Vada oggi

Il pontile Vittorio Veneto della Società Solvay oggi usato in modo limitato visto il prevalere dei trasporti su strada (Per altre note vedi Vada torre, porto, faro/pontile 1938)

                 Il Pontile Vittorio Veneto   di Marisa Zastin 
Nel tempo di guerra due erano le famiglie che abitavano nella casa all'interno dei cancelli del pontile: gli Zastin, cioè la mia famiglia, e i Vaiola. Ricordo che veniva un camion della Solvay a prelevare i ragazzi per andare a scuola; non c'erano altri mezzi di trasporto e questo servizio lo svolgeva la Solvay, che era padrona del pontile. Il pontile era stato costruito da quelli di Vittorio Veneto: da un amico del mio babbo. La mia famiglia è originaria di Vittorio Veneto. I miei nonni stavano bene, avevano un albergo. Mio zio, fratello di mio padre, fece carriera militare nelle file fasciste tanto che dopo la caduta del fascismo fece anche la prigione. Il mio babbo, invece, era sempre stato antifascista. Mio nonno, con l'avvento del fascismo al potere, per allontanarlo da ogni pericolo, lo aveva mandato in America. A Vittorio Veneto mio padre conosceva la famiglia Marinotti. Anche in questa famiglia un figlio era fascista, mentre l'altro, Franco, no. Ed era amico di mio padre. Così, quando mio padre tornò dall'America, gli parlò del progetto di venire in Toscana a costruire un pontile per il commercio marittimo. Offrì a mio padre di trasferirsi e di lavorare per lui. Mio padre accettò. Per l'inaugurazione del pontile mio padre e mia madre vennero a Vada, per la prima volta. Il pontile è stato denominato "Vittorio Veneto" dal luogo di provenienza del suo costruttore: Franco Marinotti. Anche la casa dove alloggiare era pronta; così, poco tempo dopo, tutta la mia famiglia si trasferì a Vada. Io avevo circa 13 anni, mio fratello un anno meno di me. Il pontile praticamente lavorava per la Solvay. Attraccavano le navi che portavano, il carbone per lo stabilimento e ripartivano cariche di soda.  Il lavoro al pontile veniva svolto da operai e da impiegati che andavano venivano anche da fuori Vada, da Livorno. Ricordo, ad esempio, il Pardera. Il via-vai delle navi era controllato dal Delegato di spiaggia. Fu così che, insieme alla mia famiglia venne ad abitare al pontile il maresciallo Vaiola, che era Delegato di spiaggia e Maresciallo di Finanza. Con lui c'era la famiglia. Facevo una vita molto ritirata, un po' separata dal paese. Conoscevo pochissime persone del luogo, perché, venendo da fuori non avevo avuto le consuete occasioni di amicizia comuni ai ragazzi: non avevo frequentato qui la scuola, ne fatto qui la Prima Comunione e la Cresima. La nostra casa risultava essere ad una notevole distanza dal paese, per quei tempi: distanza che mio padre non permetteva di percorrere liberamente ad una ragazzina. I primi anni, l'unica abitazione nella zona era la nostra. Fuori dal pontile c'era tutta pineta. Il villaggio che oggi vediamo è stato costruito qualche anno più tardi, dalla Solvay che volle dare un alloggio alle maestranze che venivano da fuori. Chi voleva poteva fermarsi nel nuovo villaggio. Quando l'amico Marinotti se ne andò; mio padre, al quale premeva lavorare, restò, sempre nella casa al pontile. Prima dell'inizio della guerra ricordo che il Marinotti dava delle feste: arrivavano da Livorno i Neri e anche i pezzi grossi della politica: Ciano e amici. Andavano a pescare e poi c'era chi cucinava il pescato e facevano baldoria. Allo scoppio della guerra presso la nostra casa, nell'area del pontile, si stabilì un distaccamento di tedeschi. C'erano anche i soldati delle S.S. Una parte alloggiava in tende, ma avevano occupato anche gli uffici. I tedeschi si servivano del pontile per ricevere i rifornimenti. Arrivava di tutto, soprattutto il petrolio e le armi. Scaricavano di notte, specialmente dopo 1'8 settembre, poiché temevano i partigiani. Mio padre cercò di avere con loro dei contatti il più possibile corretti. A questo proposito ho un episodio da raccontare. Un ufficiale tedesco, sapendo che mio padre aveva un figlio maschio, prima di partire per un'altra destinazione, gli consegnò una lettera, dicendo di mostrarla qualora avesse avuto qualche problema con i suoi connazionali tedeschi, soprattutto se S.S. Mio padre la conservò. Mentre eravamo sfollati in paese, ospitati dalla signora Trieste, accaddero i fatti dell'eccidio del 20 giugno. Come sappiamo, i tedeschi setacciarono tutte le case del paese per cercare gli uomini. Mio fratello, Rino Piram ed un altro giovane erano in casa: se li avessero trovati li avrebbero portati via, o peggio. La casa aveva una soffitta e Trieste li fece nascondere lì, sperando nella buona sorte. Quando un ufficiale delle S.S. e altri due tedeschi entrarono, in casa c'eravamo la mia mamma, Trieste, il mio babbo ed io. I tedeschi chiesero se ci fosse qualcun altro. Mio padre allora tirò fuori la lettera. L'ufficiale la lesse e se ne andò. Per i tre giovani fu la salvezza. La lettera era tornata utile. La Solvay aveva costruito un rifugio, presso il cimitero. Quando arrivavano gli aeroplani si scappava lì. Ricordo ancora la paura. Pino ed io, ci prendemmo anche la pleurite. Allora le famiglie del pontile sfollarono in paese, e il 28 giugno del 1943, quando ci fu il primo terribile bombardamento su Livorno ricordo che io vedevo da Vada il cielo in fiamme sopra la città. Noi fummo ospitati da Trieste. I Vaiola andarono in campagna, su per lo Stradone. Anche noi avevamo mandato tutta la nostra roba da un contadino, in cima allo stradone. Mio padre andava e veniva dal pontile, per continuare il suo lavoro. Nel '44 le incursioni aeree alleate che miravano a colpire la stazione ferroviarie e il pontile Vittorio Veneto erano frequentissime, di giorno e di notte. Ricordo che più di una notte ci siamo rifugiati dentro la Torre di Vada e si dormiva tutti in terra. Veniva lì anche il nostro nuovo parroco, don Vellutini. Il pontile fu danneggiato più volte e riparato dai tedeschi. Quando poi fu colpito e mezzo distrutto, la nostra casa che era accanto, dentro ai suoi cancelli, fu bombardata gravemente: restò in piedi la mia camera...L'abitazione dei Vaiola fu rasa al suolo. Il 25 giugno l944, i Tedeschi, prima di lasciare il paese, cacciati dall'arrivo degli alleati, fecero saltare quello che rimaneva del pontile. Dell'arrivo degli Americani ho il ricordo come di una gran confusione. Ho l'immagine della pioggia di paracadute che, dal cielo, planavano lungo la spiaggia, lì dove c'erano i "fortini" di cemento che i tedeschi avevano costruito e che, ricordo, punteggiavano la costa, fino alle Gorette. Dopo la liberazione la mia famiglia ritornò al pontile, alloggiata provvisoriamente in una delle prime case del futuro villaggio, costruite nel frattempo dalla Solvay. Poi venne ricostruita anche la nostra. Il pontile fu ricostruito e utilizzato dagli americani.
(Da: Quaderni Vadesi n°12 - Vada 1940-1945 un tempo segnato dalla guerra p.62)

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