“E’
morto
il
Pretino,
insieme
ai
Bini...Sono
saltati
in
aria!
Presto,
venite!”
Cosi’
gridava
Arnaldo,
quella
mattina,
correndo
a
perdifiato
dalla
Piazza
verso
Portovecchio
cercando
aiuto
per
soccorrere
i
feriti
e
ricomporre
i
morti.
Fu
cosi’
che
mio
Padre
seppe.
Era
arrivato
il
giorno
prima
al
seguito
delle
truppe
alleate.
Il
fronte
si
era
fermato
a
Vada,
in
attesa
di
riprendere
l’avanzata
il
giorno
dopo
per
Rosignano.
Praticamente
a
due
passi
da
casa.
Mio
Padre
Aldo
aveva
22
anni,
ed
erano
due
anni
che
non
tornava
a
Castiglioncello
e
vedeva
i
suoi
genitori.
A 20
anni
era
partito
militare,
aveva
lasciato
l’Universita’
e fu
inviato
a
Stia
nel
Casentino
a
fare
l’addestramento.
In
quell’
occasione
vide
suo
padre
Giuseppe
per
l’ultima
volta.
Fu
una
Domenica
di
Primavera.
Il
tempo
era
bello
ed
il
Casentino
si
presentava
in
tutta
la
sua
dolce
bellezza.
Mio
nonno
Giuseppe
ando’
a
trovare
suo
figlio
militare,
portando
dietro
un
pollo
arrosto
preparato
dalla
nonna
Carletta,
da
mangiare
insieme.
A
quei
tempi
anche
un
pollo
arrosto
era
un
lusso.
Si
avviarono
verso
l’Arno
che
scorreva
lucente
e
silenzioso.
Scelsero
un
posto
ombreggiato
lungo
l’argine
e
fecero
un
pranzo
insieme
parlando
di
Castiglioncello,
dei
parenti,
degli
amici,
della
vita
di
tutti
i
giorni,
che
come
l’Arno
continuava
a
scorrere
nonostante
tutto.
Quando
si
separarono,
mio
Nonno,
che
era
uno
tutto
d’un
pezzo,
austero
come
usava
ai
tempi,
abbraccio’
mio
Padre
e
piangendo
gli
disse:
”Aldo,
figlio
mio,
abbracciami
ora,
perche’
forse
non
ci
vedremo
piu!
“.
La
guerra
ormai
incombeva
da
un
po’
di
tempo
e le
cose
per
l’Italia
erano
sempre
piu’
difficili.
Aldo
fu
mandato
in
Puglia
come
sottufficiale
con
l’Esercito
a
difendere
gli
aereoporti
militari
dagli
attacchi
alleati
.
Dopo
l’armistizio
dell’8
Settembre
1943,
mio
Padre
decise
di
non
arruolarsi
nell’Esercito
della
Repubblica
di
Salo’
e si
aggrego’
invece
alle
truppe
USA
come
esperto
mitragliatore.
Fu
inviato
a
Roma
dove
esisteva
un
grosso
centro
logistico
al
Muro
Torto
a
provare
le
mitragliatrici.
Faceva
bene
il
suo
lavoro
e fu
cosi’
autorizzato
dal
Comando
Alleato
a
seguire
le
truppe
come
ausiliario
nell’avanzata
verso
il
Centro
Italia
e la
Linea
Gotica.
Quando
il
suo
reparto
arrivo’
a
Vada,
a
pochi
chilometri
da
casa
a
Castiglioncello,
non
se
la
senti’
di
aspettare
oltre.
Sapeva
che
i
Tedeschi
erano
ancora
attivi
ed
insieme
ai
Repubblichini,
incattiviti
ed
impauriti,
ogni
giorno
compievano
atti
di
rappresaglia
e
ritorsione
sia
contro
i
Partigiani
che
contro
la
popolazione
inerme.
Alcuni
Partigiani
di
Vada,
inoltre
gli
avevano
dato
indicazioni
preziose
per
arrivare
a
Castiglioncello
nel
modo
meno
rischioso
possibile
evitando
le
postazioni
nemiche.
C’era
infatti
il
Coprifuoco
e
mio
Padre,
con
la
divisa
militare
alleata,
avrebbe
rischiato
l’immediata
fucilazione.
Ma
era
troppo
tempo
che
non
rivedeva
i
suoi.
Poi
voleva
assolutamente
informare
suo
Padre
che
gli
Alleati
sarebbero
arrivati
di
li’
a
poco.
Questione
di
ore.
Poche,
ma
potevano
essere
quelle
decisive,
per
salvarli.
Doveva
quindi
avvisarli
di
rimanere
in
posti
sicuri
e di
non
muoversi
assolutamente.
Don
Italo,
il
Pretino,
aveva
poco
piu’
di
25
anni.
Aveva
appena
finito
gli
studi
al
Seminario
ed
era
stato
inviato
dal
Vescovo
a
Castiglioncello
a
sostituire
il
Parroco
che
era
sfollato
in
campagna
vicino
a
Castellina
Marittima.
Italo
era
un
giovane
prete,
ordinato
Sacerdote
da
pochissimo.
A
Livorno
era
stato
preso
sotto
l’ala
protettiva
di
Don
Angeli:
un
prete
battagliero
ed
impegnato
nella
Resistenza.
A
Castiglioncello
il
giovane
Prete
si
fece
subito
amare
per
la
sua
disponibilita’
ad
aiutare
non
solo
i
suoi
Fedeli,
ma
tutti
i
Cittadini
che
in
quei
tempi
difficili
avevano
bisogno
del
suo
sostegno.
Italo
si
impegnava
anche
ad
aiutare
i
Partigiani
che
combattevano
per
la
liberta’
effettuando
un
lavoro
di
informazione
e
collegamento
con
le
Forze
Alleate
che
stavano
risalendo
dal
Lazio
e si
avvicinavano
sempre
di
piu’
alle
nostre
zone.
Un
lavoro
assai
pericoloso
che
lo
metteva
a
rischio
di
ritorsioni
da
parte
dei
Fascisti
e
dei
Tedeschi.
Giuseppe
Bini
aveva
45
anni.
Nato
e
vissuto
a
Castiglioncello,
aveva
un
carattere
forte
ed
autoritario.
Si
era
fatto
da
se’
ed
era
arrivato
a
dirigere
una
delle
Fattorie
di
Castiglioncello,
quella
della
Ragnaia.
Oggi
si
direbbe
un
Manager.
Sportivo,
amante
della
caccia
e
del
calcio,
aveva
fondato
l’US
Castiglioncello
nel
1919
ed
era
stato
anche
tra
i
Patrocinatori
della
Chiesa
Parrocchiale.
Testardo,
ma
generoso
d’animo,
si
era
trovato
subito
bene
con
Don
Italo,
cui
dava
una
mano
per
reperire
beni
di
prima
necessita’
e
dare
rifugio
ai
compaesani
piu’
disagiati.
“Ora
o
mai
piu!”
