Piccole attività industriali
A un chilometro dal paese, lungo la via delle Capanne, si trova una
vecchia fornace di proprietà della famiglia Serredi di Livorno, che
sfrutta da molti anni la materia prima che abbonda nella zona: la «
mota argilla » con la quale si fanno mattoni, travetti e altri laterizi
per le costruzioni. Vi si lavorava artigianalmente: i forni per cuocere
il materiale venivano scaldati a legna, poi, col passare del tempo,
furono elettrificati e fino ad essere dotati di macchinari di alta
precisione e comandati elettronicamente. L'organico
del personale, specialmente dopo il 1945, aumentò tanto da arrivare a
oltre 125 dipendenti. Nel 1978 il lavoro diminuì sensibilmente, a causa
di una crisi generale dell'edilizia e per il sorgere di altre fabbriche
concorrenti, perciò gli operai e gli impiegati furono messi in cassa
integrazione con minaccia di licenziamenti per cessazione di attività. Quanto
sopra provocò la reazione dei rappresentanti sindacali a tutela dei
lavoratori dipendenti; furono fatte assemblee, furono informati e
responsabilizzati tutti i partiti politici, perché insieme trovassero
una soluzione. Una parziale soluzione venne presa nello stesso anno con
la riassunzione di 90 dipendenti resa possibile da finanziamenti che
l'azienda ricevette dalle varie banche livornesi che speravano in un
futuro migliore per l'edilizia. Purtroppo ciò non si verificò, così
che nel 1979 l'attività della fornace cessò con conseguente
licenziamento di quasi 100 dipendenti. Riaprirà più tardi
sotto la proprietà Donati come Donati Laterizi che ancora la gestisce.
Oltre alla fornace, nel 1952, in località Sanguigna, fu riattivata una
vecchia cava da cui venivano estratti dei blocchi di marmo bianco
pregiato con venature verdi e rosse che, con grandi autocarri, venivano
trasportati nella zona di Massa Carrara per essere segati, lavorati e
quindi venduti. La
cava era ed è tutt'ora di proprietà del sig. Gaspero Giarrabuto,
padrone del podere Sanguigna, che però veniva sfruttata, per contratto,
da alcuni livornesi. Nel 1974 a causa dell'espandersi di prodotti
concorrenziali, la ditta appaltatrice cessò ogni attività e tutto
rimase abbandonato. Da:"Il mio paese Gabbro" di Jacopo Cadore Quochi 1979,
scaricabile dal sito.
10 ottobre 1953 - festa al Gabbro per il 50ario
Su iniziativa dei dipendenti della ditta si è svolta al
Gabbro una riuscita e simpatica festa che le maestranze del laborioso
paese hanno voluto offrire ai sigg. Giovanni ed Enrico Serredi nel
cinquantenario della fondazione della ditta omonima. La festa che è
stata preparata quasi all'insaputa dello stesso Direttore, ha avuto
inizio quando, data la concomitante festa in paese con la fiera annuale
i Serredi sono giunti alla fabbrica, con la consegna di due medaglie in
oro simboliche ed una artistica pergamena firmata da tutti i dipendenti
a testimoniare l'affetto, la stima e la solidarietà verso Giovanni ed
Enrico Serredi, per la loro opera indefessa nel campo del lavoro,
dell'industria e dei rapporti sociali. Ai vari giochi eseguiti dalle
squadre dei vari reparti e fra questi il tiro alla fune ed una gara
motoscuteristica, seguiva la premiazione delle squadre e dei singoli ed
una lotteria seguita da un ottimo rinfresco. Oltre ai dipendenti
attuali, impiegati ed operai erano presenti quattro vecchi dipendenti
ormai a riposo che hanno voluto anch'essi testimoniare ai Serrredi la
loro soddisfazione per lo sviluppo e l'affermazione dell'azienda.
