Luciano Balducci nasce a
Rosignano Marittimo il 31 Agosto
1924.
Muore a Milano il 23 febbraio
2017.
Sposato con Maria Luisa
Chiari dal 1953 ha due figli
ormai grandi: Enrico e Marco.
La sua carriera si è sviluppata
tutta nell'ambito della Società
Solvay. Nel 1950 si laurea
in
Ingegneria Industriale presso
l'Università di Pisa. Assunto
nel 1951 nello Stabilimento di
Rosignano, inizia la sua
carriera come ingegnere di
fabbricazione fino al 1959. Dal
1960 al 1965 viene trasferito
alla Direzione Centrale Tecnica
di Bruxelles come progettista di
un impianto di Cracking.
Rientrato in Italia nel 1966
fino al 1972 è stato
responsabile della produzione e
Vice Direttore dello
stabilimento di Rosignano. Dal
1973 al 1978 ha ricoperto
l'incarico di Direttore
Commerciale alla Direzione
Generale di Milano. Dal 1979 al
1983, rientrato a Bruxelles, ha
ricoperto il ruolo di Direttore
Generale della Divisione Chimica
Fine. Dal 1983 al 1989 è di
nuovo in Italia come
Amministratore Delegato e
Direttore Generale per le
attività del Gruppo Solvay in
Italia con sede a Milano. E'
stato membro per quattro anni
della Giunta della
Confindustria. Poi Vice
Presidente per altri quattro
anni della Federchimica nonché
Vice Presidente della Camera di
Commercio Italo-Belga. Nel 1982
è stato insignito del titolo di
cavaliere dell'Ordine della
Corona del Belgio e nel 1986 è
stato nominato Ufficiale della
Corona. Nel 1989 è andato in
pensione ma ha continuato ad
avere prestigiosi incarichi in
campo nazionale. Nel 1991
Direttore Generale del Consorzio
Nazionale Riciclo Materie
Plastiche (Replastic). Dal 1991
al 1996 Presidente e Direttore
Generale della Società Vaiplast
del Gruppo CIR-De Benedetti. Dal
1996 al 2001 Direttore Tecnico
della Società Sprea Chemical
Produttrice di Resine
Epossidiche. Dal 2001 ha
finalmente deciso di fare
davvero il pensionato, ma è
rimasto ancora interessato alle
problematiche ambientali e del
risparmio energetico. Gli
episodi più significativi della
sua lunga attività sono stati i
seguenti:
Nel 1966, rientrato in Italia da
Bruxelles, fu nominato
responsabile della gestione
dell'impianto Cracking a
Rosignano. Fu questo il periodo
più esaltante nella carriera
dell'ing. Balducci e nel quale
emerse la grande capacità,
abnegazione e dedizione di tutte
le maestranze di Rosignano, sia
del personale del reparto
Cracking, sia del personale del
settore Costruzioni e
Manutenzione. In quella
occasione si distinse in modo
speciale il reparto meccanico
dell'Officina dove veniva
costruito il reattore con delle
tecniche oggi utilizzate nel
campo dei razzi spaziali.
Altro episodio importante della
sua attività fu nel 1983 quando
si impegnò per ottenere da
Bruxelles l'autorizzazione a
costruire a Rosignano un
impianto integrato di PVC da
200.000/tonn. all'anno. Tale
progetto avrebbe dato lavoro per
3-4 anni a circa 400 unità per
la costruzione dello stesso e,
in seguito, a circa 200 unità
per la gestione, senza contare
l'indotto. Inoltre questo
impianto prevedeva
l'approvvigionamento
dell'etilene via Pontile di Vada
e l'utilizzo del cloro ivi
prodotto evitando di trasportare
il cloro liquido in pressione
per via ferroviaria attraverso
l'Italia. Quando tutto sembrava
deciso ed erano state ottenute
tutte le autorizzazioni, il
Comune di Rosignano Marittimo
decise di indire un referendum
convinto di ottenere un sì.
Invece per pochi voti di
differenza il risultato fu
negativo. La Solvay rinunciò al
progetto di Rosignano e sviluppò
gli impianti in Francia, Spagna
e Germania.