Penso’
Aldo,
quando
decise
di
passare
il
fume
Fine
dove
si
erano
attestati
gli
Alleati,
prima
di
proseguire
verso
Rosignano.
I
Partigiani
guidati
da
Renato
Pini
lo
avevano
informato
di
suo
Padre
e
del
Pretino
che
erano
rifugiati
alla
Ragnaia
e
che
erano
a
rischio
rappresaglie
dei
Nazisti
e
dei
Fascisti
allo
sbando.
Si
era
quindi
unito
al
gruppetto
dei
Partigiani
che
faceva
ritorno
nelle
zone
ancora
da
liberare
dopo
essere
andati
ad
ottenere
rifornimenti
e
munizioni
dagli
Alleati.
Passarono
il
Fine
nella
zona
dei
Polveroni
e si
incamminarono
guardinghi
nella
piana
delle
Morelline
per
poi
dirigersi
verso
le
campagne
dietro
a
Rosignano.
Il
Gruppetto
si
divise
nella
zona
del
Casalino
e
mio
Padre
con
altri
due
si
recarono
verso
la
Fattoria
della
Ragnaia
dove
erano
rifugiati
alcune
famiglie
di
Castiglioncello
insieme
alla
famiglia
di
Giuseppe
ed
il
Pretino
.
Arrivarono
alla
Fattoria
nel
primo
pomeriggio.
I
due
Partigiani
si
misero
di
guardia
fuori
del
cancello
per
presidiare
l’eventuale
arrivo
dei
nemici
ancora
presenti
in
zona.
Aldo
quindi’
pote’
entrare
nell'ampio
cortile
della
villa
della
Fattoria
e
rivedere
cosi’
i
suoi
genitori
.
“Aldo?”
disse
Giuseppe,
incredulo,
alla
vista
del
figlio.
”Babbo!!
Si,
sono
io!!”.
Si
abbracciarono
piangendo
dalla
commozione.
”Dai,
vai
giu’
dalla
Mamma!”.
Aldo
si
reco’
giu’
nei
grandi
scantinati
della
villa.
Carletta,
la
mamma
e
Rosa,
la
nonna,
con
altre
donne
ed
il
Pretino,
stavano
sistemando
alcune
nuove
famiglie
che
erano
da
poco
arrivate
al
rifugio.
Le
due
donne
urlarono
di
gioia
e
corsero
ad
abbracciarlo.
A
loro
si
aggiunse
anche
Don
Italo,
che
aveva
sempre
sentito
parlare
da
Giuseppe
di
quel
giovane
figlio.
Cosi’
Aldo
conobbe
il
Pretino.
Un
brevissimo
incontro
con
un
suo
quasi
coetaneo,
che,
gia’
Sacerdote,
aveva
preso
su
di
se’
la
grande
responsabilita’
di
proteggere
i
suoi
parrocchiani
in
quei
difficili
momenti.
Erano
poco
piu’
che
ragazzi,
ma
la
Guerra
e le
difficolta’
della
vita
li
aveva
presto
trasformati
in
uomini
temprati
a
tutto.
Avevano
infatti
in
poco
tempo,
visto
e
sopportato
la
miseria,
la
fame,
la
distruzione,
la
morte
di
tante
persone,
di
amici
e
parenti,
la
crudelta’
la
disperazione,
la
cattiveria
, la
vigliaccheria
ed
il
coraggio.
Aldo
purtroppo
non
poteva
stare
molto
li’
alla
Villa.
Era
assai
pericoloso.
Era
in
divisa
militare
e se
fosse
passato
qualche
Nazista
o
qualche
Repubblichino
sarebbe
stato
passato
subito
per
le
armi
e
quasi
sicuramente
ci
sarebbe
stata
una
ritorsione
verso
i
civili.
I
due
partigiani
di
vedetta
sulla
strada
che
portava
all’ingresso
della
villa
sollecitarono
infatti
Aldo
ad
andare
via
e
trasferirsi
con
loro
presso
un
altro
rifugio
ritenuto
piu’
sicuro.
Aldo
ebbe
solo
il
tempo
di
avvisare
il
Padre
che
gli
Alleati
erano
a
due
passi:
era
solo
questione
di
ore
e
sarebbero
arrivati
a
Castiglioncello
Gli
specifico’
che
ormai
i
Nazisti
e
gli
ultimi
Repubblichini
erano
in
rotta
e
stavano
risalendo
velocemente
verso
il
Nord.
Giuseppe,
un
po’
smagrito,
con
gli
abiti
logori,
aveva
comunque
mantenuto
quella
sua
aria
carismatica,
da
decisionista.
Era
il
riferimento
insieme
a
Don
Italo
di
quella
comunita’
disperata
a
cui
aveva
dato
rifugio
ed
assistenza.
Ascolto’
con
attenzione
il
figlio,
insieme
a
Don
Italo.
Espresse
le
sue
perplessita’.
Sosteneva
che
per
lui
ed
il
Pretino
era
pericoloso
rimanere
in
quel
rifugio
ormai
conosciuto
dalle
SS .
Temeva
le
ultime
ritorsioni
di
un
Esercito
ormai
allo
sbando
e le
vendette
di
qualche
Repubblichino
impaurito
ed
invelenito.
I
tre
si
salutarono,
promettendo
che
avrebbero
avuto
la
massima
accortezza.
In
fin
dei
conti
stavano
finalmente
vedendo
la
luce
del
Tunnel
dopo
un
periodo
aspro
e
crudele.
La
Liberta’
e la
fine
di
un
incubo
era
ormai
alle
porte.
Aldo
fu
accompagnato
dai
due
Partigiani
verso
un
rifugio
sicuro,
ricavato
dentro
un
magazzino
sul
Lungomare
a
Portovecchio.
Da
li’
i
Tedeschi
non
passavano
mai.
La
notte
sopraggiunse
veloce,
tutto
sembrava
quieto
e
dolce.
Mio
Padre
era
finalmente
ritornato
a
casa
dopo
tanto
tempo.
Aveva
rivisto
i
suoi
genitori,
tutto
sommato
in
buona
salute,
e la
Liberta’
con
l’arrivo
degli
Alleati
era
vicina.
“Don
Italo,
andiamo”.
Era
da
poco
passata
l’alba
e
Giuseppe,
dopo
aver
sentito
degli
strani
rumori
di
mezzi
durante
la
notte
e le
prime
ore
del
giorno,
aveva
preso
la
sua
decisione.
“Giuseppe,
aspetti.
Ha
sentito
cos’ha
detto
ieri
suo
figlio
Aldo?
Gli
Americani
stanno
per
arrivare.
E’
inutile
rischiare
proprio
ora.”
Replico’
il
giovane
prete.
“Non
mi
fido,
Italo.
Ho
sentito
troppi
spostamenti
di
mezzi
stanotte.
Non
vorrei
che
i
tedeschi
stiano
studiando
qualcosa.
Non
mi
piace
questo
silenzio.
Non
mi
piace
questa
situazione.
