La fabbrica/Ponteginori |
Per fare la soda ci vuole il sale - L’arte di forare la terra - Il progetto Idros - Primo centenario - I conigli d'angora - Il rogito Corcos per Querceto. (Arch. Solvay, A.Pastacaldi, R. Pardini, M. Corsini ) |
Il 24 aprile 1911 la Solvay
ottiene dal Ministero la facoltà di eseguire scandagli con trivella nei
pressi di Volterra e Rosignano. 30 anni di concessione revocabile se lo
stabilimento non sarà attivo fra 5 anni.
Nel luglio 1925 ottiene la proprietà Rochefort (bacino salino vicino a Buriano).
Dal 1918 sono stati perforati oltre 2500 pozzi di
estrazione. La salamoia (sale disciolto in acqua)
raggiunge Rosignano attraverso condutture lunghe oltre 35
chilometri. Notevoli le problematiche legate
all'estrazione del sale nel corso di tanti decenni.
Progetto IDRO-S
Il Progetto Idro-S, nato nel 2002 dalla stretta collaborazione fra Solvay e ASA, prevede di trasformare delle cave di argilla esaurite in un sistema di bacini artificiali per raccogliere acqua di superficie del fiume Cecina nei periodi invernali, da utilizzare in estate, da giugno a ottobre, per l’attività estrattiva del salgemma a Ponteginori e Saline, in sostituzione di acqua di falda. L’opera consentirà di non utilizzare più l’acqua di falda prelevata dal subalveo del Cecina in periodi dell'anno caratterizzati da particolare siccità. In pratica l'acqua di superficie delle piene invernali, sarà prelevata, a valle delle aree di ricarica della falda e nei pressi della foce, attraverso l’opera di presa “Steccaia-Gorile” già esistente, sarà accumulata in un complesso di bacini e durante il periodo estivo verrà trasportata a Buriano, attraverso un sistema di pompe ed una nuova conduttura di 24 Km, per essere impiegato nelle coltivazioni minerarie. La capacità dei nuovi bacini è stimata in circa 3 milioni di m3 d’acqua, di cui 2,2 saranno utilizzati per fini industriali. L’area interessata dai bacini artificiali, in accordo con il Comune di Montescudaio, sarà fruibile dalla popolazione e valorizzata, attrezzandola per attività sportive e ricreative. Il progetto risolve il problema dell’approvvigionamento idrico estivo per scopi industriali e allo stesso tempo valorizza l’esistente area delle cave di argilla esaurite, trasformandole in laghetti artificiali per attività sociali e ricreative ad uso pubblico. Tuttavia sia la procedura di approvazione che la definizione tecnica avranno negli anni successivi non poche difficoltà a causa della forte opposizione esercitata dalle associazioni ambientaliste che nel 2004 ne chiedono l'annullamento al TAR. Seguono sentenze e ricorsi fino ad aprile 2009, quando la Giunta Regionale stabilisce alcune misure per la tutela del bacino acquifero del Cecina, concedendo importanti deroghe a favore di Solvay. PER FARE LA SODA CI VUOLE IL SALE Una delle principali motivazioni alla costruzione dello stabilimento di Rosignano è stata la disponibilità, a breve distanza, di sale. Si tratta del salgemma, il sale minerale depositato molti milioni di anni fa, nell'alta vallata del Cecina, dai bacini marini infiltratisi durante complessi cicli geologici. Dal 1911, la Solvay ricerca ed estrae questo sale, che si trova nel sottosuolo a!la profondità di qualche centinaio di metri, sciogliendolo direttamente con acqua. E' nato, per questo il centro di Ponte Ginori, che prende il nome dal ponte sul fiume Cecina, fatto costruire tra il 1831 ed il 1835 dal marchese Carlo Leopoldo Ginori in località Tegolaia, per collegare il suo castello di Querceto alla strada della Val di Cecina (distrutto dai tedeschi nel 1944). E' una Rosignano in miniatura: abitazioni costruite dalla Solvay per i propri dipendenti (70 appartamenti), attrezzature sportive e ricreative, ed accanto un piccolo «indotto» di attività commerciali ed artigianali. Da Ponte Ginori, dove si trovano gli uffici per i tecnici che dirigono le operazioni minerarie e le officine per la manutenzione degli specialissimi attrezzi, partono ogni giorno le squadre di operai che si recano al bacino minerario di Buriano per trivellare i pozzi (i cosiddetti «sondaggi») e svolgere le numerose attività accessorie che servono per estrarre l'acqua salata ed inviarla allo stabilimento di Rosignano.
