LE
DONNE ALLA FONTE DEI "POGGETTI"
Il paese aveva una sola fonte. Si trovava giù in basso dopo una
lunga discesa, alle pendici dei "Poggetti", e l'acqua vi giungeva
freschissima e copiosa. Ci avevano fatto i lavatoi e un pò più
distante gli abbeveratoi. Le due fontane zampillanti erano di
stile classico toscano. Lungo la strada c'era un andirivieni
continuo di donne, di carrettieri, di animali e laggiù alla fonte
si svolgeva una vita intensa e un lavoro gioioso in mezzo a voci
giovanili intramezzate dalle risate delle lavandaie. La vita
monotona e ferma del paese qui si trasformava in chiassosa
allegrezza. Vi si passava in rassegna la cronaca paesana che
diventava così viva e vibrante. Nessun avvenimento restava
inosservato. Laggiù la critica era pronta, aperta, a voce
spiegata! Il lavoro cessava al tramonto. Si iniziava allora il
corteo delle portatrici d'acqua. Molte volte ho assistito, quasi a
metà alla salita che metteva in paese, al loro passaggio. Secondo
l'antico costume, le donne, appena riempita la brocca, adattavano
sulla testa il "ciùfalo" (dal greco-etrusco "chèfalos": un rozzo
panno attorcigliato, arrotolato a spirale sopra il capo, a guisa
di guancialetto), su questo issavano l'anfora bislunga e opaca a
due manici, appena sporgenti. Le anfore erano di terracotta,
qualcuna verniciata a fuoco, qualche altra grezza col cerchio
verde cupo, quasi stinto, attorno al collo. Le donne ponevano
quasi di taglio la base dell'anfora sul ciùfalo, curando che
stesse ben incastrata e che rimanesse stabile sul capo. Poi,
sicure, staccavano le mani e iniziavano l'andare. L' incedere
calmo, solenne, direi che aveva qualcosa di maestoso.
da "Cronache Maremmane" di
S.Saggini
Grande fierezza e
silenzioso fervore, capacità ed intelligenza, tempra di granito
quasi sempre unita al tratto gentile: questi i segni distintivi
delle donne di Rosignano e dintorni. Per gran parte di esse una
vita dura, senza mai mezza giornata di riposo e di quiete, senza
mai uno svago. Perfino durante “le veglie” l'altra metà del
cielo è in faccende e non può ascoltare le chiacchiere davanti
al fuoco, in inverno, o quelle scambiate dagli uomini in estate
sotto le stelle, davanti all'uscio di casa. Solo
nel capoluogo ci sono pomeriggi interi di incontro e di ritrovo.
Accade quando le donne del Castello vanno a lavare i panni.
L'unica fonte si trova al termine di una lunga discesa, proprio
alle pendici dei “Poggetti”, con al fianco gli ampi lavatoi,
ornati al centro dal disegno della fontana, riammodernata
definitivamente nel 1865. Basta che non piova e qui è tutto un
fermento al... femminile, rigato anche da note chiassose.
Sussurri e grida, bisbigli ed allegri e ripetuti richiami, risa
contenute e risate a gola piena sottolineano con parole chiare,
dette a voce spiegata, la rassegna quotidiana dei fatti della
comunità. Il giornale che Rosignano non ha mai avuto e che mai
avrà, qui nasce e vario si compone in... edizione parlata.
Sovente un canto, improvviso, si alza nell'aria. Talvolta è una
canzone, più spesso uno stornello, ideato in gruppo e pertanto
immediato, e pungente. Prima
del tramonto il ritorno a casa, con le ceste dei panni puliti.
Al tramonto il corteo rituale delle portatrici d'acqua. Allora
gli uomini del borgo si disperdono su per la salita ad osservare
il passaggio. Vengono, altere, le donne con la brocca adattata
sul “ciuffalo”, il movimento cadenzato ed armonioso per virtù
antica, in fila, addirittura a distanza uguale, sapientemente
tenuta. L'anfora di terracotta, bislunga e con i due manici,
viene portata in testa come una specie di voluminoso e regale
diadema. Le portatrici d'acqua sono consapevoli di...far
passerella ma non lo danno a vedere: i loro occhi guardano
avanti e azzardano di rado uno sguardo in tralice, i loro
fianchi si muovono al ritmo dei passi misurati. Così, calme e
solenni, affrontano l'erta che porta in paese. La
citazione storica è ricavata da "Quando la
luna sorrise al lampionaio" di Celati - Gattini.
