Vada la torre

Vita nella torre fra il 1538 ed il 1831 fra naufragi, sbarchi, stracchi di robe e fatti d'arme 

Consapevoli della parzialità di questa raccolta di notizie, le presentiamo comunque, in ordine cronologico, quale testimonianza dell’attività svolta nell’arco di circa tre secoli dalle Guardie di Marina e dai Cavalleggeri lungo la costa a sud di Livorno. Per ogni evento, naufragio, sbarco o altro fatto degno di essere segnalato dai solerti torrieri e castellani, quando in rapporti stringati, altre volte prolissi e verbosi, a secondo della confidenza che ciascuno aveva con penna e calamaio, ne diamo conto presentandolo per sommi capi e riservando quando opportuno, il testo originale in nota, dove sono indicati gli estremi archivistici del documento. Località, data, nome dell’estensore del rapporto e destinatario, quando presenti, precedono la notizia.

Vada, anno 1538, Simone d’Ambrogio, fattore a Rosignano a S.A.R.

In questo punto ho le lettere dal castellano di Vada e da Simone d’Ambrogio nostro fattore di Rosignano et mi fanno intendere come le fuste dei turchi hanno messe in terra circha a huomini 40 lontani a Vada circa un miglio et venutosene nel porticciuolo di Vada et entrato nelle barche che erono li in conserva, che erono da sei o sette barche, gli huomini che v’erano su, chi èfuggito qua e chi la’. Risulta che nell’occasione vengono inviati 5 archibugieri alla torre di Vada, che al momento risultava priva di guarnigione e di munizioni.

Vada, febbraio 1596, Filippo Leoncini castellano, ai Consoli del Mare.

Il 15 febbraio 1596, parte da Follonica il vascello S. Giovanni buona ventura, del padrone Antonio di Francesco Gagniliti di Pisa, con un carico di 22 moggia di grano in sacca, noleggiato dal mercante pisano Dario Certaldi. Dopo un primo tratto del viaggio il tempo si guasta e una violenta burrasca investe la nave. Il comandante decide di alleggerirla gettando in mare molti oggetti, fra cui il focone della cucina e alcuni barili, e addirittura dei vestiti. Infine decide di gettare anche parte del carico di grano, e si libera di 66 sacca. Il rapporto è stilato con le testimonianze dei marinai annotate in calce, per giustificare la perdita del carico di fronte alle rimostranze del mercante Certaldi.

Vada, 22 ottobre 1597, Filippo Leoncini castellano, ai Consoli del Mare.

Il castellano relaziona che il mercoledì alle ore 24 sono arrivati a Vada due navicelli. Uno è padroneggiato da Nado di Pietro da Brucianese, dimorante a Pisa e l’altro Marco di Lorenzo da San Giovanni, partiti da Follonica con un carico di grano. Anche questi due navicelli, investiti da burrasca hanno dovuto scaricare a mare parte del prodotto per salvarsi da un naufragio certo. I marinai e i padroni sottoscrivono quanto dichiarato davanti al castellano per giustificare la perdita del grano davanti ai legittimi proprietari.

Rosignano, 12 febbraio 1600, Emilio Cesare Crivelli capitano dei Cavalli della Marina, al Governatore di Livorno.

Naufragio in località Val di Vetro del Galeone coltelliero nominato Santo Stefano, del cap. Antonio Biagini genovese. Questa località è tristemente nota per le secche che provocavano numerosi incidenti.

Rosignano, 10 luglio 1612, manca firma, al Governatore di Livorno.

Altra nave naufragata a Val di Vetro, la San Francesco. Per questo fatto il 23 agosto seguente vengono nominati dai Consoli del Mare, tre deputati, Adriano Campana, Pietro Borzani e Marcantonio Quarantotti, incaricati del recupero dei beni e mercanzie scampati al naufragio. Il lungo e complesso procedimento intentato dai legittimi proprietari delle merci recuperate dal naufragio, alcuni mercanti marsigliesi e liguri, per essere indennizzati o almeno per rientrare in possesso delle merci, é descritto nei documenti conservati nell’archivio dei Consoli del Mare. Sotto la responsabilità del capitano Alfonso Contessi degli archibugieri a cavallo delle maremme, che aveva effettuato il primo intervento sulla costa, sollecitato dal castellano di Vada, alcuni soldati erano saliti sullo scafo abbandonato dall’equipaggio e dal capitano-padrone Giovanni Rinaldi di Antibo (Antibes sulla Costa Azzurra) e avevano recuperato parte delle merci (al capitano Contessi ed ai suoi soldati spettano 20 scudi per aver recuperato la merce), depositandole in un magazzino chiuso a chiave e a disposizione dei funzionari della magistratura dei Consoli del Mare. In seguito questi redigevano un inventano delle mercanzie trasportate sulla nave, per effettuare successivamente la suddivisione percentuale del ricavato dalla vendita del salvato, a favore dei mercanti caricatori. A titolo di esempio presentiamo in nota l’inventario delle merci, che troviamo spesso allegato alle vertenze per il recupero di quelle naufragate.

