Rosignano Marittimo ieri     

Il gruppo dei lavatoi con la fonte a destra La tettoia contro il sole e la pioggia, si doveva lavare in ogni stagione Le pile con il canale dell'acqua corrente al centro Lavandaie Mastello da ammollo in cemento, classica 'conca' con scarico, chiuso da un tappo di legno o di sughero Una finezza poco diffusa, il torchio strizzabiancheria a manovella Asse per lavare,tinozza in lamiera zincata e sapone di Marsiglia Asciugatura al sole appena possibile Ben attrezzato lacale di asciugatura invernale 1960 - Anche per lui il massimo è il bagnetto nella tinozza zincata 1960 - Anche per lui il massimo è il bagnetto nella tinozza zincata Qui la tinozza è già di materiale plastico, ma la scena non cambia
 
Scendendo dal Castello lungo via C.Battisti si imbocca Via della Fonte e si scende verso la vallata est del paese. La suggestiva strada porta alla fonte, lavatoi e macelli, interessante esempio di questo tipo di strutture. L'insieme compatto degli edifici su un solo livello ha copertura tradizionale a falde inclinate. Architettura di gusto neoclassico arricchita dall'articolarsi di gradoni, canalizzazioni e bacini dei lavatoi. (Foto B/N archivio Gioia Simonetta)

