I Medici,
cacciatori a Rosignano...
Tutti i principi di
Casa Medici furono accaniti cacciatori. Essi non solo curarono
particolarmente le loro numerose e vastissime bandite, ma
promulgarono anche molti regolamenti e leggi sulla caccia. Ogni
anno nel mese di ottobre e oltre, il castello di Rosignano
ospitava i principi fiorentini che con vasto seguito esercitavano
la loro passione nei boschi fra Rosignano e Cecina. Nel 1606,
quando fu istituito il Capitanato nuovo di Livorno, esistevano
nell’area della sua giurisdizione, secondo il bando del 4 febbraio
1549, le bandite di:
«Lavaiano, Cenaia, Valtriana,
Ponte di sacco (Ponsacco)...e la bandita di Rosignano, cominciando
alla Torre de’ Castiglioni (Castiglioncello) andando per la
collina a Rosignano, e al tericcio (il Terriccio), e alla Nocola (Nocolino
e Monti di Castellina Marittima) come acqua pende verso marina
sino al fiume della Cecina, e sino è marina ritornando alla
sopradetta torre de’ Castiglioni...»
In
queste enormi bandite era imposto il divieto assoluto di caccia
(non valido verosimilmente per il granduca e per i suoi invitati)
salvo
«... fare
lacciuoli a uccelli da acqua dove, sia mezzo braccio d’acqua
(circa 30 cm),
e non in
altro luogo».
Evidentemente in
quei tempi di cacce grosse, gli uccelli di palude erano ancora
poco considerati!
Un bando molto importante
sulla regolazione dell’attività venatoria è quello del 6 giugno
1618, nel quale si precisano e si definiscono tutte le numerose
bandite di caccia del Granducato. Viene mantenuta la grandissima
bandita da Castiglioncello, lungo il crinale dei monti fino a
Rosignano e, attraverso la Val di Fine raggiungendo il poggio di
Nocolino (nei Monti di Castellina Marittima) e il Cecina e si
estese fino al mare.
Nel bando del 1618 è fatto divieto di
«... cacciare, pescare o
uccellare...»
nelle suddette
bandite ed è presentata la lista degli animali
«proibiti»
(evidentemente
ancora eccettuato che per il granduca e per i suoi invitati):
«Porci
(si legga: cinghiali),
Cervi, Daini,
Caprii (si legga:
caprioli),
Lepri, Fagiani, Starne,
Coturnici, Francolini e Colombi di colombaia
(si legga: piccioni di
allevamento)».
L’uso degli archibugi era
rigorosamente proibito, mentre sembra fosse concessa la caccia di
postazione agli uccelletti e cioè con
«ragnaie, boschetti,
frasconaie e paretai...»
anche se certi passi di questo bando risultano molto oscuri.
Proprio per attenuare l’oscurità di quel testo venne, il 20 marzo
del 1620, presentata un’altra ordinanza che specificava gli
animali la cui caccia si intendeva
«proibita»
(le virgolette
stanno a significare che non si deve intendere un divieto totale,
ma solo dipendente dal beneplacito del granduca). Si vietava
inoltre il commercio della selvaggina di ogni specie. Un altro bando del 6 agosto
1622, dopo aver precisata la proibizione della caccia ai cervi
nelle bandite e nei boschi e macchie, ne consentiva l’abbattimento
dal 1 aprile alla fine di settembre nelle campagne e nei coltivi,
evidentemente per i grandi danni che quegli animali procuravano.
In tal modo si andava contro un’antica proibizione, che risaliva
ai tempi di Cosimo I (23 dicembre 1589), di
«ammazzare o pigliare»
cervi nelle bandite o
fuori per difenderne la sopravvivenza.
Se la legislazione della caccia durante il Granducato Mediceo non
brillò per chiarezza, altrettanto non si può affermare per le pene
che erano previste per i trasgressori, che erano sempre
rigorosissime, pecunarie e corporali. Poiché ciò malgrado, le
infrazioni sembra che continuassero ampiamente, specie nelle
bandite di Pisa e di Livorno, si giunse a dar licenza ai
guardiacaccia di sparare sopra chi sorpreso, fuggisse (bando del
24 marzo 1631). Questa disposizione dimostra che la passione per
la caccia riusciva a turbare la «serenità» del S.S. granduca
Ferdinando II, al punto da indurlo a sottoscrivere un
provvedimento legislativo in cui era palese la sproporzione fra la
gravità del reato e la severità del mezzo repressivo.
Le prime avvisaglie di liberalizzazione nelle leggi sulla caccia
sono contenute nell’editto del 20 gennaio 1764, col quale si
concedeva l’uso delle reti per gli uccelli di passo in ogni tempo,
al di fuori delle bandite granducali e private. Ma i veri
importanti cambiamenti furono decisi dai successori di casa
Lorena. Pietro Leopoldo, col motuproprio del 21 febbraio 1781
aboliva un grandissimo numero di bandite granducali, fra le quali
quelle di Tombolo, del Capitanato vecchio e di quello nuovo di
Livorno: in questi territori la caccia era libera salvo il
rispetto dei tempi di divieto e l’acquisizione di una licenza. La
legislazione in materia di caccia fu finalmente affrontata con
chiarezza col motuproprio del 27 aprile 1782 nel quale si
specificava, molto opportunamente, che in primo luogo venivano
abolite tutte le leggi precedenti. La caccia diventava così libera
a tutti, dietro licenza, tranne che nel tempo di divieto dal 15
marzo al 15 luglio e al di fuori delle bandite regie e feudali e
delle vigne, terreni seminati e ancora non mietuti; era invece
sempre permessa contro gli uccelli rapaci, le volpi, gli istrici,
i tassi e i lupi anche nelle bandite, purché senza l’uso delle
armi da fuoco. I padroni (o loro incaricati) dei terreni che si
trovavano a far parte delle bandite potevano uccidere o catturare
cervi, caprioli, daini e cinghiali sorpresi a far danni ai coltivi
(fu come autorizzarne lo sterminio!). Inoltre veniva permessa,
anche all’interno delle bandite, la cattura degli uccelletti
stanziali e di passo con ogni genere di reti, panie e altri
ordigni. Siamo dunque ormai lontani dai giorni in cui fu proibito
di far legna nei boschi per timore che fossero molestati i
selvatici. I nuovi principi lorenesi, smobilitano le enormi e
improduttive bandite compresa quella di Rosignano e si ingegnano
in tutti i modi di incrementare la più redditizia agricoltura: in
altre parole la fine dei Medici, «terribili cacciatori»,
non fu di alcun giovamento alle povere prede; anzi per ironia del
destino essa fu presto seguita dalla sparizione da quasi tutta la
Toscana della selvaggina più prestigiosa che i granduchi avevano
con tanto accanimento cacciata!
(Da: "Il Capitanato Nuovo di Livorno" di Renzo
Mazzanti) |