Vada, 9 giugno 1614, manca nominativo, ai Consoli del Mare a Pisa.

Naufragio di nave a Val [di] Vetri, manca il nome dell’imbarcazione.

Vada, 20 giugno 1614, c.s.

Altra nave naufragata a Val di Vetri, nominata Il Ben Venuto. I Marangoni recuperano i beni che erano andati a fondo con la nave e vengono pagati 6 soldi per ogni lira di valore recuperato.

Vada, 12 settembre 1616, al Governatore di Livorno.

Alcuni abitanti della zona si recano al mare presso la torre di Vada e recuperano un’ancora di nave. Consegnata al castellano, pretendono un compenso che gli viene negato, scatenando il loro risentimento nei suoi confronti.

Rosignano, 3 aprile 1636, dal castellano di Vada al governatore di Livorno.

Il primo del mese, una fregata francese da fondo al posto di Capo Cavallo, e alle ore sedici, assale ad archibugiate una filuca napoletana, carica di seta che transita, catturandola. Essendo solo alla torre, il castellano non può neppure tirargli un colpo di cannone, e la fregata e la sua preda a rimorchio si allarga in mare indisturbata. La mattina del 3 aprile, un’altra fregata sbarca alla foce del Cecina sedici persone, che avvistate dalla torre vengono costrette ad imbarcarsi di nuovo, questa volta perché la cannonata di avviso è veramente sparata.

Rosignano, 11 novembre 1637, ore sei di notte, c.s.

Alle bocche del Cecina si è arenata una grossa tartana con 500 barili di vino dolce, con padrone corso e procedente dalla Cosica a Roma. L’equipaggio si salva a terra e il castellano pensa di andare a vedere se il vino non si è mescolato con l’acqua di mare e quindi se è recuperabile. Si attendono ordini opportuni dal Governatore di Livorno, e intanto i soldati fanno la guardia al battello e al suo prezioso carico.

Rosignano, 3 dicembre 1673, Castellano Francesco Mazzanghi alla Deputazione di Sanità.

Avvisato alle quattro di notte da un cavalleggero di Livorno, dell’ordine di scacciare dalla costa la barca proveniente da Tripoli di Barberia, perché infetta, scrive un rapporto in cui relaziona che lo stesso giorno alle 22 aveva visto una barca rossa avvicinarsi a Rosignano, e dato il forte temporale del momento, aveva pensato che volesse prendere terra. Invece la barca aveva dato fondo allargo, presso le secche di Val di Vetro. Pur dubitando che fosse la stessa barca infetta, cacciata da Livorno, non di meno aveva messo in allerta la Torre di Vada e inviato una staffetta a cavallo fino a Campiglia, con l’ordine di non far avvicinare nessun barchereccio anche il giorno successivo.

Rosignano, 13 giugno 1680, Francesco Mazzinghi alla Deputazione di Sanità di Livorno.

Viene segnalata dall’equipaggio della barca del padrone Giò Batta Martolini, composto di sei pescatori, la presenza di un navicello che sembra pisano, probabilmente per le caratteristiche strutturali, arenato nei pressi del Monte alla Rena. Il navicello è privo dell’albero maestro e dell’antenna del trinchetto, e pare pieno di zavorra. Viene trainato alla bocca del fiume Fine, dalla barca pescatora, il cui equipaggio giura di non averlo praticato. Il comandante Mazzinghi, dubitando che il navicello sia stato vittima di un corsale turco, nega la libera pratica alla barca dei pescatori e pone i soldati di guardia al relitto in attesa di nuovi ordini.

Vada, 5 maggio 1692, Giovacchino Giordani alla Deputazione di Sanità.

La notte del 4 maggio, per fortunale, si era intraversata una barca alla foce del Fine. La mattina all’alba, recatosi con alcuni uomini a verificare lo stato delle cose, Giordani trova un villano che sta trafugando una cassa piena del carico della barca naufragata. Intimatogli di lasciarla, è costretto a puntargli l’archibugio per convincere il riottoso che pur di non mollare la preda lo minaccia con un pugnale lungo. L’arrivo dei cavalleggeri pone fine alla contesa.

Vada, 15 giugno 1692, Lorenzo Panini alla Deputazione i Sanità.