L'impianto di PVC avrebbe
migliorato la situazione dello
stabilimento a beneficio della
popolazione.
Attualmente l'ing. Balducci vive
a Milano.
Per mettere in evidenza la
personalità di questo nostro
concittadino, abbiamo pensato di
riportare di seguito un
bell'articolo del giornalista
Piero Magi apparso sul mensile
di attualità, cultura ed
economia "Toscana Qui" nel
maggio del 1989.
In questa intervista vengono
messe in evidenza molti aspetti
importanti della politica e
dell'economia di quel preciso
momento. Non mancano profetici
riferimenti al futuro che si
sono in effetti poi verificati.
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Sessantacinque
anni, alto, massiccio, il
sorriso parco e discreto dei
Toscani
che
le lunghe permanenze all’estero
e la vita trascorsa prima fra
gli impianti caliginosi della
grande fabbrica dove ha sempre
lavorato, poi nelle sale mute e
severe delle più alte decisioni
industriali non sono riuscite a
spengere o a indurire. Luciano Balducci, ingegnere meccanico,
sposato con Maria Luisa Chiari,
un matrimonio felice insidiato
soltanto da strani amori di lui
che hanno nomi misteriosi come
monoperossiftalato di magnesio e
sesquicarbonato di sodio per i
quali lavora quindici ore al
giorno: fiamme e passioni che la
signora non è mai riuscita a
scacciare dalla vita privata del
marito e che ancora la tengono
in ansia. Due figli maschi,
Enrico trentatre anni, anche lui
ingegnere meccanico e dipendente
della Solvay. Enrico vive e
lavora a Bruxelles, alla casa
madre, è sposato con una
finlandese, la signora Leena
Martikainen (insidiata anche lei
dai monoperossiftalati, un vizio
di famiglia), una bimba di un
anno, Cristina, che dovrà
risolvere il piccolo problema di
farsi intendere: in una città di
lingua francese, Bruxelles,
sente la nonna materna che si
esprime in finlandese, la mamma
e il babbo che conversano in
inglese e i nonni paterni che,
quando la vanno a trovare, le
parlano in italiano. L’altro
figlio, Marco, ventinove anni,
laureato alla Bocconi in
economia e commercio vive e
lavora a Milano, è scapolo e,
almeno per ora, non ha problemi
di lingua.
Luciano Balducci è entrato alla
Solvay, nel grande stabilimento
di Rosignano, (poco distante da
dove è nato) fresco di laurea e
ha fatto, come si suol dire,
tutta la trafila. Sarebbe lungo
segnarne i passaggi. Dal primo
incarico di ingegnere addetto al
reparto termico e di
caustificazione, un successo
dopo l’altro, alle alte
responsabilità che gli sono
state affidate dal “Board” belga
che guida la grande azienda.
Oggi è direttore generale per
l’Italia della Solvay (nove
stabilimenti, quattro sedi
amministrativo-commerciali, 3750
dipendenti, 1000 miliardi di
fatturato di cui 600 nel solo
stabilimento di Rosignano),
ricopre incarichi nazionali di
alto prestigio, è membro della
giunta della Confindustria, vice
presidente della Federchimica,
vice presidente della camera di
commercio italo-belga.
- Si sente dire: l’Italia è
malata. Ma di che cosa?
- Di benessere. Lo so che può
sembrare un paradosso ma è così.
La gente sta bene, gode di molti
vantaggi, la miseria, quella
vera, quella che, per l’età, lei
e io ricordiamo di aver visto, è
fortunatamente scomparsa. Ma
nessuno più si rende conto da
dove perché il benessere ormai è
generalizzato, è diventato una
condizione umana.
- E le sembra una malattia?
- No, anzi è una benedizione. A
patto però che non si perda di
vista la fonte di quel
benessere, vale a dire la
capacità di produrre.
L’industria è la sorgente
principale della ricchezza e
l’unica garanzia perché il
benessere si diffonda sempre più
e tenga lontani i pericoli di
ricadute che sarebbero
intollerabili per una società
che ormai si è abituata ad alti
livelli di vita. E invece ogni
volta che si parla di industria
c’è sempre qualcuno che torce il
naso. Specie per l’industria
chimica che è industria di base,
il motore di ogni altro processo
produttivo. Le cose non vanno
bene come una volta, si va verso
una crisi che non sarà né breve
né facile. Nel ‘92 avremo di
fronte l’Europa e se non
mettiamo la testa a partito non
potremo permetterci di vivere
come viviamo oggi, al di sopra
delle nostre possibilità.
