Situazione
della Chiesa nelle zone occupate dai longobardi
Negli
ultimi decenni del secolo VI nelle zone d'Italia occupate dai
longobardi la società romana e la Chiesa cattolica si trovarono in
una situazione misera e pericolosa. Come scrisse Paolo Diacono nell'Historia
Langobardorum: "In quel tempo molti romani furono uccisi per
cupidigia. Gli altri, divisi tra gli ospiti affinchè versassero la
terza parte dei prodotti agricoli ai Longobardi, diventarono
tributarii. Da questi duchi longobardi, e precisamente nel settimo
anno dopo l'invasione operata da Alboino e da tutto il suo popolo,
furono spogliate le chiese, uccisi i sacerdoti, distrutte le città e
la popolazione, che nel frattempo era cresciuta come le biade, venne
estinta; la maggior parte dell'Italia, a eccezione di quelle regioni
già occupate da Alboino, fu conquistata e sottomessa dai
Longobardi".
Passato
il periodo dell'anarchia dei duchi (574-584) e ristabilita l'autorità
regia con Autari (584-590) la situazione rimase sempre pericolosa
poiché i longobardi avevano preso dimora nei castelli di campagna e
strutturato la propria vita ed economia in modo da tener conto solo
dei propri affari e della riscossione dei tributi da parte dei latini
servi nei poderi. I nuovi signori erano anche di fede ariana o pagani.
Orgogliosamente fieri delle proprie etnia e cultura, chiusi nei sundri,
adoravano il Cristo di sola natura umana (= arianesimo) oppure la
capra, la vipera (rappresentava
l'eresia ariana),
gli alberi, le fonti, e credevano alle magie sul tempo metereologico e
ai malefici delle streghe. Intendevano così conservarsi un assoluto e
completo predominio sulle popolazioni italiche. Ma gli effetti furono
opposti.
La
fattiva opera di conversione dei germani da parte della Chiesa
cattolica ebbe un notevole impulso alla fine del VI secolo, proprio
quando i tempi sembravano farsi più bui e le popolazioni, decimate
dalla peste, avevano la profonda convinzione che la fine del mondo
fosse prossima. Quasi inaspettata sulla sede di Pietro a Roma apparve
la grande figura di Gregorio Magno (morto nel 604), aristocratico
romano con spiritualità e cultura di stampo classico e tuttavia
cosciente che la Chiesa e il cristianesimo non avrebbero potuto
continuare a nutrirsi solo della spiritualità e della cultura
classiche.
Gregorio,
staccandosi dall'influenza culturale bizantina — che allora dominava
Oriente e Occidente — comprese che in quel periodo l'avvicinamento
ai germani e la cura delle anime erano gli impegni più attuali della
Chiesa. Di conseguenza compì la sua gravosa opera di promozione delle
conversioni al cattolicesimo (=
"missioni"), usando una mite strategia basata sulla
persuasione e sulla ricerca del sostegno dei sovrani dei barbari (un
esempio in Italia fu la regina Teodolinda). I longobardi, a loro
volta, trovarono conveniente appoggiarsi alla Chiesa e alla dottrina
cattolica per il rafforzamento dell'unità interna e del potere dello
stato contro le ribellioni dei duchi e dei guerrieri di più schietta
tradizione germanica.
L'opera di conversione dei pagani e degli eretici non era mai stata
estranea al cristianesimo. "Nel periodo più antico
dell'evangelizzazione dei barbari, le missioni furono promosse dagli
stessi imperatori e spesso da metropoliti e da vescovi ai margini
dell'Impero, che tosto dopo, consacravano i primi vescovi di queste
gentes conquistate alla fede. Ma già nel secolo VI si afferma per i
barbari di Occidente l'iniziativa missionaria del vescovo di
Roma". Alla metà del VII secolo poi per sopravvivere il popolo
longobardo dovette vincere l'incertezza di schierarsi contro Roma e
Bisanzio e quindi allearsi con gli arabi, o di sodalizzare col
cristianesimo.
Grazie
all'avvicinamento iniziato da San Gregorio, dal VII secolo si assistè
al dispiegarsi in Italia di un "cristianesimo libero e
individualista", diffuso presso i castelli da monaci, da
sacerdoti provenienti da Roma o da altri missionari. A lungo andare
riuscì ad ottenere gli scopi che si era proposto. Verso il 750
l'isolamento era finito: i longobardi erano un popolo cattolico e
abbastanza compatto e le discriminazioni etniche con la gente latina
erano quasi del tutto superate: i nipoti dei guerrieri invasori erano
diventati anche mercanti e artigiani, mentre i romani, a loro volta,
potevano possedere la terra, portare le armi ed entrare a far parte
dell'esercito.
