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      Fu in quei primi anni '30 che si cominciarono a vedere i primi ospiti 
      estivi ed avere il primo attrezzato ritrovo sulla spiaggia. Si trattava 
      del bagno Catarsi. Sorse laggiù, a levante del fosso della "Bucaccia", 
      dove minore era la presenza di alghe, dove il fosso brulicava di vispi 
      pesciolini, le acque erano sempre chiare, il mare azzurro. La "rotonda 
      Catarsi" aveva buone attrezzature in chiave con i tempi: rotonda a mare, 
      locali a terra con cabine, pista da ballo, trattoria, capannone nel retro 
      per gli attrezzi, barche, palo della " cuccagna" in mare e ottima 
      conduzione. Le migliori famiglie di Vada e sempre più ospiti estivi erano 
      presenti. Autori di tutte queste cose gli stessi Catarsi, con i figli Autilio, Romolo, Bruno, Autilia e le nuore Alda e Zela. A tutto 
      sovrintendeva il padre Ernesto. 
      (Da Q.Vadesi 11 a cura di Vinicio 
      Bernini) 
					
      Il vero merito, la felice 
      intuizione manageriale dei frutti che il turismo poteva dare, va ascritta 
      totalmente alla famiglia Catarsi. Sono loro che crearono la prima 
      installazione ricettiva di spiaggia che poteva essere un richiamo, oltre 
      che per i più facoltosi paesani, per i futuri ospiti di "fuorivia". La 
      creano a levante del fosso della "Bucaccia", a ovest del paese, là dove 
      più indicata era la posizione, per il tratto libero da alghe e dove il 
      mare appariva più cristallino e accogliente. Fu chiamata e conosciuta come 
      "La ROTONDA" dei Catarsi. I primi ospiti "di fuori" furono i componenti la 
      famiglia fiorentina dei Vignoli con residenza estiva nella villetta, 
      allora a un solo piano, a fianco della Chiesa e la famiglia Capizucchi la 
      cui figlia Milena, sposando il vadese Ivo Barbieri, resterà ancora fra noi 
      con i figli e nipoti. 
					
      I vecchi bagni alla "Bucaccia", non 
      più rispondenti alle moderne esigenze, anche per la presenza contigua del 
      pontile "Vittorio Veneto" della Soc. Solvay, furono spostati quasi davanti il paese e costruiti, nei primi anni 
      del dopo guerra '40-'45, in solido muro, con ristorante, luogo di ritrovo 
      e ballo, cabine balneari: quello che insomma diventerà famoso richiamo, 
      anche oltre territorio, col nome de "La Barcaccina" (Foto 5). 
                                                                   
					***** 
                                                           
					LA BARCACCINA 
					A dare di nuovo una identità a Vada dopo la guerra fu 
					l'iniziativa di uno di quei compagni dei 100 giorni 
					di scuola. Era di una famiglia di pescatori, grandi 
					conoscitori del mare, esperti di vela e di venti. I Catarsi. 
					Decise di dare nuovo impulso alla piccola impresa familiare 
					dei bagni, che prima si chiamavano bagnetti nati poco 
					più a nord e sostituiti successivamente con quelli in 
					ammodernamento. Collaborai volentieri, col compagno di 
					scuola. 
					I lavori vennero eseguiti direttamente dai membri della 
					famiglia, volenterosi, ma inesperti, la Direzione Lavori non 
					era richiesta. Tutto era fatto a risparmio. Con spirito da 
					pionieri cominciò la ristrutturazione. L’imperizia e la 
					fatalità provocarono un grave incidente al cugino Franco, 
					anch’esso amico. Un pezzo di mattone, a detta di altro amico 
					collaboratore presente, lo colpì nel bel mezzo della fronte. 
					Il testimone ricorda lo sgomento e la corsa in auto presso 
					un ospedale. A tutta velocità sull’Aurelia decisero che, se 
					le sbarre del passaggio a livello Solvay fossero state 
					aperte sarebbero andati a quell’ospedale; in caso contrario, 
					diritti verso l’ospedale di Livorno e così fu. La curabilità 
					della ferita e la fibra del giovane amico ebbero 
					fortunatamente la meglio. 
					I lavori ripresero con grande sollievo per tutti. Lui 
					continuò a studiare fino alla laurea, gli rimase solo un 
					segno, come una compressione di un dito, in mezzo alla 
					fronte. 
					Il locale ristrutturato si chiamò "La Barcaccina". Venivano 
					giovani da Firenze, da ogni parte della Toscana e da altre 
					zone. Non so quanta fu la concorrenza con la Capannina e la 
					Bussola di Viareggio, ma certamente, Vada si trovò al centro 
					di un grosso evento: quel locale la fece conoscere in 
					Toscana ed oltre i confini della regione. Le serate con i 
					personaggi famosi si ripetevano con frequenza. La Barcaccina 
					aveva uno stile rustico, con stuoie, oggetti antichi sulle 
					mensole, ancore, bussole, gavitelli, bottiglie, reti, 
					macchine da cucire, fanali, lampare e non
					so quant’altro. Le serate furono rallegrate dai divi del 
					momento: Arigliano,Noschese, Basso e Valdambrini, Marisa del 
					Frate e tanti assidui frequentatori come Panelli e Bice 
					Valori. 
                                                                    