Gli
Americani
si
muovono
solo
quando
sono
sicuri
di
incontrare
una
minima
resistenza
e
quindi
possono
passare
ancora
giorni.
Poi
questo
rifugio
e’
ormai
conosciuto.
Per
ora
non
abbiamo
avuto
problemi
grazie
a
Lei
ed
alla
Chiesa
che
ci
ha
protetto.
Ma i
fascisti
sono
incattiviti
e
non
vorrei
che
ci
fosse
una
resa
dei
conti
od
una
vendetta
dell’ultim’ora.
Ricordiamoci
di
cosa
e’
successo
a
Vada
ed
all’Acquabona.
Ieri
hanno
ucciso
il
Picchianti
a
Marittimo!”
Giuseppe
era
risoluto,
come
sempre
e
Don
Italo
cedette.
“Che
idea
avrebbe,
Giuseppe?”
“Qui
ormai
siamo
troppi.
Ed
io e
Lei
non
siamo
certo
benvisti
dai
fascisti.
La
cosa
migliore
e’
andare
via
da
qui
subito
ed
andare
in
un
nuovo
rifugio
vicino.
C’e’
una
villa
sul
Promontorio
di
cui
ho
le
chiavi
con
uno
scantinato
grande,
circondato
da
un
alto
muro
di
cinta.
Li’
non
ci
troveranno
mai.
E’
l’ideale
per
passare
questi
ultimi
giorni
prima
dell‘arrivo
degli
Americani.
Partiamo
ora,
che
non
ci
vede
nessuno.
In
pochi
minuti
saremo
arrivati.
Saremo
al
sicuro
e
lasceremo
al
sicuro
la
gente
che
rimane
qui,
senza
il
rischio
di
eventuali
rappresaglie
a
causa
della
nostra
presenza”.
“D’accordo
Bini.
Allora
partiamo!”
Rosa
ne
aveva
viste
tante
nella
sua
vita.
Era
nata
praticamente
con
l’Unita’
d’Italia
in
una
Livorno
post
garibaldina
e
Mazziniana.
I
suoi
genitori
avevano
messo
su
una
Locanda
a
Castiglioncello
posta
nel
fabbricato
lungo
la
Via
Aurelia
dove
si
trova
l’attuale
Farmacia.
Una
delle
prime
attivita’
turistiche
della
localita’.
Aveva
passato
indenne
la
prima
guerra
mondiale
e
l’epidemia
della
Spagnola,
Poi,
rimasta
vedova
di
Lorenzo,
aveva
chiuso
l’attivita’.
Aiutava
quindi
la
nuora
Carletta
ed
il
figlio
Giuseppe
a
mandare
avanti
la
casa
ed i
nipoti,
rimpiangendo,
a
dire
il
vero,
i
bei
tempi
della
Locanda.
Non
aveva
molta
voglia
di
spostarsi
dalla
Fattoria
e
dal
Frantoio
dove
erano
rifugiati.
Amava
la
campagna
ed i
suoi
profumi
e si
sentiva
molto
utile,
insieme
con
le
altre
donne
del
paese,
ad
organizzare
la
vita
di
tutti
i
giorni:
a
pulire,
riassettare
ed a
mettere
qualcosa
in
tavola.
Ma
quando
suo
figlio
Giuseppe
si
metteva
in
testa
una
cosa,
non
c’era
niente
da
fare.
Era
inutile
insistere
oltre.
Irremovibile
e
testardo,
ma
con
la
testa
sulle
spalle.
Sicuramente
aveva
ragione
lui.
Era
meglio
andare
via.
I
fascisti
ed i
Tedeschi
erano
gia’
venuti
qualche
volta
a
controllare
ed
erano
sempre
piu’
nervosi
ed
impauriti.
Quindi
pericolosi.
Poi
finora
Don
Italo
ce
l’aveva
sempre
fatta
a
minimizzare
ed a
convincerli
che
tutto
era
tranquillo
ed
in
regola,
ma
le
voci
che
era
in
contatto
con
i
Partigiani
e
con
gli
Alleati
erano
sempre
piu’
insistenti.
Don
Italo
si
accinse
a
preparare
i
suoi
pochi
bagagli
in
vista
dell’imminente
trasferimento.
Oltre
agli
effetti
personali,
c’era
anche
il
necessario
per
poter
celebrare
la
Santa
Messa:
funzione
quanto
mai
di
conforto
per
i
suoi
Fedeli,
ma
in
generale
per
tutti
gli
sventurati
Cittadini.
Da
una
parte
era
contento
di
sapere
che
gli
Alleati
stavano
finalmente
arrivando
anche
a
Rosignano.
L’incubo
della
guerra
e
della
dittatura
stava
per
finire.
Dall’altra
era
dispiaciuto
di
lasciare
quella
parte
di
suoi
parrocchiani
senza
la
sua
azione
di
sostegno
religioso
e
morale.
Pero’
rimanere
significava
esporli
a
pericoli
di
rappresaglia.
Purtroppo
in
quei
giorni
erano
stati
effettuati
diversi
eccidi
a
danno
di
civili
e
partigiani
o
loro
fiancheggiatori.
Qualche
giorno
prima
un
Repubblichino
lo
aveva
minacciato:
“Attento
Pretino,
stai
rischiando
grosso!
Fai
il
tuo
dovere,
occupati
della
Chiesa
e
delle
anime
e
stai
lontano
dai
banditi
(cosi’
venivano
chiamati
i
partigiani).
Mi
sono
spiegato?”
L’avvertimento
era
molto
chiaro.
Evidentemente
avevano
in
qualche
modo
saputo
dei
suoi
contatti
con
i
Partigiani
e
gli
Alleati,
ed
anche
dei
suoi
rapporti
con
Don
Angeli,
un
parroco
di
Livorno
molto
attivo
nella
Resistenza,
che
fu
infatti
il
mese
prima
imprigionato
e
poi
condotto
in
Germania
nei
famigerati
campi
di
concentramento
a
Dachau
e
Mathausen.
Don
Angeli
era
stato
infatti
il
suo
riferimento
a
Livorno
ed
Italo
aveva
da
subito
fatto
parte
di
quel
gruppo
di
preti
coraggiosi
che
a
rischio
della
vita
e
tra
mille
pericoli
lottavano
per
difendere
gli
ideali
di
Democrazia,
Liberta’
e
Solidarieta’
propri
dei
valori
del
Cristianesimo
Sociale.
Sarebbe
stata
questione
di
poche
ore,
tutto
sommato,
penso’
il
giovane
Prete.
E
poi
finalmente
sarebbe
potuto
tornare
a
dire
la
Messa
a
tutti
i
suoi
fedeli,
nella
chiesa
parrocchiale,
che
fortunatamente
era
sfuggita
ai
pesanti
bombardamenti
Alleati
del
15
Giugno
quando
invece
fu
colpita
e
distrutta
la
scuola
elementare
proprio
a
due
passi
(dove
ora
e’
stato
ricavato
un
parcheggio).
