La fabbrica/Cronache |
Cronache del Corriere della Sera e Il Telegrafo |
13 febbraio 1928 - Oltre un
milione di materiale rubato
in uno stabilimento. Giorni or sono l'autorità di P.S. procedeva al fermo dei conducenti di un camion carico di metalli che era giunto a Livorno dalla vicina Rosignano Solvay sospettando trattarsi di materiale di provenienza furtiva. Le indagini hanno permesso di stabilire che il materiale era di proprietà della ditta Solvay a che esisteva una vera organizzazione per il furto di rottami d metallo, organizzazione della quale facevano parte alcuni impiegati alla ditta. I furti avvenivano da lungo tempo, tanto che la società avrebbe subito un danno ingentissimo che taluno vuole superi di parecchio il milione. Sono stati arretrati certi: Angelo Giaconi, Ernesto Berti, impiegati della Solvay; Roberto Filocanapa, Giuseppe Porciano, Emilio Berretti, Augusto Minuti, Lino Valori, Augusto Carosini, Verano Turchi, Enrico Turini e Gastone Turchi. (Corriere della Sera) 18 luglio 1928 - Movimentato processo per furto a Pisa Sono comparsi oggi davanti al nostro Tribunale, implicati in una seria di furti continuati in danno dell'industria Solvay di Rosignano Marittimo il capo-magazziniere Angelo Giaconi di anni 48, Augusto Minuti di anni 57, barrocciaio addetto alla Solvay, Tito Bianchi di anni 45, commerciante da Cecina, Lino Valori di anni 53 commerciante pure da Cecina e Marino Mochi di anni 24. I primi quattro dovevano rispondere di furto continuato per essersi in correità tra loro, in varie epoche e flno al febbraio 1921 impossessati di rottami dl bronzo, di rame e di pezzi di piombo, in danno dell'industria Solvay per un valore di circa 50.000 lire. Il Minuti e il Mochi dovevano inoltre rispondere di altro furto di mattonelle e materiale da costruzione. Il dibattimento ha sollevato curiosità e interesse per la qualità di alcuni degli imputati e il pubblico vi ha preso parte in modo che l'aula è stata fatta sgombrare. Il Tribunale ha ritenuto il solo Minuti responsabile di furto condannandolo a mesi 5 e giorni 25 di reclusione giù scontati; ha assolto il Giaconi per non aver commesso il fatto e il Bianchi, il Valori e il Mochi per insufficienza di prove. Il Valori però non poté essere messo in libertà, perché detenuto per altra accusa. (Corriere della Sera) (torna a cronistoria) |
28 novembre 1963 - Un
operaio morto e due feriti
per un'esplosione
all'Aniene. Un'impressionante sciagura sul lavoro si è verificata questa mattina all'interno dello stabilimento chimico Aniene a Rosignano Solvay: tre operai che stavano lavorando alla sommità di una torre di sintesi sono stati investiti in pieno da un tampone di piombo proiettato in aria da una violenta esplosione causata a quanto sembra da una reazione chimica. Uno degli operai, Pietro Pizzi di quarantanove anni, abitante a Rosignano in via Calatafimi ha riportato gravissime lesioni alla testa e all'addome ed è morto mentre l'ambulanza lo stava trasportando all'ospedale di Livorno. Gli altri due operai, Sergio Spadoni di trentanove anni, dimorante in via Poggi Paoli a Rosignano e Piero Stefanini di ventotto anni abitante a S. Pietro in Palazzi, hanno riportato lesioni in varie parti del corpo. Particolarmente serie sono le condizioni dello Stefanini che è stato ricoverato d'urgenza in una corsia dell'ospedale di Rosignano. La raccapricciante disgrazia che ha provocato vivissima impressione in tutta la laboriosa Rosignano è avvenuta pochi minuti dopo le 8. A quell'ora diverse squadre di operai erano a lavoro all'interno del reparto tetracloroetano che produce normalmente la trielina ed il percloroetilene. Al centro del reparto in questione vi è una torre d'acciaio, alta una ventina di metri, all'interno della quale vengono fatti defluire alcuni tipi di gas che a contatto con l'aria esplodono. Lo sventurato Pizzi insieme allo Spadoni e allo Stefanini (questi ultimi dipendenti della ditta S.Marco di Livorno), avevano il compito di ripulire l'interno della torre che smontata in determinati settori, doveva essere sottoposta a revisione. In precedenza l'interno del complesso macchinario - come ha dichiarato un tecnico dell'Aniene ad un nostro cronista - era stato degasato e lavato on speciali sostanze le quali, in teoria dovevano togliere ogni residuo di gas esplosivo. Quando si è verificata la disgrazia, i tre operai si trovavano alla sommità della torre e attendevano l'ordine di sbullonare il tampone in piombo che è anche una sicurezza. Infatti, come è stato spiegato dai tecnici, quando la pressione all'interno della torre di sintesi, supera il normale livello, la prima parte a cedere è proprio il grande tampone di piombo che viene scardinato e gettato in aria. Esattamente alle 8,15 i tre operai hanno avuto l'ordine di liberare il coperchio di piombo. Da poco avevamo cominciato a togliere i bulloni - ha detto successivamente lo Spadoni - quando si è verificato lo scoppio. Ho visto un gran fumo e lo spostamento d'aria mi ha scaraventato sul pavimento del terrazzino di protezione a circa tre metri di distanza dal tampone. Mentre lo Stefanini ha perduto l'equilibrio ed è precipitato nella «bocca» della torre finendo contro una griglia dopo un volo di circa quattro metri, il povero Pizzi è stato colpito alla testa dal tampone di piombo proiettato in aria. L'operaio si è accasciato sul terrazzino terribilmente sfigurato. L'esplosione udita chiaramente in tutto l'abitato di Rosignano, ha mobilitato le squadre di soccorso dell'Aniene, portatesi immediatamente sul luogo della disgrazia. I primi a portare aiuto agli sventurati operai, sono stati il meccanico Elio Masi, Florindo Marinari di cinquantatre anni abitante a Rosignano Solvay e Remo Tognoni. Mentre le squadre di soccorso hanno raggiunto il Pizzi e lo Spadoni portandoli a terra a forza di braccia, il Marinari ed il Masi si sono calati nella torre per raggiungere lo Stefanini apparso subito in gravi condizioni. E' stato particolarmente difficile estrarre dalla torre il povero operaio, tanto più che le esalazioni del pericoloso gas ristagnavano ancora dentro la colonna. Infine anche il terzo operaio è stato calato a terra e nell'infermeria dello stabilimento ha ricevuto le prime cure. Successivamente un'autoambulanza della Pubblica Assistenza ha preso a bordo il Pizzi dirigendosi a tutta velocità verso l'ospedale di Livorno. Lo Stefanini e lo Spadoni invece sono stati condotti all'ospedale di Rosignano Solvay. Lo sventurato Pizzi purtroppo durante il percorso ha esalato l'ultimo respiro tra le braccia dei compagni di lavoro. Quando è giunta al pronto soccorso, i medici non hanno potuto fare altro che costatare l'avvenuto decesso. La salma è stata rinviata a Rosignano Solvay. Allo Stefanini i medici hanno riscontrato varie fratture e ferite lacero contuse. Dopo le cure del caso è stato giudicato guaribile in sessanta giorni e ricoverato in corsia. Lo Spadoni ha riportato invece lesioni guaribili in una quindicina di giorni. Poco dopo la disgrazia, allo stabilimento Aniene si sono portati due funzionari dell'Ispettorato del Lavoro che hanno cominciato le indagini al fine di stabilire come esattamente sia avvenuto l'incidente. Anche il pretore di Cecina ed i carabinieri di Rosignano Marittimo si sono recati allo stabilimento. Il Pizzi lascia la moglie signora Lida Coroni e le figlie Carla e Daniela rispettivamente di diciannove e diciassette anni. (Il Telegrafo Augusto Vivaldi). (torna a cronistoria) |
19 agosto 1969 - Tragica
esplosione all'Aniene - Due