					  
                                                                                           (da: Quaderni vadesi 10 a cura di Gianfranco 
					Vallini) 
					                              Olmi, quelle notti in 
					Barcaccina   
					                              L’editore Dino 
					Dini racconta la giornata al Lido di Marconi   
					Quello tra Ermanno Olmi e Vada è un legame che ha radici 
					lontane e che richiama ai tempi della mitica Barcaccina 
					quando il celebre regista, allora giovane documentarista, 
					frequentava in estate il locale di Vincenzo Catarsi. 
					L’editore castiglioncellese Dino Dini ci racconta una 
					giornata di Pasqua a pranzo con vecchi amici e il gradito 
					ospite. Un pranzo di Pasqua pieno di amarcord e di nostalgia 
					è quello che mi è capitato di vivere l’altro giorno al 
					ristorante “Il Lido” di Vada. Gli amarcord, la nostalgia e i 
					flash back della memoria cerco di evitarli per principio, ma 
					l’occasione era troppo coinvolgente per poterlo fare.  Mario 
					Marconi il patron de “Il Lido”, mi avverte subito 
					all’ingresso. «C’è una bella sorpresa per te», mi dice. 
					Infatti, in un angolo dell’affollatissimo ed elegante locale 
					c’è un tavolo di amici di gioventù fra cui il famoso 
					costruttore di barche Vincenzo Catarsi (chi non conosce il “Calafuria”?), 
					il pittore e poeta livornese Ernesto Mussi e per finire la 
					sorpresa più bella: il regista Ermanno Olmi che ho 
					conosciuto quando entrambi eravamo poco più che ragazzi, nel 
					mitico ritrovo “La Barcaccina” di Vada creata appunto da 
					Vincenzo Catarsi e in cui si esibiva il quintetto “Les 
					Optimistes” del quale faceva parte, come contrabbassista e 
					trombonista, Ernesto Mussi. In quegli anni Ermanno Olmi, 
					nato nel bergamasco da famiglia contadina e cattolicissima, 
					era soltanto un giovane documentarista della sezione 
					cinematografica della società elettrica Edison e si era 
					messo in evidenza con un lungometraggio dal titolo “Il tempo 
					si è fermato”. Veniva a trascorrere le vacanze estive alla 
					“Barcaccina” dove ogni tanto dava anche una mano a Vincenzo 
					nella conduzione del locale. In lui colpivano soprattutto le 
					sue qualità di disponibilità, dolcezza e sensibilità, doti 
					che traspariranno poi nei suoi molti film in cui egli ha 
					sviluppato una propria vena poetica realistico-intimista 
					descrivendo lo scontro fra la società industrializzata e la 
					psicologia individuale. Vena che sfocerà poi in una visione 
					delicatamente mistica della realtà e della storia. Abbiamo 
					ricordato insieme i suoi film migliori fra cui “Il Posto” 
					del ’61, “E... venne un uomo” del ’65 sulla vita di di papa 
					Giovanni XXIII, il suo capolavoro del ’78 “L’albero degli 
					zoccoli”, Palma d’oro a Cannes, “La leggenda del santo 
					bevitore” del ’88, Leone d’oro a Venezia e «Il mestiere 
					delle armi” del 2001 che ha ottenuto ben 9 David di 
					Donatello.  Quando gli ho chiesto se aveva in programma una 
					nuova regia, mi ha risposto che con il cinema ha chiuso. Gli 
					ho detto che non credevo a quello risposta e lui con un 
					largo sorriso ha cambiato discorso. Forse la mia domanda era 
					troppo seria per quella atmosfera di goliardica festosità 
					che si era creata fra i commensali. E così con gli amarcord 
					e i flash back tutti quanti abbiamo ritrovato la gioia di 
					quelle indimenticabili giornate e di quelle interminabili 
					notti.
					Dino Dini (Da: 
					"Il Tirreno" del 28 marzo 2008) 
					