Carletta,
la
mamma
di
Aldo,
era
originaria
di
Canneto
sull’Oglio,
una
cittadina
vicina
a
Mantova.
I
suoi
avevano
una
farmacia,
tuttora
esistente.
Aveva
conosciuto
Giuseppe,
quando
era
venuta
in
vacanza
a
Castiglioncello,
localita’
ai
tempi
molto
consigliata
dai
medici
per
curare
l’asma
ed
altre
malattie
respiratorie,
proprio
nella
Locanda
gestita
dalla
futura
suocera
Rosa
e
dalle
sue
sorelle.
Si
era
subito
innamorata
di
quel
giovane
guascone
toscano,
alto,
di
bell’
aspetto
e
molto
deciso
nei
modi.
Specie
con
le
ragazze.
Si
erano
sposati
poco
dopo
quella
vacanza
galeotta
e
poi
lei
si
era
trasferita
a
Castiglioncello
dove
nei
primi
tempi
dava
una
mano
a
Rosa
ed
alle
sorelle
a
gestire
la
Locanda.
Aveva
poi
messo
al
mondo
due
figli:
Vittorio
ed
Aldo.
Con
la
nascita
di
Aldo,
il
secondogenito
e il
conseguente
affermarsi
di
Giuseppe
nel
ruolo
di
Fattore,
Carletta
si
era
dedicata
a
tirar
su
la
famiglia,
come
allora
era
uso
comune
per
tantissime
donne.
“Renato,
vieni
anche
tu
con
noi,
e’
meglio
per
tutti...”
disse
Don
Gambini
a
Renato
Pini,
uno
dei
Comandanti
Partigiani
che
lo
aveva
seguito
dai
tempi
della
Resistenza
a
Livorno
con
il
gruppo
dei
cristiano
sociali
di
Don
Angeli.
Renato
era
un
ufficiale
di
Marina
coetaneo
del
Pretino
ed
era
passato
alla
Resistenza
con
ruoli
di
collegamento
ed
organizzazione.
Da
tempo
operava
nella
zona
di
Castiglioncello
tenendo
i
rapporti
con
le
truppe
Alleate,
informandole
delle
postazioni
e
dei
movimenti
dei
Tedeschi.
Era
molto
abile
nel
muoversi,
ma
anche
lui
era
a
rischio
di
ritorsioni.
“Si,
Don
Italo,
e’
giusto.
Io
andro’
in
avanscoperta,
nel
caso
ci
fossero
imboscate
di
cecchini
od
altro
di
pericoloso
durante
il
trasferimento.”
Fece
Renato,
pensieroso
ma
subito
pronto
all’evenienza.
“Don
Italo,
siamo
pronti!
Andiamo.
Prima
si
va e
meglio
e’ “
incalzo’
Giuseppe
con
voce
decisa.
Erano
le
prime
luci
dell’alba
di
quel
tragico
10
Luglio
1944.
Aldo,
quella
notte
non
riusciva
a
prendere
sonno.
Un
po’
le
emozioni,
un
po’
le
fatiche
e le
paure
della
giornata:
il
timore
delle
imboscate,
delle
ultime
pattuglie
Naziste
e
Repubblichine,
il
rischio
della
fucilazione
immediata.
La
gioia
di
poter
aver
rivisto
i
suoi
cari
dopo
tanto
tempo.
Tutto
un
insieme
di
cose,
aggiunte
anche
all’ansia
dell’imminente
fine
dell’incubo
con
l’avvento
delle
truppe
alleate
e la
paura
degli
ultimi
colpi
di
coda
dei
Tedeschi.
E
poi
soprattutto
il
pensiero
per
cosa
avrebbe
fatto
suo
padre.
Sarebbe
rimasto
al
rifugio
alla
Ragnaia,
come
da
lui
consigliato
o si
sarebbe
spostato
come
aveva
in
mente
di
fare
verso
Villa
Bologna
alla
Mugginara?
Conoscendo
la
natura
decisionista
e
testarda
di
suo
padre,
Aldo
non
era
per
niente
tranquillo.
Gia’,
suo
padre
Giuseppe.
Il
leader,
il
capofamiglia.
Il
suo
idolo
da
bambino
e da
ragazzo.
Esperto
cacciatore
con
una
grande
mira
che
lui
invece
non
aveva
avuto
in
dono.
Come
invece
aveva
avuto
in
dono
quella
magnifica
doppietta
Krupp
con
il
corpo
metallico
intarsiato.
Un’
opera
d’arte
a
cui
lui
teneva
moltissimo.
Aldo
non
pote’
fare
a
meno
di
pensare
ai
suoi
piu’
bei
ricordi
con
suo
padre.
Quando
per
esempio
compro’
la
prima
radio
del
paese
per
sentire
le
partite
di
calcio
della
Nazionale
ai
campionati
del
mondo
del
1934
a
Roma.
Aveva
fatto
fissare
un
grande
palo
che
serviva
come
antenna
nell’orto
davanti
al
campo
di
calcio
del
Castiglioncello.
E
tutto
il
paese
si
riuniva
intorno
a
quel
palo
per
sentire
le
prime
radiocronache
di
Nicolo’
Carosio.
Ma
soprattutto
il
piu’
bel
ricordo
di
tutti.
Quell’incredibile
viaggio
con
Giuseppe
a
Roma
allo
stadio
Testaccio
per
la
mitica
finale
della
Coppa
Rimet
contro
la
formidabile
Cecoslovacchia
e la
fantastica
vittoria
per
2-1
dopo
essere
stati
in
svantaggio.
Il
goal
di
Schiavio
ai
tempi
supplementari:
il
trionfo,
i
tifosi
impazziti
dalla
gioia,
la
capitale
splendida,
in
festa.
L’albergo
vicino
al
foro
Imperiale,
lo
stadio
dei
marmi,
il
colosseo,
le
trattorie
di
Trastevere..
tutto
cosi’
vicino
e
cosi’
lontano.
Erano
passati
giusto
dieci
anni
e
tutto
era
cambiato.
Lui
aveva
appena
dodici
anni
e
viveva
il
mondo
come
una
magnifica
favola.
Poi
la
guerra,
i
compagni
e
gli
amici
morti
o
dilaniati,
la
miseria,
la
distruzione.la
disperazione...
Ed
Emilia
dove
sara’?
Quella
bella
ragazza
mora
di
Livorno
che
veniva
in
vacanza
al
Sorriso
e
con
cui
si
era
fidanzato
poco
prima
di
partire
militare..
E
gli
amici
del
Quercetano?
Iram,
Cece
Romiti,
Walter
Ciucchi
e
tutti
gli
altri
della
banda..
i
ragazzi
di
Castiglioncello
e
gli
amici
delle
famiglie
villeggianti..le
goliardate,
le
feste
da
ballo
sulla
spiaggia
ed
al
Dai
Dai
da
Pasquale,
i
giochi,
gli
scherzi.,
la
vita
spensierata,
lo
sport,
i
primi
amori,
le
passeggiate
in
Pineta
mano
nella
mano...Tutto
prematuramente
finito
e
per
cosa
poi?
