La fiera in
pineta.
1940 - Erano
i tempi in cui l'avvenimento più importante dell'anno era la
fiera che si svolgeva in pineta, la seconda domenica di agosto.
Arrivava gente da tutte le parti dei dintorni a piedi e
soprattutto in bicicletta con un fazzoletto sul sellino per non
sporcare i pantaloni e le mollette per i panni a chiudere in
fondo i calzoni perché non toccassero la catena e non si
sporcassero. La piazzetta dietro la farmacia era un vero enorme
parcheggio di biciclette. C'erano i giochi e i banchetti dei
"duri di menta" e del croccante, c'erano i banchi dove si poteva
comprare la fetta del cocomero per fermare la sete, c'erano i
banchi di ogni mercanzia e i giovanotti compravano la pallina
del Giappone, una pallina del diametro di 7-8 cm. fatta con
spicchi di stoffa colorata e riempita di segatura e un lungo
elastico attaccato. Tenendo l'elastico in mano veniva lanciata
sui sederi delle giovani fanciulle accompagnando il gesto con la
cantilena: "la pallina del Giappone che si tira nel groppone!".
I bambini facevano gli occhi dolci ai palloni colorati riempiti
di idrogeno e allo zucchero filato e il gerarca Teruzzi,
elegantissimo, sfilava per la pineta con gli ascari e uno
stuolo di bellissime donne a cui comprava la bigiotteria più
varia che si trovava sugli appositi banchetti. Si leggeva Cino e
Franco e l'Avventuroso e al cinema, a piedi, si poteva andare
soltanto alla Solvay. I ragazzi avevano le loro attrici
preferite e le discussioni sulle loro procaci bellezze
occupavano tutto il tempo del viaggio. Del resto era il solo
modo di vederle giacché non c'erano tutte le riviste che ci sono
ora.
(Da: "Dar tempo dell'etruschi ar tempo de' caini" di Castaldi-Lami-Marianelli, scaricabile
dalla sezione Scaricolibri del sito)
La fiera di Sant'Antonino
1955 -
Il prossimo 8 agosto avremo l'annuale giornata di fiera. Già ce
ne siamo accorti noi di Castiglioncello e specie l'avvicinarsi
di questo retaggio medievale è stato segnalato dai bagnanti e
dai villeggianti in quanto, con disappunto generale ed unanime
(e vorremmo che il sindaco con i componenti della giunta
comprendessero il significato di questi due aggettivi)in quanto
dagli ultimi di luglio la pineta non è più accessibile ai
numerosi ragazzi che vi giocano liberamente ed a quanti
cercavano un posticino ombroso e tranquillo. Oltre venti
baracconi in prevalenza piste per automobiline e tiri a segno
hanno invaso per molte e molte centinaia di metri quadrati
quella porzione di pineta che ancora rimaneva libera da
manomissioni ed hanno al seguito una lunga teoria di carrozzoni,
carri attrezzi, bagagli ecc. Si calcola che vi siano oltre 200
persone e che i mezzi igienici di cui dispone la pineta per tale
numero di persone sia molto deficiente per la mancanza di
servizi adeguati. L'anno scorso su queste stesse colonne fu
vivamente deprecato che proprio la pineta, che per i
castiglioncellessi, ha oltre tutto un valore altamente morale e
sentimentale, fosse lasciata per quindici, venti giorni in balia
ai carrozzoni, agli strilloni, agli imbonitori. Sembrava che su
questo fossimo tutti d'accordo: Azienda Autonoma, popolazione,
stampa, poi come sempre succede, tutto è accaduto nel silenzio
ed oggi ne troviamo in pineta un numero maggiore forse
raddoppiato. Tutto questo dimostra come l'amministrazione
comunale e non ci maraviglia, persegua nel suo spirito
antituristico nei riguardi di Castiglioncello, spirito
antituristico da noi più volte rimarcato, anche a proposito
della conferenza stampa tenuta a fine d'anno dal sindaco. E'
bene che il sindaco e di componenti della giunta sappiano e si
persuadano che la tanto lamentata occupazione della pineta non è
il parto di un giornalista piantagrane desideroso di
polemizzare, ma è l'espressione più genuina e spontanea di tutto
Castiglioncello a cominciare dagli alberghi che raccolgono le
voci dei loro ospiti, dei commercianti e degli esercenti, specie
di luoghi di divertimento che si vedono lesi nei loro interessi,
della popolazione stessa e ripetiamo ha per la sua pineta e già
lo ebbe a dimostrare in altri tempi, un culto tutto speciale.
Noi vorremmo che di ciò se ne facessero interpreti i consiglieri
comunali di Castiglioncello e tenessero viva, anzi agitassero la
questione fin da oggi, con interpellanze al sindaco, con
pressioni presso gli uffici competenti, affinché prima della
nuova estate 1956 la questione degli ambulanti e dei girovaghi
sia risolta e ne venga regolato e distribuito l'afflusso nel
comune di Rosingnano M.mo. Nulla chiediamo per ora
all'Azienda Autonoma, la prima interessata sull'argomento. Ci
ripromettiamo però di prospettare la questione al nuovo
consiglio di amministrazione di cui auspichiamo l'evento più
presto possibile.