      Nicola Arigliano, cantante 
		jazz scomparso nel 2010 a 87 anni, nel 1959 fu protagonista di un grande 
		successo alla “Barcaccina” di Vada. Come ricorda Dino Dini «Fu Vincenzo 
		Catarsi supercreativo patron del locale lo chiamò per una serata jazz. 
		Arigliano era balzato alla ribalta nel 1956 con “Simpatica” di Garinei, 
		Giovannini e Kramer e con “My funny Valentine” era diventato il più 
		famoso”crooner” d’Italia. Aveva cominciato a fare le sue “tournèe” 
		riscuotendo enormi successi. Naturalmente Vincenzo, sempre alla ricerca 
		di nuovi personaggi, non poteva farselo scappare. Inoltre il locale era 
		frequentato da un nutrito gruppo di giovani amanti della grande musica 
		jazz. E fu così che “La Barcaccina” visse una delle più calde notti 
		musicali». «Nicola Arigliano, nella sua esibizione, fu validamente 
		accompagnato dal quintetto “Les Optimiste” un complesso che non aveva 
		nulla da invidiare anche alle più famose formazioni. Il cantante 
		pugliese fu talmente colpito dall’atmosfera e dall’accoglienza che gli 
		aveva riservato “La Barcaccina” che due anni dopo volle ritornare per 
		un’altra esibizione e per salutare i vecchi amici». 
		(Il Tirreno) 
                  