E' un lavoro duro
e paziente, perchè i giacimenti di sale del Volterrano
sono poveri, il sale va continuamente cercato e studiato
e metodi di estrazione sbagliati comprometterebbero
irrimediabilmente vaste porzioni delle poche risorse
disponibili. Ogni anno si eseguono trivellazioni per
12.00015.000 metri complessivi, si montano o si
smontano tubazioni di superficie per 15.000 metri, si
costruiscono strade, piste e piazzali per il lavoro
delle macchine. Sono lavori nei quali i dipendenti
Solvay di Ponte Ginori hanno accumulato esperienze e
progressi continui, tanto da potersi definire a giusto
titolo degli specialisti unici nel loro genere. Tra le tante
tecniche di estrazione, Solvay ha sempre optato per un
procedimento estremamente sicuro, detto metodo Trump, dal
nome del suo ideatore, che negli anni si è dimostrato a
minor impatto ambientale. Tale metodo consiste nella
perforazione del suolo tramite vari fori, con
circonferenza interna di soli 20 cm di diametro, dai quali
si immette acqua dolce. L'acqua scioglie il sale che viene
poi recuperato da apposite pompe, collocate presso altri
pozzi nelle vicinanze. Il sistema è perfettamente
naturale: utilizza, infatti, il processo inverso alla
formazione dei depositi di salgemma. L'acqua salata, nel
lontano passato, evaporando ha lasciato il sale; l'uomo,
adesso, immettendo acqua nel sottosuolo, ottiene
nuovamente acqua salata. Una tubatura lunga oltre 30
chilometri porta quindi la "salamoia" (cioè
l'acqua in cui si trova disciolto il sale ad alta
concentrazione, 300-330 gr/lt; l'acqua di mare ne
contiene solo 35 gr/lt), dalle zone di estrazione
allo stabilimento di Rosignano. Quando termina la
coltivazione di un terreno, vengono effettuati i
ripristini, come è già accaduto in tutte le aree
dismesse, che consentono di restituire i terreni al loro
impiego originario: agricolo, boschivo o perfino
naturalistico. Nel 2004 è iniziata la coltivazione delle
nuove aree minerarie di Saline di Volterra, che
assicureranno la salamoia allo stabilimento per i prossimi
30 anni.
Foto 24
I CONIGLI D'ANGORA A PONTEGINORI L'allevamento del coniglio (ma anche dei polli) era incoraggiato dal regime anche a livello familiare, nelle case o sui balconi, se uno aveva pochi metri d'orto poi era anche meglio; era un modo per fornire proteine animali a basso costo. Nel caso Solvay Ponteginori erano i Dopolavoro aziendali a fare le cose più in grande ed oltre alla carne che doveva compensare le carenze alimentari del periodo, si produceva "lana di coniglio" ossia lana autarchica basata sui conigli “d’angora” a pelo bianco. Tanto che, in quel periodo, comparve anche una pubblicità di un'azienda di Perugia che diceva "LA LANA DI CONIGLIO E' LA LANA DEGLI ITALIANI". Ma fu subito eliminata perché associare gli italiani alla lana di coniglio fu giudicato offensivo dallo stesso Duce; la produzione comunque continuò, ma con maggiore discrezione. (Prof. Tiziano Arrigoni). Vedo con piacere le belle foto degli allevamenti di conigli a Ponteginori e precisamente nel cantiere di Querceto. Io ero piccolo, avevo circa sette anni, però ricordo ancora che ogni tanto mio padre portava uno di questi conigli a casa per sfamarci. Ricordo che c'erano anche degli allevamenti di conigli d'angora che venivano utilizzati per ricavare la lana. L'attività dei conigli è iniziata durante il periodo fascista anche perché il cantiere fu bruciato dai tedeschi, ricordo sempre quando dettero fuoco alle torri di trivellazione che erano strutture bellissime tutte in legno verniciate di nero con il carbolineum. Con la distruzione dell’allevamento, i conigli vagarono per la campagna per giorni, per finire ovviamente arrosto in breve tempo. Comunque nel giro di pochi anni il cantiere rinacque più bello di prima. Anche questa è storia del centenario Solvay. (Marcello Bellucci).
