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	                                        Mulino del Riposo  
		Il Nencini riconosce questo opificio nel mulino medioevale di Vada 
		citato dal Repetti. Il 1° luglio 1206 l’abate del monastero di S. Felice 
		di Vada si obbligava a pagare un annuo censo di 24 soldi agli 
		arcivescovi di Pisa per deviare le acque del fiume e condurle per gora 
		al mulino o mulini, che detto abate, o i suoi successori, avessero 
		voluto su di essa edificare. Nel 1221, Rustico, abate del monastero di 
		S. Felice, vendette, con il consenso dei consoli di Vada e di un monaco 
		che allora vi abitava, la metà di questo mulino, fatto costruire presso 
		il ponte della Fine. Sulla gora del medesimo, nel 1285, gli abitanti di 
		Vada e Rosignano dovevano costruire, entro un mese e a loro spese, un 
		ponticello di legno. Le descrizioni toponomastiche riportate ci inducono 
		a condividere l’ipotesi del Nencini ed a individuare, in questo sito, il 
		mulino del Riposo. L’opificio, ubicato nei pressi dell’antico ponte 
		della Fine, era prossimo alla via che collegava Vada con Rosignano; la 
		denominazione “Riposo” lascerebbe intendere come il luogo — posto circa 
		a metà del cammino fra i due borghi — fosse particolarmente apprezzato 
		dal viandante per la sosta. Nel 1628 Camillo Pagnini da Rosignano 
		possedeva “Un mulino a ritrecine dismesso con gora murata serve per casa 
		da lavoratori et una sovita murata distaccata dal mulino, et un altro 
		mulino dismesso senza macine serve per stalla (...) l.d. li Mulini del 
		Riposo”. Due mulini “uno serragnolo” ed “uno frangente”, tutti e due 
		distrutti e disfatti, si trovavano, già nel 1544, nei “confini di Vada e 
		Rasignano” e risultavano di proprietà di monna Iacopa di Bondo di 
		Niccolò Lanfranchi cittadina pisana. Con molta probabilità doveva 
		trattarsi degli stessi opifici che, a distanza di un secolo, risultavano 
		ancora improduttivi. Agli inizi del Settecento i due mulini erano ancora 
		dimessi, ma i nuovi padroni, Giovanni e Filippo Bombardieri, già 
		proprietari dell’Osteria del Malandrone, meditavano sulla possibilità di 
		un loro imminente recupero, che sarebbe tornato utile e vantaggioso ad 
		una nuova osteria da aprirsi proprio in questo luogo di transito. Nel 
		Plantario del 1795 un solo mulino, ancora di proprietà Bombardieri 
		(Giovanni), compare vicino ad una “Casa che prima serviva d’Osteria” 
		(detta del Riposo) ed è alimentato da un bottaccio che prendeva le acque 
		dal Botro del Ricavo. Lo stesso impianto è successivamente rappresentato 
		nella mappa del catasto 1823 con proprietario Tausch Teodoro di Giovanni 
		il quale, pochi anni più tardi (istanza del 10 febbraio 1829), ne 
		chiedeva il “defalco” ai fini della tassa sugli edifici ad acqua; dal 
		1827 il mulino era stato infatti convertito in casa colonica mentre la 
		gora ed il gorile erano stati trasformati in fondi coltivati. Il 31 
		marzo 1829, “Veduta la relazione del Signor Aiuto Ingegnere sul diverso 
		destino assegnato al così detto ‘Mulino del Riposo”, l’istanza veniva 
		accolta. Nei primi anni sessanta dell’Ottocento, in seguito alla 
		costruzione della ferrovia “Maremmana” (1861), l’opificio ed il 
		fabbricato che lo ospitava venivano in parte distrutti. Al loro posto 
		oggi troviamo una casa (“La Pace”) che niente fa trasparire dell’antico 
		mulino; l’unica testimonianza che resta si trova sul Torrente Ricavo, a 
		pochi metri dalla sua confluenza nel Fine, ed è costituita da un tratto 
		di muro recante la porta di scarico del rifiuto.
		(Da "Antichi mulini del territorio livornese" di R. Branchetti e M. 
		Taddei scaricabile dal sito.  |