La piazza era intorno al
1840 spogliata e vi fu costruito (di forma cilindrica) un casello, dove
per mezzo di pompa, con maniglia girante, il popolo poteva attingere
acqua. Questa infatti era eccellente e pura, ma per diverse rotture
avvenute nelle tubazioni di acque salate provenienti da Saline di Volterra
e dirette allo stabilimento Solvay, le polle furono inquinate e non più
potabili. (Da: "Vada nei
secoli" di don M. Ciabatti scaricabile dal sito)
Il pozzo della piazza nel ricordo di Vinicio Bernini
Un'acqua freschissima e gradevole usciva dal caratteristico "casotto"
cilindrico sormontato da una cupola, tutto in laterizio.
Una robusta manovella-motrice metallica, a cui si arrivava salendo tre
scalini-pianerottoli, ruotandola faceva affluire l'acqua a due bocchette
ricurve sporgenti: una lato monte, l'altra lato mare.
Una porticina dietro, a mezza altezza, dalla quale poter accedere
all'interno del cilindro dove era il meccanismo di aspirazione
dell'acqua. Una larga base in cemento intorno al pozzo, otto pilastrini a
delimitarne il perimetro, collegati da barre di ferro; due aperture: una a
monte, l'altra a mare per circolarvi.
Non essendovi allora, fino agli anni '50, acqua corrente nelle case,
era questa la fonte alla quale ricorrere, almeno dalle famiglie della
piazza e dintorni, per la tavola e gli usi più igienici: le donne, brocche
in testa; i pochi uomini che si prestavano a questo servizio, quasi fosse
un diminuirsi, una sola brocca a mano e testa in giù; noi ragazzi,
comandati all'ora del pasto, prima di servire in tavola, felici di correre
alla fonte con un bottiglione di vetro lavorato. Ad integrare gli usi di
cui una famiglia aveva bisogno, altra acqua veniva tirata su, col secchio affunato, dal pozzo dell'orto o del cortile di cui quasi tutti i retro
casa erano forniti.
(Sintesi
da: Quaderni Vadesi 11 di Vinicio Bernini)
I ragazzi degli anni '30
Madidi di sudore, la pelle tendente al nero fuliggine, le scarpe ai limiti
di rottura, una fame da lupi: così tornavamo in piazza in vista della
cena. Mai, però, entrare in casa in quelle condizioni; si sapeva come ci
avrebbero accolti. Se l'acqua di mare non ci rendeva più presentabili, la
seconda sosta obbligata era alla fontana di piazza: quella poi
malauguratamente demolita. Una lunga, corroborante bevuta della sua fresca
acqua precedeva un lavaggio alla disperata, tanto per rendere l'aspetto
meno truce; asciugatura con quel fazzoletto da naso, di solito a colori
perché quello reggeva di più lo sporco. Girare il "manovellone" che faceva
arrivare l'acqua alle due bocchette contrapposte toccava quasi sempre a
quello più buono, intimorito dalle urla dei più anziani; lui difficilmente
riusciva a lavarsi per bene: chi gli girava la "maniglia" se gli altri se
la squagliavano, come quasi sempre succedeva? I protagonisti erano i
ragazzi vadesi di ritorno dal campo sportivo di marina, quel terreno che
fino ai primi del '900 era stato deposito di carbone di legna e che, a
distanza di tanti anni, era ancora capace di farci neri, da capo a piedi,
anche dopo averci scorrazzato per poco. Malgrado quel tentativo di
lavaggio effettuato alla "pompa", come si era soliti chiamare quella fonte
di acqua, al rientro scarpe, indumenti e pelle non sfuggivano agli sguardi
indagatori della "ispettrice" di casa: la mamma. E così obbligo era
terminare l'operazione pulizia: in cucina o nel "concaio", precursore,
questa "dèpendance", della stanza da bagno e dove, prevedendo la
situazione di rientro, c'era un "focarile" che stava stemperando
l'ambiente e riscaldava l'acqua, pronta ad essere travasata in quell'antenata
della vasca da bagno che era una grossa tinozza vicino al fuoco. Sapone di
Marsiglia, quello a grossi pezzi che serviva anche per strusciare sulla
biancheria del "bucato" e decise raschiate di bruschino per levare lo
sporco più tenace. E se le scarpe, spesso le uniche in dotazione lo
permettevano, noi eravamo di nuovo là, al campo del mare, a correre dietro
un pallone, a sudare e a portare ancora una volta a casa, tempestati di
brontolate, abbondante polvere di carbone sparso per tutto il corpo.
(Da Q.Vadesi 11 a cura di Vinicio Bernini)
22 luglio 1876 - Proteste e proposte per il
pozzo e la qualità dell'acqua.
Ill.mi Sigg. Sindaco e Componenti il Municipio di
Rosignano Marittimo. I sottoscritti abitanti nel Villaggio di Vada
rispettosamente rappresentano alle S.S.L.L.Illme. che il pozzo del
Piazzale di Vada ha estremo bisogno di essere prolungato e ripulito
dalle immondezze di ogni sorte che mano a mano ci gettano i ragazzi, le
quali corrompono l'acqua tanto necessaria ai bisogni della vita. Che
all'effetto di provvedere alla salubrità dell'acqua ed alla salute di
coloro che sono costretti a servirsene tanto per bevanda come per
preparare i cibi, sarebbe d'uopo chiudere l'apertura dalla quale
presentemente l'attingano, tappare con una calotta munita di un foro la
sommità del pozzo ed applicarci una pompa aspirante. Onde e perciò che i
sottoscritti umilmente pregano le S.S.L.L.Illme. a provvedere
sollecitamente a tale urgente bisogno e qualora dal fondo a calcolo non
si potesse distrarre la piccola somma occorrente per supplire alla
relativa spesa, in tal caso soltanto fanno premurosa istanza affinché la
spesa relativa sia contemplata nel bilancio per l'anno 1877. Chi e
quanto. Vada 22 luglio 1976.
1907 - Proteste per la qualità
dell'acqua.
Protesta del paese di Vada riguardo al
pozzo essendo l'acqua cattiva preghiamo la Sig.ria Vostra a prendere
premure urgenti di ripulitura e apertura del pozzo come era una volta
che era buonissima.
1926 - Analisi dell'acqua.
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