Vada ieri
1906 - La torre, la chiesa ed il palazzo Ducale da sud. In primo piano la via per il padule ovvero
verso l'odierna Mazzanta
(Foto Bernini)
  Il "padule" è sempre stata una zona che era bene non praticare. Così dicevano i grandi a noi ragazzi. Il sud di Vada significava "padule" quindi zona di "ranocchi" di "mignatte" e "gramignaie". Vada è ancora per celia il "paese dei ranocchi" anzi dei "granocchi" come si diceva una volta, con tanto di sagra. Terra di bonifica spinta dove Altidoro del Bini addetto al Consorzio di Bonifica assicurava il pompaggio delle acque dolci in mare, ogni volta i fossi salivano troppo di livello. Operazione attesa dai pescatori di "cee" che approfittando della risalita degli avannotti di anguilla controcorrente verso il tranquillo ricovero dei fossi, facevano incetta dei prelibati pesciolini. (Quaderni Vadesi n°11 "Scorribanda intorno ad una piazza" di Vinicio Bernini )

LA TENUTA DI VADA

Piantagione delle pinete, costruzione della Chiesa, disegno della Piazza e palazzo Granducale


Questa fu primamente divisa in 33 parti e allivellata. Però solo 20 di queste ebbero l'onore di costruire 106 case, di dissodare 6.744 stiora e piante 5740. Nel luglio del 1848 restavano da allivellarsi 5 Preselle che si vollero serbare in premio a quelli tra i concessionari che prima finirebbero i lavori imposti. Di tali lavori, notava il Municchi, non restava da farsi nel luglio 1848, che nove case; il dissodamento di 1750 stiora e la piantagione di 1770.

Furono pur tenuti in serbo 2694 stiori occupati in parte del Tombolo e degli Stagnoli: di questi doveva usarne lo Stato per coltivare una macchia di pini in difesa della interna coltivazione dall'impeto dei venti di mare, per ridurre le adiacenze del Forte ad una spianata su cui costruirvi il disegnato villaggio, per colmare gli stagnoli con le acque torbide del Tripesce e per risanare col mezzo delle essicazioni il vasto Stagno che poi si ridurrebbe in parte e si allineerebbe.

E l'Amministrazione dello Stato non fallì all'obbligo suo, il Tombolo già verdeggiava per molte migliaia di pini, veniva costruita ad uso del villaggio una bella e grande Chiesa, abitazioni per il Parroco e Cappellano curato. Compiuta la Piazza, a buon punto condotta la piattaforma, inoltre erano costruite oltre le fabbriche ecclesiastiche due case, una delle quali (il così detto palazzo Granducale) costruita nell'anno 1848 con il grande orto e la serrata di detto Palazzo venduto a lotti.

Dopo la morte di Pacifico Sarti, divenuto proprietario del Palazzo ed adiacenze avendolo comprato dal Cav. Francesco Tardy, l'interno di detto Palazzo fu modificato, rimanendo però intatta la facciata originale.

Il Sig. Tardy, che l'aveva acquistato per compra-vendita dal Governo nel 1872, vi abitò con la famiglia; e, dopo di lui, vi abitarono il Dott. Adolfo Gazzarrini, medico condotto di Vada, il Cav. Pantaleo Edoardo, maestro, Pescucci Archimede, impresario edile, e Valori Antonio detto Baicchi, guardia giurata alle dipendenze Tardy.

Il Palazzo Ducale è situato sulla Piazza di Vada, lato Cecina, e di fianco alla Chiesa. (Dove oggi trovasi l’omonimo ristorante. Nota web)

Quando gli altiforni fusori del Tardy furono smantellati e destinati a Piombino, il fabbricato di essi passò alla famiglia Carlevaro, e tuttora ne è padrona la figlia di Giuseppe, Edelvays in Gonfiotti, il cui marito, Gonfiotti Marcello, è il continuatore industriale del suocero Giuseppe Carlevaro, nella fabbrica distilleria olio al solfuro e piastrelle di sansa per uso stufe.