Al richiamo subito per aver dato pratica ai naufraghi della nave Gran Sansone, il Panini si giustifica dichiarando di avergli solo concesso, per pietà della loro condizione, di costruirsi una baracca alla marina e di aver accolto in una stanza il capitano e quattro ufficiali della nave, dopo che gli avevano mostrato le patenti nette.

Rosignano, 17 agosto 1741, Carlo Antonio Dal Pozzo alla Deputazione di Sanità.

Il castellano di Vada relaziona ai superiori che la notte precedente, era comparsa alla spiaggia una piccola barca con tutte le vele spiegate ma priva di equipaggio. Si supponeva che questo si fosse salvato sopra il caicco (vascelletto a remi) per non cadere in mano ai turchi.

Rosignano, 6 gennaio 1744, Cornetta Giò Marco Benci alla Deputazione di Sanità.

Quella notte naufraga sulle secche di Val di Vetri una nave inglese carica di baccalari. Sia il capitano che undici uomini dell’equipaggio si salvano e vengono temporaneamente soccorsi alla Torre di Vada, dove per motivi di sanità, essendo provenienti da un porto sospetto e non ritrovandosi la patente, si sistemano provvisoriamente in un casotto di legno, già servito per i soldati di Sanità, in occasione della precedente peste di Messina. L’ufficiale chiede di rinforzo un caporale e un certo numero di corazze (cavalleggeri), per fare la sentinella a vista dei naufraghi.

Rosignano, 14 marzo 1744, Cornetta Francesco Bombardieri alla Deputazione di Sanità.

A causa di una forte libecciata, una navetta non identificata si pone a ridosso delle secche di Val di Vetri, e nonostante venga chiamata ad ubbidienza dal comandante di Vada, prima con la fumata e poi non ubbidendo, con alcune cannonate, si mantiene alla larga limitandosi ad innalzare bandiera francese.

Rosignano, 15 marzo 1744, c.s.

Il giorno seguente, di mattina, calmatosi alquanto il mare, il bastimento lascia Val di Vetro e si dirige verso la Gorgona.

Vada, 3 dicembre 1745, Andrea Gallini alla Deputazione di Sanità.

Come disposto negli ordini superiori, il Gallini, provvede a notificare al padrone di una barca genovese che si trova a Vada, che nel proseguo del viaggio deve fermarsi a Livorno, e qui prendere pratica per chiarire la sua situazione rispetto alle norme sanitarie. Gallini, non nasconde il convincimento che in realtà il genovese abbia intenzione di proseguire il viaggio alla volta di Genova, senza fermarsi a Livorno, in barba ai regolamenti e alle norme. Inoltre relazione in merito al ritrovamento di una scialuppa, all’apparenza inglese, che è stata trovata sulla spiaggia a un tiro di fucile dal porticcioio della torre.

Vada, 4 maggio 1746, c.s.

La pollacca sorrentina, imbarcazione comandata dal capitano Ferrante Scampato, e raccomandata, ovvero destinata al mercante Moisè Leone in Livorno, con un carico di tabacco, cuoia, cera e lana, da esitare nel porto labronico, da fondo sotto la torre di Vada, per sfuggire al brigantino battente bandiera inglese che l’ha perseguitata fin sotto il tiro delle artiglierie della postazione. Perduta l’occasione di predaria il corsaro si è rivolto verso levante alla volta di un’altra pollacca che aveva precedentemente attaccato all’altezza del Cecina. Il castellano osserva con il cannocchiale che il corsaro si limita a tirare una cima di cavo d’erba all’imbarcazione, probabilmente accingendosi a rimorchiarla in acque più tranquille.

Rosignano, 1 dicembre 1746, capitano Francesco Maneschi alla Deputazione di Sanità.

Il 30 novembre, due ore prima dell’alba, per una forte libecciata, si arena alla spiaggia di Vada, il leuto (piccolo bastimento commerciale a due vele), chiamato Santa Caterina, col padrone Alcide Cignoni, e due uomini di equipaggio. Il carico di renella da’ lettere, di loro proprietà e i quattro sacchi di farina destinati a Francesco Corsi a Livorno, vengono gettati a mare nell’estremo e vano tentativo di evitare il naufragio. Controllata la patente dell’equipaggio il castellano di Vada attende ulteriori ordini.

Rosignano, 3 marzo 1747, Cornetta Giò Marco Benci alla Deputazione di Sanità.

La mattina del 27 febbraio, approda in evidente difficoltà, alla bocca del fiume Fine, una galeotta con bandiera sarda armata in corso e con mercanzie varie a bordo. Respinta a terra dalla burrasca, l’imbarcazione presenta danni considerevoli e perdita di parte del carico. L’ufficiale, a norma del regolamento di sanità, pone tre soldati e un caporale di sentinella sulla spiaggia, con l’ordine di non far scendere a terra nessuno. La mattina del 28, sopraggiunto il castellano di Vada, questi controlla la patente e verificata come netta, concede la libera pratica all’equipaggio, mentre una staffetta viene spedita a Livorno con il rapporto.