					Lo storico scafo porta ancora il nome di Vada nel mondo 
					della nautica 
		     
		Al Salone Nautico di Genova nel 1971 Vincenzo Catarsi presentò il suo 
		modello “rivoluzionario”.  L’imprenditore creò anche la Barcaccina. 
					Nel settembre del 1971, al Salone 
		Nautico di Genova fu 
		presentato per la 
		prima volta il mitico scafo Calafuria ideato, progettato e costruito dal 
		vadese Vincenzo Catarsi. Davvero un bell'anniversario per il mondo della 
		nautica. Il Calafuria è un marchio storico che è entrato nella rosa dei 
		nomi più eminenti della nautica. Una imbarcazione non frutto di mode e 
		tendenze, ma simbolo di solidità e sicurezza. Infatti in poco tempo è 
		diventata la barca più richiesta dal mercato internazionale per le sue 
		ottime prestazioni. Non si tratta di un semplice motoscafo, ma di una 
		barca con motore entrobordo per persone che il mare lo amano davvero, lo 
		prendono sul serio e non lo considerano un mezzo per mostrare la propria 
		agiatezza. Ingegneria, jazz e mare. Vincenzo Catarsi, classe 1932, 
					dopo il liceo scientifico si era iscritto alla facoltà di 
					ingegneria all'Università di Pisa, ma per pochi esami aveva 
					mancato la laurea a causa soprattutto dei continui impegni 
					di lavoro. Ritiratosi dall'attività nel 2010, vive a Vada con la moglie Carla che 
		gli ha dato due figli Federica e Pietro. Ma prima di diventare un 
		costruttore di scafi, Vincenzo sulla spiaggia di Vada aveva creato e 
		reso famoso un locale da lui chiamato La Barcaccina. Questo accadeva 
		negli anni 50 del secolo scorso. Catarsi si era iscritto alla facoltà di 
		ingegneria dell'Università di Pisa e contemporaneamente, insieme al 
		padre Romolo e agli zii Autilio e Bruno, tutti esperti pescatori, 
		cominciò a gestire il ristorante-dancing che in breve diventò uno dei 
		più frequentati ritrovi di tutto il litorale toscano. Il ristorante 
		andava a gonfie vele, sempre affollato grazie al pesce fresco che vi si 
		poteva mangiare e soprattutto ad un cacciucco alla livornese che era un 
		piatto davvero eccellente. Dopo le 22 l'ambiente si trasformava in una 
		sala da ballo. Saliva sul podio il famoso complesso livornese "Les 
		Optimistes" che suonava un ottimo jazz e accompagnava le danze. Erano 
		frequenti le serate in cui si potevano ascoltare i migliori jazzisti 
		allora in circolazione come, tanto per fare qualche nome, Chet Baker con 
		la sua fantastica tromba, il duo Gianni Basso (sassofono) e Oscar 
		Valdambrini (tromba), il pianista Romano Mussolini e il trombettista 
		Nini Rosso noto per i suoi virtuosismi. La Dolce vita. Applauditissime 
		anche le esibizioni di artisti come il cantante jazz Nicola Arigliano, 
		Achille Togliani, Tony Renis, Joe Sentieri, la bella soubrette Marisa 
		Del Frate e l'insuperabile imitatore Alighiero Noschese. In quegli anni 
		La Barcaccina riusciva a fare concorrenza persino ai grandi locali della 
		Versilia. Molti clienti che frequentavano il ritrovo erano davvero 
		illustri come Bice Valori e Paolo Panelli spesso accompagnati dai loro 
		amici Flora Carabella e Marcello Mastroianni e la bellissima attrice 
		Virna Lisi. C'era anche un giovane Ermanno Olmi destinato a diventare 
		uno dei più grandi registi del nostro cinema. Fra gli appassionati di 
		jazz erano spesso presenti Elio Toaff e sua moglie. In quegli anni era 
		rabbino di Livorno, ma in seguito sarebbe diventato, quale rabbino capo 
		della comunità nazionale, il più importante rappresentante della 
		religione ebraica. Il cantiere. Nonostante il suo impegno nella 
		conduzione della Barcaccina, Vincenzo Catarsi non dimenticava però le 
		origini marinare della famiglia. Era anche lui appassionato di barche e 
		cominciò a progettarne e a realizzarne qualcuna. In principio si 
		trattava solo di piccole barche e di patini in vetroresina e questo fu 
		l'inizio della sua carriera in campo cantieristico. Nel 1961, lasciata 
		la gestione della Barcaccina, nacque il cantiere navale Catarsi e la 
		prima barca importante fu un catamarano di 6 metri di lunghezza. 
		Seguirono poi i gozzi Lerici e Meloria, le lance Ondina, Palinuro e 
		Santa Margherita. In poco tempo l'impresa entrò a pieno titolo nel 
		difficile mercato nazionale della nautica. Sette metri “creativi”. Nel 
		1971 fu costruito il primo Calafuria che misurava 7 metri, frutto della 
		creatività e della tecnica di Catarsi che si sarebbe affermato anche sul 
		mercato mondiale. In quello stesso anno l'imbarcazione fu presentata al 
		Salone di Genova dove ottenne un sorprendente successo e così 
		cominciarono a fioccare i contratti. Catarsi racconta che a Genova, 
		durante il salone nautico dell'anno successivo, ebbe occasione di 
		conoscere l'ammiraglio Luigi Durand de La Penne, medaglia d'oro per la 
		sua impresa del 1941 nel porto di Alessandria d'Egitto, quando con i 
		cosiddetti "maiali" della Decima Mas aveva messo fuori combattimento due 
		navi da battaglia inglesi e ne aveva danneggiate altre due. Il 
		comandante Durand de La Penne rimase colpito dalla linea del Calafuria e 
		qualche tempo dopo andò a visitare a Vada il cantiere Catarsi e volle 
		provare personalmente quell'imbarcazione rimanendo entusiasta delle sue 
		qualità di navigazione. Il cantiere iniziò a produrre vari tipi di 
		Calafuria. Al primo scafo lungo 7 metri seguirono molti altri diversi 
		per la lunghezza e per l'utilizzo a cui erano destinati. Alcuni erano 
		Calafuria aperti, altri cabinati e anche semicabinati. Barche 
		personalizzate. Questa diversificazione della produzione Catarsi 
		dimostra come il cantiere costruisse barche praticamente personalizzate 
		per gli specifici committenti. Alcuni di questi scafi sono tuttora molto 
		richiesti nel mercato dell'usato. Vincenzo ricorda quando accompagnò un 
		Calafuria, per consegnarlo ad un cliente, arrivando fino alla cittadina 
		di Tromson in Norvegia a 350 chilometri dal circolo polare artico. Nel 
		mondo oggi esistono oltre tremila esemplari di Calafuria. Questo tipo di 
		imbarcazione è stato venduto in Angola, Nigeria, Tunisia, Polinesia, 
		Stati Uniti, Francia, Inghilterra e Svezia. Catarsi ha anche costruito 
		per la stilista Roberta di Camerino una barca da diporto di 24 metri che 
		si chiama Giada e che oggi viene usata per crociere charter. Vincenzo ha 
		cessato la sua attività nel 2010, ma ancora oggi esistono cantieri 
		navali che continuano a produrre questa imbarcazione. Insomma, prima 
		quell'indimenticabile ritrovo che fu La Barcaccina, poi il famoso scafo 
		Calafuria sono state due eccezionali idee di Vincenzo Catarsi che oggi 
		con una punta di giustificabile orgoglio lui ricorda come frutto 
		esclusivo della sua fantasia e specifica professionalità. Quello di 
		Vincenzo è stato un vero talento che ha notevolmente contribuito a far 
		conoscere Vada ben al di là dei suoi confini comunali e soprattutto, con 
		il suo cantiere, ha dato lavoro a centinaia di collaboratori alcuni dei 
		quali sono divenuti degli ottimi professionisti nel campo della 
		cantieristica.   
		(Dino Dini per Il Tirreno 20/9/16) 
					Vincenzo Catarsi 
					è deceduto all'ospedale di Livorno il 14 giugno 2018. 
                      