- E quale sarebbe, secondo lei,
la cura?
- Se la sapessi, caro amico,
sarei già presidente del
consiglio. Oh si, in teoria di
cure ce ne sono tante, ma in
pratica, almeno per ora, non ne
ha funzionato nemmeno una. La
situazione politica è tale che
oggi non c’è nessuno che sia
capace di prendere una decisione
impopolare.
- Fino a che punto un’industria
deve mediare per farsi ascoltare
dai politici?
- La domanda è complessa e la
risposta difficile. Guardi: se
c’è una cosa che un’industria
non deve, dico non deve fare è
quella di lasciarsi coinvolgere
nell’ingranaggio politico. Ne
uscirebbe distrutta. E tuttavia
a qualche compromesso, sia pure
controvoglia, si deve pur
arrivare. Oggi la classe
politica non è più in grado di
prendere decisioni, né a favore
né contro. E' il sistema dei
partiti che la rende immobile.
In queste condizioni, lei sa
bene queste cose, non si
governa.
- Una grande azienda, in un
sistema capitalistico come il
nostro, deve guardare solo al
profitto o anche all’etica e al
sociale?
- Ho capito a che cosa e a chi
allude. E allora le dirò che io
la penso come il dottor Romiti.
L’efficienza di un’industria e
di un manager si misura dai
profitti che riescono a
realizzare. Naturalmente il
profitto non va conseguito a
scapito di un’etica morale e
sociale. Credo che l’azienda per
cui lavoro è il migliore esempio
di compromesso fra questi tre
termini: il profitto, la
moralità dell’impresa, le sue
finalità sociali. Ma questo non
autorizza a modificare, anzi a
sovvertire le regole.
Un’industria che non fa profitto
è un fallimento economico, gli
uomini che la dirigono sono un
fallimento umano.
- Uno come lei che ha fatto una
grande carriera, come si sente
nello stabilimento che lo ha
visto alle prime armi e nel
paese dove è nato? Voglio dire
si sente circondato più da
affetto o da invidia?
- Da entrambe le cose. E la
storia della vita, non la mia
personale. Per alcuni sono il
simbolo di un successo che non è
soltanto mio ma di tutto il
paese, per altri sono oggetto,
come dice lei, di invidia. Ma
credo che l’aspetto positivo sia
prevalente su quello negativo.
- Lavora più lei o un operaio?
- Credo che non si possa fare un
rapporto, data la diversa
qualità dell’impegno. Diciamo
che un operaio lavora in
fabbrica, io in fabbrica e
fuori.
- Dirigere una grande azienda dà
più gioia o solitudine?
- Gioia quando si lavora insieme
agli altri. Solitudine quando si
devono prendere decisioni gravi,
da soli. E il banco di prova di
un manager. Le faccio l’esempio
della ristrutturazione di un
impianto. Quando si deve
estromettere dall’attività un
certo numero di persone allora
il sentimento della solitudine
pesa in maniera disperata. lo
l’ho provato in prima persona,
ne so qualcosa.
- Qual è la differenza in
termini di produttività fra
l’azienda privata e quella
pubblica?
- L’azienda privata risponde
alle leggi del mercato e ai
doveri verso gli azionisti,
quella pubblica alle regole dei
partiti.
- Comandano più i sindacati o i
partiti?
- Oggi non comandano né questi
né quelli. I sindacati hanno
perduto gran parte della loro
rappresentatività perché non
sono riusciti ad adattarsi alla
società che è profondamente
cambiata. Guardi i nostri
operai. Non sono più una massa,
una manovolanza che può essere
manovrata in un senso o
nell’altro.
Oggi sono operai altamente
qualificati. Li vede col “Sole
24 Ore” in tasca. Quanto ai
partiti politici, lo sa meglio
di me, sono impegnati in lotte
di potere e non hanno più occhi
per osservare la realtà.
