Gabbro oggi/Fornace Donati   
1960 - Cartolina della fornace Serredi 1970 - La fornace Serredi in attività 1969 - Cava della Fornace Serredi. (Arch. Trusendi) 1954 - Fornace Donati -  Mattoni in essiccazione coperti con stoie di canne Bollo FORNACE AUGUSTA su mattone Serredi ante 1925 con Gabbro ancora in provincia di Pisa La Fornace Donati (2007) La Fornace Donati oggi
 
        La fabbrica di laterizi ex Serredi oggi Donati

         Piccole attività industriali
A un chilometro dal paese, lungo la via delle Capanne, si trova una vecchia fornace di proprietà della famiglia Serredi di Livorno, che sfrutta da molti anni la materia prima che abbonda nella zona: la « mota argilla » con la quale si fanno mattoni, travetti e altri laterizi per le costruzioni. Vi si lavorava artigianalmente: i forni per cuocere il materiale venivano scaldati a legna, poi, col passare del tempo, furono elettrificati e fino ad essere dotati di macchinari di alta precisione e comandati elettronicamente. L'organico del personale, specialmente dopo il 1945, aumentò tanto da arrivare a oltre 125 dipendenti. Nel 1978 il lavoro diminuì sensibilmente, a causa di una crisi generale dell'edilizia e per il sorgere di altre fabbriche concorrenti, perciò gli operai e gli impiegati furono messi in cassa integrazione con minaccia di licenziamenti per cessazione di attività. Quanto sopra provocò la reazione dei rappresentanti sindacali a tutela dei lavoratori dipendenti; furono fatte assemblee, furono informati e responsabilizzati tutti i partiti politici, perché insieme trovassero una soluzione. Una parziale soluzione venne presa nello stesso anno con la riassunzione di 90 dipendenti resa possibile da finanziamenti che l'azienda ricevette dalle varie banche livornesi che speravano in un futuro migliore per l'edilizia. Purtroppo ciò non si verificò, così che nel 1979 l'attività della fornace cessò con conseguente licenziamento di quasi 100 dipendenti. Riaprirà più tardi sotto la proprietà Donati come Donati Laterizi che ancora la gestisce. Oltre alla fornace, nel 1952, in località Sanguigna, fu riattivata una vecchia cava da cui venivano estratti dei blocchi di marmo bianco pregiato con venature verdi e rosse che, con grandi autocarri, venivano trasportati nella zona di Massa Carrara per essere segati, lavorati e quindi venduti. La cava era ed è tutt'ora di proprietà del sig. Gaspero Giarrabuto, padrone del podere Sanguigna, che però veniva sfruttata, per contratto, da alcuni livornesi. Nel 1974 a causa dell'espandersi di prodotti concorrenziali, la ditta appaltatrice cessò ogni attività e tutto rimase abbandonato.
Da:"Il mio paese Gabbro" di Jacopo Cadore Quochi 1979, scaricabile dal sito.
                                               
10 ottobre 1953 - festa al Gabbro per il 50ario
Su iniziativa dei dipendenti della ditta si è svolta al Gabbro una riuscita e simpatica festa che le maestranze del laborioso paese hanno voluto offrire ai sigg. Giovanni ed Enrico Serredi nel cinquantenario della fondazione della ditta omonima. La festa che è stata preparata quasi all'insaputa dello stesso Direttore, ha avuto inizio quando, data la concomitante festa in paese con la fiera annuale i Serredi sono giunti alla fabbrica, con la consegna di due medaglie in oro simboliche ed una artistica pergamena firmata da tutti i dipendenti a testimoniare l'affetto, la stima e la solidarietà verso Giovanni ed Enrico Serredi, per la loro opera indefessa nel campo del lavoro, dell'industria e dei rapporti sociali. Ai vari giochi eseguiti dalle squadre dei vari reparti e fra questi il tiro alla fune ed una gara motoscuteristica, seguiva la premiazione delle squadre e dei singoli ed una lotteria seguita da un ottimo rinfresco. Oltre ai dipendenti attuali, impiegati ed operai erano presenti quattro vecchi dipendenti ormai a riposo che hanno voluto anch'essi testimoniare ai Serrredi la loro soddisfazione per lo sviluppo e l'affermazione dell'azienda.
(Da Il Telegrafo Livorno)