morti e un ferito grave. Due operai morti, un terzo coperto di ustioni gravissime per il 75% del corpo. Una tragedia fulminea che ha gettato nel lutto e nella costernazione tutto Rosignano Solvay. E' avvenuta verso le 17,40 nel reparto per la produzione della trielina dello stabilimento Aniene-Solvay. Un'esplosione di gas acetilene l'ha sconvolto. I muri perimetrali in mattoni del grande capannone in cui funzionava l'impianto sono crollati, il tetto è saltato come un fuscello, i vetri all'interno dello stabilimento e nelle case del villaggio Aniene, distanti diverse centinaia di metri sono andati in frantumi. Nel reparto c'erano solo tre operai. Ugo Becuzzi di 32 anni, abitante a Caletta di Castiglioncello in via Tasso 3, sposato, padre di una bella bambina di sei anni; Miriano Favilli di 34 anni abitante in via Gioberti a Solvay, celibe; Romano Agostini di 33 anni, anch'egli abitante a Solvay in via del Cotone, sposato senza figli. Da dieci minuti appena era terminato il turno di giorno, se l'esplosione fosse avvenuta prima, si sarebbe verificata una strage ed il bilancio già così tragico, sarebbe stato molto più pesante. Il Becuzzi ed il Favilli, forse più vicini all'epicentro dell'esplosione sono morti sul colpo terribilmente ustionati; Romano Agostini è stato invece trovato dai soccorritori privo di sensi, ma ancora vivo, con il corpo ridotto ad una piaga. All'ospedale aziendale di Solvay il prof.Viola, dopo avergli prestato le prime cure lo ha fatto trasportare con un'ambulanza alla clinica dermatologica della Università di Pisa, dove esiste un reparto specializzato per la cura delle ustioni. L'Agostini ne ha il corpo ricoperto al settantacinque per cento, soprattutto al volto, al tronco e agli arti superiori ed i medici che si sono riservati la prognosi sembrano non nutrire eccessive speranze, anche se qualcuno - hanno detto - se l'è cavata in condizioni peggiori. Soltanto lui se vivrà, sarà in grado forse di fornire qualche elemento capace di dare una spiegazione alla tragedia. Per ora si fanno solo delle ipotesi, azzardate che non sembrano soddisfacenti. I dirigenti dello stabilimento, il condirettore ing. Schreus, i vicedirettori ingg. Azzali, Arzilli, De Gaudenzi e Balducci e gli altri tecnici accorsi subito al reparto distrutto, non si pronunciano ancora. Di impianti come quello in funzione a Solvay ce ne sono in ogni stabilimento del gruppo in tutta Europa. Mai era accaduta una cosa del genere, nonostante i molti anni di esercizio. Non si sa se sia esploso un apparecchio; non si sa se ci sia stata una perdita e si sia creata una miscela esplosiva, in quantità notevole all'esterno dell'impianto. Tutto è stato spazzato via. lo spostamento d'aria, hanno riferito alcuni operai, ha fatto cadere a terra numerose persone che in bicicletta stavano raggiungendo l'uscita, ad un centinaio di metri di distanza. I servizi di emergenza dello stabilimento sono entrati subito in funzione: sono accorse le ambulanze, le squadre antincendio. Tonnellate di acqua sono state gettate sull'impianto sconvolto, per estinguere alcuni piccoli focolai isolati, mentre venivano prestati i primi soccorsi ad Agostini. Purtroppo per gli altri non c'era più niente da fare. Pochi minuti dopo la tragedia, sul posto c'erano tutti i maggiori responsabili del grande complesso chimico. Dopo circa mezz'ora sono giunti il vice pretore di Cecina avv. Carnesecchi, il maresciallo Triglia della stazione dei carabinieri di Rosignano Marittimo, cui sono state affidate le indagini, il dott. Panebianco del commissariato di Solvay. Più tardi sono giunti anche il prefetto di Livorno dott. Puglisi, con il vice questore dott. Minusella, il comandante del Gruppo CC col. Gerofano. Il prefetto ha voluto rendersi conto personalmente sul posto di quanto era accaduto, quindi si è recato a rendere l'estremo omaggio alle salme dei due operai, composte nell'obitorio dell'ospedale Solvay, portando una parola di conforto ai familiari. La madre di Miriano Favilli, una vedova di guerra, ora rimasta completamente sola, straziata dal dolore. Questa mattina nel reparto trielina, dovrebbero recarsi per i rilievi tecnici, i periti dell'Ispettorato del Lavoro, che in collaborazione con gli incaricati della direzione Solvay, tenteranno di stabilire le cause dell'esplosione. Nel pomeriggio a Solvay i funerali di Ugo Becuzzi e Miriano Favilli. (Il Telegrafo Gianfranco Pierucci). (torna a cronistoria) |
25 gennaio 1971 - Operaio
ucciso da un tubo scagliato
da un'esplosione Sciagura alla Solvay ieri mattina. Un operaio di 37 anni Enzo Millotti è morto dopo essere stato investito in pieno da un fascio tubiero fuoriuscito come un proiettile da un contenitore. Il povero operaio è stato scaraventato a qualche metro di distanza; una scena raccapricciante si è presentata ai primi soccorritori, i tre compagni di lavoro che si trovavano con il Millotti al momento del fatto. Le sue condizioni sono subito apparse disperate. Adagiato su una autolettiga, è spirato sull'ambulanza che lo trasportava all'ospedale. I medici non hanno potuto fare altro che compilare il referto di morte. E' stata aperta un'inchiesta per appurare le cause che hanno determinato il tragico incidente. Enzo Millotti era nativo della provincia di Grosseto, di Massa Marittima e da soli tre anni abitava a Sassetta in località podere Sant'Anna, con il fratello, la cognata, le due nipotine e la vecchia madre. Il mortale infortunio si è verificato verso le ore 11. Il Millotti doveva effettuare un lavoro per conto della cooperativa "La Toscana" che ha sede a Rosignano Solvay. Si trovava con altri tre operai in un grande e moderno reparto dello stabilimento il «Cracking», per estrarre un fascio di tubi da una struttura metallica denominata "scambiatore di calore". Il Millotti stava svitando dei bulloni, doveva toglierne ancora uno, poi il lavoro sarebbe stato ultimato. I suoi compagni si trovavano dietro a lui. Ancora sotto choc, dopo l'accaduto che ha destato enorme impressione a Rosignano e nel circondario, hanno raccontato come si sono svolti i fatti. Ha detto uno: «Sembra incredibile come possa essere successo...all'improvviso c'è stata una forte esplosione, poi abbiamo visto quel poveretto agonizzante a terra...». Il fascio di tubi è stato espulso con grande violenza dal contenitore ed ha investito in pieno l'operaio, scaraventandolo a qualche metro di distanza. Gli altri operai, superati i primi attimi di sgomento, sono accorsi per dargli soccorso, ma si sono subito resi conto che le condizioni del Millotti erano disperate. Poco dopo veniva adagiato su un'ambulanza e trasportato velocemente all'ospedale Solvay. Durante il tragitto purtroppo è spirato. I medici non potevano fare altro che costatarne il decesso, causato dalle gravissime lesioni alla testa e in altre parti del corpo. Sul luogo della tragedia, oltre ai dirigenti dello stabilimento, si portavano il pretore di Cecina dott. Schiazza, un funzionario dell'Ispettorato del Lavoro e militari della polizia giudiziaria di Cecina. E' stata aperta l'inchiesta per stabilire le cause della tragedia. Pare comunque che a causare l'esplosione e subito dopo l'espulsione violenta del fascio tubiero, sia stata la presenza di un certo quantitativo di gas accumulatosi nel contenitore, oppure l'eccessiva pressione del vapore all'interno della struttura metallica. (Il Telegrafo) (torna a cronistoria) |
25 luglio 1973 - L'inferno
