Castelnuovo della M.dia. L'itinerario
verso Gabbro parte dal lato di ponente
del castello,
in Piazzetta del Magazzino dove, sul muro di un
edificio, è incassato un rosone circolare
in pietra di circa 60 cm
di diametro, con lo stemma "S.M.A." (Santa Maria Assunta)
sovrastato da una croce e contornato da una ghirlanda di foglie
di acanto.
La stretta strada che
passa davanti a questo stemma era la vecchia via per Gabbro.
Un primo tratto passa sotto le mura del castello
che si erge su uno sperone di
roccia calcarea (Calcari di Castelnuovo), ma dopo pochi
metri si interrompe e la discesa verso il Botro S. Giorgio (un
tempo conosciuta come “la sbalza”) è ostacolata da materiali
diversi; ritorna percorribile fino a S. Martino, poco oltre il botro. Superate le Case Cafaggio, un doppio filare
di lecci e querce trattiene a fatica gli argini della strada.
Da Cafaggio, a destra, si scenderebbe fino alla S.S. 206
lungo un altro antico percorso con stupenda visione panoramica
sulla valle del Botro Riardo. Durante il
cammino, in località Collina Alta, superato un bosco sulla
sinistra di recente impiantato, si possono scorgere i ruderi
di un mulino a vento posti alla sommità di una collinetta
(Fig.2,
vedi anche).
Procediamo passando vicino a “Cesari”, un antico toponimo
ricordato nei documenti
medievali come sede di villaggio, ed arriviamo a S. Martino,
località altrettanto antica, dove esisteva, già nel secolo XIII,
una Cappella intitolata al Santo (Fig.3,
vedi anche).
La vegetazione
spontanea invade ora un tratto di sentiero per circa 400 m. La strada, ancora
ben delineata da due file di alberi laterali, procedeva in
leggera discesa fino al Botro di S. Martino, che veniva superato
a guado, proseguiva poi, sempre delimitato da filari di
querce, risalendo la collina (Fig.4,
vedi anche).
Il tratto è abbandonato, ma ancora percorribile,
e l'acciottolato
è stato risparmiato dai cingoli grazie alle alberature laterali che hanno
impedito di transitarvi. La strada in leggera discesa, corre
lungo campi seminati fino al Botro Scaforno. Dopo
il guado sul botro, con andamento dolce piega verso i
piedi della collina, dove le argille marnose del Miocene lasciano
il posto ai terreni alluvionali dell’Olocene, depositati dal
Botro Riardo. Un rustico ponticello ad arco con sesto
ribassato (Fig.5) permette l'attraversamento. La
strada si riduce ad un viottolo lungo il
bordo di un campo lungo e stretto; a sinistra abbiamo il
botro con gli argini rivestiti da una fascia di
vegetazione riparia, sulla destra un boschetto. Alla fine del
bosco ci appare la collina lungo la quale risaliva la strada
oggi scomparsa. Si prosegue, lungo il botro verso l'unico albero presente nel
versante, un grosso pino (Fig.6).
A sinistra di questo pino,
esisteva il cimitero dell’antica Pieve di S. Giovanni
Battista in Camajano. Il recupero del materiale lapideo a
vantaggio di alcuni dei fabbricati rurali della zona che
sarebbero stati costruiti con le pietre della grande chiesa,
hanno cancellato ogni traccia
dell’edificio religioso. Le lavorazioni agricole hanno
poi sparso nei campi i frammenti ossei che, saltuariamente
affiorano. Nel camminare lungo
lo stradello verso la
cima della collina è facile
imbattersi in resti di ceramica romana a conferma dell’antica
colonizzazione di questa zona. Negli anni Trenta ancora si
trovavano al margine del campo,
resti di capitelli e di colonne in marmo. Giunti alla sommità
della collina la strada ricompare nel suo tracciato originario e
corre lungo il crinale, collegando vecchi fabbricati rurali
(certamente già esistenti nel Settecento), che ben si
inseriscono nel paesaggio circostante. Prendiamoci un momento
per godersi il panorama di
questa stupenda vallata, tra le più amene di tutto il territorio
comunale. Volgendo lo sguardo a 360°, in direzione di ponente,
possiamo vedere, al di là del Riardo, le colline della Fattoria
di Paltratico (nota per i suoi vigneti, dai quali si producono
il rosso “Omero” ed il bianco “Lodolaia”) dove, in primo piano,
si distinguono due fabbricati isolati: il “Silicone” (Fig.7), costruito
da Giovanni Branchetti nel 1927 ed oggi ristrutturato da una
famiglia tedesca che vi abita e
“Cappellese” (Fig.8), probabilmente costruito nel
1655, come attesta una iscrizione su marmo, murata nel vano di
una finestra. Vi si legge, oltre alla data: 1655, l’iscrizione:
I.H.S. sormontata da una croce. L’edificio, di proprietà dei
sig.ri Michetti, è stato di recente ristrutturato e adibito ad agriturismo.