                         Fornace da mattoni Donati, già Serredi

Questa moderna fornace, che dà lavoro diretto ad una trentina di operai con un indotto di oltre 150 e riesce a produrre circa 1.100 tn di laterizi al giorno (blocchi forati per divisori e blocchi da muro di grande formato per murature portanti), è l’unica rimasta attiva nel territorio livornese e con essa si chiude il capitolo delle fornaci “storiche” e si apre l’epoca delle fornaci “moderne”. Nel luogo dove sorge la fabbrica le mappe catastali della Comunità di Collesalvetti (1819-20) riportano una piccola fornace, le cui origini potrebbero risalire al secolo XVIII, quando la ricca famiglia Finocchietti (mercanti livornesi di origine francese) acquista al Gabbro una vasta tenuta (1739), costruendovi una villa (Villa Mirabella) ed una grande casa di fattoria. E' probabile che il bisogno di una grande quantità di laterizi necessari per edificare fabbricati di tali dimensioni, unitamente alla distanza che separava Gabbro dai mercati livornesi, abbia indotto i signori Finocchietti a munirsi di una propria fornace da utilizzare anche per altre esigenze, come la costruzione di nuove case sui poderi della tenuta, la ristrutturazione/costruzione di mulini idraulici sul Botro Sanguigna, ecc. Nel 1876, nonostante parte della tenuta (villa compresa) fosse da tempo passata ad altri proprietari, la piccola fornace “da mattoni” rimaneva ancora ad un Finocchietti (Ranieri) ed era censita con una consistenza di piani 1 e vani 1, in via Ricasoli n. 3 al Gabbro.
Da questo momento in poi è possibile seguire i passaggi di proprietà dell’opificio:
1886 - marchese Vittorio De Ghantuz Cubbe,
1911 - conte Lodovico Miari,
1929 - Carlo Tabet,
1934 - Monte dei Paschi di Siena
1935 - Maspes cav. Francesco fu Basilio.
Nella mappa d’impianto del catasto moderno (1939) la fornace è rappresentata con la specifica “Elba”. Un’interessante scoperta riguarda un mattone rinvenuto nel pavimento di una casa a Canneto nel Comune di Monteverdi M.mo (PI), con sovraimpresso il bollo: “LATERIZI - FORNACE AUGUSTA — GABBRO (PISA)”. Dal momento che il Comune di Rosignano M.mo, di cui Gabbro fa parte dal 1910, è entrato a costituire l’odierna Provincia di Livorno nel 1925, è evidente che il nome “Augusta” fu attribuito alla fornace prima di tale data (ma non sappiamo quando).
Per la ricostruzione delle vicende accadute dopo il 1940, essendo andato perduto l’archivio storico dello stabilimento, ci siamo affidati alla testimonianza orale del sig. Maltinti Mario (classe 1930) che vi ha lavorato dal 1944 al 1986, prima come operaio e poi come impiegato. La fornace fu comprata nel 1936 dai Serredi, originari di Caletta (Castiglioncello), in seguito ad un fallimento. Nello stesso anno, Ezio Maltinti, componente di una famiglia di mattonai di Castelfiorentino e padre di Mario, si trasferì al Gabbro. Prima del 1920 la fornace era a fuoco intermittente e constava di due pozzi che lavoravano in alternanza con alimentazione a paglia e fascine. Fra il 1920 ed il 1930 fu costruita dalla Ditta Cacciò la nuova fornace a fuoco continuo del tipo Hoffman a 16 forni, dove “il fuoco camminava grazie ad un sistema di tiraggi ben congeniato”. Nel 1943 lo stabilimento chiuse per le vicende belliche e dette rifugio agli sfollati, subendo anche un bombardamento. Alla riapertura (1944) le maestranze occupate erano una sessantina. Vi si producevano mattoni, tabelle e tegole che potevano essere cotti nella stessa camera anche contemporaneamente, purché disposti in maniera accorta: i mattoni sotto, le tabelle e le tegole marsigliesi sopra. Il materiale finito veniva trasportato con una teleferica alla stazione di Orciano, da dove partiva per destinazioni diverse (anche Corsica e Sardegna). Il combustibile era costituito da carbone stacciato, proveniente in prevalenza dal Sulcis (poco era quello inglese, buono, ma caro), e da lignite proveniente da Ribolla. Alla fine degli anni Quaranta i Serredi fabbricarono i primi mattoni forati (con 40 fori da 12 mm) e questo evento rappresentò una grande innovazione nel campo dei laterizi. Nel 1954, in occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione della Società, all’interno della fornace fu organizzata una grande festa a cui partecipò tutto il paese del Gabbro, ma quell’anno è ricordato anche per la costruzione di un nuovo e più moderno forno Hoffman (del tipo senza curve), con 20 camere a facciata, 10 da una parte e 10 dall’altra, dove “il fuoco avanzava a zig-zag”. Nel 1960-61 lo stabilimento fu dotato di un ulteriore forno “a tunnel” alimentato ad olio combustibile, dove “il fuoco stava fermo” ed erano i laterizi, caricati su un sistema di carrelli in movimento, a spostarsi all’interno del forno. L’escavazione dell’argilla dalla vicina cava di prestito, condotta inizialmente con pala e piccone (il trasporto del materiale alle tramogge di macinazione e ai mescolatori avveniva con carrelli su decauville) passò poi a sistemi sempre più meccanizzati. L’essiccazione dei laterizi ancora negli anni Cinquanta era condotta all’aria aperta, nelle “piazze”, dove i mattoni erano disposti in “piccioli” (o “foglie”) e coperti da tegole marsigliesi per ripararli dalla pioggia, nonché da stuoini di canne arrotolati che, in caso di necessità, venivano calati sui mattoni. Successivamente fu costruito un capannone di vetro in grado di sfruttare il riscaldamento solare (“solarium”), mentre oggi si dispone di essiccatoi dove viene mandata aria calda. Quando nel 1977 la fornace chiuse per fallimento, la produzione era incentrata oltre che sul laterizio anche sui travetti per solai. Le maestranze, composte da 164 operai (più gli impiegati), nell’anno seguente ripresero il lavoro in amministrazione controllata, ma dopo sei mesi, nonostante i tre forni attivi producessero ogni giorno 3.000 quintali di materiale, dovettero arrendersi a fronte di un deficit ormai divenuto incolmabile. Il mattone 12 x 25 x 5,5 pieno e forato, fiore all’occhiello della storica fornace Serredi, usciva definitivamente di scena.