(Da Il Telegrafo Livorno)
Fornace da mattoni Donati, già Serredi
Questa moderna fornace, che dà lavoro diretto ad una trentina di operai
con un indotto di oltre 150 e riesce a produrre circa 1.100 tn di
laterizi al giorno (blocchi forati per divisori e blocchi da muro di
grande formato per murature portanti), è l’unica rimasta attiva nel
territorio livornese e con essa si chiude il capitolo delle fornaci
“storiche” e si apre l’epoca delle fornaci “moderne”. Nel luogo dove sorge la fabbrica le
mappe catastali della Comunità di Collesalvetti (1819-20) riportano una
piccola fornace, le cui origini potrebbero risalire al secolo XVIII,
quando la ricca famiglia Finocchietti (mercanti livornesi di origine
francese) acquista al Gabbro una vasta tenuta (1739), costruendovi una
villa (Villa Mirabella) ed una grande casa di fattoria. E' probabile che
il bisogno di una grande quantità di laterizi necessari per edificare
fabbricati di tali dimensioni, unitamente alla distanza che separava
Gabbro dai mercati livornesi, abbia indotto i signori Finocchietti a
munirsi di una propria fornace da utilizzare anche per altre esigenze,
come la costruzione di nuove case sui poderi della tenuta, la
ristrutturazione/costruzione di mulini idraulici sul Botro Sanguigna,
ecc. Nel 1876, nonostante parte della tenuta (villa compresa) fosse da
tempo passata ad altri proprietari, la piccola fornace “da mattoni”
rimaneva ancora ad un Finocchietti (Ranieri) ed era censita con una
consistenza di piani 1 e vani 1, in via Ricasoli n. 3 al Gabbro.
Da questo momento in poi è possibile seguire i passaggi di proprietà
dell’opificio:
1886 - marchese Vittorio De Ghantuz Cubbe,
1911 - conte Lodovico Miari,
1929 - Carlo Tabet,
1934 - Monte dei Paschi di Siena
1935 - Maspes cav. Francesco fu Basilio.
Nella mappa d’impianto del catasto moderno (1939) la fornace è
rappresentata con la specifica “Elba”. Un’interessante scoperta riguarda
un mattone rinvenuto nel pavimento di una casa a Canneto nel Comune di
Monteverdi M.mo (PI), con sovraimpresso il bollo: “LATERIZI - FORNACE
AUGUSTA — GABBRO (PISA)”. Dal momento che il Comune di Rosignano M.mo,
di cui Gabbro fa parte dal 1910, è entrato a costituire l’odierna
Provincia di Livorno nel 1925, è evidente che il nome “Augusta” fu
attribuito alla fornace prima di tale data (ma non sappiamo quando).
Per la ricostruzione delle vicende accadute dopo il 1940, essendo andato
perduto l’archivio storico dello stabilimento, ci siamo affidati alla
testimonianza orale del sig. Maltinti Mario (classe 1930) che vi ha
lavorato dal 1944 al 1986, prima come operaio e poi come impiegato. La
fornace fu comprata nel 1936 dai Serredi, originari di Caletta (Castiglioncello),
in seguito ad un fallimento. Nello stesso anno, Ezio Maltinti,
componente di una famiglia di mattonai di Castelfiorentino e padre di
Mario, si trasferì al Gabbro. Prima del 1920 la fornace era a fuoco
intermittente e constava di due pozzi che lavoravano in alternanza con
alimentazione a paglia e fascine. Fra il 1920 ed il 1930 fu costruita
dalla Ditta Cacciò la nuova fornace a fuoco continuo del tipo Hoffman a
16 forni, dove “il fuoco camminava grazie ad un sistema di tiraggi ben
congeniato”. Nel 1943 lo stabilimento chiuse per le vicende belliche e
dette rifugio agli sfollati, subendo anche un bombardamento. Alla
riapertura (1944) le maestranze occupate erano una sessantina. Vi si
producevano mattoni, tabelle e tegole che potevano essere cotti nella
