Il giorno dei rintocchi
La più grande campana del mondo si trovava a Mosca, pesava 1400 quintali,
si chiamava "Zar Kolocol" e forse oggi non esiste più. "E' il giorno del
Sabato Santo si sciolgono le campane". Cielo di festa, sole per tutti,
fughe di note, fughe di squilli. Ed anche fughe di rondini. Belle
immagini ardite che in una prosa di Pasqua costituiscono il prezzemolo
indispensabile nella confezione del manicaretto. Resta il dilemma delle
campane, chi le ha inventate? Io autore spericolato no; tu lettore serio
e coscienzioso nemmeno. Dunque c'erano prima. Risalgono a tempi
antichissimi, precristiani. Questo si sa per certo, sul nome
dell'inventore si è posata invece la polvere dei secoli. Qualcuno ne
attribuisce la paternità al popolo egiziano, ma chi può dirlo? I
persiani, i greci, i romani le conobbero e le suonarono, prima con una
mazza di legno, poi con un martello ed infine con l'attuale battaglio
a pendolo. Le suonavano per propiziarsi gli dei e per fugare gli spiriti
maligni. Il "Campanaro di Rovereto" Don Antonio Rossaro, ha detto che la
campana è amica dell'umanità, canta, prega, piange, incita alle
battaglie, celebra le vittorie. Tutti però non sono della stessa
opinione. Lo scrittore turco Onde Soaheddim, narra come uno dei più
grandi benefici derivati dalla presa di Costantinopoli fosse quello di
aver ridotto al silenzio il "detestabile suono delle campane" e il
Pascoli che pure amava il campanile del "suo bel San Nicolò" un certo
giorno perse la pazienza e scrisse a un suo amico che lui di quel "din
don, din don" delle campane ne aveva pieni i timpani e ne avrebbe fatto
a meno volentieri. "Un'ora o due di doppi al giorno, all'improvviso come
un'imboscata...". O che vi pare? Quella faccenda gli avvelenò talmente
il soggiorno nella idilliaca pace di Castelvecchio da suscitare un urto
anche col parroco del paese. Ma il parroco non aveva colpa, in quanto il
campanaro anti-poeta agiva quasi sempre di propria iniziativa. Abbasso e
viva dunque, le campane secondo i vari umori della gente. Eppure un
tempo, esse erano per tutti di buon auspicio. I sacerdoti pagani ne
portavano 72 cucite nelle fibbie della veste, per annunciare il loro
avvicinarsi al tempio, Aronne le portava nascoste nella barba, non si sa
bene se attaccate ai peli o congegnate in un apparato idoneo. Porsenna re
degli etruschi, le volle nel sepolcro. E' questione di gusti, a Carlo VIII
invece le campane che Pier Capponi minacciò di far suonare dai
fiorentini, non piacquero per nulla e se ne andò imbronciato da Firenze,
con quella spina in gola. Strabone ci fa sapere che il suono della
campanella annunziava ai suoi tempi l'apertura del mercato del
pesce in "foro piscatorio". Il che da molte parti e ancora in uso. Ad
Asti suona ogni tanto la "Campana dei ladri" ed a Pavia c'è la "Campana
dei bevitori" che "prohibebat ulterios bibere in tabernis". Alla
campana vennero in passato attribuiti vari compiti. Eccone alcuni
espressi in un latino che non ha bisogno di traduttore: "Laudo Deum
verum, plebem, voco, congrego clerum, defunctus ploro, pestem fugo et
festa decoro" ed anche:"Funera plango, fulmina frango, sabbata
ploro, excito lentos, dissipo ventos, placo cruentos" e non è poco, nè semplice. La campana come la vediamo oggi nacque verso il quinto
secolo. Una delle più antiche si trova nella parrocchia di Canino presso
Viterbo. La fece un certo Vicenzio che è passato alla storia appunto per
questo lavoro. E' cerchiata al vertice, ha un forellino nel collo e
porta una delle prime iscrizioni col nome del donatore e la dedica a San
Michele Arcangelo, già considerato fino a quel tempo, protettore delle
campane. Per la dedica ed i cerchi nulla da eccepire. Quel forellino
invece destò la curiosità dei posteri che ne discussero a lungo finché
non si capì che era soltanto un espediente per migliorare il suono. Una
città che deve la sua fama alle campane, è Nola dove sorsero le prime
officine di lavorazione del "Campanum" dal quale derivò il nome di
campana. San Paolino vescovo di Nola fu detto erroneamente l'inventore
delle campane e papa Savignano, colui che "insegnò ai popoli a
distinguere" con i rintocchi delle stesse, "le varie ore del giorno".