Forse
da
tutto
questo
male,
potra’
nascere
un
Mondo
ed
un’Italia
piu’
giusta
e
libera....
Era
la
sola
speranza
che
aveva.
Il
giusto
conforto
per
una
gioventu’
interrotta,
spezzata.
Solo
pochi
anni
prima
e
sembrava
passato
un
secolo.
Tutto
era
cambiato
e
quel
mondo
e
quella
vita
spariti
nel
nulla.
Tutto
sarebbe
stato
diverso
e
chissa’
come.
Non
c’era
nessuna
certezza,
se
non
quella
di
essere
riuscito
per
ora
a
salvare
la
pelle
e
non
era
stato
facile
nemmeno
quello.
Le
mille
volte
che
aveva
evitato
le
scheggie
o le
mitragliate
durante
le
incursioni
degli
aerei
Alleati
(a
quel
tempo
nemici)
che
bombardavano
le
postazioni
del
nostro
mal
equipaggiato
Esercito
a
difesa
degli
aereoporti
in
Puglia
che
il
suo
battaglione
doveva
presidiare
e
difendere.
La
vita
si
poteva
perdere
per
pochi
secondi
o
centimetri
in
piu’
od
in
meno.
Ma
era
andata
bene,
finora.
E
forse
era
finita
davvero.
A
tanti
altri
invece
non
era
andata
cosi’.”
Forse
anche
troppo
bene...”
mormoro’
Aldo
tra
se’
e
se’,
rigirandosi
nel
giaciglio
dell’improvvisato
rifugio
di
quella
tragica
alba.
Il
carro
con
i
due
buoi
era
pronto.
Le
donne
erano
gia’
a
bordo
e
Piero
il
contadino
era
al
posto
di
guida
in
attesa
della
partenza.
Don
Italo
si
sedette
davanti
accanto
a
lui.
Giuseppe,
anche
lui
a
cassetta,
aveva
imboscato
un
fucile
vicino
all’asse
che
fungeva
da
sedile,
per
eventuali
evenienze.
Renato
ed
un
altro
partigiano
si
avviarono
circospetti
a
fare
da
avanguardia.
Uscirono
dalla
fattoria
e
raggiunsero
facilmente
l’attuale
via
dei
Macchiaioli
passando
dal
viottolo
laterale
di
Poggio
Allegro.
“Conviene
passare
dalla
Fattoria
delle
Spianate
e da
li’
entrare
dentro
il
Castello,
ed
evitare
il
piu’
possibile
la
via
principale.
Potremmo
fare
brutti
incontri
ed
inoltre
la
strada
potrebbe
essere
stata
minata
dai
Tedeschi!”
disse
Renato
in
maniera
concitata
ma
decisa.
Giuseppe
acconsenti’.
Ricordava
quegli
strani
rumori
e
movimenti
sentiti
durante
la
notte.
Potevano
essere
dovuti
alla
posa
di
mine
anticarro.
“Piero,
giriamo
dalla
Fattoria
e
passiamo
dal
sentiero
del
Castello
lungo
il
muro
di
cinta.”
Intimo’
con
voce
ferma
Giuseppe.
Il
carro
passo’
lentamente
dalla
Fattoria
delle
Spianate
ed
entro’
attraverso
un
varco
nella
proprieta’
del
Castello
Pasquini.
Costeggiarono
guardinghi
il
muro
di
cinta
attraverso
la
vasta
oliveta
ed
arrivarono
al
cancello
di
via
Asmara.
Fin
li’
era
andato
tutto
bene.
In
giro
non
c’era
nessuno
e
regnava
uno
strano
silenzio,
rotto
solo
dai
garruli
canti
dei
merli
e
dei
fringuelli.
Era
una
splendida
mattina
d’estate,
in
qel
principio
di
Luglio
del
1944.
Castiglioncello,nonostante
la
guerra
ed i
bombardamenti
era
ancora
splendida.
“Tra
poco
saremo
al
mare
a
Villa
Bologna.
”Giuseppe
rassicuro’
Carletta
e la
madre.
”Don
Italo,
forse
il
peggio
e’
passato.
Presto
potra’
anche
dire
la
Messa
alla
chiesina
di
Sant’Andrea,
alla
Torre!
“Giuseppe
sorrise
al
Pretino.
“Bini.
Fermatevi
un
attimo
qui
al
cancello.
Noi
andiamo
a
dare
un’occhiata
alla
situazione
in
via
Asmara”,
fece
Renato,
avviandosi
con
il
suo
compagno
ad
ispezionare
la
via.
Il
carro
si
fermo’
quindi
giusto
di
fianco
al
cancello.
In
attesa.
Nel
silenzio
irreale
e
carico
di
tensione
e di
paura,
i
passeggeri
pensavano
al
loro
prossimo
destino,
con
la
speranza
di
evitare
le
ultime
pattuglie
di
Tedeschi
e
repubblichini
allo
sbando.
Non
mancava
poi
tanto
ad
arrivare
alla
fatidica
Villa
Bologna.
Bastava
scendere
per
la
stretta
via
Asmara,
attraversare
l’Aurelia
e
poi
da
li’
addentrarsi
nelle
vie
del
Promontorio,
arrivare
alla
Torre
e
poi
scendere
fino
alla
Villa.
Al
mare,
alla
scogliera
della
Mugginara.
Salvi.
In
attesa
dell’imminente
arrivo
degli
Alleati,
che
forse
si
stavano
gia’
muovendo,
attraversando
il
Fine.
Erano
praticamente
a
meta’
del
guado.
Sospesi
tra
la
vita
e la
morte.
Come
da
tempo
del
resto,
per
molti,
troppi
cittadini.
Italo
stava
pensando
ai
suoi
Parrocchiani
lasciati
alla
Ragnaia
ed
agli
altri
sparsi
nei
vari
rifugi,
ricavati
per
lo
piu’
negli
scantinati
delle
ville
. Ce
n’erano
alcuni
anche
li’
vicino,
stipati
di
gente
impaurita
e
disperata.
Quanti
patimenti,
quante
morti
aveva
visto!
Quanta
violenza,
quanto
odio
ed
allo
stesso
tempo
quanta
generosita’,
quanta
solidarieta’,
quanto
amore
! Un
Dio
che
sembrava
assente
ed
invece
era
presente
anche
nei
momenti
piu’
crudi
e
drammatici.
Mai
avrebbe
creduto
nei
pochi
anni
che
lo
separavano
dalla
fine
degli
studi
in
Seminario
ad
essere
giovane
Prete
tra
la
gente,
a
combattere
le
ingiustizie,
le
disuguaglianze,
le
prepotenze,
l’oppressione
degli
umili
e
dei
deboli.
A
confortare
vittime
ed
anche
carnefici
nel
momento
del
trapasso,
perche’
tutti
erano
figli
di
Dio.
In
ogni
caso.
Anche
se
il
suo
Signore
stava
dalla
parte
degli
ultimi,
dei
Giusti,
degli
oppressi.