stessa camera anche contemporaneamente, purché disposti in maniera
accorta: i mattoni sotto, le tabelle e le tegole marsigliesi sopra. Il
materiale finito veniva trasportato con una teleferica alla stazione di
Orciano, da dove partiva per destinazioni diverse (anche Corsica e
Sardegna). Il combustibile era costituito da carbone stacciato,
proveniente in prevalenza dal Sulcis (poco era quello inglese, buono, ma
caro), e da lignite proveniente da Ribolla. Alla fine degli anni
Quaranta i Serredi fabbricarono i primi mattoni forati (con 40 fori da
12 mm) e questo evento rappresentò una grande innovazione nel campo dei
laterizi. Nel 1954, in occasione del cinquantesimo anniversario della
fondazione della Società, all’interno della fornace fu organizzata una
grande festa a cui partecipò tutto il paese del Gabbro, ma quell’anno è
ricordato anche per la costruzione di un nuovo e più moderno forno
Hoffman (del tipo senza curve), con 20 camere a facciata, 10 da una
parte e 10 dall’altra, dove “il fuoco avanzava a zig-zag”. Nel 1960-61
lo stabilimento fu dotato di un ulteriore forno “a tunnel” alimentato ad
olio combustibile, dove “il fuoco stava fermo” ed erano i laterizi,
caricati su un sistema di carrelli in movimento, a spostarsi all’interno
del forno. L’escavazione dell’argilla dalla vicina cava di prestito,
condotta inizialmente con pala e piccone (il trasporto del materiale
alle tramogge di macinazione e ai mescolatori avveniva con carrelli su
decauville) passò poi a sistemi sempre più meccanizzati. L’essiccazione
dei laterizi ancora negli anni Cinquanta era condotta all’aria aperta,
nelle “piazze”, dove i mattoni erano disposti in “piccioli” (o “foglie”)
e coperti da tegole marsigliesi per ripararli dalla pioggia, nonché da
stuoini di canne arrotolati che, in caso di necessità, venivano calati
sui mattoni. Successivamente fu costruito un capannone di vetro in grado
di sfruttare il riscaldamento solare (“solarium”), mentre oggi si
dispone di essiccatoi dove viene mandata aria calda. Quando nel 1977 la
fornace chiuse per fallimento, la produzione era incentrata oltre che
sul laterizio anche sui travetti per solai. Le maestranze, composte da
164 operai (più gli impiegati), nell’anno seguente ripresero il lavoro
in amministrazione controllata, ma dopo sei mesi, nonostante i tre forni
attivi producessero ogni giorno 3.000 quintali di materiale, dovettero
arrendersi a fronte di un deficit ormai divenuto incolmabile. Il mattone
12 x 25 x 5,5 pieno e forato, fiore all’occhiello della storica fornace Serredi, usciva definitivamente di scena.
(Da "Antiche
manifatture del territorio livornese" di Taddei-Branchetti-Cauli-Galoppini,
scaricabile dal sito)
Gennaio-febbraio 2009 - Stop alla produzione, la storica azienda di
laterizi attraversa un periodo nero. Il problema che l’attanaglia
da tempo, è la mancanza di argilla di qualità, che ha costretto i
vertici della società a riportare tutti gli 80 dipendenti diretti in
cassa integrazione. Anche le ditte strettamente legate alla fornace
hanno dovuto fare ricorso alla stessa procedura economica nei confronti
dei loro dipendenti in
tutto circa 160 le persone.
E' richiesto l'utilizzo della cava "Speranza", che garantirebbe
un’attività di estrazione di 10-12 anni, risolvendo tutti i problemi
legati alla qualità scadente dell'argilla attuale. L'argilla miocenica,
permetterebbe il rilancio di un’azienda presente sul territorio da 40
anni.