Da
questo periodo fino circa al secondo decennio del secolo IX i
documenti mostrano anche una notevole crescita di fondazioni di
chiese; subito dopo un grande numero di edifici religiosi in
abbandono. Alle "missioni" e alla riorganizzazione dei
vescovadi seguiranno i tempi tristi e di incuria del feudalesimo.
Nel
tempo dell'opera di conversione, "la raffinata esperienza
psicologica di chi come i missionari aveva attraversato molte contrade
e vissuto tante vicende", conseguì i suoi risultati con la
fondazione presso un castello di una "chiesa propria", cioè
pertinente solo al fondatore e con un esercizio del culto molto
limitato.
L'oratorio
(o basilica) eretto venne dedicato ad un santo che generalmente
appartenne al numero di quelli venerati comunemente nel mondo
cristiano di allora, in gran parte legato a Costantinopoli e
all'Oriente.
"Una
parte della tradizione germanica" cede il passo al cattolicesimo,
sebbene l'arimanno "abiti ancora nel proprio "sundrio",
vesta le armi avite e deliberi i contratti tra le lance e..., per un
superstite senso individualistico del culto, voglia il proprio
oratorio e proprie tombe separate". La pieve giungeva là dove la
chiesa privata non poteva diventare la parrocchia di tutti gli
abitanti della corte; ma non tutte le corti ebbero oratori propri, non
di rado un castello dei secoli X-XI "ha come punto di riferimento
proprio un edificio religioso. Si tratta qualche volta di antiche
pievi che vengono fortificate.
Tra
le dedicazioni delle chiese di castello più frequenti si trovano
quelle a Santa Maria, che poteva attrarre la devozione di ragazze e
madri longobarde; a San Michele, arcangelo raffigurato con corazza ed
armi come i militari, venerato dai cristiani di fede ariana e, dopo la
conversione, simbolo di unità perché oggetto di culto sia da parte
degli ariani che da parte dei cattolici. Fu tipica del tempo anche la
dedicazione a San Jerusalem, un antico culto toscano che però è
sconosciuto ai martirologi occidentali. San Jerusalem stava a
suggerire, insieme alla dedicazione "Santa Mater Ecclesia",
la fedeltà a Roma contro altri eretici di Bisanzio, i monoteliti.
Troviamo poi frequenti intitolazioni a San Nicola, protettore delle
genti di mare, e a Sant'Andrea, leggendario fondatore di
Costantinopoli, titolare della chiesa di Sant'Andrea dei Goti a
Ravenna eretta al tempo di Teodorico, e, secondo Conti, caratteristico
di certe chiese battesimali antiariane della Toscana.
Al
posto di raffigurazioni tipiche dell'arianesimo venne inserita
l'immagine del grande soldato-vescovo, l'amico dei tribolati, San
Martino (fu un culto occidentale, della Chiesa delle Gallie), e si
fondarono cappelle o stazioni missionarie a lui dedicate dove si
poteva supporre un subdolo ritorno dell'eresia. L'accostamento di
chiese dedicate ai due soldati San Martino e San Michele è
generalmente considerato un indizio di presidi longobardi subentrati
nelle fortificazioni bizantine.
Altri
santi venerati nelle chiese di castello furono San Giorgio protettore
della cavalleria bizantina, e San Salvadore che fu una dedicazione
tipica delle chiese missionarie orientali, sempre antiariana, come
quella alla Santa Trinità che gli eretici negavano. Infine un titolo
missionario riservato alle chiese dei goti pare sia stato quello di
Sant'Agata, martire mutilata al seno e quindi invocata dalle madri
bisognose di latte.
Come
si può vedere, anche santi militari a volte con un passato pagano e
convertiti al cristianesimo vennero proposti dai missionari ai
primitivi guerrieri longobardi. "Popoli biondi" venivano
chiamati dai bizantini, che "fanno gran conto della libertà,
sono audaci, imperturbabili in battaglia, ardimentosi ed
irruenti"; disprezzano chi si mostra vile, ma sono paurosi delle
malattie, dei malefici, dei poteri occulti del cielo. E con costoro
"bisognava toccare le corde più profonde dei sentimenti
umani", per ottenere i risultati voluti.
Da: "Chiese
e castelli dell'Alto Medioevo in Bassa Val di Cecina e in Val di
Fine" di
Paola Ircani Menichini scaricabile dal sito. |