Vada, 7 maggio 1747, tenente Andrea Gallini alla Deputazione di Sanità.

La mattina al porticciolo di Vada si presenta il leuto di Giuseppe Viale di Sanremo con tre uomini di equipaggio. Constatato che la patente o bulletta di sanità è per il solo capitano, il castellano di Vada nega la pratica e invia l’imbarcazione a Livorno perché vengano prese le opportune precauzioni.

Cecina, 10 giugno 1749, Giuseppe Zannetti alla Deputazione di Sanità.

La notte la nave Aquila si incaglia alle secche di Val di Vetro, e dopo essersi rotta, il vento la trasporta alla spiaggia. La mattina vengono trovate molte persone lungo la riva del mare oltre il fiume Cecina verso Livorno. Fermate e interrogate dai soldati di scoperta, dichiarano tutti, contro ogni evidenza, di provenire da Livorno. L’ufficiale chiede ordini in merito.

Vada, 9 maggio 1751, tenente Andrea Gallini alla Deputazione di Sanità.

Un altro caso di incongruenza fra ciò che dichiara la patente e quello che constata il castellano. La feluca di padrone Leopoldo Corsi di Portoferraio diretta a Livorno, fermatasi a Vada, risulta avere a bordo cinque persone mentre la patente è solo per quattro. Il castellano chiede informazioni per venire in chiaro della mancanza di questo uomo.

Vada, 26 luglio 1757, tenente Andrea Gallini alla Deputazione di Sanità.

Un solerte popolano cecinese, si ferma alla torre per avvisare di aver visto provenire in quella direzione un uomo in aria di turco. Subito la guarnigione viene messa in allerta e quattro fucilieri escono alla sua ricerca. Infatti poco dopo viene intercettato un soggetto, che alle prime verifiche e perquisizioni risulta in effetti un turco. Interrogato con qualche difficoltà per la lingua, dal comandante, dichiara di essere uno schiavo del papa fuggito durante l’ultima presa fatta da quelle galere pontificie. Tre giorni dopo, trasferito il prigioniero al secondo lazzaretto di S.Jacopo a Livorno, qui viene interrogato dal funzionario di sanità. Risulta, dalla descrizione che precede il verbale dell’interrogatorio, essere di statura giusta, con pezzola in capo ad uso di berretto di color pesca; barba nera e mustacchi; con camicia alla turchesca di panno canapino senza maniche, ma che gli arriva fino ai piedi; senza calze e senza scarpe, di età per quanto dall’aspetto dimostrava di anni 30. Il turco dichiara di chiamarsi Cassimo, di essere di Tunisi in Barberia e avere trentuno anni. Rivestiva il rango di sotto-rais sulla galeotta di 20 banchi e 163 uomini fra rematori e marinai, al comando del rais Hagì Salem. Partiti da 42 giorni, presso Civitavecchia erano stati abbordati dalle galere pontificie, e lui si era salvato a nuoto. Risulta che lo stesso Hagì Salem, di 42 anni, fosse scampato alla cattura, perché il 22 luglio era stato fermato a Livorno, presso al Porta dei Cappuccini, travestito con abiti francesi. Ignoriamo se altri corsari barbareschi fossero riusciti a sfuggire ai papalini rifugiandosi nel granducato, certo è che questi due, dopo una quarantena di 25 giorni, venivano rispediti a Tunisi con una pollacca ragusea, muniti di patente di contumacia.

Vada, 24 luglio 1760, tenente Andrea Gallini alla Deputazione di Sanità.

La sera alle ore 20 italiane, arrivano dalla parte della marina, quattro marinai di nazione inglese che dichiarano di appartenere a un nave ancorata a Livorno. Il tenente chiede istruzioni in merito.

Livorno, 25 luglio 1760, Avvocato Baldasseroni, della Deputazione di Sanità al tenente Gallini a Vada.

A stretto giro di staffetta, si dispone, come da ordini del Governatore di Livorno, la spedizione a Vada di una barchetta con a bordo una guardia e il padrone Sambaldi, che parla e intende inglese, perché alla presenza dell’ufficiale interroghi i fermati, e chiarisca la loro effettiva provenienza e appartenenza. Il rapporto con l’esito dell’interrogatorio deve rientrare con la stessa barca a Livorno, e in attesa di decisioni in merito i quattro soggetti sono trattenuti presso la torre in stato di fermo.

Vada, 16 dicembre 1767, notizia a stampa.