Nelle foto della conigliera ho
riconosciuto una delle addette. Si chiamava Battistina ed era vedova di
un dipendente Solvay ed era stata assunta dopo la morte del marito. Il
sig. Sederini, come capo del cantiere di Querceto, dirigeva anche la
conigliera che era un gioiello al quale il sig. Biagioli, capo delle
Miniere Salgemma, anzi diciamo pure feudatario e padrone assoluto di
tutto il paese, teneva molto. La conigliera era nata come emanazione
dell'allora Dopolavoro Aziendale Solvay in pieno periodo fascista. Quando la Solvay si mise ad allevare conigli da pelliccia - la storia È difficile immaginare che una grande industria chimica internazionale come la Solvay, in un particolare momento della sua storia, abbia allestito un allevamento modello di conigli di razza per la produzione di pelli da pelliccia e soprattutto lana d'angora per abbigliamento. Eppure è proprio così. Ciò avvenne nel lontano 1940, qualche tempo dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, nella zona di Ponteginori dove l'azienda aveva e tuttora ha cantieri di trivellazione di pozzi per l'estrazione di sale. Ma andiamo con ordine. L'industria Solvay nasce a Rosignano nel 1913, anno in cui, diciamo così, è fissata la posa della prima pietra dello stabilimento voluto dai fratelli di nazionalità belga Ernesto Solvay ed Alberto Solvay scopritori del famoso processo che porta ancora oggi il loro nome e al quale ogni libro di chimica dedica un intero capitolo. Quel processo conduce alla produzione di carbonato di sodio, bicarbonato di sodio e idrato di sodio più conosciuto come soda caustica. Per ottenere questi prodotti, lo stabilimento di Rosignano aveva bisogno di grandi quantità di pietra calcarea e di sale. La pietra calcarea fu individuata in quel di San Vincenzo, mentre a Buriano e a Querceto nei pressi di Ponteginori furono reperiti ricchi giacimenti salini. Proprio per questo a Ponteginori furono costruiti gli appartamenti per le famiglie dei dipendenti, gli uffici, l'officina di manutenzione per i cantieri di trivellazione e la mensa. E così grazie al calcio sanvincenzino e al sodio che arrivava da Ponteginori attraverso le tubazioni correnti lungo la via chiamata appunto Salaiola, lo stabilimento Solvay di Rosignano, cominciò a funzionare a pieno regime. Carciofi, patate e conigli a Querceto. La storia dei conigli ebbe inizio proprio a Querceto in località la Cinquantina alla fine del 1940. Bisogna dire che in quel tempo sulle mense degli italiani il cibo cominciava a scarseggiare a causa delle ristrettezze belliche. Perciò chi aveva la fortuna di possedere un po' di terra intorno a casa iniziò a coltivare quello che allora si chiamava l'orto di guerra con le aiole d'insalata, i filari di pomodori, i carciofi, le patate e il cavolo. In un angolo dell'orto non mancava un piccolo pollaio e la conigliera. Questo tipo di allevamento familiare era molto incoraggiato dal regime fascista allo scopo di coprire le carenze alimentari. A Ponteginori esisteva una mensa che serviva ogni giorno il pasto a circa 350 dipendenti fra operai e impiegati provenienti da Montecatini Val di Cecina, Montescudaio, la Sassa e Saline, per cui la Solvay decise di creare a Querceto un allevamento di conigli per arricchire la tavola dei suoi lavoratori. Pellicce di lapin. Poi nel 1942 accanto all'allevamento di conigli da carne, l'azienda ne realizzò un secondo, assai più grande, per conigli di razza pregiata allo scopo di produrre lana d'angora e pelli per pellicce di "lapin". Capo cantiere di Querceto era Ubaldo Sederini. Suo figlio Renato, che nel 1942 aveva nove anni, ricorda ancora oggi le fasi della realizzazione di questo secondo allevamento e di quel tipo di produzione piuttosto inconsueto per una grande industria chimica come era già a quel tempo la società belga. Fu costruita una enorme conigliera che ospitava dai 900 ai 1000 animali tutti di razza pregiatissima. La costruzione in legno era stata realizzata sotto un grande capannone dagli stessi operai della Solvay e consisteva in una lunga serie di abitacoli su due