2 dicembre 2011 - A
71 anni si è spento per una malattia uno degli imprenditori più
importanti operativi nella Bassa Val di Cecina: Armando Donati,
proprietario dell’omonima fornace di Gabbro. Donati, pisano, dopo avere
aperto l’attività a Campo nel 1969, dieci anni dopo decise di acquisire
la fornace di Gabbro. «Un grosso investimento - ricorda Massimo Tinucci,
responsabile amministrativo della Donati - che negli anni ha portato la
Donati Laterizi ad essere un punto di riferimento del settore in tutta
la Toscana, ma non solo, con oltre 100 dipendenti tra diretti e indotto.
Armando è stato una figura di spessore e ha costruito una grande realtà,
che oggi cerca di resistere alla crisi investendo».
(Il Tirreno)
Trattori e cavalli contro la cava -
Sui colli di Castelnuovo manifestazione ambientalista per dire no al
nuovo escavo della fornace Donati. LA PROTESTA "AMBIENTE E TERRITORIO"
21 ottobre 2013 - Trattori,
cavalli, mountain bike. E poi striscioni e magliette su cui campeggia un
messaggio forte e chiaro: rispettiamo l’ambiente, no alla cava del
Gozzone. Il comitato salvaguardia e sviluppo territorio e occupazione (Cssto)
fa sul serio. Il gruppo, che riunisce oltre cento persone fra titolari
di agriturismi e aziende agricole presenti sui colli tra Castelnuovo e
Gabbro, è sorto la scorsa estate per contestare la creazione di una
nuova cava di argilla, che l’azienda di laterizi Donati ha chiesto di
avviare in località Gozzone. Proprio su questa collina immersa nel
verde, tra le frazioni di Castelnuovo e Gabbro, ieri mattina i
rappresentanti del Cssto si sono riuniti per mettere su una
manifestazione di protesta. Hanno portato trattori e cavalli, qualcuno è
arrivato in bicicletta. Esattamente nell’area dove dovrebbe sorgere la
cava, che la Provincia ha già inserito nella proposta di piano cave
provinciale approvata poche settimane fa, hanno sistemato un gazebo e
striscioni di protesta. «No cava si lavoro»: questo lo slogan
dell’iniziativa che è proseguita per tutta la mattina. E, per far capire
che l’attività industriale legata all’escavo della Donati sarebbe
incompatibile con l’economia verde che attualmente è florida sui colli a
monte di Rosignano, hanno portato marmellate, olio e vino prodotti nelle
loro aziende agricole. Insieme ai membri del comitato, che tra l’altro
pochi giorni fa ha ottenuto l’appoggio ufficiale di una serie di
associazioni ambientaliste livornesi (tra cui Wwf, Legambiente e Lipu)
riunite nel progetto “Occhi sulle colline”, sulle alture dietro
Rosignano c’erano anche tanti cittadini interessati a tutelare i colli
di Castelnuovo. «Secondo il progetto della Donati - dice Beatrice Pizzi,
portavoce del comitato - la cava dovrebbe occupare quindici ettari, con
uno sbancamento di argilla di 100 mila metri cubi all’anno». Un’attività
industriale che secondo gli ambientalisti è assolutamente incompatibile
con le attività agricole e turistiche che già esistono su questi colli.
«Nel 2002 - prosegue la portavoce - qui esistevano, secondo un
censimento commissionato dal Comune, 60 soggetti agricoli che adesso
sono saliti a 81. Il Comune già allora dette parere sfavorevole a una
cava in questa zona, quindi adesso non può accettare l’avvio del nuovo
escavo». Fatto sta che la Provincia, competente in materia di
autorizzazione di nuove cave, ha di fatto accettato la richiesta della
Donati, inserendo nel piano cave anche la zona del Gozzone. «È assurdo -
proseguono i rappresentanti del comitato - oltretutto non è chiaro se e
come verrebbe eseguito il ripristino ambientale della zona scavata, il
timore è che verrebbe semplicemente abbandonata a se stessa. E questo a
noi non va bene». Oltre a polemizzare contro la cava in sé, il comitato
ha fatto presente una serie di problematiche connesse all’attività
estrattiva. «Basta pensare - come si legge in un volantino distribuito
durante la protesta - alla necessità di costruire nuove strade per il
passaggio di grandi mezzi di trasporto e al rischio di sfruttamento
della cava per la gestione dei rifiuti». Il comitato, che si è dotato di
alcuni legali del foro di Pisa, ha in programma un incontro con il
sindaco, gli assessori Pia, Donati, Agostini e i presidenti di alcune
commissioni consiliari, a cui ribadiranno le loro posizioni.