Domenica 13 dicembre, sopra le secche di Vada, oltre la punta di Montenero, si inabissa una tartana nominata S. Giovanni Battista, comandata dal capitano Niccola Bernard francese. Partita da Marsiglia con carico di zucchero, caffè, indaco, pannine, cera e d altro, era diretta a Civitavecchia e in seguito a Palermo. L’equipaggio si è salvato tutto e si sta cercando di recuperare parte del carico, trasportandolo a Livorno.

Firenze, 18 gennaio 1770, I Consoli del Mare a S.A.R.

Gli Amministratori Generali Serristori, Gravard e Siniscalchi, sottoscrivono una relazione relativa alla stima dei danni patiti, da tre imbarcazioni che trasportavano sale, e naufragate nel porto di Vada in due diverse date, il 23 e il 27 dicembre 1769. Il castellano di Vada aveva precedentemente fornito i certificati relativi ai tre navicelli, di proprietà rispettivamente di Luca Franco Pavoni, Antonio Soldaini e Lorenzo Pucci. Il primo navicello, quello del Pavoni, fece naufragio e recuperò solo venti sacca e un terzo di sale. Il secondo, del Soldaini, fu perso con tutto il carico, e il terzo, di Pucci, per salvare il navicello gettò a mare sedici sacca di sale. I relatori, viste le cause del disastro e l’impossibilità ad evitarlo, sono del parere che si possano risarcire i padroni, ma in modi diversi a secondo dell’esito del fatto. Pavoni, può ottenere, secondo la pratica marittima e la consuetudine del Consolato del Mare, da un quarto a un terzo del valore del sale perduto, mentre niente è previsto in risarcimento al Soldaini, che ha perso tutto il carico. In quanto al Pucci, parrebbe giusto risarcirlo, stimando il valore delle sacca sedici di sale gettato, e de cavi di canapa danneggiati, o sia del danno, che hanno sofferto, e tutto l’importare di detto danno dovesse repartirsi e soffrirsi a lira e soldo sopra il valore dell’intero carico di sale comprese le sacca sedici gettate, e sopra la metà del valore del navicello e sopra il terzo de noli da pagarseli per intero. Poiché, comunque l’ultima resoluzione in merito ai sinistri e disastri spetta alle Supreme deliberazioni di S.A.R., al quale si erano indirizzati i supplicanti, si rimette ad esso la decisione.

Vada, 20 novembre 1798, tenente Giò Battistini al Segretario del Dipartimento di Sanità Crescenzio Buoncristiani, e per conoscenza al Generale Della Villetta (De Lavillette).

Questo giorno sono approdate a Vada due paranzelle, una delle quali è venuta a obbedienza mentre l’altra è rimasta in rada. Quella avvicinatasi si chiama S.Antonio, comandata dal padrone Antonio Ferracci napoletano, con sette persone di equipaggio. Esaminati, risultano privi di patenti, adducendo la scusa che stanno provenendo da Livorno e che la Dogana, al momento della partenza era già chiusa. Non convinto e comunque eseguendo le disposizioni impartitegli, Battistini nega la pratica alle paranzelle e dispone la quarantena con servizio di guardia. Nello stesso tempo, però, il padrone con due marinai, ignorando l’ordine, si allontana in direzione di Livorno.

Vada e Castiglioncello, 8 luglio 1799, c.s.

Marcello Inghirami, richiamato a Volterra per problemi organizzativi e di governo, lascia al comando della truppa volterrana, nel frattempo ingrossata da nuovi volontari locali, il cavalier Curzio, che assume il titolo di Comandante la Linea del Littorale. Marciando lungo la strada del litorale, giungono prima a Vada e poi a Castiglioncello, dove le guarnigioni francesi fuggono senza affrontare il combattimento. Unici prigionieri alcuni soldati piemontesi che si arrendono stanchi di servire la bandiera francese.

Torre di Vada, 30 ottobre 1801 Giò Battistini castellano al pro-governatore generale Giacomo De Lavillette.

La mattina fra le dieci e le undici, un corsale senza bandiera attacca un leuto livornese partito da Cecina, sulla verticale della foce del fiume Fine. L’intervento deciso della guarnigione che spara prima un colpo di spingarda e poi due cannonate all’indirizzo del corsale con l’intento di colpirlo, lo fanno desistere dall’attacco al leuto e allontanare verso la Gorgona.

Rosignano, 24 giugno 1802, tenente Tausch al governatore presidente di Sanità a Livorno.