IL BUCATO
(Prende il nome dal "buco della conca" sullo
scarico)
Quanta fatica e quanto tempo per "Il bucato". Era uno dei lavori più ingrati delle donne di
anteguerra, sia in campagna che in paese. L'acqua nelle case non era
ancora arrivata e i lavatoi pubblici erano
di solito lontani perchè costruiti nei punti
bassi vicino alle sorgenti o ai fossi. E' vero che ci si "cambiava"
assai poco e con poco ci si vestiva! Maschi e femmine con lo stesso
vestito da un anno all'altro...ma le case erano piene di ragazzi
e le fasce e le pezze dei piccoli non mancavano mai anche se
venivano passate dall'uno all'altro come
tutti i vestiti. Con tutto ciò, almeno una volta al mese, c'era
da fare il bucato. La conca più grossa
veniva sistemata vicino al camino
e poi si andava al lavatoio a dare la prima "passata" ai
panni. Quando erano pronti, se ne faceva un gran fagotto in
un lenzuolo con i quattro capi legati fra loro che con l'aiuto di
altre donne veniva caricato sulla
testa, dopo averci posto prima il
"sarcello" (cercine) cioè un cencio
arrotolato e avvolto a ciambella. Poi su per la salita,
portando nelle mani così liberate, le brocche
dell'acqua che a casa non bastava mai. Nella conca i panni venivano
sovrapposti, sotto i più sporchi e sopra quelli
meno, fino alle lenzuola e alle camicie. I bordi della conca si
potevano rialzare infilandovi
una decina di tavolette giro giro. Sopra ai panni si sistemava il
telone detto "cenerone"
e sopra a questo la cenere.
Quindi si iniziava ad attizzare il fuoco per scaldare l'acqua nel
grosso paiolo di rame attaccato alla cappa
del focarile. Sul cenerone si cominciava a
versare acqua
tiepida e si aspettava che attraversasse il pacco di panni e ricadesse
nel catino sotto la conca perchè si doveva recuperare e riscaldare
di nuovo per riversarla sul cenerone più
volte e sempre più calda. L'acqua per queste
operazioni era quasi sempre piovana,
raccolta nella cisterna di muro o di terra
se esisteva. Pochi erano i pozzi e faticoso
il trasporto dalle fonti. Ora il "ranno"
allo scarico in basso, era scuro per la
cenere e lo sporco, ma scivoloso e
profumato, perchè la cenere contiene una sufficiente quantità di
soda e per il profumo si metteva nell'acqua
qualche erba o pianta odorosa, di solito
alloro. Il ranno sarebbe poi servito per lavare i panni di colore ed anche i
piatti! A questo punto si attendeva un po' il raffreddamento poi si toglieva il cenerone
che si rovesciava nel "ceneraio"
sull'aia, dove i
polli rufolavano con piacere. Ora c'era da disfare il pacco dei panni
caldi per confezionare involti più piccoli
sempre con le quattro becche legate per
portarli caricati ancora in testa al lavatoio per
il
lavaggio finale ed il risciacquo. D'inverno l'acqua del lavatoio era gelida ed il lavoro
gravoso anche col il cardano acceso fra le gambe.
Peggio ancora se non c'era lavatoio e si
doveva fare l'operazione sui sassi di un
fiumiciattolo. Specie le pesanti lenzuola fatte al telaio
troncavano le braccia intirizzite. A lavoro
finito nuovi involti sulla testa e via verso
casa per stendere finalmente i panni sul prato e sulle
siepi (fili e stenditoi arriveranno molto
più tardi). La stiratura non esisteva nella
famiglia contadina, né c'era tempo da
dedicare a certe "finezze". I pesanti
ferri da stiro apribili superiormente per
caricarli di carboni ardenti presi dal focarile, erano in possesso solo delle
famiglie benestanti che avevano personale di
servizio.
IL LAVATOIO
...Il lavatoio, coperto, era addossato alla parete di fondo.
Al lavatoio, si veniva a conoscenza di vita, morte e miracoli di
tutto il paese, poiché le donne vi portavano non solo i panni
sporchi, ma anche tutti i pettegolezzi, tutti i segreti, tutti gli
scandali del paese.
Esse stropicciavano, sbattevano, sciacquavano, torcevano e...chiacchieravano... chiacchieravano... mentre l'acqua diventava
sempre più sporca e più densa, finché si ricopriva di una coltre
di sudicia saponata che esse cercavano continuamente di
allontanare dai loro panni.
Spesso qualche pezzo di sapone scivolava dalle loro mani
intirizzite e, siccome il fondo del lavatoio era in pendio,
riprenderlo era un problema.