bianco di Rosignano Lungo l'arenile della provincia di Lucca, dal Cinquale all'altezza di Torre del Lago, 21 km., il bod medio scende a 983 kg. al giorno per km. di costa e la colimetria risulta generalmente bassa. Ma in questo arco tirrenico le situazioni variano parecchio. Se al Forte dei Marmi il mare è praticamente sano, in corrispondenza di Fossa dell'Abate e del Lido di Camaiore l'inquinamento batterico e chimico sembra piuttosto elevato. A Viareggio, dove sfocia il canale della Burlamacca, che raccoglie parte degli scarichi domestici non depurati e gli effluenti di aziende industriali e artigianali, il mare alla foce presenta un indice colimetrico di oltre 6000 colifecali per decilitro. Arno e Serchio Da Torre del Lago all'Arnaccio, lungo i 28 km, dell'arenile pisano, la situazione del mare generalmente peggiora, con un bod medio che sale a 1167 kg al giorno per km. di costa. Le fonti più importanti di questo inquinamento sono l'Arno e il Serchio che convogliano a mare dall'entroterra un flusso massiccio di tensioattivi. Alle foci di questi due fiumi la colimetria registra punte massime di 1600 batteri colifecali per decilitro. Nella marina di S. Rossore e di Vecchiano una sensibile concentrazione di sostanze inquinanti risale alle correnti che in condizioni normali tendono a spingere a nord le acque dell'Arno e del Serchio. Negli altri luoghi la colimetria si mantiene sotto il livello di guardia. Se nel tratto da Livorno a Vada, in cui si affacciano molte industrie (petroliere, meccaniche, navali e della pesca a Livorno; chimiche e petrolchimiche a Rosignano e a Vada il mare versa in condizioni dubbie, da Cecina in giù si notano segni di evidente miglioramento. Intanto i pini marittimi che si susseguono e partire dall'Ardenza e da Antignano, anche a motivo della conformazione della riva, ripida e frastagliata, appaiono molto meglio in salute. Lo spettacolo delle lunghe teorie di alberi completamente stecchiti, caratteristico della Versilia, qui ci è risparmiato. I pini sono vivi, anche se spesso i palchi protesi verso il mare possono mostrare rami e foglie secche. A sud di Piombino, fra le foci del S. Martino e Punta Ala, gli alberi sono in ottime condizioni. Lungo i 303 km. di costa della provincia di Livorno, dall'Arnaccio a Follonica, il bod medio del mare si abbassa a 249 kg. al giorno per km. di costa. Un quadro abbastanza buono, interrotto però dall'allucinante episodio di Rosignano Solvay (che metterò a fuoco in un "ingrandimento" a seguire) e da quello di Piombino che rivela segni di inquinamento in corrispondenza della zona industriale, degli sbocchi delle fogne e del porto. Il mare costiero della provincia di Grosseto, infine, lungo i 221 km. dell'arco tra Follonica e la stazione ferroviaria di Chiarone, è quello in cui l'inquinamento organico segna il livello più basso della Toscana e tra i più bassi d'Italia, con un bod medio di 80 kg. al giorno per km. lineare di costa. Questo però non toglie che alle foci dell'Albegna, dell'0sa e della Petraia, che in corrispondenza delle aree portuali di Porto Ercole, Porto S. Stefano e Talamone e nella laguna di Orbetello, come in certi tratti del litorale dell'Argentarlo e di Follonica l'inquinamento delle acque assuma livelli non trascurabili. Tra Bocca d'Ombrone e San Leopoldo e nel braccio di mare antistante Castiglione della Pescaia, gli effetti beneflci di due depuratori entrati di recente in esercizio si fanno sentire in modo drastico. Rosignano Solvay. La baia di circa dieci km. che intercorre tra Castiglioncello e Vada. è il teatro di una delle più subdole e temibili forme di inquinamento industriale che si conoscano: quella da mercurio, che ha reso tristemente famoso nel mondo intero il caso di Minamata. Un piccolo villaggio costiero del Giappone meridionale, con una baia, in cui la società chimica Sciova-Denco scarica i suoi liquami pregni di quello che gli antichi chiamavano «argento liquido». In realtà, il mercurio che l'organismo umano assorbe attraverso i cibi che ne sono infiltrati, tende ad accumularsi nel cervello e a causare lesioni irreversibili nei tessuti nervosi con esiti letali, o che si possono manifestare con cecità e paralisi. Impiegato nei processi di lavorazione della fabbrica di cloro e di soda che sorge a Rosignano, non lontano dalla riva, il mercurio viene trasportato a mare attraverso il canale di scarico della Solvay che è quasi a metà arenile tra Castiglioncello e Vada, riversa senza pudore un pestilenziale limaccio bollente (50 gradi circa) dal colore indefinibile, in cui confluiscono tutti i rifluti liquidi del grande impianto chimico e di recente, anche petrolchimico. E veniamo al mercurio che in Italia, è un veleno «fantasma». Non perché non ci sia nelle nostre acque costiere, ma perché gli uflici di igiene e i laboratori provinciali, orientati a svolgere sondaggi batteriologici ai flni della balneazione, praticamente non lo ricercano. Qui a Rosignano Solvay, grazie all'iniziativa del prof. Aristeo Renzoni, direttore dell'istituto di anatomia comparata dell'università di Siena, il «fantasma» si rivela in tutta la sua sconcertante realtà. Il mercurio totale che il professore ha trovato nella fauna marina tra Castiglioncello e Vada, supera sempre, di gran lunga il limite superiore di 0.7 milligrammi per kg. di peso fresco che la nostra legge stabilisce come massimo per i pesci di importazione. Un ultimo tocco. La spiaggia di Rosignano Solvay, flne e bianchissima, il mare lattescente, attirano un gran numero di bagnanti. I quali non percepiscono che il candore della sabbia, solitamente un pregio, qui è dovuto ai carbonato di calcio scaricato dall'industria; né si danno pensiero del residuati di mercurio che sono presenti sia nella sabbia che nell'acqua. Il litorale di Rosignano Solvay è un caso suggestivo di «inferno bianco». Tanto più insidioso in quanto il suo veleno e invisibile e il suo aspetto attraente. Fanghi rossi Scarlino. Le tremila tonnellate di «fanghi rossi» all'acido solforico che, quali rifiutl dello stabilimento Montedison di Scarlino per la fabbricazione di biossido di titanio, vengono gettate ogni giorno a mezzo bettoline. nel mare tra la. Capraia e Capo Corso, costituiscono un grave attentato al precario equilibrio del Tirreno e del Mediterraneo in generale. Il fatto che malgrado l'evidente offesa che i «fanghi rossi» recano al Tirreno in un suo luogo particolarmente suggestivo, la capitaneria di porto di Livorno, dopo qualche schermaglia iniziale, abbia autorizzato lo scarico, suscita le più fondate riserve. Si tratta di una autorizzazione abusiva e illegale. Come si incarica di dimostrare un lucidissimo ricorso che gli avvocati Vitaliano Lorenzoni e Alberto Predieri, per incarico ufficiale del dipartimento della Corsica e della città di Bastia. (nonché di altre associazioni interessate) hanno inviato poco più di un mese fa al ministro della Marina Mercantile. Secondo questo documento, il permesso di scaricare i fanghi rossi concesso alla Montedison una prima volta il 6 marzo 1972 in via provvisoria per sei mesi e successivamente prorogato per altri sei mesi, viola sotto molti aspetti la legge del 1965 sulla pesca marittima nonché il relativo regolamento di esecuzione. Lorenzoni e Predieri sostengono che l'autorizzazione è abusiva per questi motivi, tra molti altri che non posso citare per ragioni di spazio. 1.) Essa contrasta con la norma che vieta lo scarico in mare di sostanze inquinanti che determinino alterazioni chimiche e fisiche dell'ambiente tali da influenzare sfavorevolmente la vita degli organismi acquatici. 2.) Viola l'articolo 148 del regolamento di applicazione della legge sulla pesca marittima, secondo il quale l'autorizzazione a scaricare in mare rifiuti di lavorazione industriale deve essere subordinata all'approntamento di accorgimenti tecnici atti a neutralizzare le eventuali sostanze inquinanti. Ora, all'epoca della concessione del permesso «provvisorio» di scarico e del suo rinnovo, di questi accorgimenti tecnici la Montedison non ne aveva messi in opera alcuno. L'abuso sembra patente. E il ricorso di Lorenzoni e Predieri perciò chiede al ministro di «annullare» e «previamente sospendere» il provvedimento del comandante del Porto di Livorno. Una richiesta, a nostro parere, più che fondata. (Corriere della Sera - Alfredo Todisco) (torna a cronistoria) |
29 luglio 1973 - Il pericolo
dei pesci al mercurio -
A
Rosignano la contaminazione
supera
largamente i limiti di legge. |
10 agosto 1973 - La
salute e la sicurezza nelle
fabbriche italiane -
I veleni compresi nel
salario. |
5 febbraio 1974 - Fuga di
gas alla Solvay. Un morto e
tredici intossicati |
2 aprile 1974 - Il
nemico della salute nelle
industrie chimiche - E' il
cloruro di vinile, con il
quale ogni giorno vengono a
contatto centomila operai -
Provoca tumori gravissimi.