Come in altre relazioni, anche in questa appare chiara la difficoltà dell’apparato di controllo sanitario livornese, gestito dal personale toscano, di relazionarsi con gli scomodi e invadenti “alleati” francesi. Il castellano tenente Brunelli da Vada, segnala infatti che sono ancorati in quel porto due bastimenti francesi armati in corso, con equipaggi e truppa della stessa nazione, con patente di Portoferraio, procedenti da ieri di Baratti, ove ebbero pratica e che la volevano ivi pure. Brunelli replica di non avere l’autorità a concedere pratica a bastimenti armati in corso. A sua volta uno dei capitani francesi, espone che lo scopo della loro presenza è la ricerca di due bastimenti armati da genovesi, schiavoni, e maltesi, che dovrebbero essere in zona e dei quali hanno gli opportuni contrassegni per riconoscerli. Gli ordini ricevuti sono di controllare ogni porto e approdo del litorale, ma a conferma di ciò non mostrano al castellano nessun recapito autentico che gli autorizzi, mettendolo così in una imbarazzante situazione. Non ci è dato saper come fu risolta la questione, ma c’è da supporre che la preponderante forza dei francesi abbia fatto pesare il piatto della bilancia dalla loro parte, e che i nostri si siano dovuti, loro malgrado, assoggettare alla richiesta.

Rosignano, 28 dicembre 1802, tenente Tausch c.s.

Il navicello toscano del padrone Mattia Tagliagambe approda a Vada e questi dichiara al castellano Brunelli che è autorizzato a recuperare la pollacca che si trova arenata sulle secche di Vada, ossia a Valli Vetri, ma non producendo nessun ordine scritto, ne del governatore ne della sanità, prima di accogliere la sua richiesta si interpella l’ufficio di Livorno, per sapere come comportarsi qualora si ripresenti al porto di Vada.

Rosignano, 1 marzo 1803, Gaetano Benetti speziale, al gonfaloniere.

In occasione della cattura dello sciabecco turco, nei pressi della torre di Vada, avvenuta nel dicembre 1802, un soldato delle truppe inviate da Livorno in rinforzo alla guarnigione, era rimasto leggermente ferito. Lo speziale del paese, incaricato di medicarlo, rimette il conto all’amministrazione come gli era stato suggerito dagli ufficiali della truppa.

Rosignano, 8 aprile 1803, tenente Tausch c.s.

Alla fine del settembre dell’anno precedente, era stata fatta circolare, per mezzo del segretario di Sanità Spighi, una memoria relativa all’atto di pirateria subito nelle acque di Calaforno, dell’imbarcazione del padrone genovese Stefano Berlinghero, partito da Livorno. Nella memoria si indicava la possibilità che a compiere l’atto di pirateria fossero state le barchette di pescatori di un certo Pasquale Spinosa che pochi giorni avanti si intratteneva con i suoi figli a pescare nel porto di Vada, e che prima dell’evento delittuoso si erano allontanati, senza fare ritorno. Tausch conferma di aver fatto circolare a suo tempo la memoria in tutti i posti del litorale a lui soggetti, e resta a disposizione per ulteriori ordini in merito.

Rosignano, 27 dicembre 1803, tenente Tausch c.s.

Dal posto di Vada, giunge la relazione del tenente Brunelli relativa a un presunto tentativo di pirateria ai danni di alcune piccole imbarcazioni approdate al porto quel giorno. Il padrone Giacinto Lami toscano, con due marinai di equipaggio, dichiara di essere sfuggito con la lancia all’attacco di un presunto corsaro inglese, abbandonando il suo navicello. Contemporaneamente sono arrivati in porto anche due gozzi, i cui equipaggi asseriscono di essersi rifugiati in porto per sfuggire allo stesso corsaro. La notte seguente, fattosi favorevole il vento, le tre imbarcazioni ripartono alla volta di Livorno e il castellano invia nel frattempo il suo rapporto.

Rosignano, 29 febbraio 1804, tenente Tausch al pro-governatore di Livorno.

Trasmette il rapporto originale redatto dal tenente Brunelli castellano di Vada, in cui è descritto l’evento relativo all’ennesimo attacco di corsari a danno di imbarcazioni civili. In questo caso fra i passeggeri vi è anche il Console Americano in Messina, per il quale assieme al rapporto si trasmette anche una lettera, preventivamente profumata per regolamento sanitario, indirizzata al collega Console Americano in Livorno. Tausch, sottolinea di aver dato ordini perché sia fornito a questa gente il necessario sostentamento e di aver ogni riguardo dentro i limiti delle presenzioni di sanità per il suddetto console, fino che non mi perverranno le determinazioni di Vostra Eccellenza.

Rosignano, 9 ottobre 1804, tenente Tausch al pro-governatore di Livorno.