La
guerra
stava
per
finire.
Ma
il
dopo
non
sarebbe
stato
per
niente
facile.
La
miseria,
l’odio,
la
vendetta
l’avrebbero
fatta
da
padroni
per
molto
tempo.
Il
suo
lavoro
di
sacerdote
vicino
alla
gente,
educato
ai
valori
Cristiani
e
Sociali
era
solo
all’inizio.
Ma
Don
Italo,
non
si
sgomentava.
Aveva
liberamente
scelto
quella
che
doveva
essere
la
sua
vita
ed
ora
la
metteva
in
pratica
al
massimo
delle
sue
possibilita’.
La
guerra
semmai
lo
aveva
temprato,
reso
piu’
forte
ed
anche
per
certi
versi
piu’
sereno.
I
suoi
valori
e le
sue
scelte
erano
giuste.
E
lui
li
avrebbe
difesi
fino
in
fondo
.
Giuseppe
era
assorto
nei
suoi
pensieri.
Pensava
a
quello
che
era
stata
la
sua
vita.
Era
cresciuto
nella
Locanda
di
sua
madre.
Era
bravo
a
parlare,
svelto
di
pensiero
ed
adatto
ai
rapporti
umani.
Aveva
cominciato
a
fare
il
cameriere,
poi
a
dirigere
la
sala.
Pero’
la
sua
vera
passione
era
il
commercio
e
l’agricoltura.
La
vita
all’aria
aperta,
la
caccia,
lo
sport.
E
cosi’aveva
cominciato
a
fare
il
sensale
al
Mercato
del
Bestiame
a
Cecina.
Era
bravo
e ci
sapeva
fare.
Ed
entro’
nell’occhio
del
proprietario
della
Fattoria
della
Ragnaia
che
lo
volle
come
Fattore.
Un
ruolo
di
prestigio,
all’epoca.
50
anni
vissuti
velocemente.
E
tante
idee
e
progetti
da
realizzare.
Doveva
pensare
al
dopoguerra,
a
creare
un
futuro
per
i
suoi
due
figli,
Vittorio
ed
Aldo
cosi’
diversi
tra
loro.
Vittorio
il
maggiore
era
piu’
deciso,
audace
e
gran
calciatore,
ma
poco
incline
allo
studio,
molto
simile
a
lui.
Aldo
invece
era
bravo
negli
studi,
piu’
sensibile,
riservato,
amante
del
tennis,
piu’
simile
a
Carletta.
Aldo,
che
era
riuscito
a
tornare
dal
fronte
e
che
aveva
finalmente
rivisto
ieri
pomeriggio.
Gli
aveva
promesso
che
sarebbero
rimasti
alla
Ragnaia.
Chissa’,
forse
aveva
ragione
lui..
Ma
no,
era
troppo
rischioso
rimanere
li’.
Le
vendette
dei
Fascisti
e
dei
Nazisti
erano
purtroppo
sempre
piu’
frequenti
negli
ultimi
giorni
e
quel
rifugio
era
ormai
bruciato
per
loro.
Inoltre
erano
gia’
a
buon
punto.
C’era
solo
da
scendere
giu’,
attraversare
l’Aurelia
ed
il
gioco
era
fatto.
Rosa
era
in
silenzio.Non
vedeva
l’ora
che
finisse
tutto
quello
strazio.
Mai
avrebbe
creduto
di
ritrovarsi
alla
sua
eta’
a
dover
ricominciare
tutto
da
capo.
Come
avrebbero
fatto?
Giuseppe
avrebbe
ritrovato
lavoro?
Ed i
suoi
nipoti?
Tutto
era
cosi’
velocemente
cambiato.
Le
certezze
non
c’erano
piu’.
E
quanto
odio,
quanta
cattiveria
tra
le
persone
che
magari
erano
state
anche
amiche
e
che
invece
ti
tradivano.
Tempi
molto
brutti.
E
quante
persone
erano
morte,
quanti
giovani
che
non
erano
piu’
tornati
dal
fronte..
Carletta
stava
pensando
a
quei
posti
cosi’
belli
della
sua
infanzia,
nel
Mantovano:
al
fiume
che
passava
vicino
al
suo
paese.
Alla
Farmacia
dei
nonni
e
del
Padre.
A
quei
profumi
intensi
di
legno
e di
aromi
di
erbe
medicinali
che
a
lei
piacevano
cosi’
tanto.
Quelle
abitudini
della
Lombardia
cosi’
diverse
dalla
Toscana.
Ma
lei
era
sempre
stata
attratta
dall’acqua.
Passava
lunghe
giornate
a
guardare
l’Oglio,
le
sue
rive,
quelle
acque
cosi’
fresche
e
limpide.
Il
rumore
della
corrente,
delle
rane,
le
sagome
dei
pesci.
E
quando
da
ragazza
venne
a
Castiglioncello
per
curare
l’asma
e
vide
per
la
prima
volta
il
mare..
Cosi’
grande,
immenso,
mutevole.
Quelle
mille
tonalita’
di
blu
e di
azzurro.
Quel
rumore
continuo,
leggero
ed
anche
forte,
intenso,
violento.
Il
ritmo
continuo
delle
onde.
Una
eterna
sinfonia.
Una
musica
sempre
diversa
ed
imprevedibile.
Fu
amore
a
prima
vista.
Cosi’
come
si
innamoro’
subito
di
quell’aitante
giovane
cameriere,
abbronzato
e
sorridente
che
la
serviva
al
tavolo
della
Locanda.
Quella
vacanza
le
cambio’
la
vita.
Dalla
Lombardia
alla
Toscana,
dal
fiume
al
mare.
L’acqua
come
unica
costante
della
sua
vita.
Le
piaceva
anche
farsi
trasportare
dalla
corrente,
abbandonarsi
ad
essa.
Lei
che
nella
vita
invece
era
decisionista,
precisa,
organizzata:
non
lasciava
mai
nulla
al
caso.
Anche
nel
rifugio
era
il
punto
di
riferimento
per
le
donne
delle
famiglie
sfollate.
Organizzava
il
reperimento
delle
vettovaglie,
la
cucina,
le
pulizie.
I
generi
di
conforto,
le
medicazioni..Trovava
sempre
la
maniera
di
far
quadrare
tutto,
cosi’
come
aveva
imparato
in
fretta
a
fare
nella
Locanda.
Fra’
un
po’
sarebbe
tutto
finito.
E ci
sarabbe
stato
da
cominciare
daccapo
con
due
figli
grandi
ma
senza
lavoro.
Pero’
confidava
in
Giuseppe,
nella
sua
intraprendenza,
nella
sua
generosita’
e
nelle
sue
capacita’
di
trovare
sempre
la
soluzione
anche
nei
momenti
peggiori.
L’importante
era
di
uscire
al
piu’
presto
da
questa
maledetta
guerra.
Anche
Piero,
il
giovane
contadino
della
Fattoria,
era
in
silenzio,
pensieroso.
