Foto 1 - 2 luglio 1944 -
Arrivano gli alleati con il 135° e 168° reggimento fanteria della
34.ma Divisione del generale Ryder che provengono da Cecina dopo aver
liberato le sponde del fiume dalle mine tedesche, mentre i Genieri
iniziavano il montaggio di ponti in legno.
GLI EROICI NISEI DELLA NOSTRA ZONA
I Nisei sono gli americani d’origine giapponese: con l’ordine esecutivo
9066 del Governo Americano, essi, considerati pericolosi per lo Stato,
furono internati in campi di concentramento. Molti di loro, sentendosi
cittadini americani, si arruolarono e furono inviati sul fronte
italiano, nel 100° Battaglione Fanteria, aggregato al 442°: questi
uomini erano ansiosi di dimostrare sul campo il loro valore ed il loro
attaccamento agli Stati Uniti. Inizialmente, però, erano tenuti nella
retroguardia.
Il primo luglio 1944, dopo aver attraversato il fiume Cecina, il 100° si
mosse verso Pisa: il 2° battaglione iniziò l’assalto per spingere i
tedeschi fuori dell’abitato di Castellina Marittima. Il nemico si era
trincerato sull’alto di colline ben fortificate dalle quali faceva un
fuoco incessante. Il soldato semplice Frank Ono rivolse la propria
mitragliatrice contro il nemico, avanzò sotto la gragnola, uccise un
cecchino, ma poi, colpito e privato dell’arma, si mise a lanciare bombe
a mano per difendere la posizione consentendo ai compagni di riprendere
a muoversi.
Improvvisamente, però, vide il comandante ed un fuciliere cadere: senza
curarsi dei fuoco mortale, si lanciò in loro aiuto. Appena il plotone fu
riorganizzato, egli rimase indietro da solo per coprire i compagni e
tenere a bada il nemico. Gli fu concessa la Distinguished Service Cross,
ma soltanto dopo la sua morte, avvenuta nel 1980, tale decorazione fu
promossa a Medal of Honour, la massima onorificenza di guerra americana.
Nelle vicinanze, analogamente a Frank Ono, lo studente universitario
William “Bill” Nakamura si batté per liberare il proprio plotone rimasto
bloccato. Da solo strisciò verso il fuoco nemico che teneva i suoi
compagni inchiodati, risalì all’interno delle postazioni nemiche per
gettare quattro bombe a mano ed eliminare quella minaccia. Poi rimase
indietro per coprire le spalle al plotone: all’improvviso udì nuove
raffiche. Dal bosco il nemico aveva nuovamente aperto il fuoco.
Strisciando, raggiunse il punto migliore per controbattere l’offensiva
nemica ed interrompere l’assalto tedesco, permettendo ai compagni di
mettersi al riparo sulla linea del bosco. Quando il plotone, malconcio,
si radunò per rifocillarsi e curare i feriti, Bill non era tra loro: il
suo corpo giaceva ancora sul campo di battaglia.
Nakamura era morto come cittadino di quella nazione che un anno prima lo
aveva imprigionato nel campo di concentramento di Hunt, nell’Idaho,
strappandolo dall’Università di Washington.
Era il luglio (Giornata dell’Indipendenza) del 1944, nei sobborghi di
Castellina Marittima. Al Molino a Vento, il crinale della collina era di
vitale importanza per il controllo di tutto il territorio circostante.
Diretto ad occupare questa posizione strategica con il suo plotone, il
sergente Tanouye, si accorse, però, che cinque nemici avevano allestito
una postazione d’artiglieria. La collina, brulla, non permetteva alcun
riparo: strisciando, da solo, avanzò lentamente, ma fu individuato da
una seconda postazione nemica che aprì il fuoco su di lui. Rispose al
mitragliamento nemico riuscendo ad eliminare gli uomini della seconda
postazione.
Incurante delle esplosioni attorno a lui, cominciò a lanciare bombe a
mano sulla collina. Ferito ad un braccio, strisciò verso il fossato dove
i tedeschi si erano piazzati. Fece fuoco finché terminò le munizioni. I
compagni, dietro il suo esempio, riuscirono, finalmente, a strappare al
nemico il controllo della cima strategica. Organizzata la difesa della
collina, poté farsi medicare. Continuò a combattere ancora per il paese
che amava e morì in terra straniera. Ai genitori fu consegnata la
Medaglia d’Onore: al tempo del suo comportamento eroico, pregavano per
il figlio, nato a Los Angeles, e che con loro era stato internato nel
Rohuer Relocation Camp.