(Da "Antiche manifatture del territorio livornese" di Taddei-Branchetti-Cauli-Galoppini, scaricabile dal sito)
Gennaio-febbraio 2009 - Stop alla produzione, la storica azienda di laterizi attraversa un periodo nero. Il problema che l’attanaglia da tempo, è la mancanza di argilla di qualità, che ha costretto i vertici della società a riportare tutti gli 80 dipendenti diretti in cassa integrazione. Anche le ditte strettamente legate alla fornace hanno dovuto fare ricorso alla stessa procedura economica nei confronti dei loro dipendenti in tutto circa 160 le person
e. E' richiesto l'utilizzo della cava "Speranza", che garantirebbe un’attività di estrazione di 10-12 anni, risolvendo tutti i problemi legati alla qualità scadente dell'argilla attuale. L'argilla miocenica, permetterebbe il rilancio di un’azienda presente sul territorio da 40 anni.
2 dicembre 2011 - A 71 anni si è spento per una malattia uno degli imprenditori più importanti operativi nella Bassa Val di Cecina: Armando Donati, proprietario dell’omonima fornace di Gabbro. Donati, pisano, dopo avere aperto l’attività a Campo nel 1969, dieci anni dopo decise di acquisire la fornace di Gabbro. «Un grosso investimento - ricorda Massimo Tinucci, responsabile amministrativo della Donati - che negli anni ha portato la Donati Laterizi ad essere un punto di riferimento del settore in tutta la Toscana, ma non solo, con oltre 100 dipendenti tra diretti e indotto. Armando è stato una figura di spessore e ha costruito una grande realtà, che oggi cerca di resistere alla crisi investendo».
(Il Tirreno)
Trattori e cavalli contro la cava - Sui colli di Castelnuovo manifestazione ambientalista per dire no al nuovo escavo della fornace Donati. LA PROTESTA "AMBIENTE E TERRITORIO" 
21 ottobre 2013 -
Trattori, cavalli, mountain bike. E poi striscioni e magliette su cui campeggia un messaggio forte e chiaro: rispettiamo l’ambiente, no alla cava del Gozzone. Il comitato salvaguardia e sviluppo territorio e occupazione (Cssto) fa sul serio. Il gruppo, che riunisce oltre cento persone fra titolari di agriturismi e aziende agricole presenti sui colli tra Castelnuovo e Gabbro, è sorto la scorsa estate per contestare la creazione di una nuova cava di argilla, che l’azienda di laterizi Donati ha chiesto di avviare in località Gozzone. Proprio su questa collina immersa nel verde, tra le frazioni di Castelnuovo e Gabbro, ieri mattina i rappresentanti del Cssto si sono riuniti per mettere su una manifestazione di protesta. Hanno portato trattori e cavalli, qualcuno è arrivato in bicicletta. Esattamente nell’area dove dovrebbe sorgere la cava, che la Provincia ha già inserito nella proposta di piano cave provinciale approvata poche settimane fa, hanno sistemato un gazebo e striscioni di protesta. «No cava si lavoro»: questo lo slogan dell’iniziativa che è proseguita per tutta la mattina. E, per far capire che l’attività industriale legata all’escavo della Donati sarebbe incompatibile con l’economia verde che attualmente è florida sui colli a monte di Rosignano, hanno portato marmellate, olio e vino prodotti nelle loro aziende agricole. Insieme ai membri del comitato, che tra l’altro pochi giorni fa ha ottenuto l’appoggio ufficiale di una serie di associazioni ambientaliste livornesi (tra cui Wwf, Legambiente e Lipu) riunite nel progetto “Occhi sulle colline”, sulle alture dietro Rosignano c’erano anche tanti cittadini interessati a tutelare i colli di Castelnuovo. «Secondo il progetto della Donati - dice Beatrice Pizzi, portavoce del comitato - la cava dovrebbe occupare quindici ettari, con uno sbancamento di argilla di 100 mila metri cubi all’anno». Un’attività industriale che secondo gli ambientalisti è assolutamente incompatibile con le attività agricole e turistiche che già esistono su questi colli. «Nel 2002 - prosegue la portavoce - qui esistevano, secondo un censimento commissionato dal Comune, 60 soggetti agricoli che adesso sono saliti a 81. Il Comune già allora dette parere sfavorevole a una cava in questa zona, quindi adesso non può accettare l’avvio del nuovo escavo». Fatto sta che la Provincia, competente in materia di autorizzazione di nuove cave, ha di fatto accettato la richiesta della Donati, inserendo nel piano cave anche la zona del Gozzone. «È assurdo - proseguono i rappresentanti del comitato - oltretutto non è chiaro se e come verrebbe eseguito il ripristino ambientale della zona scavata, il timore è che verrebbe semplicemente abbandonata a se stessa. E questo a noi non va bene». Oltre a polemizzare contro la cava in sé, il comitato ha fatto presente una serie di problematiche connesse all’attività estrattiva. «Basta pensare - come si legge in un volantino distribuito durante la protesta - alla necessità di costruire nuove strade per il passaggio di grandi mezzi di trasporto e al rischio di sfruttamento della cava per la gestione dei rifiuti». Il comitato, che si è dotato di alcuni legali del foro di Pisa, ha in programma un incontro con il sindaco, gli assessori Pia, Donati, Agostini e i presidenti di alcune commissioni consiliari, a cui ribadiranno le loro posizioni.
Anna Cecchini per Il Tirreno.
               