Il crinale dei Monti
Livornesi che fa da sfondo alla collina, ci mostra in
sequenza, da Nord a Sud, la cima del “Poggio Motorno”,
“Monte Carvoli” (Fig.9) ed infine “Monte Pelato”; i
primi due rilievi conservano, alla loro sommità, i resti di
due antichi castelli "diruti" (Fig.10 e 11). I resti dei
due castelli sono rappresentati nel plantario del 1795, con
la dizione di: "Castello
del Motorno diruto"
e "Castel di M.te
Calvoli diruto".
L’edificio più vicino a
noi, in direzione Sud, è quello delle “Porcarecce” (Fig. 12), seguito, a poca distanza, da Casa S. Elena (Fig.13).
A levante la collina su cui ci troviamo degrada dolcemente
fino al Botro Sanguigna; sulla cresta del
versante opposto si nota una fila di cipressi oltre i quali,
nell’ordine, si intravedono sulla destra i due fabbricati di
Pane e Vino. Pane e Vino I° (Fig.14), oggi
azienda agrituristica, ha in pratica ripreso la
secolare funzione di centro di ristoro per
i viandanti che transitavano lungo la vicina Strada
Maremmana (oggi Via Emilia). Sotto di noi,
sull’argine sinistro del Botro Sanguigna (Fig.15), l’edificio ristrutturato che ospitava l’antico mulino
della Tenuta di Borgo Fiorito o della Villa.
Seguendo il crinale
della collina verso nord, ci appare, seminascosto dalla
vegetazione, l’abitato della “Villa” vicino al quale
passava la vecchia strada per Livorno. Le località
costituiscono due importanti
stazioni paleoittiologiche per i giacimenti di pesci, foglie
e insetti fossili, che si conservano nell’affioramento del “Tripoli”
di Paltratico presso Villa Nardi (Messiniano inferiore) e
nelle lamine marnose, presso il Podere di Pane e Vino (Messiniano
superiore). L’area, quindi, fra 5 e 7 milioni di anni fa,
era ricoperta dal mare. Ormai si vede il paese del
Gabbro, raccolto sulle pendici del Poggio Pelato, quindi
riprendiamo il cammino verso nord. Il primo fabbricato
che incontriamo è quello del “Podere Nuovo”
(Fig.16), seminascosto da grossi alberi di pino. Sull’edificio, un'iscrizione riporta due date: quella
dell’anno di costruzione (1769) e quella di un probabile
intervento di ampliamento (1929).
Siamo arrivati ad un
bivio, ed ora bisogna scegliere il percorso. Guardando indietro
si vede da dove eravamo partiti.
La via più breve per
arrivare al Gabbro, passando per i mulini sotto il
campo sportivo, è proseguire dritto lungo la
"Strada vicinale di
Castelpietro - Porcarecce - il Casino";
se invece
prendiamo sulla destra andremo per l'antica
"Strada che
da Livorno va' a Castelnuovo",
da dove è
ancora possibile raggiungere il paese
facendo anche tappa al vicino punto di ristoro di Pane e Vino.
Ma vediamoli entrambe.
Strada vicinale Castelpietro - Poggetti (km 1,5)
Dopo il bivio,
proseguendo dritto, prima di incontrare sul lato
destro della strada due vecchi edifici di colore bianco
oggi ristrutturati (“La Casetta” ed il “Podere di
S. Giovanni”, è possibile scendere lungo un
sentiero che piega a sinistra verso il Botro Motorno
(tratto iniziale del Botro Riardo) e visitare un'antica
calcara ubicata vicino all’argine sinistro (Fig.17).
Non sappiamo
a quando risale, ma stando alle
dimensioni della quercia che vi è cresciuta dentro non
può avere meno di due o tre secoli. Continuando sulla strada principale, alla nostra sinistra
abbiamo il poggio sul quale si erge l’abitato di Castelpiero (Fig.18), un piccolo gruppo di case dalle
origini molto antiche.
Costeggiando il
fianco del poggio per circa 500 metri, arriviamo ad un
altro crocevia, dobbiamo prendere la prima a destra
che ci condurrà al “Podere S. Giorgio” da dove
inizia la discesa verso i mulini del Sanguigna. La
strada ritorna ad alberarsi perché stiamo
entrando nell’area boschiva, sul bordo sinistro di una
curva troviamo una strana macchina arrugginita (Fig.19)
che serviva al taglio, con il filo elicoidale, dei
blocchi di serpentinite estratti da una vicina cava che
tra poco vedremo.
