Il Pontile Vittorio Veneto
di Marisa Zastin
Nel tempo di guerra due erano le famiglie che abitavano nella casa
all'interno dei cancelli del pontile: gli Zastin, cioè la mia famiglia, e
i Vaiola. Ricordo che veniva un camion della Solvay a prelevare i ragazzi
per andare a scuola; non c'erano altri mezzi di trasporto e questo
servizio lo svolgeva la Solvay, che era padrona del pontile. Il pontile
era stato costruito da quelli di Vittorio Veneto: da un amico del mio
babbo. La mia famiglia è originaria di Vittorio Veneto. I miei nonni
stavano bene, avevano un albergo. Mio zio, fratello di mio padre, fece
carriera militare nelle file fasciste tanto che dopo la caduta del
fascismo fece anche la prigione. Il mio babbo, invece, era sempre stato
antifascista. Mio nonno, con l'avvento del fascismo al potere, per
allontanarlo da ogni pericolo, lo aveva mandato in America. A Vittorio
Veneto mio padre conosceva la famiglia Marinotti. Anche in questa famiglia
un figlio era fascista, mentre l'altro, Franco, no. Ed era amico di mio
padre. Così, quando mio padre tornò dall'America, gli parlò del progetto
di venire in Toscana a costruire un pontile per il commercio marittimo.
Offrì a mio padre di trasferirsi e di lavorare per lui. Mio padre accettò.
Per l'inaugurazione del pontile mio padre e mia madre vennero a Vada, per
la prima volta. Il pontile è stato denominato "Vittorio Veneto" dal luogo
di provenienza del suo costruttore: Franco Marinotti. Anche la casa dove
alloggiare era pronta; così, poco tempo dopo, tutta la mia famiglia si
trasferì a Vada. Io avevo circa 13 anni, mio fratello un anno meno di me.
Il pontile praticamente lavorava per la Solvay. Attraccavano le navi che
portavano, il carbone per lo stabilimento e ripartivano cariche di soda.
Il lavoro al pontile veniva svolto da operai e da impiegati che andavano
venivano anche da fuori Vada, da Livorno. Ricordo, ad esempio, il Pardera.
Il via-vai delle navi era controllato dal Delegato di spiaggia. Fu così
che, insieme alla mia famiglia venne ad abitare al pontile il maresciallo
Vaiola, che era Delegato di spiaggia e Maresciallo di Finanza. Con lui
c'era la famiglia. Facevo una vita molto ritirata, un po' separata dal
paese. Conoscevo pochissime persone del luogo, perché, venendo da fuori
non avevo avuto le consuete occasioni di amicizia comuni ai ragazzi: non
avevo frequentato qui la scuola, ne fatto qui la Prima Comunione e la
Cresima. La nostra casa risultava essere ad una notevole distanza dal
paese, per quei tempi: distanza che mio padre non permetteva di percorrere
liberamente ad una ragazzina. I primi anni, l'unica abitazione nella zona
era la nostra. Fuori dal pontile c'era tutta pineta. Il villaggio che oggi
vediamo è stato costruito qualche anno più tardi, dalla Solvay che volle
dare un alloggio alle maestranze che venivano da fuori. Chi voleva poteva
fermarsi nel nuovo villaggio. Quando l'amico Marinotti se ne andò; mio
padre, al quale premeva lavorare, restò, sempre nella casa al pontile.
Prima dell'inizio della guerra ricordo che il Marinotti dava delle feste:
arrivavano da Livorno i Neri e anche i pezzi grossi della politica: Ciano
e amici. Andavano a pescare e poi c'era chi cucinava il pescato e facevano
baldoria. Allo scoppio della guerra presso la nostra casa, nell'area del
pontile, si stabilì un distaccamento di tedeschi. C'erano anche i soldati
delle S.S. Una parte alloggiava in tende, ma avevano occupato anche gli
uffici. I tedeschi si servivano del pontile per ricevere i rifornimenti.
Arrivava di tutto, soprattutto il petrolio e le armi. Scaricavano di
notte, specialmente dopo 1'8 settembre, poiché temevano i partigiani. Mio
padre cercò di avere con loro dei contatti il più possibile corretti. A
questo proposito ho un episodio da raccontare. Un ufficiale tedesco,
sapendo che mio padre aveva un figlio maschio, prima di partire per
un'altra destinazione, gli consegnò una lettera, dicendo di mostrarla
qualora avesse avuto qualche problema con i suoi connazionali tedeschi,
soprattutto se S.S. Mio padre la conservò. Mentre eravamo sfollati in
paese, ospitati dalla signora Trieste, accaddero i fatti dell'eccidio del
20 giugno. Come sappiamo, i tedeschi setacciarono tutte le case del paese
per cercare gli uomini. Mio fratello, Rino Piram ed un altro giovane erano
in casa: se li avessero trovati li avrebbero portati via, o peggio. La
casa aveva una soffitta e Trieste li fece nascondere lì, sperando nella
buona sorte. Quando un ufficiale delle S.S. e altri due tedeschi
entrarono, in casa c'eravamo la mia mamma, Trieste, il mio babbo ed io. I
tedeschi chiesero se ci fosse qualcun altro. Mio padre allora tirò fuori
la lettera. L'ufficiale la lesse e se ne andò. Per i tre giovani fu la
salvezza. La lettera era tornata utile. La Solvay aveva costruito un
rifugio, presso il cimitero. Quando arrivavano gli aeroplani si scappava
lì. Ricordo ancora la paura. Pino ed io, ci prendemmo anche la pleurite.
Allora le famiglie del pontile sfollarono in paese, e il 28 giugno del
1943, quando ci fu il primo terribile bombardamento su Livorno ricordo che
io vedevo da Vada il cielo in fiamme sopra la città. Noi fummo ospitati da
Trieste. I Vaiola andarono in campagna, su per lo Stradone. Anche noi
avevamo mandato tutta la nostra roba da un contadino, in cima allo
stradone. Mio padre andava e veniva dal pontile, per continuare il suo
lavoro. Nel '44 le incursioni aeree alleate che miravano a colpire la
stazione ferroviarie e il pontile Vittorio Veneto erano frequentissime, di
giorno e di notte. Ricordo che più di una notte ci siamo rifugiati dentro
la Torre di Vada e si dormiva tutti in terra. Veniva lì anche il nostro
nuovo parroco, don Vellutini. Il pontile fu danneggiato più volte e
riparato dai tedeschi. Quando poi fu colpito e mezzo distrutto, la nostra
casa che era accanto, dentro ai suoi cancelli, fu bombardata gravemente:
restò in piedi la mia camera...L'abitazione dei Vaiola fu rasa al suolo.
Il 25 giugno l944, i Tedeschi, prima di lasciare il paese, cacciati
dall'arrivo degli alleati, fecero saltare quello che rimaneva del pontile.
Dell'arrivo degli Americani ho il ricordo come di una gran confusione. Ho
l'immagine della pioggia di paracadute che, dal cielo, planavano lungo la
spiaggia, lì dove c'erano i "fortini" di cemento che i tedeschi avevano
costruito e che, ricordo, punteggiavano la costa, fino alle Gorette. Dopo
la liberazione la mia famiglia ritornò al pontile, alloggiata
provvisoriamente in una delle prime case del futuro villaggio, costruite
nel frattempo dalla Solvay. Poi venne ricostruita anche la nostra. Il
pontile fu ricostruito e utilizzato dagli americani.
(Da: Quaderni Vadesi n°12 - Vada
1940-1945 un tempo segnato dalla guerra p.62) |