Anna Cecchini
per Il Tirreno.
2019 - Non si scaverà al Gozzone.
Il Tar da ragione al
comitato.
Annullata la delibera della
Provincia, ok al ricorso di
agriturismi, Cia e
Coldiretti. No al nuovo
giacimento estrattivo.
Gozzone, vince il comitato.
Vincono cittadini,
agricoltori ed
ambientalisti. Niente cava
e, salvo sorprese, qui non
si estrarrà mai argilla.
Intanto arriva un
pronunciamento del Tar -
sentenza pubblicato il 4
giugno - con cui il
Tribunale Amministrativo
accoglie il ricorso
presentato da Coldiretti,
Cia, Azienda turistica
Carapellese e Wwf contro la
delibera del consiglio
provinciale di Livorno che
il 10 giugno 2014 approvava
il Piano delle attività
estrattive individuando un
nuovo giacimento in località
Gozzone, un'area di campagna
tra Castelnuovo e Gabbro. E
cancella questa
localizzazione dal Piano. La
cui competenza (quella delle
aree estrattive), nel
frattempo, è passata alla
Regione che ha già scartato
questa previsione. Per il
comitato di Salvaguardia
Sviluppo del territorio e
Occupazione, nato nel luglio
di 5 anni fa per opporsi
alle trivelle nella nuova
area, necessaria per dare
continuità all'attività
della Fornace Donati, è un
successo. La vicenda ha
vissuto sino a qui una serie
di contraccolpi e battaglie
legali, anche perché il
Comune di Rosignano - parte
in causa che tuttavia non ha
mai adito ad azioni contro
la Provincia scegliendo di
sciogliere il nodo
attraverso un percorso
istituzionale - dopo il via
libera della Provincia ha
chiesto alla regione
l'apertura di una conferenza
paritetica per sciogliere il
nodo. Del resto la
previsione della cava del Gozzone - ricorda oggi il
sindaco Alessandro Franchi -
nel piano delle attività
estrattive contrastava con
le previsioni del vecchio
regolamento urbanistico e
non fa parte neppure del
nuovo. Nel frattempo il
comitato ha manifestato più
volte, organizzando sit in
ed iniziative di protesta
nell'area, a tutela del
paesaggio e dello sviluppo
agrituristico. Il 22
dicembre 2014 la Conferenza
si è pronunciata e ha dato
ragione al Comune: infatti,
la Conferenza all'unanimità
ha riscontrato il contrasto
tra la previsione del Paerp
e il Piano Strutturale del
Comune ed inoltre ha
stabilito di individuare
siti alternativi per
l'apertura di nuove cave di
argilla. Decisione che ha
innescato il ricorso della
Laterizi Donati e dei
proprietari del podere
Gozzone, poi rigettato dal
Tar. Ma i titolari della
fornace non si sono fermati
e si sono opposti anche al
consiglio di stato presso
cui pende questa causa. In
questo intreccio di contese
legali arriva in questi
giorni il parere del Tar
Toscana la cui seconda
sezione accoglie il ricorso
ed annulla la previsione in
cui si individua l'area del
Gozzone come nuova cava.
Andrea
Rocchi- Il Tirreno
6/6/2019
2022 - Proseguirà per altri
sei anni l'estrazione alla
cava di Gabbro.