piani ad altezza d'uomo per facilitare le operazioni di alimentazione e pulizia dei conigli. Non sembrava affatto una conigliera, ma piuttosto una sorta di laboratorio di ricerca. C'era persino, sempre all'interno del capannone, una zona dove campeggiava una scrivania alla quale sedeva un dipendente addetto alla registrazione e al controllo di quell'originale reparto di lavorazione. Le operaie pettinatrici. Una numerosa squadra di operaie pettinava "amorevolmente" i conigli per raccogliere la lana d'angora. Questi rimanevano praticamente nudi e si aspettava che il pelo ricrescesse per una nuova pettinatura. Mentre le pelli di "lapin" venivano inviate alle migliori concerie della Penisola per farne pellicce, i grandi sacchi di lana d'angora erano spediti alle più importanti lanerie e in particolare alla casa di moda Luisa Spagnoli di Perugia che utilizzava quella preziosa merce per confezionare eleganti e caldi golf e pullover molto di moda in quell'epoca. Sederini racconta che la lana più richiesta era quella dei conigli di razza "gigante tedesco" e "grigio perla rex". Anche a Rosignano furono costruite una decina di conigliere per la produzione della lana d'angora: alcune si trovavano all'interno dello stabilimento e le altre in località Mondiglio. I soldati tedeschi e la fuga dei conigli. A Ponteginori c'era una guarnigione di soldati tedeschi che nel 1944 si ritirarono incalzati dalle truppe alleate. Ma prima di abbandonare la zona fecero saltare quasi tutte le torri di trivellazione e, come se fossero stati spinti da un improbabile impulso animalista, liberarono tutti i conigli, sia quelli da cucina che quelli, tantissimi, di razza pregiata. Così la campagna intorno fu invasa da centinaia di quegli animali e si racconta ancora oggi che gli abitanti della zona con una caccia spietata al coniglio, risolsero per molto tempo le loro necessità alimentari. La storia di quel singolare allevamento, indubbiamente un po' strano per un'azienda chimica, ebbe così il suo imprevedibile e leggermente drammatico epilogo. Un epilogo tuttavia pienamente giustificato dalla diffusa fame arretrata di quei cacciatori. DINO DINI |
Più di 30 chilometri di tubi La Solvay estrae il cloruro di sodio, cioè il sale, che costituisce la materia prima di base per i suoi prodotti sodici, dalle miniere di Salgemma di Ponteginori, nella parte ovest del giacimento volterrano, che è conosciuto fino dai tempi più remoti per le numerose sorgenti salate dalle quali i volterrani ricavano il sale alimentare. Si è formato circa dieci milioni di anni fa per evaporazione di acque salate in bacini lagunari che persero gradualmente la comunicazione con il mare. Dopo un periodo di studio, negli anni 1912 e 1913 furono eseguiti i primi sondaggi di ricerca nelle zone di Querceta, Gello e Buriano. La zona di Gello risultò sterile; positive le altre due. Per l'inizio della produzione fu scelta la zona di Querceta (Cinquantina), da coltivare con il metodo della dissoluzione «in loco» dei banchi salini mediante iniezione di acqua dolce e successiva estrazione di salamoia satura. Dopo aver costruito una prima serie di pozzi produttivi e le condutture necessarie, nel giugno 1918 la prima salamoia vergine raggiunse lo stabilimento di Rosignano attraverso una conduttura di ghisa lunga 30 chilometri. La produzione è andata sempre aumentando, seguendo lo sviluppo dello stabilimento di Rosignano. Queste le date più importanti: nel 1928 comincia la coltivazione del nuovo bacino di Buriano e viene prolungata di circa 10 km. la condotta da Casino di Terra a Buriano. A seguito di queste attività, la Solvay costruisce dal 1919 alcune strutture presso la frazione di Ponteginori nella zona di Querceto: alle poche case si aggiungono un’officina, un magazzino, uno spaccio ed alcune abitazioni per dipendenti. Successivamente vengono costruiti, chiesa, scuola elementare, asilo, cinemateatro, impianti sportivi e strutture ricreative: nasce così Ponteginori. Nel 1958 comincia il raddoppio della tubazione da Casino di Terra a Rosignano, nel 1945 si riparano i danni causati dalla guerra (molti impianti fatti saltare dai tedeschi in ritirata e tratti di tubazione distrutti dai bombardamenti) e si riprende la produzione. In sintesi, in oltre sessanta anni di attività sono stati costruiti duemila sondaggi, messi in coltivazione 275 ettari di concessione, sono stati inviati allo stabilimento 40 milioni di tonnellate di sale; siamo passati da diecimila tonnellate del 1919 a un milione e cinquecentomila tonnellate attuali nel 1978. La coltivazione di Buriano che ha un’estensione di 1063 ettari.