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coloro che nutrono amore per la civiltà marinara hanno un grosso
debito nei confronti di questi straordinari personaggi che hanno
illuminato con la loro inventiva e la loro capacità
l’artigianato nautico, imprimendo alla costruzione tradizionale
un taglio interpretativo classico e rivoluzionario.
Rivoluzionario perché, malgrado i metodi riconosciuti
ufficialmente, anche nella forma più elementare basata sulle
“ricette” generazionali tramandate per via orale, abbiamo visto
come nell’eccellenza del territorio livornese prevalga l’umiltà
di uno spirito critico che ricerca attivamente il sussidio di
una progettazione illuminata ed illuminante, applicandola
potremmo dire con liturgico rispetto al metodo tradizionale
trasformandolo in un “tradizionale” di classe e d’eccezione.
Il mare, la possibilità di integrare
con la pesca le risorse agricole e
di facile via di comunicazione
costituisce senz’altro uno dei
principali motivi dell’insediamento
umano nella nostra zona e della sua
fortuna nelle epoche più lontane. Ma
il rapporto della gente con il mare
è stato, qui più che altrove,
discontinuo e problematico. Le
paludi e la malaria che infestano la
costa del desolato paesaggio
maremmano spingono la popolazione
all’interno, allontanandola dalla
marina e dai suoi mestieri. Da
alleato il mare si trasforma in
nemico. Non sono più navi cariche di
merci che ci si aspetta di veder
apparire all’orizzonte, ma feluche
cariche di sanguinari saraceni.
Ci vorranno secoli prima che
l’ancestrale legame tra uomo e mare
riesca a rinsaldarsi e ciò avverrà
grazie a dei forestieri.
Intorno alla metà del ‘700
l’imprenditore fiorentino, il
marchese Carlo Andrea Ginori, inviò
dei suoi incaricati presso il re di
Napoli, Carlo di Borbone, affinché
potessero apprendere le tecniche
della pesca del corallo da praticare
poi nel tratto di mare antistante
Cecina e Vada. L’esperienza di
Ginori non ebbe seguito. Ma per
tutto l’Ottocento le libertà di
pesca offerte dal Granduca e
soprattutto i divieti di pesca
estiva imposti dai Borbone, spinsero
molti pescatori del napoletano
(genericamente chiamati pozzolani)
nel livornese e nell’arcipelago
toscano. Alcune famiglie si
stabilirono sul territorio
definitivamente, originando vere e
proprie dinastie e facendo scuola.
Le migliorate condizioni di vita sul
litorale fecero il resto. Le
attività di marineria che la
popolazione locale aveva abbandonato
da secoli ripresero tale vigore da
non sembrare essere mai state
interrotte. Attorno ai pescatori,
rinacquero gli antichi mestieri dei
maestri d’ascia, i velai, i remai, i
funaioli e soprattutto un nuovo,
antico, stile di vita che
caratterizzava queste comunità.
Il mare, si sa, genera leggende. E
molti di questi uomini diventarono e
restano leggendari.
Oggi in un panorama radicalmente
mutato, con l’avvento di nuovi
sistemi di pesca e l’impiego della
vetroresina e di altri materiali
sintetici, molti sono coloro che
lavorano alacremente affinchè queste
arti non scompaiano e per
trasmettere i valori e le capacità
che le hanno caratterizzate.
Ospitare una tappa della decima
edizione del circuito Mediterraneo
Vela Latina, e questa mostra
fotografica in particolare, offrono
all’Amministrazione l’opportunità di
ripercorrere un tratto di storia di
ieri e di oggi, di valorizzare una
voce importante del patrimonio
culturale ed ideale e della nostra
identità, e di offrire al tempo
stesso una ghiotta occasione
turistica dedicata a chi vuol
comprendere, e non solo godere il
nostro bel mare.
Luca Agostini Assessore al Turismo
(Da materiale illustrativo)
Il
13 maggio sono giunti al porto Marina Cala de’ Medici gli
equipaggi dell’Associazione Vela Latina che hanno partecipato
all'inaugurazione della mostra di barche storiche. Venerdì 14 e
sabato 15 maggio veleggiate costiere. Nella serata di sabato 15
maggio festa per gli equipaggi ed un concerto musicale. Domenica
16 maggio giornata conclusiva della manifestazione con l’alaggio
delle imbarcazioni e cerimonia di premiazione. L'esposizione
del 13 maggio. Undici bellissimi esemplari di barche in legno
sono state esposte al porto turistico Cala de' Medici. «Tra i
pezzi pregiati - spiegano Fabrizio Ceccherini e Enrico
Campanella, che nell'occasione ha presentato il suo volume dal
titolo "Le barche di Castiglioncello. Evoluzione
dell'artigianato nautico" - un patino del cantiere Gavazzi il
cui progetto risale agli anni Trenta. Tra le chicche anche "Usodimare
II" di Paolo Panelli. E poi "Doni", un gozzo costruito da un
altro maestro come Giuliano Garfagnoli e restaurato da Gavazzi».
Gavazzi che avrebbe dovuto prendere parte alla conferenza stampa
di presentazione in Comune (a fare gli onori di casa il sindaco
Franchi e l'assessore Agostini, oltre che alla general manager
del porto Maria Paoletti): «Ma aveva da fare un ritocco - spiega
Ceccherini - a dimostrazione della passione che ha per questo
lavoro. Arte che purtroppo è in via di estinzione». Al porto è
presente anche una barca in legno del neo presidente della
Regione Enrico Rossi. Presenti anche tre lance dai cantieri
Garfagnoli e due Vaurien dei cantieri Gavazzi. L'arte dei
maestri d'ascia viene raccontata in una mostra fotografica curata
da Claudio Castaldi e Paolo Pagnini. Circa 70 gli scatti
sistemati al centro Diego Martelli presso il Pasquini.
(Mario Moscadelli "Il Tirreno") |