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2
settembre 1976 - Nuvola di
cloro sul paese, panico a
Rosignano Solvay. |
8 settembre 1977 - A
ROSIGNANO SI TEME IL CLORURO DI VINILE |
17 maggio 1979 - La trielina
è cancerogena? Sul «Corriere» del 5 maggio, a pagina 21, leggo che nell'Istituto di Oncologia di Bologna, il gruppo del professor Maltoni ha provato la presenza di agenti cancerogeni anche nella benzina. A pagina 15, invece, vedo che Brescia è in allarme per l'acqua, in quanto vi si rileva la presenza di trielina, composto - che ha effetti cancerogeni sugli animali- (ripetuto 2 volte nel testo). E' un peccato che il professor Maltoni venga cosi pubblicizzato per cose non liete e ci si dimentichi, per esempio, che recentemente ha potuto dichiarare la trielina non responsabile di certi effetti cancerogeni che le erano attribuiti, che sono invece dovuti ad impurezze che essa può contenere. Ing. Carlo Muzzati Rosignano Solvay (LI) (Corriere della Sera) |
5
luglio 1980 - Grave la
situazione della Solvay -
Sospesi 800 dipendenti. |
27
novembre 1984 - Multa record
a 5 imprese della Comunità |
13 agosto 1987 - Per il
cloro 500 tappati in casa -
Panico in due quartieri a
Rosignano: fuga di gas nella
notte. Una fuga di cloro dallo stabilimento della «Solvay» ha fatto scattare l'allarme per due quartieri del paese di Rosignano che vive in simbiosi con la gigantesca fabbrica chimica, costringendo circa 500 persone a non uscire dalle proprie abitazioni e a chiudere ermeticamente per diverse ore porte e finestre. L'incidente, la cui causa non è stata ancora accertata è accaduto intorno alle 21 di giovedi sera nell'impianto «Cloro liquido» all'interno dell'unità elettrolisi dell'industria di Rosignano Solvay, situata venti chilometri a sud di Livorno. «Si e trattato di una fuga di cloro- dice il vicedirettore dello stabilimento, ingegner Boncompagni - di limitata entità. Stiamo cercando di individuare che cosa non ha funzionato: per ora abbiamo escluso che ci sia stata una rottura o un difetto dell'impianto». Proprio giovedi il reparto stava riprendendo la produzione dopo quattro giorni di fermata per la manutenzione periodica. Il cloro, che è un gas pesante che viene conservato allo stato liquido ad una temperatura di meno 40 gradi nei serbatoi della fabbrica è una delle componenti di base per le lavorazioni della Solvay che produce anche materie plastiche. A contatto con l'aria ìl cloro riacquista immediatamente lo stato gassoso: inalato ad alte concentrazioni può essere mortale, mentre all'aria aperta può provocare irritazione agli occhi e alle vie respiratorie. Mentre i tecnici della fabbrica bloccavano i liquefattori per la trasformazione del gas in liquido e l'impianto della rettifica che serve per la depurazione del cloro, è scattato l'allarme «3», il penultimo livello di rischio. La direzione della Solvay ha informato il commissariato e poco dopo i circa 500 abitanti del villaggio Aniene e dei Polveroni, le cui case sono a meno di cinquecento metri dall'industria, sono stati avvertiti coi megafoni dagli equipaggi delle autoradio della polizia e dei carabinieri di non uscire da casa e di chiudere parte e finestre. La nube di cloro, spinta dalla brezza serale, si e spostata lentamente verso sud ed è rimasta alcune ore sul paese di Vada, poi il vento ha cambiato direzione ed ha riportato l'odore acre dei gas su Rosignano. La popolazione non ha sofferto danni diretti, ma l`incidente di giovedi sera e stata un'altra occasione per interrogarsi sulla difficile convivenza tra industria e abitazioni. Uno degli operai dell'impianto dove si è verificata la fuga di cloro, però, Giorgio Salvadori, 38 anni, è stato accompagnato al presidio ospedaliero di Rosignano Soivay. I medici gli hanno diagnosticato «irritazione della trachea e dei bronchi e lieve insufficienza respiratoria» e ne hanno disposto il ricovero a scopo precauzionale all'ospedale di Livorno. Ieri mattina i tecnici della medicina del lavoro dell'Usl hanno compiuto un sopralluogo in fabbrica e hanno esaminato con cura l'impianto da cui si è sprigionata la nube di cloro. Si fa l'ipotesi che l'incidente sia stato provocato da una formazione di ghiaccio che si sarebbe prodotta all'interno di una conduttura di cloro (che viene mantenuto a 40 gradi sottozero) a causa di una infiltrazione d'acqua. L'ostruzione avrebbe causato la fuoruscita del gas. Il consiglio di fabbrica ha proclamato mezz'ora di sciopero a fine turno dei lavoratori giornalieri e ha diffuso un volantino in cui sollecita maggiore sicurezza nelle condizioni di lavoro. La direzione dalla Solvay è al lavoro per fornire una relazione tecnica sull'incidente al sindaco e alle autorità del paese. (Corriere della Sera - Alessandro Barabino) |
12
luglio 1988 - Ore 5,30
assalto alla «fabbrica dei
veleni». E' finita con
l'intervento delle forze
dell'ordine la spettacolare
azione dimostrativa di
Greenpeace contro la
«Solvay» di Rosignano.