 

 

 

 

 


2019 - Non si scaverà al Gozzone. Il Tar da ragione al comitato. Annullata la delibera della Provincia, ok al ricorso di agriturismi, Cia e Coldiretti. No al nuovo giacimento estrattivo.
Gozzone, vince il comitato. Vincono cittadini, agricoltori ed ambientalisti. Niente cava e, salvo sorprese, qui non si estrarrà mai argilla. Intanto arriva un pronunciamento del Tar - sentenza pubblicato il 4 giugno - con cui il Tribunale Amministrativo accoglie il ricorso presentato da Coldiretti, Cia, Azienda turistica Carapellese e Wwf contro la delibera del consiglio provinciale di Livorno che il 10 giugno 2014 approvava il Piano delle attività estrattive individuando un nuovo giacimento in località Gozzone, un'area di campagna tra Castelnuovo e Gabbro. E cancella questa localizzazione dal Piano. La cui competenza (quella delle aree estrattive), nel frattempo, è passata alla Regione che ha già scartato questa previsione. Per il comitato di Salvaguardia Sviluppo del territorio e Occupazione, nato nel luglio di 5 anni fa per opporsi alle trivelle nella nuova area, necessaria per dare continuità all'attività della Fornace Donati, è un successo. La vicenda ha vissuto sino a qui una serie di contraccolpi e battaglie legali, anche perché il Comune di Rosignano - parte in causa che tuttavia non ha mai adito ad azioni contro la Provincia scegliendo di sciogliere il nodo attraverso un percorso istituzionale - dopo il via libera della Provincia ha chiesto alla regione l'apertura di una conferenza paritetica per sciogliere il nodo. Del resto la previsione della cava del Gozzone - ricorda oggi il sindaco Alessandro Franchi - nel piano delle attività estrattive contrastava con le previsioni del vecchio regolamento urbanistico e non fa parte neppure del nuovo. Nel frattempo il comitato ha manifestato più volte, organizzando sit in ed iniziative di protesta nell'area, a tutela del paesaggio e dello sviluppo agrituristico. Il 22 dicembre 2014 la Conferenza si è pronunciata e ha dato ragione al Comune: infatti, la Conferenza all'unanimità ha riscontrato il contrasto tra la previsione del Paerp e il Piano Strutturale del Comune ed inoltre ha stabilito di individuare siti alternativi per l'apertura di nuove cave di argilla. Decisione che ha innescato il ricorso della Laterizi Donati e dei proprietari del podere Gozzone, poi rigettato dal Tar. Ma i titolari della fornace non si sono fermati e si sono opposti anche al consiglio di stato presso cui pende questa causa. In questo intreccio di contese legali arriva in questi giorni il parere del Tar Toscana la cui seconda sezione accoglie il ricorso ed annulla la previsione in cui si individua l'area del Gozzone come nuova cava. Andrea Rocchi- Il Tirreno 6/6/2019
                                                 