                      LE DONNE ALLA FONTE DEI "POGGETTI"
Il paese aveva una sola fonte. Si trovava giù in basso dopo una lunga discesa, alle pendici dei "Poggetti", e l'acqua vi giungeva freschissima e copiosa. Ci avevano fatto i lavatoi e un pò più distante gli abbeveratoi. Le due fontane zampillanti erano di stile classico toscano. Lungo la strada c'era un andirivieni continuo di donne, di carrettieri, di animali e laggiù alla fonte si svolgeva una vita intensa e un lavoro gioioso in mezzo a voci giovanili intramezzate dalle risate delle lavandaie. La vita monotona e ferma del paese qui si trasformava in chiassosa allegrezza. Vi si passava in rassegna la cronaca paesana che diventava così viva e vibrante. Nessun avvenimento restava inosservato. Laggiù la critica era pronta, aperta, a voce spiegata! Il lavoro cessava al tramonto. Si iniziava allora il corteo delle portatrici d'acqua. Molte volte ho assistito, quasi a metà alla salita che metteva in paese, al loro passaggio. Secondo l'antico costume, le donne, appena riempita la brocca, adattavano sulla testa il "ciùfalo" (dal greco-etrusco "chèfalos": un rozzo panno attorcigliato, arrotolato a spirale sopra il capo, a guisa di guancialetto), su questo issavano l'anfora bislunga e opaca a due manici, appena sporgenti. Le anfore erano di terracotta, qualcuna verniciata a fuoco, qualche altra grezza col cerchio verde cupo, quasi stinto, attorno al collo. Le donne ponevano quasi di taglio la base dell'anfora sul ciùfalo, curando che stesse ben incastrata e che rimanesse stabile sul capo. Poi, sicure, staccavano le mani e iniziavano l'andare. L' incedere calmo, solenne, direi che aveva qualcosa di maestoso.
da "Cronache Maremmane" di S.Saggini
  Grande fierezza e silenzioso fervore, capacità ed intelligenza, tempra di granito quasi sempre unita al tratto gentile: questi i segni distintivi delle donne di Rosignano e dintorni. Per gran parte di esse una vita dura, senza mai mezza giornata di riposo e di quiete, senza mai uno svago. Perfino durante “le veglie” l'altra metà del cielo è in faccende e non può ascoltare le chiacchiere davanti al fuoco, in inverno, o quelle scambiate dagli uomini in estate sotto le stelle, davanti all'uscio di casa. Solo nel capoluogo ci sono pomeriggi interi di incontro e di ritrovo. Accade quando le donne del Castello vanno a lavare i panni. L'unica fonte si trova al termine di una lunga discesa, proprio alle pendici dei “Poggetti”, con al fianco gli ampi lavatoi, ornati al centro dal disegno della fontana, riammodernata definitivamente nel 1865. Basta che non piova e qui è tutto un fermento al... femminile, rigato anche da note chiassose. Sussurri e grida, bisbigli ed allegri e ripetuti richiami, risa contenute e risate a gola piena sottolineano con parole chiare, dette a voce spiegata, la rassegna quotidiana dei fatti della comunità. Il giornale che Rosignano non ha mai avuto e che mai avrà, qui nasce e vario si compone in... edizione parlata. Sovente un canto, improvviso, si alza nell'aria. Talvolta è una canzone, più spesso uno stornello, ideato in gruppo e pertanto immediato, e pungente. Prima del tramonto il ritorno a casa, con le ceste dei panni puliti. Al tramonto il corteo rituale delle portatrici d'acqua. Allora gli uomini del borgo si disperdono su per la salita ad osservare il passaggio. Vengono, altere, le donne con la brocca adattata sul “ciuffalo”, il movimento cadenzato ed armonioso per virtù antica, in fila, addirittura a distanza uguale, sapientemente tenuta. L'anfora di terracotta, bislunga e con i due manici, viene portata in testa come una specie di voluminoso e regale diadema. Le portatrici d'acqua sono consapevoli di...far passerella ma non lo danno a vedere: i loro occhi guardano avanti e azzardano di rado uno sguardo in tralice, i loro fianchi si muovono al ritmo dei passi misurati. Così, calme e solenni, affrontano l'erta che porta in paese. La citazione storica è ricavata da  "Quando la luna sorrise al lampionaio" di Celati - Gattini.
            IL BUCATO (Prende il nome dal "buco della conca" sullo scarico)
Quanta fatica e quanto tempo per "Il bucato". Era uno dei lavori più ingrati delle donne di  anteguerra, sia in campagna che in paese. L'acqua nelle case non era ancora arrivata  e i lavatoi pubblici erano di solito lontani perchè costruiti nei punti bassi vicino alle sorgenti o ai fossi. E' vero che ci si "cambiava" assai poco e con poco ci si vestiva! Maschi e femmine con lo stesso vestito da un anno all'altro...ma le case erano piene di ragazzi e le fasce e le pezze dei piccoli non mancavano mai anche se venivano passate dall'uno all'altro come tutti i vestiti. Con tutto ciò, almeno una volta al mese, c'era da fare il bucato. La conca più grossa veniva sistemata vicino al camino e poi si andava al lavatoio a dare la prima "passata" ai panni. Quando erano pronti, se ne faceva un gran fagotto in un lenzuolo con i quattro capi legati fra loro che con l'aiuto di altre donne  veniva caricato sulla testa, dopo averci posto prima il "sarcello" (cercine) cioè un cencio arrotolato e avvolto a ciambella. Poi su per la salita, portando nelle mani così liberate, le brocche dell'acqua che a casa non bastava mai. Nella conca i panni venivano sovrapposti, sotto i più sporchi e sopra quelli meno, fino alle lenzuola e alle camicie. I bordi della conca si potevano rialzare infilandovi una decina di tavolette giro giro. Sopra ai panni si sistemava il telone detto "cenerone" e sopra a questo la cenere. Quindi si iniziava ad attizzare il fuoco per scaldare l'acqua nel grosso paiolo di rame attaccato alla cappa del focarile. Sul cenerone si cominciava a versare acqua tiepida e si aspettava che attraversasse il pacco di panni e ricadesse nel catino sotto la conca perchè si doveva recuperare e riscaldare di nuovo per riversarla sul cenerone più volte e sempre più calda. L'acqua per queste operazioni era quasi sempre piovana, raccolta nella cisterna di muro o di terra se esisteva. Pochi erano i pozzi e faticoso il trasporto dalle fonti. Ora il "ranno" allo scarico in basso, era scuro per la cenere e lo sporco, ma scivoloso e profumato, perchè la cenere contiene una sufficiente quantità di soda e per il profumo si metteva nell'acqua qualche erba o pianta odorosa, di solito alloro. Il ranno sarebbe poi