Inoltre lo Stagno era prosciugato per più di 2/3 e il Municchi assicurava che nel corrente 1848 sarà completamente essiccato con l'opera di una macchina a vapore della forza di 10 cavalli, la quale agirà pompando secondo il sistema danese gli argini delle parti più profonde dello Stagno, e nei lunghi intervalli nei quali mancherà l'elemento a tale azione, darà moto ad un Mulino per la macinazione del grano, ed infine, con l'apertura dei nuovi fossi, con la riordinazione degli antichi per la lunghezza lineare aumentata di miglia tre, si è assicurato il felice scolo del territorio tutto di Cecina e di Vada.

E con ampia strada (come già detto da Repetti) retta di tre miglia che sta come asse delle secondarie si è data diretta comunicazione della nuova Chiesa di Vada alla Via Emilia. Grandi ed utili provvedimenti furono questi, ma ben altro mancava a rendere prospere quelle due colline di Cecina e Vada; abbisognavano grandi capitali per le nuove coltivazioni, fabbriche e bestiame, ed i capitali non mancarono.

La ricca Livorno era vicina e le due colonie ne trassero profitto: di qui è facile comprendere che in pochi anni si fosse potuto spendere la ingente somma di quasi tre milioni. Il Municchi ci ha lasciato nota di queste spese:

Somma totale L. 2.907.000, delle quali L. 337.000 dello Stato negli speciali lavori sopracitati e L. 2.570.000 dei privati come appresso: in fabbriche L. 1.438.000, in coltivazioni L. 391.000, in bestiame L. 380.000, in strumenti e corredi fondiari di ogni genere e specie L. 361.000; totale L. 2 milioni 570.000.

E queste spese recarono il loro frutto, imperocché le due colonie, e come il Municchi notò, avevano nel 1845 già prodotto il raccolto di Stato 106.374 di ogni maniera di granaglia e legumi.

Resterebbe a cercare se le annue alimentari perdessero o guadagnassero. La Mensa Arcivescovile di Pisa, per conto della quale aveva il Governo eseguita l'alimentazione della Tenuta di Vada, ne trasse notevole profitto.

Il Repetti nel suo Dizionario Geografico ci lasciò scritto che la Mensa Arcivescovile di Pisa giunse per questo mezzo ad avere una rendita sicura di scudi 5.100, mentre ne ritraeva 3.000.

Anche lo Stato se ne avvantaggiò quando si pensi che la vastissima Tenuta di Cecina nel 1928 dava un così tenue profitto da sembrare quasi impossibile.

In qualunque modo però sia la cosa, certo è che l'ímpresa fu saviamente concepita ed utilmente condotta a fine, avendo non solo accresciuto di molto le pubbliche ricchezze, ma sanificato un grande tratto di paese e zone limitrofe, come Rosignano, Castellina Marittima, Riparbella ed altri, che ne ebbero grandissimo beneficio.

I possessi degli Arcivescovi di Pisa arrivavano sino al Casone di Vada a Nord, già prima che Leopoldo II, Granduca di Toscana, decretasse e facesse la bonifica del Padule, dando in enfiteusi perpetua e gratis n. 127 preselle di terreno, nel comprensorio di Vada, a coloro che si fossero obbligati di servirsene per fare poderi e costruzioni di case coloniche e civili, e quelli dei Gherardesca, che a Sud raggiungevano le colonne di Bolgheri, venivano anch'essi dati in enfiteusi da Francesco I di Lorena al Marchese Carlo Ginori di Firenze, con il titolo di Bibbona, Riparbella, Guardistallo, Casale e Cecina, ed ancora a Carlo Ginori, che, con l'aiuto del Dott. Romualdo Gilli di Pistola e dell'Ing. idraulico Bernardino Zemprini, dopo che fu costruita la residenza Fattoria di Cecina Mare, bonificò la Cinquantina, il Cedrino, il Piano di Bibbona, dove la malaria mieteva vittime. Sviluppando notevolmente le coltivazioni e la semina del grano di 373 saccate nel 1738 passate poi nel 1853 a 2000 saccate. Da: "VADA NEI SECOLI" del canonico Don Mario Ciabatti scaricabile dal sito.

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