Issato uno stendardo
ecologista, gli uomini con
le maschere antigas hanno
bloccato una tubazione di
scarico dello stabilimento,
infine si sono incatenati - l
manifestanti portati via di
peso da poliziotti e
carabinieri - Denuncia a
piede libero per «invasione
di impianti industriali». A due miglia e mezzo dalla costa, alle prime luci dell'alba, appare solo la sagoma scura della «Sirius». Bisogna aspettare le 5.30, per notare la prua dalla nave dipinte con i colori dell'arcobaleno a un albatros bianco in mezzo. A largo di Castiglioncello un centro di villeggiatura, pochi chilometri a sud di Livorno, Greenpeace torna in scena per una nuova azione ecologista. Con i cronometri alla mano alcuni «greenpeacers» che aspettano su una piccola spiaggia, vedono staccarsi dalla «Sirius» due gommoni, due Zodiac velocissimi da 50 cavalli. Comincia l'operazione contro la Solvay, una multinazionale belga con un enorme stabilimento a Rosignano una produce polietilene, clarene e metano derivati. Mentre gli Zodiac stanno raggiungendo la riva, i due giovani italiani che hanno curato i particolari dell'azione guardano con apprensione un poco tesi. Paolo Vaccari e Paolo Guglielmo non hanno dormito e da un mese aspettano questo appuntamento. Guglielmo, un biologo di 28 anni dai primi di giugno si è immerso nel braccio di mare davanti alla Solvay. E' arrivato di nascosto fino al canale scolmatore. Dice: «Quella fabbrica vomita in mare, secondo un stima approssimativa, qualcosa come sette tonnellate di mercurio ogni anno. Oltre al resto, ovviamente. Nello scolmatore la presenza di mercurio e dello 0,1: quasi cento volte di più quello consentito dalla legge Merli contro l'inquinamento. Dieci chilometri quadrati di mare sono ormai acqua senza vita. E' stato distrutta anche la pianta marina. Sul fondo ci sono fanghi bianchi, alti 40 centimetri. E' come se laggiù ci fosse passata l'apocalisse. E sulla spiaggia, che qui per la sua bianchezza hanno scambiato per un paradiso caraibico, non puoi sollevare la sabbia con una mano perché ti restano attaccati pezzi di plastica». - Quando i commandos di Greenpeace, in tuta bianca, saltano sulla ghiaia nessuno parla più. Dagli Zodiac è sceso il meglio degli «assaltatori ecologisti». C'e Xavier Pastor, spagnolo di 37 anni, che ha sfldato la Marina del suo paese per far diventare Cabrera un'isola delle Baleari, parco naturale: spagnolo pure Miguel Gremo, 24 anni. C'e David Robert, lungo e biondo inglese di 36 anni, veterano delle campagne nel mare del Nord contro i cargo di scorie nucleari, famoso per il coraggio con cui affronta il mare sul suo «Hooley», un gommone prototipo costruito in Inghilterra da 300 cavalli che salta sulle onde a 32 nodi di velocità; c'è la «pasionaria» irlandese Grece O'Sullivan, 25 anni, ex campionessa mondiale di wind-surf, catturata nel 1985 dai francesi d'Oltremare al largo dell'atollo atomico di Mururoa mentre navigava nell'oceano Pacifico con il neozelandese Chris Robinson sulla «Vega», una barca di 11 metri. Grece fu imprigionata a Tahiti e rispedita in Europa. Dopo pochi mesi era di nuovo sul mare per assaltare la Sherwater, la nave spola carica di barre radioattive che da Latina arrivava alla fabbrica di Sellafleld. Con l tre «campioni» di Greenpeace ci sono vecchie facce come l'olandese Albert Kulkuen; il giramondo basco Ricardo Sciagarminada; la giovane madrilena, 23 anni, Ana Canadas: una «matricola». Compresi gli italiani sono in tutto dieci. Arrivano dal mare come sempre, ma questa volta per compiere un'azione a terra. Sulla strada li aspettano quattro vetture. Un piccolo corteo dl macchine sfila per Castiglioncello, tra case di villeggiati che dormono e arriva alle 6.05 davanti alla Solvay dl Rosignano. Si aspetta fino alle 6.30, perché entrino gli operai del primo turno, poi Xavier Pastor dà il via all'ultima parte, quella cruciale, dell'azione. Sulla rete che delimita la fabbrica, proprio all'altezza del canale scolmatore, viene steso un telone verde: «Stop allo scarico di veleni in mare». Intanto sei greenpeacer si arrampicano sulle scalette e superano anche il fllo spinato. Sopra allo scolmatore, alle sbarre di un piccolo ponte s'incatenano Grece O'Sullivan e Ana Canadas. Si mettono anche la maschera antigas sul viso. Lì vicino, a dei paletti si incatenano anche Roberts, Kuiken, Sciagarmlnada. Mentre lo spagnolo Miguel Gremo, che li ha seguiti all'interno del recinto, aziona telecamera e macchine fotografiche. La reazione delle guardie dell'azienda scatta dopo dieci minuti. I guardiani minacciano, stracclano lo stendardo verde, chiedono i documenti al giornalisti, sequestrano la borsa a un inviato tedesco. Arrivano i dirigenti della Solvay: sono nervosissimi. Accorrono polizia e carabinieri in un primo momento, poi altra polizia e Digos. I responsabili della fabbrica grl- dano: «Dateci tutte le fotografie, questa e una zona industriale». Anche quelle dell'acqua torblda dello scolmatore mentre va in mare? «Certo, anche quelle». Si scatena una rldicola caccia al rullino. Alle 9, la polizia invita i clnque incatenatl a slegarsl. I giovani di Greenpeace buttano le chiavi del lucchetti nell'acqua del canale. I poliziotti arrivano subito non grandi tronchesine, tagliano le catene e portano via di peso tutti i dimostranti. Dalle 9 alle 13.30, sette greenpeacer restano nel Commissariato di Rosignano per essere interrogati e firmare i verbali. Si dice che la Solvay farà denuncia per violazione di domicilio. Ma la polizia sembra sia arrivata a un'altra sintesi: David Robert e Xavier Pastor avevano coltelli (quelli che usano per slegarsi delle funi) quindi viene loro contestato in un primo momento l'uso di armi illegittime e contemporaneamente, la resistenza passiva. Poi, verso le 13.45, i sette giovani vengono trasportati alla Questura di Livorno. A tutti vengono prese le impronte digitali, tutti sono schedati e denunciati a piede libero in base all'art. 508 del codice penale, «invasione di impianti industriali». Alle 17,30 greenpeacer sono riaccompagnati sulla Sirius che ha attraccato al porto dl Livorno. E l'inquinamento fatto dalla Solvay? Il mercurio scaricato in mare? La distruzione di ogni vita sul fondali? Una voce indistinta gridava ieri mattina: «Tutte balle. Mare pulito e spiaggia meravigliosa». (Corriere della Sera - Gian Luigi Da Rold) La Federchimica reagisce: «Un'azione inammissibile» ROMA - Dopo i fatti le reazioni. Contro gli «assalitori» ecologisti si fa sentire le voce della Federchimica, la Federazione nazionale dell'industria chimica, che attacca duramente in un comunicato la sortita attuata da Greenpeace nei confronti della Solvay di Rosignano. «La Federchimica condanna fermamente l'azione di Greenpeace - dice testualmente la nota -. Inoltre contesta l'affermazione dei protagonisti secondo cui si e trattato di un`azione non violenta». In sostanza, gli industriali del settore credono che la dimostrazione ecologica abbia avuto non solo un intento «provocatorio» ma, al contrario, pensano che si sia trattato di un vero e proprio atto di forza, illegittimo e fuori da ogni logica. «Vi e stata violenza e sopraffazione nel bloccare una tubazione di scarico delle stabilimento provocando una sospensione produttiva e un serio rischio di inquinamento - prosegue il comunicato -. Federchimica si augura pertanto che la magistratura tenga in considerazione la pericolosità e gravità di questo tipo di azione». Ribadisce infine che i problemi delle tutela ambientata devono essere affrontati nella certezza del diritto e con il confronto democratico. In questa prospettiva ribadisce il proprio impegno a dare il massimo contributo alla soluzione del problema». Con l'invito ai giudici ad intervenire con fermezza, la Federchimica sembra invocare pene severe e «intimidatorie» così da indurre i «guardiani dell'ecologia» a rinunciare a eventuali future azioni simili a quella compiuta ieri contro la «Solvay». (Corriere della Sera) (torna a cronistoria) |