2022 - Proseguirà per altri sei anni l'estrazione alla cava di Gabbro. L'autorizzazione è passata dalla Donati Laterizi alla T2G spa.
Un passaggio formale, ma che è anche assicurazione del proseguo dei lavori nell'unico sito estrattivo di argilla ancora aperto nella frazione di Gabbro, all'interno del territorio di Rosignano Marittimo. Nei giorni scorsi infatti l'amministrazione comunale ha rilasciato un decreto con cui attestava ufficialmente il subingresso per l'attività di coltivazione della cava alla ditta T2D spa. Una risposta a quanto la stessa impresa - sviluppata dalla Fornace Toppetti, impresa fondata a Todi (in provincia di Perugia) nel 1886 e diventata nel tempo una delle imprese leader per la produzione di laterizi e materiali per l'edilizia - aveva formalmente presentato a metà del mese di giugno: un'istanza al Comune per subentrare alla società Donati Laterizi srl nell'ambito dell'autorizzazione per l'attività estrattiva della cava di argilla. Si tratta perlopiù, come detto, di una pratica formale: la T2D spa infatti è sorta nello specifico nel 2017 quando fu avviata la fusione tra la Toppetti e proprio la Donati Laterizi, che dagli anni '80 aveva affiancato al proprio stabilimento a Campo (in provincia di Pisa) anche il sito produttivo di Gabbro. Quanto richiesto dalla T2D spa riguarda in particolare il progetto approvato nel marzo del 2015 dal Comune di Rosignano che fu rilasciato all'epoca in forma di autorizzazione alla Donati Laterizi srl per procedere con i lavori della prima fase della variante al progetto di coltivazione della cava di argilla e «riguardante - si legge nel testo dell'atto - la riduzione dell'ambito di cava e le modifiche dell'assetto definitivo di ripristino». Subentrando formalmente alla precedente impresa, la T2D spa porterà avanti l'attività estrattiva della cava di argilla per i prossimi anni. Sei, per la precisione, ovvero il numero di anni che ancora rimanevano da sfruttare alla Donati Laterizi srl per condurre a termine il complesso progetto approvato sia dal Comune che dalla Regione Toscana. Ora spetterà alla ditta umbra proseguire con l'opera di ripristino: da parte del Comune è già stata rilasciata l'autorizzazione all'esecuzione dei lavori della seconda fase del progetto, che dovranno essere eseguiti - queste le disposizioni dell'amministrazione - seguendo le direttive e gli elaborati redatti dal geologo Fabrizio Alvares e che costituirono gli allegati al provvedimento di autorizzazione nel 2015. All'ultimazione dei lavori della seconda fase del progetto, inoltre, secondo quanto stabilito dall'ultimo decreto emesso dal Comune «dovranno cessare tutti i lavori di coltivazione e il titolare dell'autorizzazione - si legge nel documento - ha l'obbligo di darne comunicazione, corredata dalla documentazione tecnica necessaria al fine di consentire opportune verifiche e controlli». La garanzia della conferma dei sei anni di autorizzazione all'attività estrattiva è importante anche per l'impatto lavorativo che la cava ha sul territorio: circa una quindicina di operai costituiscono infatti il personale impiegato nelle operazioni, a cui si aggiunge poi l'intero indotto di una produzione che affonda le sue radici storiche nel territorio di Gabbro. Dove fino a pochi anni fa proprio la Donati Laterizi voleva espandersi, puntando all'apertura - bocciata poi dal Tar e osteggiata anche dal Comune - di una seconda cava a Gozzone.
Gabriele Buffoni Il Tirreno 22/9/2022

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