Gabbro ieri
1954 - Via Ricasoli, da sempre la strada principale

                  LA FAMIGLIA OPERAIA INIZIO '900 (A Gabbro e non solo...)
All'alba il sagrestano suona puntualmente la campana, unica sveglia dei poveri. Chi deve andare a lavoro si alza, indossa i miseri panni rattoppati appesi alla spalliera del letto, calza le grosse scarpe chiodate, si lava appena le mani e gli occhi nella catinella di rame dell’acquaio, facendo attenzione a non versarne e lasciandola per chi si alzerà dopo, perché riempire la brocca (mezzina) alla fonte di solito lontana, non è cosa facile, ne sempre possibile. Se è inverno il berretto in testa ed una sciarpetta al collo, se piove, dietro l’uscio c'è l’ombrello verde d’incerato (verdone), a tracolla il tascapane col misero desinare: un mezzo pane, una salsiccia o un pezzetto di formaggio pecorino, una manciata di fichi secchi o di noci o di olive e la fiaschetta dell’acqua, poi via, a piedi, alle intemperie, per miglia e miglia, lungo i sentieri nel bosco e le più improbabili scorciatoie fino al posto di lavoro, di duro lavoro, che occuperà senza soste fino al calar del sole, tranne il rapido pasto. Vanno nel bosco come taglialegna e cavaciocchi, nelle campagne delle fattorie a opre, a zappare tutto il giorno. Solo lavori manuali, gravosi, stressanti, spesso pericolosi, senza alcuna forma di assistenza, tantomeno di pensione. Per chi si ammala o si infortuna (ed è assai frequente) sono davvero guai seri, perché la paga è bassa, le bocche da sfamare sempre tante e i risparmi impossibili. Un modo di vivere veramente alla “giornata”. Una curiosità poco nota, ma con base scientifica. Gli infortuni anche semplici sul lavoro, sono spesso fonte di infezione per le scarse condizioni igieniche e la mancanza di medicine specifiche, finendo per causare seri problemi e portando spesso alla morte. Diversamente i ricchi raramente prendono infezioni, un po' perché ovviamente rischiavano meno di infortunarsi e poi perché usando posate e bicchieri di argento e non di legno o di cotto, assumevano quotidianamente piccole porzioni di sali di argento, notoriamente ottima difesa da questo inconveniente. La sera, lungo i sentieri del ritorno, stanchi, infreddoliti, occorre “racimolare” per strada un fastelletto di legna per scaldarsi davanti al focarile. Nessuna possibilità di fare un bagno, l'acqua della mezzina è poca e non lo consente, ci si lava solo sudando. Gli appartamenti sono composti da due o tre stanzette, senza acqua e senza luce. In cucina: tavolo, sedie impagliate, vetrina, madia con sopra un bel po' di pentolame di rame (rami) attaccato alla parete; in camera: armadio, sedie, comodine, letto in ferro con saccone di foglie di granturco e coltrice di penna come materassa. In inverno, per riscaldarlo si inserisce sotto le coperte il trabiccolo con lo scaldino in cotto, riempito di brace di legna e in fondo ai piedi il piumino quando c’e, altrimenti tutti i panni tolti di dosso.
Il sabato sera, quasi tutti gli operai si ritrovano all’osteria della piazza a giocarsi “il fiasco”. Per le donne invece non c’è intervallo. Vecchie anzi tempo, con la “pezzola” in testa, con le scarpe grosse, i bimbi in collo o in pancia o attaccati alle gonnelle, mai un minuto di pace. Tutto deve uscire dalle loro mani: il pane, la pasta, prendere l’acqua alla fonte, lavare al lavatoio, andare nel bosco a procurare legna per ardere e per cuocere, pulire, filare e far la calza, rattoppare, sempre rattoppare e rovesciare abiti, passandoli da un figlio al minore, perché quei “pochi” del marito non bastano mai.

Gabbro ieri

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