28 novembre 1988 - Dalle
urne il NO al nuovo reparto
della Solvay Nonostante l'invito a votare -si- espresso dei partiti presenti in consiglio comunale (Pci. Dc, Psi e Pr) a parere favorevole dei sindacali,Rosignano ha detto -no- alla realizzazione nello stabilimento Solvay dei nuovo impianto di PvcVcm (polivinilcloruro), materiale plastico che trova grandi applicazioni nel settore industriale,ma che secondo gli ambientalisti è altamente tossico. Chiamati ad esprimersi in un referendum (che tuttavia non ha i crismi dell'ufficialità), il 55,18 per cento dei votanti della cittadina livornese e di alcuni paesi limitrofi ha espresso parere contrario alla realizzazione dell'impianto. Uno smacco per la Solvay, l'industria chimica belga che da 75 anni ha a Rosignano un maxi-stabilimento e allo stesso tempo un allarmante avvertimento alla forze politiche che, pur chiedendo all'azienda chimica garanzie e una serie di interventi per la salvaguardia dell'ambiente, si erano schierate a favore del Pvc. La percentuale dei votanti à stata di poco superiore al 60 per cento. Alla consultazione sono stati ammessi anche i giovani che avevano compiuto sedici anni. Ieri sera la giunta di Rosignano ha iniziato a discutere la proposta dal sindaco Danesin di rispettare la volontà popolare e quindi di non concedere la concessione edilizia per il nuovo impianto. La Solvay ha annunciato che prenderà le sue decisioni quando conoscerà quella dei consiglio comunale. (Corriere della Sera) (torna a cronistoria) |
30 maggio 1990 - Nella
capitale della soda dove
pensa a tutto mamma Solvay ROSIGNANO SOLVAY - Tutto qui si chiama Solvay, un nome martellante, che ha quasi i contorni di un'ossessione. Solvay è il circolo ricreativo, con le bocce, i biliardi, il bar, lo spaccio e la pizzeria. Solvay e il gruppo anziani, che organizza gite a Marzabotto-Porretta Terme-Porto Santo Stefano-Saturnia-Maranello con visita alla Ferrari. Solvay è la scuola elementare e media, Solvay l'istituto professionale, Solvay il circolo giovanile e i canottieri, Solvay lo stadio. Solvay la Filarmonica che ha un prestigioso cartellone di concerti di primavera. Mai un territorio e una comunità si sono tanto identificati nel profilo di un'azienda. La Solvay ha costruito il teatro, un gioiello con 600 poltrone, dove, nel dicembre scorso ha cantato Katia Ricciarelli; dove di recente, relatori celebrati hanno parlato di disarmo, e dove e stata eseguita in onore dei congressisti un'opera prima del maestro Luciano Berio. La Solvay ha voluto l'ospedale e perfino la chiesa. Ha costruito le case per gli operai, protette dai pini e dal verde. Ha concepito una città-giardino che, passo dopo passo, è venuta avanti nel rispetto degli spazi e del paesaggio. Una città e un mondo legati alla fabbrica, e cresciuti all'ombra delle ciminiere; un modo di essere, di esistere e di pensare. Una frazione di 15 mila abitanti, che raccoglie la metà della popolazione del comune di Rosignano Marittimo, poco lontano da Livorno. Una volta Rosignano Marittimo aveva soltanto due frazioni: Castiglioncello e Vada. Lo stabilimento chimico e lì, solenne, gigantesco, con le torri Hamon e la sodiera più grande d'Europa. Intorno ha 400 ettari di terreno, campi e macchia mediterranea, un polmone enorme. una cintura di sicurezza che si estende fino a Vada e fino all'interminabile pontile di Vada. Si producono qui 900 mila tonnellate di soda all'anno, che alimentano le industrie italiane del vetro. Le materie prime, sale e calcare, si estraggono dalle cave di Ponteginori e di San Carlo e sono trasportate a Rosignano con i vagoni bianchi, che hanno il senso di un vessillo e di un simbolo. A Rosignano ci sono altre due attività di base (perossidati e plastiche) di un Gruppo che fattura 10 mila miliardi, è presente in 32 Paesi, ha 45 mila dipendenti e occupa, nel campo della chimica, il quindicesimo posto nel mondo. SINDACALISTI Anche i sindacalisti, abituati a essere critici e a scontrarsi con il padrone, riconoscono che lo stabilimento di Rosignano è il fiore all'occhiello della Società. Dice Umberto Roberti, segretario della Cisl: «E` gente che ricerca sempre il meglio, che si prefigge obiettivi e li persegue con tenacia». Da 32 anni alla Solvay, vi entrò a 18 ora, a S0, è capoturno alla sodiera. Pure suo padre indossava la tuta e la esibiva con fierezza. «Ancora oggi, con la fabbrica, c'è un rapporto affettivo perché siamo cresciuti con il lavoro della Solvay. In paese la chiamavano la mamma, una mamma che pensava a tutto e conduceva la gente per mano. Ricordo che, nel '54, l'azienda dette a papà mezzo milione per farsi la casa a Castiglioncello. Mezzo milione non bastava, però allora, era una bella somma». Rosignano Solvay: la vita di una collettività e di un territorio che s'intreccia come forse in nessun'altra realtà. con le torri della fabbrica. Quando la Solvay, da oltre le Alpi, calò e conquistò un pezzo di Maremma, qui c'era solamente la fatica dei campi. Il tempo si misurava con le albe e i tramonti, con le stagioni e con le regole dure della mezzadria. «Anche le donne avevano il viso del colore delle zolle». Un'agricoltura stentata, soprattutto verso Vada, dove c'erano paludi e sciami di zanzare, e un po' di pesca lungo la fascia costiera di Castiglioncello. Eppure, quando comparvero i primi ingegneri e un movimento di camion incrinò il silenzio della campagna, dalla collina di Rosignano Marittimo la gente guardo giù con diffidenza c sospetto. Non era ancora la mamma, ma la Solvay lo diventò presto, perché presto il lavoro non fu più misericordia. Recinti, spianate, sentieri, strade. Pian piano la città-giardino coprì polvere e sabbia. Ecco le case per gli operai, sobrie e con i muretti di cinta bassi; ecco le villette dei dirigenti, più spaziose, con più verde, con i muretti più alti e più solidi. Anche i mattoni, le facciate e gli intonaci riflettevano il rango e le divisioni fra tute blu e oolletti bianchi. La Solvay portò idee illuminate e una mentalità europea che era avanti di mezzo secolo. Portò competenze tecniche, professionalità, moralità, precisione, cultura e organizzazione del tempo libero. «Gli operai giocavano a tennis e andavano in barca a vela quando questi svaghi erano consentiti ai ricchi». La fabbrica significava sicurezza, servizi sociali, contributi, pensione. «Da Rosignano Marittimo emigravano verso la pianura perché li avevano casa, il posto, il bagno e una vita non immaginata. Cera il senso della promozione e c'era l'orgoglio della tuta. Dice il sindaco Giuseppe Danesin: «Si accesero invidie nei paesi accanto. Anche Cassola ne parlò, non rammento in quale romanzo. Il giovane del paese vicino al mattino passava in treno e osservava le villette degli operai Solvay. Le