Fin
li’
era
andata
bene.
Il
Bini
aveva
avuto
ragione
ad
evitare
la
via
principale
per
evitare
brutti
incontri.
Si
sentiva
sicuro
con
Giuseppe.
Un
uomo
autoritario
ma
alla
mano.
Gli
aveva
insegnato
tante
cose.
Appena
finita
la
guerra
avrebbe
messo
su
famiglia.
Anche
Clara
la
sua
fidanzata
sarebbe
potuta
venire
a
lavorare
alla
fattoria.
Il
lavoro
non
sarebbe
mancato
e le
braccia
femminili
avrebbero
fatto
comodo.
Poi
avrebbe
tirato
su
con
lei
una
bella
famiglia
magari
con
due
figli.
Un
maschio
ed
una
femmina.
E
poi
un
giorno
avrebbe
avuto
un
Podere
tutto
suo.
Forse
la
settimana
prossima
la
poteva
rivedere.
Sarebbe
potuto
finalmente
andare
da
lei
a
Riparbella,
che
ormai
era
stata
liberata.
Se
gli
Americani
si
sbrigavano....
Anche
i
due
buoi
che
trainavano
il
carro
stavano
immobili
e
silenziosi.
In
attesa
del
tiro
delle
redini,
ruminavano
lentamente
.
Renato
ed
il
suo
compagno
nel
frattempo
muovendosi
lentamente
e
con
cautela
dal
cancello
del
castello
erano
arrivati
in
fondo
a
via
Asmara,
la’
dove
si
immette
nella
via
Aurelia.
Nascosti
dietro
la
siepe
avevano
visto
passare
poco
prima
due
camionette
di
Tedeschi
dirette
verso
Livorno.
Aspettarono
un
po’
per
vedere
se
ne
sarebbero
passate
altre.
L’Aurelia
rimase
deserta
per
alcuni
lunghissimi
minuti.
Probabilmente
quelli
erano
stati
gli
ultimi
soldati
del
Reich
che
stavano
ripiegando
a
causa
dell’imminente
arrivo
degli
Americani.
Inoltre
per
la
fretta
sicuramente
la
via
Aurelia
non
era
stata
minata.
E
questa
era
una
bella
notizia.
La
via
Asmara
era
pulita
anch’essa,
e
cosi’
molto
probabilmente
le
viette
del
Promontorio.
Renato
fece
un
cenno
al
suo
compagno
e si
avviarono
lentamente
per
ritornare
al
cancello
dove
avevano
lasciato
il
carro
con
Don
Italo,
Giuseppe
e
gli
altri
occupanti.
Kurt
era
seduto
su
una
piccola
torre
di
vedetta
sull’
autoblindo.
Imbracciando
il
mitragliatore
controllava
i
fianchi
della
strada.
La
sua
era
l’ultima
camionetta
del
piccolo
convoglio
che
stava
lasciando
Castiglioncello
per
raggiungere
Quercianella,
dove
altre
milizie
si
stavano
organizzando
per
far
fronte
alll’avanzata
degli
Americani.
Appena
passata
la
Piazza
di
Castiglioncello,
prima
di
intraprendere
la
discesa
che
costeggiava
la
ferrovia,
intravide
con
la
coda
dell’occhio
due
figure
acquattate
dietro
una
siepe
che
delimitava
l’
ingresso
di
una
vietta
laterale.
Strinse
le
mani
sul
grilletto
pronto
a
sparare.
Le
due
figure
rimasero
immobili
mentre
la
camionetta
scollino’
e si
avvio
velocemente
nella
discesa.
Il
pericolo
era
passato.
Probabilmente
erano
due
partigiani.
Ma
Kurt
aveva
evitato
di
sparare
alla
cieca:
sia
per
evitare
un
possibile
conflitto,
sia
per
non
perdere
tempo.
Poi
non
era
sicuro
di
chi
fossero.
Potevano
anche
essere
due
innocui
ragazzi.
Non
aveva
piu’
voglia
di
uccidere
gente
inerme.
Era
stufo
di
questa
guerra
ormai
sempre
piu’
inutile
e
disastrosa.
In
fin
dei
conti
era
un
ragazzo
anche
lui.
Poco
piu’
che
diciottenne,
era
stato
arruolato
obbligatoriamente
giovanissimo
dal
Reich
ed
erano
ormai
piu’
di
due
anni
che
si
trovava
in
Italia.
Ormai
gli
Americani
erano
vicini
e
stavano
avanzando
inarrestabili.
Le
cose
erano
molto
cambiate
negli
ultimi
tempi.
Anche
la
Germania
era
sempre
piu’
devastata
dai
bombardamenti,
e le
truppe
Tedesche
si
stavano
ritirando
ovunque.
Anche
in
Italia
la
situazione
era
molto
cambiata.
Non
c’era
piu’
Mussolini
al
Governo
a
Roma:
si
era
rifugiato
al
Nord.
Ormai
Roma
ed
il
Sud
erano
stati
liberati
dagli
Alleati.
Kurt
si
chiedeva
quanto
sarebbe
ancora
durata
questa
barbarie
ormai
sempre
piu’
insensata
e
soprattutto
come
avrebbe
ritrovato
il
suo
piccolo
paese
in
Baviera:
la
sua
casa,
i
suoi
genitori,
la
sua
fidanzatina
Greta.
Quanto
era
che
non
la
rivedeva
...Aveva
avuto
scarse
notizie,
ultimamente.
Sapeva
che
lavorava
come
infermiera
a
Monaco,
ma
niente
di
piu’.
Gli
sarebbe
anche
piaciuto,
finito
tutto,
tornare
in
Italia,
soprattutto
al
mare.
Castiglioncello,
poi,
dove
era
stato
di
stanza
negli
ultimi
tempi,
era
veramente
un
posto
incantevole.
Senza
la
guerra
sarebbe
stato
davvero
meraviglioso.
Gli
piaceva
molto
il
mare,
non
lo
aveva
mai
visto
prima
dal
vero.
Solo
in
qualche
film
o
documentario.
Ne
era
rimasto
davvero
affascinato.
Avrebbe
sempre
ricordato
quelle
lunghe
notti
di
vedetta
sulla
baia
con
quel
silenzio
e
quel
profumo
incantevole.
Ed
era
veramente
dispiaciuto
di
aver
sparpagliato
di
mine
le
strade
principali
del
paese
nelle
ultime
ore.
Soprattutto
quell’ultima
mina
messa
proprio
in
quella
piccola
via
a
ridosso
del
cancello
d’
ingresso
di
quel
meraviglioso
Castello.
Gli
sembrava
proprio
un
brutto
tranello
ma
gli
ordini
erano
quelli
e
non
poteva
disubbidire.
Renato,
dal
fondo
della
via,fece
cenno
a
Giuseppe
che
la
strada
era
libera
e
sicura
e
che
potevano
ripartire.
“Vai,
Piero...”
.Furono
le
ultime
parole
di
Giuseppe.
Piero
incito’
i
buoi
e
mosse
le
redini.