Alcune andarono famose per la loro grandezza. Il terzo imperatore della
dinastia nazionale cinese, Yung-lo, salito al trono nel 1403 costruì
cinque campane, due delle quali pare che esistano ancora. Una è detta la
"Campana del tempio" perché dopo molti anni della sua fusione (1578) le
fu costruito intorno un padiglione a forma di tempio. E' alta 5 m e ne
misura 15 di circonferenza alla base, pesa 52 tonnellate. Non ha
battaglio, viene suonata con la percussione di una trave oscillante
contro l'orlo inferiore. La seconda delle grandi campagne pechinesi
superstiti è rimasta vittima della sua mole e da lungo tempo giace mezza
sepolta fuori dalle mura di cinta senza il conforto...del suono. In
Giappone ce n'è una alta 3 m, che ha un diametro di due e settanta e
pesa 700 quintali, ma il colosso delle campane, che non sappiamo se
esiste ancora, si trovava a Mosca. Era nota nel mondo col nome di "Zar Kolocol". Il suo peso era di circa 1400 quintali. Chissà se adesso gli
adoratori del sole dell'avvenire non ne hanno utilizzato il bronzo
diversamente, già perché le campane hanno questo torto costituzionale,
di essere fatte con la stessa materia delle monete e dei cannoni. Accade
quindi che quando scocca l'ora "La truce ora dei lupi" o si sbriciolano
in palanche o si allungano in minacciose bocche da fuoco. Esistono però
anche degli esempi inversi. Una campana che la cattedrale di Colonia
ebbe in dono dall'imperatore Guglielmo nel 1877, nacque dalla fusione di
22 cannoni francesi. E dai cannoni offerti dalle potenze che
parteciparono alla prima guerra mondiale è nata l'altra più recente di
Don Antonio Rossaro, che ha un diametro di 3 m e pesa 170 quintali: dal
bastione veneziano di Rovereto ogni sera questa campagna suona 100
rintocchi solenni, maestosi, suggestivi. E' un rito di fraterna pietà
per ricordare i caduti in guerra, "saluta i morti nella gloria di Dio e
rammenta agli italiani che la patria trionfa per il sacrificio e l'amore
dei suoi figli migliori". Fra le campane "storiche" vi sono quelle che
annunciarono i Vespri siciliani nel 1282, la campana del Bargello di
Firenze i cui rintocchi accompagnarono i condannati a morte, la
"Martinella" che dal Carroccio chiamava le milizie alla battaglia,
quella delle "Cinque giornate" di Milano, la "Grancia" di Palermo, la
"Piagnona" di Firenze ed altre che suonarono per incitare il popolo ad
insorgere contro il tiranno. Nella gloria dell'arte musicale: ecco i
funerei rintocchi del "Miserere" nel "Trovatore" di Verdi, le campana
del vespero nei "Pagliacci" di Leoncavallo o quelle di Mayerbeer nella
"Strage della notte di San Bartolomeo", i fatali rintocchi nella
Gioconda di Ponchielli. Hanno accenti di bellezza sublime: le campane
della "Cavalleria" del "Persifal" della "Fedora" della "Tosca" della
"Wally" di "Fra diavolo" di "Mefistofele" dei "Puritani". Nella poesia:
Dante, Schiller, Victor Hugo, Leopardi, Pascoli, Zanella si ispirano
alle campane e si potrebbero anche aggiungere i nomi di Arturo Graf, di
Antonio Gazzoletti, di Alessandro Manzoni, di Ippolito Pindemonte. Nella
pittura citiamo Segantini e Millet che al fascino delle campane legarono
i soggetti di due famose composizioni. Il suono delle campane trova
nell'animo umano infinite e misteriose corrispondenze: suonano a
"mal'acqua" a "scongiuro" a "morte" a "gloria". L'umanità accorda i
propri sentimenti alla loro "voce". Il Fucini in un sonetto in vernacolo
pisano rivela i sentimenti che suscita nel suo animo il suono delle
campane. Pensa "alla vita umana" e gli par "tutto pianto e tutto dolo";
pensa ai suoi morti, "ar ceppo, alla Befana" e "all'anni" suoi "ch'enno
passati al volo" "E col capo accosì giù tra le mane" si rassegna "ar
destino" ai suoi decreti "e bacerè le fune alle 'ampane" "Però nun sò
capi, Dio mi perdoni, come diavolo mai facciano i preti a trovare 'r
babbéo che gliele sòni".
Con questa battuta di puro conio popolaresco, termina il sonetto del
Fucini.
(Gian Miròla "Il Tirreno"
31/3/1956) |