ammirava dal finestrino e sperava di essere un giorno, uno di loro». Il direttore dello stabilimento era una potenza e contava più del podestà, del prefetto e del segretario del fascio: un'autorità corteggiata e blandita, rispettata e temuta. Solvay generosa: durante la guerra, quando non cera da mangiare, mise su conigliere per distribuire carne ai dipendenti. SPIAGGIA BIANCA Affiorano i ricordi di una stagione remota. Emilio Lupichini ha 70 anni, è pensionato, ma ha ancora la forza di aiutare gli altri e di dare agli altri. Il padre lavorava alla Solvay 12 ore al giorno, e lui ne seguì le orme e ne raccolse l'eredita. Entrò in fabbrica a 16 anni, con la terza avviamento come bagaglio di studi. Tre anni di tirocinio come elettricista, con la gratificazione di imparare un mestiere. «Ricordo che c'era l'interruttore a coltello...il decauville aveva i binari stretti e un cavallo trainava il cassoncino». Quarantacinque anni e sei mesi di tuta, distintivo di chi si era affrancato dalla terra. Lupichini ha avuto una lunghissima storia di sindacalismo e di impegno politico. « Ricordo le battaglie contro la nocività, contro le malattie professionali. Gli operai spesso non capivano. Per loro il lavoro veniva prima di tutto, prima della salute stessa. Parlavi dell'ambiente, della spiaggia bianca che spariva, e loro rispondevano: ma che ti importa di qualche metro di arenile. La Solvay rappresentava la continuità della famiglia. Il padre si arrendeva e il figlio scendeva in campo: il testimone passava dalle mani di una generazione nelle mani di un'altra generazione. Chi imboccava una strada diversa, spesso non lo faceva per libera scelta, ma per una beffa del destino. Dino Agostini voleva essere come il babbo, che aveva alle spalle 47 anni di Solvay. Ma la Solvay lo scartò alla selezione e lui faticò a mandare giù un boccone tanto amaro. Diventò insegnante all'avviamento all'ltis, alle medie e assaporò la gioia della genuinità del rapporto con i ragazzi. Oggi Agostini è grato alla Solvay per lo sgarbo di allora, uno sgarbo che sembrava infrangere un'illusione e un sogno. Nella stagione di maggior fulgore alla Solvay lavoravano in 4.300. Ogni famiglia viveva di busta-paga Solvay. Poi i robot hanno sostituito le braccia e la tuta ha cambiato colore. Ora i dipendenti sono 1.900 e il latte di mamma Solvay alimenta non più di un quarto di Rosignano Marittimo. La mamma non e più mamma e ha un volto meno tenero e meno protettivo. Spuntano barriere e gli scontri non sono più atteggiamenti di figli irriconoscenti e degeneri. Un referendum ha risposto no all'impianto di policloruro i vinile, perché la gente ha paura dei veleni e del cancro. Ha detto no a un investimento di 350 miliardi che avrebbe garantito oltre 300 posti di lavoro. Molti gridavano: «Il gioco non vale la candela». Altri mugugnavano: «Finché la Solvay assicurava lavoro a tutti, noi si chiudeva un occhio. Ma se da lavoro a 2 mila persone, consentiteci di guardare oltre». Si modifica un rapporto durato 75 anni e cambiano i contorni di una realtà e di una storia. Dice il sindaco Danesin: «La fabbrica non deve più essere il centro di un universo, la fabbrica deve convivere con il turismo, l'agricoltura e l'artigianato. Riportiamo parole che sono quasi uno slogan: le torri civiche devono dominare le torri fumanti». (Corriere della Sera - Fabio Felicetti) |
13 dicembre 1993 - Allarme
all'industria chimica di
Rosignano, paura di un'altra
Seveso - Esplosione alla
Solvay - Muore un operaio,
il sindacato: impianto
pericoloso Un operaio morto, un altro ferito, l'incubo. subito rientrato di un`altra Seveso. E' accaduto ieri mattina alla Solvay di Rosignano, un'industria chimica definita ad alto rischio, specializzata nella produzione di bicarbonato di sodio e polietilene e che da lavoro a 1400 dipendenti ed è situata a una ventina di chilometri da Livorno. Alle 10.30 una violenta esplosione ha devastato il settore ossidazione della linea 1 dove si produce acqua ossigenata. In quel momento stavano lavorando due operai della Toscana Manutenzione, una ditta esterna che ha in appalto alcuni lavori per la pulizia degli impianti. Leonardo Caroti, 25 anni, abitante a Venturina, due bambini di 2 mesi e 6 anni. È stato investito da una fiammata ed è morto quasi subito. Il compagno di Lavoro, Mario Bartoletti, 59 anni, di Rosignano ha avuto il tempo di ripararsi dietro a una tubatura. Le fiamme lo hanno sfiorato, provocandogli ustioni. Caroti, investito dalle fiamme e stordito dalla deflagrazione, è caduto a terra. Pare abbia tentato di togliersi il giaccone, di uscire dal rogo. Ma una seconda esplosione non gli ha dato scampo. Bartoletti sotto choc, ha invece avuto la forza di correre e si è messo a urlare. La hanno trasportato all'ospedale e poi trasferito per accertamenti a Livorno: prognosi di 10 giorni. Intanto l'incendio si sta espandendo e minaccia altri impianti. Le squadre di soccorso interne alla fabbrica, che secondo le testimonianze di alcuni operai arrivano in ritardo, hanno ragione delle fiamme in una ventina di minuti. Fuori dalla fabbrica, a Rosignano e a Vada arriva la paura. Le esplosioni sono state sentite a più di 10 km di distanza e la gente vede una nuvola nera sollevarsi dalla fabbrica. Centinaia di telefonate raggiungono i centralini di Comuni e Usl di Vada e Rosignano, la direzione della Solvay, i giornali. Ma l'allarme ambientale per fortuna non dura più di un'ora. Le rilevazioni dei tecnici dell'Usl e quelle condotte da un elicottero della Protezione civile danno esito positivo: nell'aria non ci sono sostanze tossiche. Il ministro Spini non si fida e in serata manda a Rosignano un ispettore. Cosa ha provocato l'incidente? I tecnici e i dirigenti della Solvay dicono di non saperlo. Alle 14 il direttore dello stabilimento, il belga André Deane, dice di non riuscire a capire i motivi dell'esplosione, è convinto che il lavoro di manutenzione era di routine e a freddo, cioè senza l'impiego di fiamma ossidrica e senza che siano state fatte saldature. Qualcuno parla di solventi usati per la pulizia di una pompa che si sarebbero miscelati con l'acqua ossigenata in un mix esplosivo. Ipotesi che non convince. Dura la reazione dei sindacati che ieri sono scesi in sciopero: «E un altro disastro annunciato - ha detto Rino Pavanello, segretario generale di Ambiente e Lavoro - la direttiva Seveso è inattuata e il ministero dell'Ambiente non ha concluso l'esame di alcuna notifica mentre il Senato non sblocca la modifica alla direttiva che la renderebbe più efficace». La mappa degli impianti a rischio, dicono ancora i sindacati, funziona infatti solo formalmente e a poco serve sa pere la dislocazione delle fabbriche se poi non vengono prese le misure necessarie. I sindacati portano come esempio il recente disastro di Gela (7 operai morti) e chiedono maggiore impegno da parte del ministero dell'Ambiente. Intanto davanti ai cancelli della Solvay gli operai improvvisano un'assemblea. Viene deciso di aprire una vertenza sulla sicurezza interna dello stabilimento. Lo scorso anno un altro operaio è morto. (Corriere della Sera - Marco Gasperetti) (torna a cronistoria) |
6
settembre 1995 - Solvay
Italia: fatturato 1995 a
1500
miliardi. La Solvay Italia, controllata italiana del gruppo chimico e farmaceutico belga, chiuderà il '95 con un fatturato in netto aumento a 1.500 miliardi contro i 1.100 miliardi dell'anno scorso. (Corriere della Sera) |