I
due
animali
pero’
rimasero
fermi,
forse
presagendo
con
il
loro
istinto
la
tragedia
che
incombeva.
Piero
li
staffilo’.
I
buoi
si
mossero
di
malavoglia,
mugghiando.
Fecero
pochi
metri.
Un
enorme
boato
ed
una
grande
fiammata
pervasero
l’aria
e
ruppero
il
silenzio
di
quella
finora
tranquilla
mattina
estiva.
Sotto
il
peso
del
carro,
la
mina
esplose.
Giuseppe
e
Piero
furono
scaraventati
in
aria
e
morirono
sul
colpo.
Don
Italo
addirittura
volo’
tra
i
rami
di
un
grosso
pino
posto
al
lato
del
cancello.
Le
donne
furono
anch’esse
scaraventate
fuori
dal
carro.
Rosa
perse
la
lingua
e
giacque
moribonda
sul
selciato.
Carletta
ebbe
la
fortuna
di
avere
come
scudo
i
sacchi
e le
masserizie
che
erano
nel
carro.
Si
trovo’
in
mezzo
alla
strada
con
i
vestiti
strappati,
ma
viva.
Renato
ed
Arnaldo,
il
giovane
Partigiano
che
lo
accompagnava,
rimasero
impietriti
e
furono
anche
loro
sbalzati
a
terra
dallo
spostamento
d’aria.
Renato
si
precipito’
subito
verso
quel
che
rimaneva
del
carro
e
dei
suoi
occupanti
.
“Arnaldo,
corri
a
chiedere
aiuti!
Presto!
Vai
negli
altri
rifugi!”
urlo’
al
suo
compagno,
rendendosi
conto
della
gravita’
della
cosa.
Nel
frattempo
dalle
ville
ed
abitazioni
vicine
comincio’
ad
uscire
la
gente.
Avevano
sentito
la
terribile
esplosione
e le
urla
di
Carletta
che,
come
impazzita,
bussava
a
tutte
le
porte
implorando
aiuto.
Subito
un
gruppetto
di
donne
ed
uomini
volenterosi,
cominciarono
a
ricomporre
i
corpi
dei
defunti.
Alcuni
andarono
al
mare
a
prendere
le
assi
di
legno
ricavate
dal
naufragio
dell’
Incrociatore
Foscari,
affondato
dai
Tedeschi
nel
Settembre
del
1943
nella
baia
di
Castiglioncello.
Un
giovane
studente
di
medicina,
cerco’
disperatamente
di
rianimare
Don
Italo,
che
fu
tolto
ancora
rantolante
dai
rami
del
Pino.
Ma
fu
tutto
inutile......
Aldo
fu
svegliato
nel
rifugio
a
Portovecchio
dalle
grida
di
Arnaldo:
“E’
morto
il
Pretino,
insieme
ai
Bini...Sono
saltati
in
aria!
Presto,
venite!”
Da
quel
giorno
la
sua
vita
cambio’
e
porto’
dentro
di
se’
sempre
il
cruccio
di
non
aver
fatto
abbastanza
per
salvare
suo
Padre
e la
sua
adorata
Nonna
Rosa.
Era
la
mattina
del
9
Luglio
1944.
Nel
primo
pomeriggio
gli
Alleati
arrivarono
a
Castiglioncello
e si
insediarono
con
il
loro
Comando
a
Villa
Celestina
e
successivamente
al
Castello
Pasquini.
Il
giorno
prima
nel
pomeriggio
avevano
liberato
Rosignano
Marittimo
dopo
una
aspra
battaglia
con
le
retrovie
Tedesche.
Le
ultime
frazioni
del
Comune
di
Rosignano
furono
liberate
tra
il
10
Luglio
(Nibbiaia)
e
l’11
Luglio.
Il
19
Agosto
il
Primo
Ministro
Inglese
sir
Winston
Churchill
ed
il
Generale
Clark
si
incontrarono
presso
l’Hotel
Miramare
di
Castiglioncello
per
concordare
l’ulteriore
avanzata
delle
truppe
Alleate
nel
centro
Italia.
Carletta
non
si
riprese
mai
da
quella
tragedia
e
qualche
anno
dopo
si
suicido’
gettandosi
in
mare
d’
inverno
ai
Tre
Scogli.
Quel
mare
che
amava
tanto
e
che
la
accolse
per
l’ultima
volta.
Renato
Pini
mori’
pochi
giorni
dopo
in
uno
scontro
a
fuoco
con
i
Tedeschi
nella
valle
del
Chioma
vicino
a
Nibbiaia,
dove
aveva
combattuto
per
liberarla.
A
lui
e’
dedicata
una
strada
a
Livorno.
Don
Italo
Gambini
e’
ricordato
nel
libro
di
Don
Angeli
“Il
Vangelo
nel
Lager”
dove
si
parla
dei
gruppi
di
Resistenza
locale
e
dell’attivita’
dei
Sacerdoti
e
del
Gruppo
dei
Cristiano
Sociali
che
si
opposero
alla
Dittatura
Fascista.
Al
“Pretino”
e’
dedicata
una
via
a
Quercianella,
ma
non
a
Castiglioncello.
Nella
tragica
esplosione
risulta
anche
coinvolta
la
signora
Livia
Fornari,
ma
di
lei
purtroppo
non
si
hanno
ulteriori
notizie
in
merito
.
RINGRAZIAMENTI
,
DEDICHE
ED
UNA
SPERANZA...
Ringrazio
per
la
preziosa
collaborazione
morale,
storica
e
bibliografica
Giovanni
Gambini,
nipote
di
Don
Italo;
Edda
Lami,
testimone
diretta
dell’accaduto
e
preziosa
memoria
storica
di
Castiglioncello
.
Dedico
questo
racconto
a
mio
Padre
Aldo,
che
nella
sua
lunga
vita
mi
aveva
pochissimo
accennato
di
questo
fatto,
salvo
farlo
con
minute
descrizioni
poco
prima
di
morire.
Lo
dedico
anche
al
mio
giovane
figlio
Federico,
perche’
porti
anche
lui
dentro
di
se’
questo
ricordo,
con
l’augurio
per
lui
e
per
tutti
i
Giovani
che
non
debbano
piu’
vivere
queste
tragedie.
E
che
la
Democrazia
e la
Liberta’
non
sono
una
concessione,
ma
un
dono
che
ci
hanno
fatto
i
nostri
genitori
e
nonni
che
dobbiamo
mantenere
e
preservare
con
la
massima
attenzione.
Un
desiderio
di
mio
Padre
era
quello
di
apporre
una
lapide
al
muro
del
Castello
Pasquini,
vicino
all’ex
cancello
su
via
Asmara
in
ricordo
delle
vittime.
E’
anche
una
mia
speranza,
insieme
alla
proposta
di
intitolare
a
Don
Italo
Gambini
il
parcheggio
delle
ex
scuole
Elementari,
in
via
Gorizia,
vicino
alla
Chiesa
di
Castiglioncello.