Sono arrivati la mattina, nel porto di Vada, la paranzella francese in corso comandata dal capitano Antonio De Luca, procedente in giornata da Piombino, con a bordo circa trenta soldati francesi ed alcuni ufficiali della guarnigione di Santo Stefano, e tre bastimenti toscani, anch’essi carichi di soldati francesi delle guarnigioni di Santo Stefano e Piombino, destinati a Livorno, a cui la paranzella fa da scorta. Il comandante della truppa chiede al castellano l’autorizzazione a scendere a terra e rimanervi fino al giorno successivo, quando, se il tempo non lo permetterà per mare raggiungerà Livorno via terra per la strada del Litorale.

Rosignano, 4 novembre 1804, c.s.

Dopo l’ennesimo episodio di pirateria avvenuto lungo la costa a sud di Livorno, Tausch sente l’esigenza di replicare alla lettera del Governatore che stimmatizza la scarsa efficienza del servizio dei guardia coste. Pur ammettendo le sue responsabilità, tenta una giustificazione adducendo a suo discarico sia la lontananza di circa un miglio della torre di Vada dall’approdo dei bastimenti, e il fatto che gli arrembaggi avvengono soprattutto di notte ed a opera di piccole lance, difficili da individuare al buio.

Rosignano, 23 marzo 1805, tenente Tausch, al Dipartimento di Sanità.

Prima della sera vengono avvistati due legni quadri che fanno sospetta navigazione, andando avanti e indietro, per cui le imbarcazioni che stavano veleggiando verso quella parte di mare si ritirano sotto le torri. Durante la notte le postazioni di levante fanno segnali di fuoco e si odono alcuni colpi di cannone verso il fanale.

Rosignano, 25 luglio 1805, c.s. al governatore di Livorno.
Circa la mezza notte i bastimenti ancorati presso Vada, accendono i fanali e tirano diversi colpi di fucile, verso un aggressore non identificato. Il castellano fa subito accendere l’illuminazione della Torre e spara un colpo di cannone di avvertimento. La mattina dopo vengono a riva le lance dei bastimenti ancorati e dichiarano che avevano visto aggirarsi attorno una lancia sospetta, che chiamata per farsi riconoscere non aveva risposto e anzi si era riavvicinata per due volte nonostante le fucilate. Solo dopo la cannonata della torre si era allontanata definitivamente.

Rosignano, 11 dicembre 1805, tenente Tausch al governatore di Livorno.

Verso la mezzanotte precedente, il tenente ha osservato un bastimento di due alberi e vela quadra, dirigersi inesorabilmente, sospinto da forte burrasca, sulle secche prospicienti la foce del fiume Fine, a metà strada fra Vada e Castiglioncello. Subito ha inviato i cavalleggeri della scorreria e quelli di Monte alla Rena, perché soccorressero eventuali naufraghi, nel rispetto delle norme di sanità. A tale scopo ha dato ai soldati alcune torce a vento che custodiva per queste occasioni e l’ordine di accendere fuochi in quei punti della costa dove è più probabile che i naufraghi tentino di sbarcare per salvarsi dai marosi.

Rosignano, 6 (manca il mese) 1805, c.s.

Due persone sconosciute e in abiti da marinaio vengono inseguite per quasi tutta la notte, da diversi picchetti e scorrerie dei soldati di Vada, e finalmente catturati dal picchetto della Buona Posta, nei pressi della torre e qui tradotti in arresto e contumacia. Tausch inoltra assieme al rapporto anche la deposizione dei due arrestati, perché venga interpretata e tradotta a Livorno, dato che i soggetti parlano malamente e poco la lingua nostra.

Torre di Vada, 4 dicembre 1806, tenente Tausch al Dipartimento di Sanità.

Viene trasmessa la nota dei bastimenti persi e di quelli danneggiati dalla violentissima tempesta del 3 dicembre, lungo la costa di Vada. La sottoscrive il sergente Lari capo- posto provvisorio alla torre.

Bastimenti affatto perduti, n°4:

Navicello del padrone Michele Durazzano toscano, carico di carbone, da Livorno a Napoli.

Gozzo del padrone Jacopo Campidonio toscano, da Livorno, vagante.

Gozzo del padrone Simone Pellani marinese, con bandiera francese, carico di vino da Marciana a Livorno.

Gozzo del padrone Schi affino toscano, da Livorno a Piombino, carico di paste lavorate (salvato il carico).

Bastimenti investiti e dati attraverso sulla spiaggia di Vada, n°9:

Navicello del padrone Giacolino toscano, vagante da Livorno per caricare carbone.

Navicello padrone Giovanni Lami toscano, vagante da Livorno per caricare carbone.

Tartana padrone Raimondo Landi, vagante da Livorno per Macchia Tonda.

Tartana padrone M. Paloinba toscano, da livorno per Civitavecchia con merci varie.

Tartana padrone Giuseppe Di Menne toscano, da Livorno per Civitavecchia carico di zuccheri.