L'autorizzazione è passata
dalla Donati Laterizi alla
T2G spa.
Un passaggio formale, ma che
è anche assicurazione del
proseguo dei lavori
nell'unico sito estrattivo
di argilla ancora aperto
nella frazione di Gabbro,
all'interno del territorio
di Rosignano Marittimo. Nei
giorni scorsi infatti
l'amministrazione comunale
ha rilasciato un decreto con
cui attestava ufficialmente
il subingresso per
l'attività di coltivazione
della cava alla ditta T2D
spa. Una risposta a quanto
la stessa impresa -
sviluppata dalla Fornace
Toppetti, impresa fondata a
Todi (in provincia di
Perugia) nel 1886 e
diventata nel tempo una
delle imprese leader per la
produzione di laterizi e
materiali per l'edilizia -
aveva formalmente presentato
a metà del mese di giugno:
un'istanza al Comune per
subentrare alla società
Donati Laterizi srl
nell'ambito
dell'autorizzazione per
l'attività estrattiva della
cava di argilla. Si tratta
perlopiù, come detto, di una
pratica formale: la T2D spa
infatti è sorta nello
specifico nel 2017 quando fu
avviata la fusione tra la
Toppetti e proprio la Donati
Laterizi, che dagli anni '80
aveva affiancato al proprio
stabilimento a Campo (in
provincia di Pisa) anche il
sito produttivo di Gabbro.
Quanto richiesto dalla T2D
spa riguarda in particolare
il progetto approvato nel
marzo del 2015 dal Comune di
Rosignano che fu rilasciato
all'epoca in forma di
autorizzazione alla Donati
Laterizi srl per procedere
con i lavori della prima
fase della variante al
progetto di coltivazione
della cava di argilla e
«riguardante - si legge nel
testo dell'atto - la
riduzione dell'ambito di
cava e le modifiche
dell'assetto definitivo di
ripristino». Subentrando
formalmente alla precedente
impresa, la T2D spa porterà
avanti l'attività estrattiva
della cava di argilla per i
prossimi anni. Sei, per la
precisione, ovvero il numero
di anni che ancora
rimanevano da sfruttare alla
Donati Laterizi srl per
condurre a termine il
complesso progetto approvato
sia dal Comune che dalla
Regione Toscana. Ora
spetterà alla ditta umbra
proseguire con l'opera di
ripristino: da parte del
Comune è già stata
rilasciata l'autorizzazione
all'esecuzione dei lavori
della seconda fase del
progetto, che dovranno
essere eseguiti - queste le
disposizioni
dell'amministrazione -
seguendo le direttive e gli
elaborati redatti dal
geologo Fabrizio Alvares e
che costituirono gli
allegati al provvedimento di
autorizzazione nel 2015.
All'ultimazione dei lavori
della seconda fase del
progetto, inoltre, secondo
quanto stabilito dall'ultimo
decreto emesso dal Comune
«dovranno cessare tutti i
lavori di coltivazione e il
titolare dell'autorizzazione
- si legge nel documento -
ha l'obbligo di darne
comunicazione, corredata
dalla documentazione tecnica
necessaria al fine di
consentire opportune
verifiche e controlli». La
garanzia della conferma dei
sei anni di autorizzazione
all'attività estrattiva è
importante anche per
l'impatto lavorativo che la
cava ha sul territorio:
circa una quindicina di
operai costituiscono infatti
il personale impiegato nelle
operazioni, a cui si
aggiunge poi l'intero
indotto di una produzione
che affonda le sue radici
storiche nel territorio di
Gabbro. Dove fino a pochi
anni fa proprio la Donati
Laterizi voleva espandersi,
puntando all'apertura -
bocciata poi dal Tar e
osteggiata anche dal Comune
- di una seconda cava a
Gozzone.
Gabriele Buffoni Il Tirreno
22/9/2022
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