(Luigi Pancaldi La Nazione 3
agosto 1955)
La fiera di Sant'Antonino
1956 - Quest'anno (ma pare sarà l'ultima edizione causa troppi
rumori estivi) l'annuale fiera di Sant'Antonino cade nel secondo
lunedì del mese. Coincide quasi con Ferragosto quando
Castiglioncello è pieno come il classico uovo ed in verità
l'afflusso dei bagnanti che in questo periodo è sempre ingente,
quest'anno si è avuto in anticipo di qualche giorno così che il
tutto esaurito è cosa fatta e riesce difficilissimo se non è
impossibile trovare una camera, ma anche un letto dove trascorre
la notte. Buone prospettive per tutti, ma specialmente degli
innumerevoli banchetti dei venditori che in occasione della
fiera in doppia fila occupano il lungo viale della pineta. Come
in tutte le fiere, sui banchetti si trovano in vendita le cose
più disparate, più eterogenee, ma soprattutto abbondano torroni,
zucchero filato, mandorlato, non parliamo poi dei brigidini che
vengono offerti "gratis" per assaggio. Dai centri vicini le
corriere porteranno alla fiera masse compatte di visitatori e
dopo aver fatto qualche acquisto ricordo, dopo essersi ben
rimpinzate di leccornie vorranno provare le molte emozioni che
offre il Luna Park che, paradiso dei piccoli e inferno dei
grandi, occupa per una quindicina di giorni, buona parte della
pineta in completa antitesi con la "Zona del Silenzio" promessa
da grandi cartelli all'ingresso di viale Marconi, ma tant'è "Semet
in anno licet insanire"
(Il Tirreno 12/8/1956)
Finisce la fiera
Un’estate alla metà degli anni ‘50 passò tutto agosto senza che
avessimo visto arrivare la fiera, ma qui a Castiglioncello la
fiera non l’avremmo più vista. Ancora oggi qualcuno sostiene che
la fiera faceva troppo rumore e per questo smisero di farla; ma
non regge, perché anni dopo la pineta ospitò il luna-park. E’
vero, peraltro, che, eccetto qualche bimbo, nessuno se ne
risentì; tanto che oggi non si trova a Castiglioncello chi
ricordi con precisione quella data. Gli unici che ne hanno una
memoria concorde e più motivatamente attendibile, poiché vi
erano direttamente interessati, sono Gino Bindi, allora uomo di
fiducia alla fattoria “Le Spianate” e Alessandro Falaschi,
Sandrino, in quegli anni mezzadro nel podere dov’è oggi il
residence “Fattoria nel parco”. Con lui testimoniano i figli
Loriano e Loreno. In occasione della fiera, infatti, veniva
allestita una mostra di vacche e tutti gli operatori agricoli
del paese vi conducevano i loro migliori esemplari a cui, per
abbellimento, veniva avvolta la coda con un vistoso fiocco rosso
ed incorniciato il muso con pendagli scacciamosche di stoffa
variopinta appesi alle corna, in sostituzione degli straccetti
usuali. La data dell’ultima fiera che indicano Gino Bindi e i
Falaschi, pur senza garantirne la certezza, è il 1955. Gli
animali venivano esposti nello spazio fra la strada che
dall’Aurelia giunge al viale della pineta Marradi e il recinto
del campo di calcio. Lungo il viale dei pini, i banchetti. E in
prossimità della vasca, solitamente, c’era l’attrazione del
cantastorie, con i pannelli su cui erano raffigurati i passi
salienti del racconto con cui l’artista girovago incantava i
passanti. La sua voce si confondeva con quella che proveniva
dall’alto di un palco lì vicino dove due venditori di torroni ne
proponevano confezioni di differenti varietà: uno preparava i
pacchi e l’altro li reclamizzava indossando un’enorme maschera
di Totò, larga quanto le sue spalle. Ragazzi e giovanotti
facevano scorrerie nella pineta a scovar bimbe e ragazze da
colpire a sorpresa con una palletta a spicchi colorati riempita
di segatura e trattenuta da un elastico: era per tutti la
“pallina del Giappone che si picchia nel groppone”, secondo
un’espressione che circolava allora; si lancia, colpisce e
ritorna. Finita la fiera, la sera, tornavano a transitare in
quello stesso viale che le aveva fatto da cornice, sporadiche
comitive di ragazze e ragazzi che ogni tanto facevano largo al
passaggio di macchinoni vistosi senza cappotta, quelli dei film
americani, quasi sempre diretti al dancing “La lucciola”, dai
quali scendevano belle donne in abito lungo ed uomini in blu.