  
		 | 
    
    
      | 
                     
					I 
					CATARSI un’intervista a VINCENZO 
					
					
					
					Maria Gloria·Domenica 
					17 giugno 2018 
					
					
					NEI RICORDI DEL FIGLIO/NIPOTE VINCENZO
					
					
					- I miei antenati sono giunti a Vada v erso 
					la fine del 1800. Mio nonno si chiamava Ernesto. Si era 
					sposato con Giuseppina Gonfiotti. Insieme misero al mondo 
					quattro figli:  nel 1899 mio zio Autilio, nel 1902 mia zia 
					Autilia, nel 1904 mio padre e nel 1907 mio zio Bruno. Tutta 
					la mia famiglia ha svolto attivita' 
					diverse e gestito vari locali nel paese di Vada. Mio padre e 
					mio zio Bruno diventarono pescatori, mentre mio zio Autilio 
					detto “il falegname”, preferiva interessarsi 
					dei bagni “la Barcaccina”che aveva costruito sul lungomare 
					di Vada. Dava comunque una mano ai fratelli sistemando reti, 
					attrezzi e le barche per pescare. L' unica pesca che 
					praticava era quella lungo la riva dal 
					Pontile Vittorio Veneto, al Pontile Lamberti. Io andavo con 
					lui. Se il mare era leggermente increspato, gettavo olio 
					sull'acqua, sia all'andata che al ritorno. Gettando olio 
					sulla superficie del mare, l'acqua increspata si distende e 
					diventa trasparente così si vedono bene i pesci che vengono 
					colpiti con la fiocina e messi nei secchi sulla barca. Mio 
					zio Bruno, detto Brunino, perché era il più piccolo della 
					famiglia, pescava con la sua San Vincenzo insieme ad Attilio 
					Sandri detto il “Ticchia”,soprannomi che gli avevano dato i 
					loro amici, perché ogni pescatore, aveva il proprio 
					soprannome. Brunino e il Ticchia pescavano a strascico (a 
					quei tempi era possibile). Nel dopoguerra succedeva che 
					pescassero bombe e mine, allora cautamente tagliavano le 
					reti per liberarle e, con la paura addosso che esplodessero 
					toccando il fondale, se ne andavano veloci. Mio padre 
					soprannominato “vento”mi ha insegnato ad amare il mare, lui 
					era una cosa sola con il mare. Non faceva soltanto il 
					pescatore, lui partecipava insieme a me alle regate 
					nazionali ed internazionali. Era un grande velista: insieme 
					abbiamo vinto tante gare e tante coppe. Mio padre conosceva 
					a memoria tutta la costa davanti Vada. Conosceva bene i 
					venti: disegnava cartine dove appuntava dove era possibile 
					trovare pesci quando soffiava un tipo di vento e dove 
					trovarli quando ne soffiava un altro. Mio padre, con la sua 
					barca Carmelita, faceva la pesca di “superficie” per pescare 
					pesce pregiato. A volte si spingeva fin nel grossetano dove 
					pernottava in rimessaggi di amici, lungo la spiaggia. Mi 
					raccontava che subito 
					
					dopo la guerra costruivano reti con il crine del cavallo e 
					passavano ore ed ore, giornate e giornate, a trillare il 
					crine per raggiungere il risultato. Ci sono stati anche 
					momenti in cui siamo stati in “pensiero” per la sorte dei 
					nostri familiari. Ancora oggi , anche se e' trascorso tanto 
					tempo,i pescatori e i più vecchi paesani di Vada, ricordano 
					una notte in cui tutto il paese, riversatosi sulla spiaggia, 
					aspettava di avere notizie dai “suoi” pescatori. Passarono 
					ore ed ore in cui le onde del mare, mosse da una terribile 
					tramontana, fecero pensare al peggio. Sulla barca insieme a 
					mio padre c'erano lo zio Bruno, lo zio Gianni e Luigi Molino 
					che lottarono con coraggio ed una forza incredibile per 
					arrivare al faro. Da lì fecero dei segnali a terra ai 
					familiari per far capire
					
					
					che erano salvi. Queste sono le mie radici, dalle quali ho 
					ricevuto forza e coraggio e spirito imprenditoriale. 
					INTERVISTA DI MARIA GLORIA PAGGETTI da FB.  |