Filuga padrone Filippo Schettino napoletano, bandiera francese, carico di cuoio, ferro, miele, per Napoli.

Pinco padrone Andrea Pel uzzo francese, da Livorno vagante.

Leuto padrone Carlo Berardo francese, da Livorno vagante.
Pinco, anzi leuto del padrone Jlario Bussio francese, da Livorno vagante.

Rosignano, 26 febbraio 1807, tenente Tausch al governatore di Livorno.

In esecuzione degli ordini ricevuti il tenente ha fatto punire con quattro giorni di arresti nel loro quartiere i castellani Mainardi e Ceccherini, e il caporale Nocenti della torre del Romito, con altrettanti giorni di castigo della casa matta, per le ripetute trasgressioni agli ordini ricevuti e la non corretta applicazione delle norme e dei divieti che evidentemente avevano superato ogni limite.

Torre di Vada, 18 luglio 1810, generale Gherard al maire di Rosignano Bombardieri.

Ho l’onore di prevenirla, che in conformità agli ordini de sig. gen. Franceschi comandante il Dipartimento, il distaccamento di trenta fucilieri francesi serviti di rinforzo su questo littorale fu ripartito nel modo seguente, un ufficiale e diciannove uomini a questa torre, un sergente e dieci uomini quella di Castiglioncello [sic. sono trentuno] Dovendo questi ricevere il vino e la paglia per dormire, essa si compiacerà di dare gli ordini opportuni... omiss.

Torre di Vada, 13 febbraio 1817, Tenente Vergani comandante interno di Rosignano al Governatore di Livorno.

A smuovere la tranquilla vita di guarnigione a Vada, arrivano due strani individui per i quali il castellano Giorgerini, ritiene opportuno scrivere una accurata relazione al suo diretto superiore, che la gira senza commentarla direttamente al governatore. Al porticciolo di Buona Posta presso la torre, sbarcano da una feluca denominata La Corallina, con tredici uomini di equipaggio e che risulta di proprietà di S. M. I., provenienti da Livorno, due distinti signori, che si possono a prima vista definire personaggi di alto rango, ma ambedue privi di documenti di sanità. Uno dichiara di essere il Commissario Generale e l’altro un Capitano, e sono diretti a Portoferraio. Poiché il comandante della feluca, capitano Cardelli, garantisce per essi, e essendo comunque l’imbarcazione di proprietà granducale, il diffidente Giorgerini, fa scendere a terra i due e li ospita nel suo alloggio di servizio presso la torre. Questi accettano di buon grado e non disdegnano l’invito a pranzo del castellano e di sua moglie. Durante e dopo il pranzo tutti conversano amabilmente, e Giorgerini può osservare da vicino quello che gli appare il ritratto di Sua Altezza Imperiale e Reale in tutte le sue parti. Una imbarazzante somiglianza che mette ancora più soggezione al pover’uomo. Comunque i due parlano e la conversazione si sviluppa su temi di agricoltura, come l’idea di adottare a Rosignano la coltivazione del riso spagnolo, che asserisce lo sconosciuto, aver già sperimentato, senza grande successo in verità, a Poggio a Caiano, oppure chiedendo e informandosi dello stato della popolazione locale e se a Rosignano vi sono scuole pubbliche. Evidenziando una certa conoscenza delle cose locali, e comunque un forte interesse per l’amministrazione della cosa pubblica e dell’apparato militare, i due terminano la conversazione quando quello definitosi capitano dice che il due maggio successivo sarebbe venuta a Cecina S. A .I.e R., al che l’altro schernendosi abbassò il capo e non parlò. È probabile che si trattasse proprio di Sua Altezza il Granduca, non nuovo a queste visite in incognito al territorio, alla ricerca di una visione realistica e non distorta dello stato effettivo del paese.

Rosignano, 20 maggio 1817, Handerville al Dipartimento di Sanità.

Il castellano di Vada ha dovuto, nel primo pomeriggio del giorno precedente, richiamare a terra e a ubbidienza il padrone di un bove denominato La Madonna di Montenero, che si rifiutava di avvicinarsi per il riconoscimento. Solo il colpo di una cannonata lo ha convinto a farsi avanti e a dichiarare le proprie intenzioni. Il padrone del bove è Bonaventura Galanti di Marciana nell’Elba.

Rosignano, 20 febbraio 1831, Verzoni (o Verzani) c.s.

Il tenente Giorgerini castellano di Vada, rapporta al suo superiore in merito al naufragio di un brigantino sulle secche di Valli Vetri, avvenuto alle due del pomeriggio del giorno precedente. Si suppone che la nave sia di nazione greca.

(Da: "La difesa costiera. Forti, torri, posti armati, strada dei cavalleggeri da Livorno a Vada" di Clara Errico e Michele Montanelli)