monotipo, dapprima in un
piccolissimo cantiere a Castiglioncello, e quindi, dal 1974, a Rosignano
Solvay, lungo l’Aurelia, a due passi dal fiume Fine nella ex fornace Berti
Mantellassi. Per il giovane Gavazzi l’avvio è fulminante: già nel l956, uno
dei suo primi beccaccini, il "Miss K", vince negli Stali Uniti il campionato
mondiale nella classe Snipe, mentre nel 1960 al suo “Mister Jack" andrà il "Beccacino
d’oro".
Arriveranno poi i Finn, i Dinghy e gli Optimist. Ma soprattutto nei
primi anni 60 esploderà il fenomeno “Vaurien", la piccola barca a vela
monotipo disegnata da Jean Jacques Herbulot che diviene subito popolarissimo
in Francia e di cui Gavazzi diverrà il promotore della diffusione in Italia
dove sino al 1990 è stato l’unico costruttore autorizzato: nella sua
carriera ne ha realizzati oltre 1500, dapprima con lo scafo in acajou e
successivamente in vetroresina.
Lo stesso Gavazzi, in coppia con Sergio Biancani, vince nel 1963 il titolo
italiano della classe Vaurien col suo ‘VeBa". Il primo exploit a livello
internazionale arriva nel 1966 ad Orbetello con il mitico "Telefafà" che
condotto dal nipote Fabio si aggiudica il campionato mondiale. E sempre "Telefafà"
nel 1977 condotto dai fratelli Gavazzi (Cral Solvay) diviene campione d'ltalia
nella sua classe. Nel 1989 sarà poi “Ricamare” a conquistare il campionato
mondiale Vaurien sul lago di Costanza, ad Uberlingen con l’equipaggio
formato da Marco Faccenda e Marco Cerri, che l’anno dopo con la stessa barca
ripeterà l'exploit a Nettuno.
Accanto alla produzione di barche a vela da regata Gavazzi ha iniziato a
costruire anche imbarcazioni da diporto, soprattutto motovelieri. All'epoca
Castiglioncello era meta di tanti personaggi come Paolo Panelli appassionati
di lavori in legno, che non mancava mai durante le vacanze di fare una
capatina da Gavazzi per vederlo all’opera. Nell’agosto del 1960 all’ attore
romano è consegnato il motorsailer “Usodimare II", una barca di dieci metri
disegnata dal progettista livornese Aldo Renai (anche lui recentemente
scomparso). Nel totale saranno una decina i motovelieri varati da Gavazzi.
Gli anni ‘70 vedono il cantiere orientarsi verso la vetroresina, lanciando i
minitonner ed il "Flyng Fifteen" progettato da Uffa Fox, che però ebbe da
noi scarso seguito, mentre si è poi affermata la produzione dei cabinati
"Nostromo" nelle varie versioni, senza però mai abbandonare gli amati
Vaurien.
(Roberto Riu per "Il Tirreno" 21 agosto 2014)
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Le condoglianze del sindaco Franchi
In questo momento di dolore il sindaco e la giunta comunale
sono vicini alla famiglia dl Luciano Gavazzi e ricordano con affetto
questo concittadino che per tutta la vita à stato animato dall'amore per
il mare, la vela e lo barche. Un uomo, dice il primo cittadino
Alessandro Franchi, che non potremo dimenticare, non solo per i numerosi
riconoscimenti ottenuti e per i titoli mondiali vinti, ma soprattutto
per la passione e la dedizione con cui ha esercitato la propria arte di
maestro d’ascia; una tradizione marinara antichissima che purtroppo va
scomparendo". Tra l’altro a Luciano Gavazzi Il Comune nel 2010 ha voluto
dedicare un’apposita mostra fotografica, presso li Centro per l’arte
Diego Martelli di Castiglioncello. (Vedi)
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Dal Circolo Velico Pietrabianca
«Queste righe che seguono per esprimere, oltre al cordoglio e alla
tristezza di una perdita importante per l'intera comunità di Rosignano,
anche un ringraziamento postumo a Luciano Gavazzi, socio onorario del
Circolo Velico Pietrabianca che ho l'onore di presiedere da quattordici
anni esatti.
Tra i tanti ricordi espressi a voce in suo favore, nei testi scritti a
più mani o nelle storie raccontate... sulla sua capacità e sulla sua
innata maestria mi sento in obbligo di ricordare che Luciano, con altri
pochi appassionati dell'epoca, è stato il fondatore del Circolo Velico
Pietrabianca, a Vada nel 1975, considerando già a quei tempi che la
valenza della pratica sportiva velica dovesse avere uno slancio
popolare, non elitario ma anzi accessibile e vicino alla gente semplice
e appassionata di mare almeno quanto lui.
Avendolo conosciuto, direi bene, posso affermare che le sue passioni
della vita sono state essenzialmente tre: il lavoro, del quale era un
amante smisurato, il mare del quale è stato prima di tutto un ammiratore
rispettoso e poi la gente, con la quale ha saputo parlare a tutti i
livelli, appassionando gli uomini, le donne e i tanti bambini che lo
hanno incontrato; la vela, per Luciano è stata importante perché
trasversale a tutte queste grandi animosità perché, da sola, è uno sport
che interpreta tutte queste immense passioni celebrate, appunto,
fondando quel circolo che oggi ha un nome conosciuto, autorevole e di
assoluto prestigio nel grande contesto agonistico sportivo italiano ed
europeo.
A nome dei tanti sportivi, dei tantissimi campioni di tutto il mondo che
hanno avuto il piacere e l'onore di regatare davanti a Pietrabianca
ringrazio Luciano, per averci lasciato un eredità sportiva importante,
solida, attualissima e ancora in divenire nei tempi che cambieranno con
tutti noi, ai quali resta l'onere di scegliere se vivere nei ricordi o
se approfittare di loro per continuare con lo slancio e con l'entusiasmo
che ha distinto la sua vita vita di sportivo e di maestro».
Andrea Leonardi.