servito per lavare i panni di colore ed anche i piatti! A questo punto si attendeva un po' il raffreddamento poi si toglieva il cenerone che si rovesciava nel "ceneraio" sull'aia, dove i polli rufolavano con piacere. Ora c'era da disfare il pacco dei panni caldi per confezionare involti più piccoli sempre con le quattro becche legate per portarli caricati ancora in testa al lavatoio per il lavaggio finale ed il risciacquo. D'inverno l'acqua del lavatoio era gelida ed il lavoro gravoso anche col il cardano acceso fra le gambe. Peggio ancora se non c'era lavatoio e si doveva fare l'operazione sui sassi di un fiumiciattolo. Specie le pesanti lenzuola fatte al telaio troncavano le braccia intirizzite. A lavoro finito nuovi involti sulla testa e via verso casa per stendere finalmente i panni sul prato e sulle siepi (fili e stenditoi arriveranno molto più tardi). La stiratura non esisteva nella famiglia contadina, né c'era tempo da dedicare a certe "finezze". I pesanti ferri da stiro apribili superiormente per caricarli di carboni ardenti presi dal focarile, erano in possesso solo delle famiglie benestanti che avevano personale di servizio.
                                      IL LAVATOIO  
...Il lavatoio, coperto, era addossato alla parete di fondo.
Al lavatoio, si veniva a conoscenza di vita, morte e miracoli di tutto il paese, poiché le donne vi portavano non solo i panni sporchi, ma anche tutti i pettegolezzi, tutti i segreti, tutti gli scandali del paese.
Esse stropicciavano, sbattevano, sciacquavano, torcevano e...chiacchieravano... chiacchieravano... mentre l'acqua diventava sempre più sporca e più densa, finché si ricopriva di una coltre di sudicia saponata che esse cercavano continuamente di allontanare dai loro panni. Spesso qualche pezzo di sapone scivolava dalle loro mani intirizzite e, siccome il fondo del lavatoio era in pendio, riprenderlo era un problema. Il lavatoio veniva vuotato e pulito solo una volta la settimana, da una volenterosa che di solito aveva problemi a tenere le mani nell'acqua fredda e preferiva lavorare di ramazza a pile vuote. Infine vi entrava per pulirla, recuperando fazzoletti, calzini, fibbie e bottoni e quei benedetti pezzi di sapone che erano diventati morbidi come pappa. Durante la notte, lentamente, il lavatoio si riempiva. E la mattina dopo le donne facevano a gara ad alzarsi presto per poter usufruire dell'acqua pulita.
(Sintesi da: "Il Formicaio" di V.B. Salvestrini)
Ogni lavatoio aveva un suo custode al quale, di solito, veniva affidato un piccolo pezzo di terra che lui orgogliosamente coltivava. Spesso al posto del sapone venivano usati i gusci delle uova e il sapone allo zolfo. Anche se tra la fine dell'800 e i primi del '900 a Livorno (e questo risulta da molti documenti) si trovavano diverse saponerie e fabbriche di un certo valore. I lavatoi vennero chiusi negli anni '50, in seguito alle varie epidemie coleriche e non furono riaperti anche a causa dell'avvento, negli anni '60, delle prime lavatrici. Nei racconti delle persone anziane, spesso la fontanella era strettamente legata agli antichi mestieri di fatica e luoghi di aggregazione delle donne. Il lavatoio aveva una funzione pratica, in un mondo in cui il rubinetto dell'acqua in casa era una prerogativa solo delle poche persone facoltose, ma soprattutto aveva un'insostituibile funzione sociale nel mondo delle donne: spesso infatti era l'unico luogo, fuori dalle mura domestiche, al quale una donna poteva recarsi senza la preventiva autorizzazione dell'uomo di casa; là poteva liberamente incontrare parenti, amiche e vicine, parlare, spettegolare, cantare, ricevere preziosi consigli e aspre critiche, condividere gioie e dolori, consolare ed essere consolata, in una parola vivere, pur continuando ad assolvere ai suoi doveri di donna di casa. In questi "luoghi di fatica, ma anche di libertà, si poteva trovare un inizio del riscatto femminile e di liberazione del ruolo della donna". Il lavatoio era inteso anche come luogo di pulizia e purificazione non solo degli oggetti, ma anche dello spirito. In questi luoghi sono nate le prime associazioni di donne, pioniere di un antesignano femminismo: emblematico l'uso, da parte delle lavandaie, del fazzoletto annodato 'a doppia punta' messo in testa o al collo, che ricorda la rivolta delle lavandaie del Vomero che, nel XIII secolo, rivendicavano il 'fazzoletto di terra' a loro lungamente promesso e mai concesso. Di questa rivolta non si trova documentazione storica, ma soltanto ricordi orali, tramandati per secoli, attraverso stornelli e canzoni. E che dire "del simbolismo ricorrente che si trova nei gesti e nelle parole relative al compito di lavare? Come ammollare, sciacquare, torcere, strofinare, strizzare, stendere: sono verbi che, oltre il significato letterale, hanno semantiche aggressive, quasi ad esprimere, sotto metafora, la ribellione delle donne contro le oppressioni e le discriminazioni che erano costrette a subire. Contemporaneamente il rendere pulito e brillante ciò che prima era sporco e opaco, riafferma un simbolismo spirituale legato al perdono e al riscatto: simbolismo ormai del tutto perduto con l'uso delle moderne lavatrici, di cui nel 2006 si è festeggiato il centenario della prima messa in commercio negli Stati Uniti. I prototipi, costruiti con mastelli di legno, venivano azionati a forza di braccia, usando allo scopo manovelle ricavate da pompe e altri attrezzi. La prima commercializzazione della lavatrice in Italia avvenne nei primissimi anni '50, dopo la presentazione alla fiera di Milano del 1946. Fu questa a siglare definitivamente la fine della storia dei lavatoi. (Dal volume di Gabriella Bini e Simonetta Balestri Gioia "Antichi mestieri: Lavandaie e Lavatoi" a cura di C.G per il "Corriere di Livorno").
1943 - La guardia Carrito denuncia problemi di scarsa acqua, affollamento e igiene ai lavatoi.

              
1895 - Contravvenzione

              

Lavandare
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato tra il vapor leggiero.

E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene.

Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti come son rimasta!
Come l'aratro in mezzo alla maggese.
                                                      Giovanni Pascoli

17 novembre 2023

Rosignano Marittimo - Ieri