La cava,
aperta nel 1953, lavorò per circa 27 anni ed il
tipo di roccia estratto venne utilizzato
soprattutto come pietra ornamentale.
Il sito
riveste una certa importanza dal punto di vista
mineralogico; già nel 1878, infatti, veniva
segnalato dal Capellini come luogo di“…grande
interesse per il naturalista”.
I lavori intrapresi per la ricerca di
minerale ferroso avevano messo in luce filoni di
limonite,
marcasite e prehnite (più tardi dolomite).
Ancora oggi, lungo le pareti di cava, si notano
colorazioni diverse ed efflorescenze particolari
dovute alla presenza di minerali diversi, tipici
delle ofioliti. Nell’area della cava si è
formato un piccolo laghetto artificiale che
conferisce al sito un aspetto particolarmente
gradevole (Fig.20). La
zona, di proprietà privata, è stata recintata
per motivi di sicurezza. Proseguendo
nella discesa verso il botro, la strada
passa completamente dentro il bosco che fa da
contorno agli opifici. Il paesaggio è
indubbiamente bello, fra speroni di rocce
affioranti (serpentiniti), ricoperte di muschi,
licheni e specie erbacee endemiche delle
ofioliti, si sviluppa una vegetazione
sempreverde di pini marittimi, querce da sughero
e piante di alloro, cui si mescolano essenze
arbustive della macchia mediterranea. Arrivati al Sanguigna, un ponticello permette il
passaggio sull’altra sponda dove sono attestati i
mulini che insieme alle tipiche rocce verdi, al
bosco circostante e all’acqua del botro
costituiscono un sistema unitario, di grande
qualità e rilevante valenza
ambientale. Da qui, seguendo la strada asfaltata
del capo sportivo, è possibile risalire fino al
Gabbro. (Vedi itinerario "I mulini della
Sanguigna" in questa sezione).
Strada
del Ristoro (km 2)
Dopo
il
bivio, lasciando la via di crinale,
prendiamo a destra e dopo un breve falso
piano la strada comincia a scendere verso il
Sanguigna, in quella parte dell’antica Serra
di Camaiano, detta appunto “La Sanguigna”,
dove era localizzato il mulino
“a
Ruota”
della
Pieve. Il tracciato originario (come risulta
dal plantario del 1795), passava al margine
del bosco alla nostra destra, superava il
botro a guado e risaliva la collina verso i
fabbricati della “Villa” (Fig.23). Quello
che invece percorriamo è uno stretto
sentiero, parallelo al precedente. Giunti nei pressi
di questa località un’altra strada di
crinale ci conduce sia verso Sud, dove
possiamo trovare ristoro a “Pane e Vino”
(nel qual caso il percorso si allunga, fra
andata e ritorno alla Villa, di circa due
km), sia verso Nord, in direzione del
Gabbro. Se è qui che andremo, si consiglia,
poco prima del “Poggettone”, di imboccare
per pochi metri uno stradello - ben visibile
perché si stacca sulla destra di un’ampia
curva (150 metri prima delle case “I
Carrai”) - che porta sulla cresta di una
collina dalla quale possiamo ammirare, a
Levante, subito sotto di noi, la Valle del
Botro Rapaiolo, con le perfette geometrie
delle sistemazioni idraulico-agrarie del
podere S. Antonio (Fig.21) e, più in
basso, i maestosi cipressi che “nascondono”
la splendida Villa di Poggio Piano (Fig.22). Questo edificio settecentesco, un
tempo circondato da una vasta tenuta, è
ricordato per aver visto, ospite illustre
(1886-1895), il noto pittore Silvestro Lega,
che in questi luoghi trovò ispirazioni per
le sue opere finali, riconducibili alla
stagione artistica conosciuta come: “Periodo
del Gabbro”. Riprendendo la strada che sale
verso il paese, arriviamo, dopo circa 300
metri, ad un gruppo di case con recinti per
cavalli e pascoli. A Ponente, la Valle del
Botro Sanguigna si apre di nuovo davanti a
noi; in pratica, sul crinale
dell’opposta collina, passa la via di Castelpietro descritta in precedenza, fa da
sfondo la catena dei Monti Livornesi. Ormai
siamo giunti ai piedi del poggio su cui si
erge Villa Mirabella (Fig.24), stupenda
residenza di campagna fatta costruire
intorno alla metà del ‘700 dalla famiglia Finocchietti. L’edificio ed il
parco circostante, sono di
proprietà comunale e meritano sicuramente
una visita.
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