(Fonte Solvay notizie 1978) L’arte di forare la terra, un’attività poco conosciuta Un'attività forse poco conosciuta della Solvay è quella di fare buchi nel terreno. E' poco conosciuta perché non entra facilmente nell'immaginazione un legame logico fra lo scavare migliaia di buchi in aperta campagna ed il produrre soda, cloro e plastica in uno stabilimento pieno di tubi e ciminiere. O forse perché le perforazioni avvengono un po' fuori mano, verso Volterra. Eppure le perforazioni (anzi, chiamiamole con il loro vero nome, i sondaggi) sono importanti perché servono ad estrarre dal sottosuolo, sciogliendolo con l'acqua, il sale. E senza il sale la soda non si fa. Ogni anno si fanno oltre diecimila metri di fori, divisi in una cinquantina di sondaggi. Non è cosa da poco. Il mestiere di sondatore, forse ancora meno conosciuto dei sondaggi, è da oltre cinquant'anni espressione di un lavoro nostro, tutto speciale; atipico, si direbbe oggi. Naturalmente trivellazioni, o perforazioni, o pozzi, o sondaggi che dir si voglia, non sono stati inventati da noi. L'idea di far buchi sotto i nostri piedi esiste da chi sa quanto tempo, forse da sempre. E per realizzarsi non ha avuto bisogno di attendere un grande sviluppo tecnologico. Sono state sufficienti un po' di fantasia, di pazienza e di doti di fondo. Comunque il progresso tecnologico è venuto, e con esso sistemi di perforazione più avanzati. Per fortuna, perché contemporaneamente le tre virtù succitate, che aiutavano i pionieri, hanno subito un notevole ribasso. Quando al mestiere siamo arrivati noi, le macchine per trivellare esistevano già, magari a vapore: si trivellava soprattutto per il petrolio, i gas, l'acqua. Ma il mestiere del nostro sondatore è subito stato un po' speciale. Non occorre arrivare alle profondità del petrolio (a noi bastano in media duecento metri), ma in compenso bisogna fare tanti buchi, perché ogni sondaggio permette di sciogliere solo una quantità limitata di sale. In altre parole bisogna essere specialisti non solo nel trivellare, ma anche nello spostarsi continuamente nella campagna con tutto l'armamentario. E poi ogni volta bisogna rendersi conto, metro per metro, di quello che c'è nel sottosuolo perché il nostro salgemma, al termine delle sue avventure geologiche, in nessun punto si è fermato su posizioni ben chiare ed in genere lo trovi dove meno te lo aspetti. Quindi, non si deve fare come un normale trapano, che distrugge quel che scava nel foro, ma bisogna riportare in superficie il contenuto del foro nella sua esatta successione. Insomma, è come immergere un tubo nel terreno e riportar su ogni volta quello che c'è rimasto dentro. E infatti facciamo all'incirca così, ricavando dal sottosuolo dei campioni cilindrici detti «carote». In tal modo si scopre a quali profondità è il sale. Ovviamente si fa presto a dirlo, ma a farlo non è poi così semplice. E torniamo alle macchine per fare i sondaggi: le «sonde». E' appena il caso di ricordare che chissà quanti secoli prima dei pionieri americani, i soliti cinesi trivellavano già con macchine complicatissime, come quella visibile nelle vecchissima stampa della foto 3: tanto vecchia e poco chiara, ma abbastanza da dimostrare che anche a quel tempo il mestiere di «capo» doveva essere abbastanza comodo. (Secondo autorevoli sinologi, proprio dai sondatori del Celeste Impero è nato il celebre slogan: «Ha da venì Mao!»). Le sonde usate nei nostri cantieri, fino agli anni Quaranta erano costituite da un grande castello a traliccio ed un macchinario