Gabbro oggi
Calcara di Castelpietro (2007)

L’esistenza di antiche fornaci nell’area del Gabbro è documentata da citazioni del XVII e XVIII secolo, che si riferiscono ad una “via che va alla fornace di Girolamo di Gabriello” (1665) e ad un sito di uccelliera “alla Fornace di Montauto” (1747). Le descrizioni non permettono di risalire al tipo di manifattura prodotta e neppure all’individuazione dei siti di ubicazione, ma solo ad inquadrarne genericamente la zona: quella intorno al rilievo di Monte Auto, area boschiva a nord ovest del paese. La geologia dell’area vede una larga predominanza di rocce verdi (Ofioliti), inadatte alla fornitura di materie prime per fornaci sia da calce che da mattoni. Gli unici affioramenti sedimentari idonei (per forni da calce) sono rappresentati dalle Argilloscisti e calcari silicei “Palombini” che affiorano lungo la Malavolta.
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                                     Calcara di Castelpiero

Sulla sponda sinistra del Botro Motorno, ai piedi del poggio (versante sud) sul quale si erge l’abitato di Castelpiero, si rinvengono i resti di una antica calcara con il carico del sasso da calce (semicotto) ancora sul posto. La pietra, estratta da una piccola cava ubicata sopra la fornace, era costituita da “Argilloscisti e calcari silicei Palombini”. Il manufatto, addossato all’argine della collina per circa 2/3 della circonferenza, presenta il rivestimento del forno in materiale argilloso (concotto). Le parti affioranti, libere dal terreno, sono fratturate in più punti, ma la fessura maggiore si trova sopra la volta del piccolo focolare (foto sopra). Il diametro della camera di cottura nella parte superiore della fornace è circa 3,5 m ed una quercia secolare (Roverella) è cresciuta sull’ammasso di pietre poste al suo interno. Le dimensioni dell’albero lasciano intuire una vetustà del manufatto certamente superiore al secolo; l’attribuzione di una datazione più precisa appare realisticamente difficile da stabilire. Le origini della fornace potrebbero essere ricondotte alla costruzione delle prime case coloniche nella zona e quindi alle fasi di appoderamento dei secoli XVIII-XIX, mentre un’ipotesi decisamente più affascinante, ma molto meno realistica, potrebbe vederla collegata all’edificazione del soprastante castello medievale di Motorno e del piccolo borgo annesso.
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                                   Fornace da mattoni Nardi

Sconosciuta alle fonti di archivio, nel 1924 la fornace risultava già abbandonata, come riferito dalle sorelle Guiggi (nate rispettivamente nel 1930 e 1935) che per molti anni hanno abitato nel vicino podere “La Villa III” (Gabbro). Negli anni Sessanta i resti del manufatto furono completamente sepolti allo scopo di bonificare l’area e rendere coltivabile il terreno. L’indagine di campagna, guidata da un abitante del posto (Euro Giusti), ha permesso di individuare il sito dove le testimonianze orali indicavano la presenza della fornace. Al momento del sopralluogo, recenti lavori di aratura avevano portato in superficie mattoni (di dimensioni: 28 x 14 x 7cm) e terra bruciata che riproducevano sul terreno un disegno a forma di cerchio di circa 4 metri di diametro. I resti sepolti della fornace si trovano fra la strada che dai poderi “Pane e Vino I e II” conduce alla Villa e lo stradello che scende al mulino ad acqua (oggi ristrutturato ad uso abitazione) posto sull’argine sinistro del Botro Sanguigna. La formazione geologica della zona è rappresentata da “Marne e marne argillose”, materia prima adatta alla fabbricazione di mattoni. Il periodo di funzionamento della fornace non è noto; la sua presenza potrebbe essere associata alla costruzione delle case rurali sette-ottocentesche sparse nella campagna circostante (Podere Nuovo, Le Porcarecce, Casa S. Elena, Podere Motorno, Casa Scapigliato, Casa S. Antonio, Casa Fonte Vitaia), o addirittura agli edifici più antichi della zona come il mulino ed il fabbricato del podere Pane e Vino I, le case della Villa (o Borgofiorito) sono documentati fin dal secolo XVI fra le proprietà della Pia Casa della Misericordia di Pisa. Probabilmente solo la “riesumazione” di quanto resta del manufatto potrebbe dare risp
oste più sicure a queste domande.(Da "Antiche manifatture del territorio livornese" di Taddei-Branchetti-Cauli-Galoppini, scaricabile dal sito) 

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