Quello stesso anno, a marzo, era uscita la Fiat 600 a 590 mila
lire: quasi sei mesi dello stipendio di un impiegato. Ma in
paese non se ne vedevano molte. Più facile vedere mezzi per
lavorare la terra. Alla fattoria “Spianate” disponevano di un
trattore Fiat affidato in uso a Gino Bindi. L’anno dopo
Alessandro Falaschi userà un trattore Landini ‘a testa calda’,
monocilindrico: per metterlo in moto bisognava prima scaldargli
la testata, con un fuoco a legna, in genere una fascina o
arbusti raccolti in un secchio; una volta in moto conveniva
tenerlo acceso tutto il giorno. Dal mare alle colline più
prossime, il territorio è disseminato di poderi; dodici alla
sola fattoria delle Spianate, quattro dei quali con doppi
alloggi di grandi dimensioni, denominati Spianate 1, 2, 3 e 4:
sono quelli che si vedono sul crinale a sinistra imboccando la
rampa per la variante Aurelia. Poco più a monte, dietro questi,
l’abitazione del podere denominato “Casina” dove abitava la
famiglia Mercati, persone di cordiale ospitalità: restano mitici
i primi maggio dal Mercati. “Nessuno di questi poderi disponeva
della conduttura dell’acqua per l’uso domestico - ricorda Gino
Bindi - le famiglie fruivano di una conduttura che attingeva ad
una sorgente del poggio Pelato. E il terreno, già poco fertile,
non poteva essere irrigato. L’unico pozzo della fattoria era al
podere Campofreno, nei pressi del fabbricato che oggi accoglie
il ristorante “Le Spianate”. Per questo motivo - riferisce
ancora Gino Bindi - verso la metà degli anni ‘50, il
proprietario Ernst Goldschmidt decise di far costruire una diga
sul fosso Piastraia per ottenere un laghetto a cui potessero
attingere i poderi nelle vicinanze, ma la produzione restò
comunque insoddisfacente, se non quando deficitaria”. Più
fertili si riscontravano altri appezzamenti nella zona verso
Portovecchio e Caletta. Fino al ‘65 nella zona di Poggio
Allegro, inoltre, fu attivo un frantoio, di proprietà della
Società Karma titolare della quale era la famiglia Magrini. Alla
metà degli anni ‘50, comunque, i poderi erano quasi tutti
abitati, tanto che pochi anni dopo furono costruite nella zona
collinare alcune sedi distaccate della scuola elementare. Un
ambiente rurale, che aveva le sue propaggini fino in prossimità
della scogliera con la quale confinava il podere gestito dalla
famiglia Falaschi. Ricordano oggi i figli Loriano e Loreno col
babbo Alessandro: “A quei tempi avevamo le coltivazioni anche
nel terreno dove ora c’è il cinema. Si portava l’uva da tavola a
vendere a Livorno, col barroccino e per superare il Romito si
doveva noleggiare un altro cavallo da mettere a trapelo, cioè in
aiuto al nostro”. I ricordi si affollano e tra i più vividi,
come quello del pescatore che a volte passava con la corba dei
muggini o il secchio dei polpi e allora facevano scambio con
uova o prosciutto. Per gli affitti estivi si usava
ancora la formula “camera e cucina a mezzo”, ovvero i bagnanti
dormivano nella camera dei proprietari o inquilini, i quali, con
qualche branda, si adattavano a dormire in cucina o in garage,
(ma poteva accadere anche il contrario); e per i pasti, tutti a
tavola insieme, con la radio accesa; ad una notizia più
importante delle altre i capifamiglia si alzavano e andavano a
sentire da vicino. Poteva capitare che l’ospite locale una sera
andasse a “frega”, cioè la pesca notturna con la fiocina lungo
la scogliera: la mattina la casa odorava di pesce: scorfani e
polpi prevalevano; quel giorno era cacciucco per tutti.
D’inverno qualcuno andava nel bosco munito di una balla e una
zappetta a scavare i ciocchi alle radici delle piante di stipa;
ardono a lungo e questo “far ciocchetti” costituiva un piccolo,
gradito risparmio. Per fare una piccola scorta di ciocchi
bastava salire su in “pineta alta”, cioè a monte del castello
Pasquini. In questa pineta, su alcuni pini più alti c’erano i
capanni di postazione per sparare ai colombi di passo. Non di
rado, fra i cespugli si potevano rinvenire proiettili o bombe a
mano o altri residuati inesplosi dei passaggio del fronte.
Manifesti monitori affissi ai muri di paese avvertivano del
pericolo indicando di rivolgersi, in questi casi, alle autorità
preposte, nonché le modalità di primo allertamento. La guerra
era finita dieci anni prima. Ora la gente vuole in fretta il
futuro che l’attualità sta caricando di promesse e nel quale
confida. E ad esso si vuoi disporre serenamente.
(Estratto da: "Fine della fiera" di
Claudio Castaldi pubblicato su
Alando n°1 giugno 2008 a cura
delle Ediz. Comiedit) |