abbastanza pesante ed ingombrante. Poiché si doveva lavorare in turni ed in ogni stagione, il tutto era ricoperto da un gran baraccone a torre in legno (foto 1 e 2). L'utensile destinato a perforare il terreno era portato in profondità collegandolo al piede di una lunga colonna di tubi (le «aste») avvitati l'uno sull'altro. Il tutto veniva fatto girare da un apposito dispositivo. Una circolazione di fanghi, spinti con speciali pompe nelle aste, portava in superficie i detriti fatti dall'utensile nell'avanzare verso il basso. Ogni volta che si passava a fare un nuovo sondaggio, tutto doveva essere smontato a pezzi, trasportato per lo più a braccia, e rimontato sulla nuova piazza. Poi, negli anni Cinquanta, la novità dall'America: tutto l'insieme montato su un telaio a ruote, una specie di rimorchio da camion. Ci si sposta da un sondaggio all'altro in poche ore; purché ci sia una strada, naturalmente. Il progresso dei macchinari ha aumentato anche la velocità della perforazione, e così si può lavorare a turno soltanto nelle stagioni calde ed evitare il baraccone a torre. Ma, abbiamo detto, ci volevano strade e strade solide, per le ruote caricate a tonnellate, mentre noi ci aggiravamo per colline argillose. Ecco allora l'ultimo «grido», questa volta nostro speciale: la sonda su cingoli. Una buona ruspa che prima le spiani la pista, poi la tiri e si va dove ci pare. L'attrezzo del nostro sondatore è oggi questo. Sono arrivati, nel frattempo, anche i servocomandi ad olio e tanti altri marchingegni meccanici per modernizzare un po' le cose. E, come sempre, argano meccanico in luogo di manovra manuale significa meno fatica, più precisione, più riflessione. Oggi chi assiste alle manovre dei nostri sondatori a bordo delle loro strane macchine rimane colpito dalla sicurezza, tempestività e ordine con cui ciascun uomo della squadra esegue le manovre di sua competenza, in perfetto affiatamento con gli altri. Dal 1918 (anno in cui la prima acqua salata è partita alla volta di Rosignano) ad oggi sono stati effettuati oltre duemila sondaggi, per oltre trecentomila metri di perforazione. La superficie interessata dai lavori si è estesa per 275 ettari; sono stati inviati allo stabilimento di Rosignano, sotto forma di salamoia, milioni di tonnellate di sale. Naturalmente, per tutta questa attività, non basta fare i fori: occorre equipaggiare ciascuno di questi, con tubi ed impianti appositi; bisogna gestirli e controllarli; procurare le grandi quantità di acqua dolce necessaria per sciogliere il sale; approvvigionare e gestire i materiali occorrenti; riparare, mantenere, rinnovare macchine ed impianti. Perciò il cantiere di Ponteginori non ha soltanto i sondatori e le sonde: ha molte altre macchine più o meno speciali, ha un'officina meccanica con tutti i servizi accessori, ha un settore destinato all'esercizio. Le esigenze di spazio, ed anche di pazienza dei lettori, non ci consentono tuttavia di parlare di tutti gli altri settori, che pure svolgono compiti non meno utili e necessari di quello dei sondatori. L'autore di questa descrizione parla in prima persona. Da lui dipendono i cantieri ed in particolare quello di Ponteginori. E' l'ingegner Giorgio Zaza, il quale sa tutto sui sondaggi ed è riuscito a raccontarlo in maniera piacevole e piana che si fa leggere volentieri e interessa. Non è soltanto il tecnico che scrive. E' anche l'uomo, con la partecipazione appassionata al lavoro, sua e di tutti i dipendenti di questo cantiere. (Fonte Solvay notizie 1978) L'ing. Giorgio Zaza è deceduto il 5 dicembre 2010 a Milano. L’ultima sua volontà: essere sepolto a Ponteginori, la località così amata in gioventù da considerarla la sua vera patria. Per lui gli abitanti di Ponteginori erano persone dal cuore grande, sempre impegnate a fare del bene, laboriose e corrette. Così è stato anche al momento della tumulazione nel piccolo cimitero dove il Comune ci ha accolto subito, trovando adeguata collocazione. (Giovanni Zaza) |
Da quaranta anni una famiglia controlla tutta la tubazione |
Rosignano Solvay la fabbrica |