19 febbraio 2018 - Il caso
Solvay - Nella nostra
formula chimica c'è molta
prevenzione Operare nell'industria chimica ad alta specializzazione significa dover affrontare ogni giorno problematiche legate al risk management e in particolare al cyber risk. «Studiare, valutare, tracciare scenari, sperimentare. E' questo l'approccio che contraddistingue il modo di essere del gruppo Solvay, sopratutto negli ambiti della ricerca e dell'innovazione - spiega Antonio Giustino, IS industrial risk manager della multinazionale -. Ed è questa la filosofia con cui il gruppo sta affrontando tutte quelle sfide dettate dalla rivoluzione digitale, dal trattamento dei big data al cloud, dall'internet delle cose all'industria 4.0». Solvay si è da tempo attrezzata a livello globale per prevenire eventuali minacce informatiche e per rispondere in tempi rapidi ad un eventuale attacco. «Da un lata continuiamo ad investire nelle tecnologie più innovative che ti permettono di capire come prevenire e come reagire nel caso di un attacco informatico, dall'altro siamo molto attivi sul fronte della formazione del personale per aumentarne la consapevolezza sulle tematiche delle minacce cyber», aggiunge Giustino. Solvay ha ad esempio implementato soluzioni software, «gestite da un Security Operation Center globale, un team composto sia dai nostri esperti di tecnologie informatiche sia specialisti esterni in cybersecurity, che stiamo progressivamente centralizzando per meglio intercettare eventuali attacchi in capo alle infrastrutture, ai sistemi ed alle applicazioni informatiche». Anche la formazione interna è centrale. «A ogni titolare di postazione informatica chiediamo una certificazione periodica per verificare se utilizzi in modo consapevole e corretto gli strumenti informativi, riducendo le probabilità di creare potenziali situazioni di pericolo per l'azienda». Negli ultimi tempi, per meglio supportare la trasformazione digitale in atto, «l'impegno dell'azienda è stato rivolto all'adozione di una rafforzata governance a partire dal vertice del gruppo - aggiunge Giustino - . Dalla definizione delle strategie per il cyber risk si passa all'implementazione di un piano operativo capace di meglio fronteggiare le minacce. Il tutto attraverso la necessaria cooperazione tra l'informatica gestionale e quella industriale, due aree con diverso background, ma con architetture informatiche sempre più interconnesse e pertanto con minacce comuni nei confronti di dati, impianti industriali e del fattore umano». (Corriere della Sera - A. Sal.) |
18
agosto 2020 - «Perdita
di cloro subito fermata.
Verifiche a tutti i
circuiti»
Il direttore dell'azienda dopo l'incidente all'impianto di produzione dell'ipoclorito.
«Si è trattato di una
piccola perdita di aria
clorata da un circuito
dell'impianto di
produzione di
ipoclorito. Il problema
è stato immediatamente
risolto. Dopo pochi
secondi la perdita è
stata interrotta. Adesso
affrontiamo la fase
dell'analisi, durante la
quale verificheremo il
funzionamento di tutti i
circuiti per capire il
motivo della perdita».
Georges Madessis,
direttore del sito
Inovyn all'interno del
parco industriale,
sottolinea che
l'azienda, subito dopo
l'incidente sul lavoro
durante il quale sono
rimasti lievemente
intossicati due operai
di una ditta in appalto
che stavano lavorando a
un ponteggio, ha già
avviato i controlli
necessari per
individuare eventuali
anomalie all'interno
dell'impianto. «Abbiamo
seguito - prosegue - le
procedure sanitarie
previste, facendo subito
intervenire il medico
presente dentro al parco
industriale».I due
lavoratori sono stati
poi affidati alle cure
della Pubblica
Assistenza, che li ha
trasferiti al pronto
soccorso di Cecina. «Per
fortuna sono in buone
condizioni. Sono già
stati dimessi nel tardo
pomeriggio - spiega
Madessis - e domani
saranno al lavoro».
Quanto all'impianto è in
funzione regolarmente, e
ieri pomeriggio i
tecnici Asl sono entrati
nel parco industriale
per le necessarie
verifiche. Sottolinea la
prontezza con cui è
partita la macchina dei
soccorsi anche Fabio
Vignoli, Rsu Inovyn
insieme ad Anna Valenti.
I due sono stati messi
al corrente
dell'accaduto ieri
mentre, intorno alle 14,
rientravano dalla pausa
pranzo. E subito hanno
preso informazioni sulle
condizioni dei due
operai e si sono messi
in contatto con i
vertici
dell'azienda.«Nell'emergenza
- dice Vignoli - i
soccorsi si sono svolti
in maniera ottimale, i
lavoratori sono stati
subito controllati dal
medico interno al sito
industriale che ha
deciso di far
intervenire
l'Assistenza». Per
quanto riguarda il
problema tecnico ai
circuiti da cui è
fuoriuscita aria
clorata, Vignoli spiega
che «ci vorrà qualche
tempo per portare a
termine le verifiche che
sono necessarie. Resta
da capire con chiarezza
da cosa sia dipeso il
malfunzionamento.
Azienda e Rsu si
confrontano e valutano
insieme i controlli che
verranno effettuati
sull'impianto». (Anna
Cecchini Il Tirreno
19/8/2020)
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24
gennaio 2023 - «Amianto,
la Cassazione conferma che
Solvay deve risarcire un ex
operaio. Il presidente Ona:
“Sentenza storica, la
multinazionale nega i
diritti dei dipendenti che
presentano patologie asbesto
correlate”. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di Solvay Chimica Italia, stabilendo che la multinazionale belga dovrà risarcire un ex operaio dello stabilimento presente sul territorio rosignanese che si è ammalato di patologie collegabili all’esposizione all’amianto. A dare notizia della sentenza della Cassazione, che di fatto ha confermato quanto stabilito dalla Corte di Appello di Firenze, è l’Osservatorio nazionale amianto (Ona). “La Cassazione – si legge in un comunicato stampa dell’Ona – ha rigettato il ricorso di Solvay Chimica Italia spa che ha contestato due sentenze a favore di un operaio che ha contratto placche pleuriche e ispessimenti da amianto, per meno di 3.000 euro di risarcimento. Ora l’azienda è costretta a pagare anche tutte le spese legali”. È l’Osservatorio nazionale amianto a ripercorrere la vicenda del 71enne, “che nel 2007, dopo aver lavorato per 32 anni come operaio in officina meccanica e in officina calderai nello stabilimento di Rosignano, si è ammalato di una patologia asbesto correlata. Nel procedimento di primo grado è stato dimostrato che l’operaio è stato esposto ad amianto, prima nell’officina meccanica “calderai”, quale montatore e tubista (dal 1974 al 1983), e successivamente nel reparto sodiera (dal 1983 al 2005, anno di pensionamento)”. “Questa sentenza è storica – spiega l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto, che ha anche assistito legalmente l’operaio – perché la Solvay non solo ha sempre negato l’uso dell’amianto e che ci possano essere stati dei danni per la salute per i suoi dipendenti, ma ha continuato a negare i diritti di quelli esposti che hanno contratto patologie asbesto correlate. Un accanimento giudiziario che non si giustifica. Straziante la storia di Romano Posarelli, per il quale vi fu identica condanna per il decesso in seguito al cancro del polmone. La nostra sede di Rosignano Solvay ha assistito ed assiste da circa 15 anni molte delle vittime ed i loro familiari”. |
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