Il lavatoio veniva vuotato e pulito solo una volta la
settimana, da una volenterosa che di solito aveva problemi a
tenere le mani nell'acqua fredda e preferiva lavorare di ramazza a
pile vuote. Infine vi entrava per pulirla, recuperando fazzoletti,
calzini, fibbie e bottoni e quei benedetti pezzi di sapone che
erano diventati morbidi come pappa.
Durante la notte, lentamente, il lavatoio si riempiva. E la
mattina dopo le donne facevano a gara ad alzarsi presto per poter
usufruire dell'acqua pulita.
(Sintesi da: "Il Formicaio" di V.B. Salvestrini)
Ogni lavatoio aveva un suo
custode al quale, di solito, veniva affidato un piccolo pezzo di
terra che lui orgogliosamente coltivava. Spesso al posto del
sapone venivano usati i gusci delle uova e il sapone allo zolfo.
Anche se tra la fine dell'800 e i primi del '900 a Livorno (e
questo risulta da molti documenti) si trovavano diverse
saponerie e fabbriche di un certo valore. I lavatoi vennero
chiusi negli anni '50, in seguito alle varie epidemie coleriche
e non furono riaperti anche a causa dell'avvento, negli anni
'60, delle prime lavatrici. Nei racconti delle persone anziane,
spesso la fontanella era strettamente legata agli antichi
mestieri di fatica e luoghi di aggregazione delle donne. Il
lavatoio aveva una funzione pratica, in un mondo in cui il
rubinetto dell'acqua in casa era una prerogativa solo delle
poche persone facoltose, ma soprattutto aveva un'insostituibile
funzione sociale nel mondo delle donne: spesso infatti era
l'unico luogo, fuori dalle mura domestiche, al quale una donna
poteva recarsi senza la preventiva autorizzazione dell'uomo di
casa; là poteva liberamente incontrare parenti, amiche e vicine,
parlare, spettegolare, cantare, ricevere preziosi consigli e
aspre critiche, condividere gioie e dolori, consolare ed essere
consolata, in una parola vivere, pur continuando ad assolvere ai
suoi doveri di donna di casa. In questi "luoghi di fatica, ma
anche di libertà, si poteva trovare un inizio del riscatto
femminile e di liberazione del ruolo della donna". Il lavatoio
era inteso anche come luogo di pulizia e purificazione non solo
degli oggetti, ma anche dello spirito. In questi luoghi sono
nate le prime associazioni di donne, pioniere di un antesignano
femminismo: emblematico l'uso, da parte delle lavandaie, del
fazzoletto annodato 'a doppia punta' messo in testa o al collo,
che ricorda la rivolta delle lavandaie del Vomero che, nel XIII
secolo, rivendicavano il 'fazzoletto di terra' a loro lungamente
promesso e mai concesso. Di questa rivolta non si trova
documentazione storica, ma soltanto ricordi orali, tramandati
per secoli, attraverso stornelli e canzoni. E che dire "del
simbolismo ricorrente che si trova nei gesti e nelle parole
relative al compito di lavare? Come ammollare, sciacquare,
torcere, strofinare, strizzare, stendere: sono verbi che, oltre
il significato letterale, hanno semantiche aggressive, quasi ad
esprimere, sotto metafora, la ribellione delle donne contro le
oppressioni e le discriminazioni che erano costrette a subire.
Contemporaneamente il rendere pulito e brillante ciò che prima
era sporco e opaco, riafferma un simbolismo spirituale legato al
perdono e al riscatto: simbolismo ormai del tutto perduto con
l'uso delle moderne lavatrici, di cui nel 2006 si è festeggiato
il centenario della prima messa in commercio negli Stati Uniti.
I prototipi, costruiti con mastelli di legno, venivano azionati
a forza di braccia, usando allo scopo manovelle ricavate da
pompe e altri attrezzi. La prima commercializzazione della
lavatrice in Italia avvenne nei primissimi anni '50, dopo la
presentazione alla fiera di Milano del 1946. Fu questa a
siglare definitivamente la fine della storia dei lavatoi.
(Dal volume di Gabriella
Bini e Simonetta Balestri Gioia "Antichi mestieri: Lavandaie e
Lavatoi" a cura di C.G per il "Corriere di Livorno").
1943 - La
guardia Carrito denuncia problemi di scarsa acqua, affollamento
e igiene ai lavatoi.
1895 -
Contravvenzione
Lavandare
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato tra il vapor leggiero.
E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene.
Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti come son rimasta!
Come l'aratro in mezzo alla maggese.
Giovanni Pascoli
17 novembre 2023
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