- Come vedono in Belgio
l’economia italiana?
- Meglio di come la vediamo noi.
lo che ho vissuto e vivo molto
all’estero posso dirle che
l’opinione che si ha degli
italiani è malgrado tutto molto
lusinghiera.
- Malgrado cosa?
- Malgrado le disfunzioni, i
disservizi e le notizie
catastrofiche che, in Belgio
come in altri paesi, leggono sui
giornali. Sono stupiti della
nostra competitività sui
mercati, del nostro livello di
vita.
- Il successo, diceva
Machiavelli, è “virtù e
fortuna”. E così per tutti? E
stato così anche per lei?
- Se dovessi stabilire delle
dosi direi molta virtù e un
pizzico di fortuna. Bisogna
salire sull’autobus quando
passa, non aspettarlo, sia pure
con buone intenzioni, sul posto
sbagliato o fuori orario.
- Perché ogni tanto in Italia
riemerge, o riciccia per dirla
con Montanelli, una certa vena
antindustriale?
- Le ragioni sono due. Alla
prima ho già accennato: il
benessere. Sei anni di sviluppo
economico mondiale senza
interruzioni ha contribuito a
non farci più apprezzare le
fonti del benessere. In parte
anche noi industriali abbiamo
contribuito a creare questo
clima postindustriale che ha
fatto pensare alla gente che
l’industria fosse ormai
diventata un fatto preistorico,
una fonte di ricchezza superata.
Il secondo aspetto è il problema
ecologico. Ma, badi bene, un
problema male inteso. Si fa
sempre l’accoppiata
industria-ecologia come se
l’industria fosse cagione di
tutti i mali dell’ambiente. Il
che non è assolutamente vero.
Siamo noi, tutti noi, i maggiori
responsabili dell’impatto con
l’ambiente. Siamo cinque
miliardi di persone che tutti i
giorni scaricano rifiuti e che
senza alcun rispetto per la
natura tagliano, distruggono,
sciupano, calpestano,
cancellano, trasformano. Bisogna
guardare la realtà per quella
che è.
- Sicché l’industria è immune da
questa colpa?
- No certamente. Ma in
proporzione, in percentuale è
quella che ha meno impatto
sull’ambiente. Dirò di più. E
proprio l’industria che ha più
possibilità di risolvere i gravi
problemi dell’ambiente. Si
dimentica con grande facilità
che l’urbanizzazione, l’aumento
dei consumi, il sistema dei
trasporti e la mancanza di
cultura ecologica sono tutti
fattori di inquinamento ben più
gravi di quelli che possono
essere addebitati all’industria.
Fare dello scandalismo è facile.
- Allude alla stampa?
- Se non le faccio torto sì, ma
non soltanto alla stampa.
L’azienda è un’entità facilmente
individuabile e spesso diventa
oggetto di un meccanismo di
colpevolezza.
- Non può essere che l’industria
si sia spesso celata dietro i
suoi cancelli e non abbia tenuto
rapporti più aperti con
l’esterno?
- Lei ha ragione. Questo può in
parte spiegare come la gente non
è più solidale con la causa del
suo benessere e del suo
progresso, alludo all’industria,
e considera come scontati i
benefici e i servizi che da
questa riceve. Come azienda
internazionale la Solvay ha
potuto verificare che questo
problema si pone in modi e tempi
diversi a seconda delle diverse
realtà locali come uno dei temi
centrali per lo sviluppo futuro
dell’industria.
- Lo sviluppo della Solvay, a
Rosignano, è stato bocciato
recentemente da un referendum
popolare malgrado il parere
favorevole di tutti, a
cominciare dal Comune per finire
agli esperti e agli studiosi
universitari.
- Sì. Un nuovo impianto di PVC (polivinilcloruro
- n.d.r.) previsto dai piani di
sviluppo dell’azienda non si
farà. E una grande perdita per
Rosignano Solvay, sia in termini
di posti di lavoro che di
prospettive future. E un
appuntamento mancato.
- Con l’economia locale?
- Peggio. Con la Storia.
*****
Nelle foto sotto: Davanti al
teatro Solvay - Nella sala
controllo della Sodiera -
Nell'ufficio della Direzione a
Milano. |