Lo stesso giorno, il 7 Luglio, i soldati veterani del 100° stavano
combattendo vicino a Castellina. Ogni centro abitato era un pericoloso
campo di battaglia poiché le macerie delle case di pietra fornivano ai
tedeschi posizioni fortificate e mimetizzate: sebbene, infatti, la
guerra continuasse ad essere combattuta sulle strade e sui monti, alcuni
degli scontri più pericolosi si svolsero nei centri abitati.
Kaoru Moto stava battendosi in una di queste battaglie di casa in casa,
quando una mitraglia aprì il fuoco. Spintosi con cautela in avanti,
distrusse la postazione nemica. Quando un altro tedesco fece fuoco
contro gli avaiani della 442, Moto, strisciando, riuscì ad aggirare la
posizione nemica, sorprendendolo e catturandolo.
Col prigioniero a rimorchio, si pose vicino ad una casa che, secondo la
sua opinione, il nemico avrebbe tentato di occupare come punto
d’osservazione. Ben determinato a respingere qualsiasi tentativo in
proposito, mentre sorvegliava l’edificio, fece saltare un’altra
mitraglia. Ferito da un cecchino che sparava da un altro cumulo di
macerie, bendatosi, fece ritorno al plotone. Il suo superiore gli ordinò
di farsi curare al pronto soccorso: avendo, però, notato una postazione
nemica vicino alla strada, sparò sui due tedeschi, li ferì e,
strisciando, li accerchiò e li fece prigionieri. Sopravvisse e fu
decorato con la Distinguished Service Cross, ma morì otto anni prima che
fosse trasformata in Medaglia d’Onore.
Un altro esempio di gran coraggio e di sprezzo del pericolo fu il
sergente Kazuo Otani: il 15 luglio il suo plotone fu bloccato in un
campo di frumento alla Pieve di Santa Luce. Ordinò ai suoi soldati di
strisciare al coperto di un vicino dirupo e, per dimostrare loro come
fosse possibile, sotto una gragnola di proiettili nemici, dopo aver
ucciso un cecchino, effettuò la manovra. Da lì si espose al nemico
facendo fuoco per coprire i suoi uomini. Quando parte del plotone ebbe
raggiunto il riparo organizzò la difesa e ritornò indietro per
incoraggiare i soldati rimasti asserragliati nel campo. Vedendo uno dei
suoi colpito, si espose completamente al fuoco nemico per raggiungerlo e
portarlo al riparo: mentre stava provvedendo al primo soccorso, cadde
ucciso. Anche a Kazuo fu attribuita alla memoria la Medaglia d’onore.
Dopo tre settimane di difficili combattimenti, finalmente Livorno fu
liberata.
Il 100° fanteria marciò fin dentro la città, preceduto soltanto dal
generale Mark Clark con la sua jeep. In tutta la campagna Roma-Arno, i
nipponici seppellirono 239 loro fratelli, rappezzarono le ferite di 972
e ricordarono nelle loro preghiere i 17 uomini dispersi durante le
azioni. Il loro eroismo, veramente invidiabile, fu elogiato da tutti.
(Da:"Dalle AMlire
all'Euro" di Mancini-Gattini 2004)
Foto 2 -
Dopo la conquista del porto di Piombino l'obbiettivo prefissato dal IV°
Corpo d'Armata Americano era quello di proseguire celermente lungo il
litorale in modo da raggiungere la città di Livorno che con il suo porto
rappresentava una tappa fondamentale per l'approvvigionamento di
materiali, mezzi ed armamenti in previsione del futuro attacco alla
temutissima Linea Gotica (la Grun Line). Per questo fu incaricata la 34^
Divisione che con il supporto di alcuni reparti aggregati, se ne fece
carico combattendo in prima schiera. I combattimenti che seguirono per
la conquista del territorio Livornese e della città di Livorno furono i
più sanguinosi e cruenti sostenuti dalla Divisione durante tutta la
campagna d'Italia. Le operazioni ebbero inizio il 26 giugno. Lungo il
litorale il 133° Rgt fu comandato in avanguardia seguito dal 168° Rgt
mentre il 135° Rgt fu posto di riserva. Il 442°Rgt fu incaricato di
aprire la strada verso l'interno delle colline Livornesi e lungo la
strada per Sassetta, sul colle Belvedere, i Nisei ebbero il loro
battesimo di fuoco. Contrariamente ad ogni aspettativa, in un paio di
ore di accanito combattimento, questi sottovalutati soldati riuscirono a
distruggere un intero battaglione di SS catturando diversi prigionieri e
una grande quantità di materiale. Le perdite tedesche ammontarono a 178
caduti, 20 feriti e 86 prigionieri. Fu catturato molto munizionamento,
dei pezzi di artiglieria, 3 carri armati, alcuni mortai, 4
mitragliatrici, 2 bazooka, dei camion e delle camionette. Per il
comportamento tenuto in battaglia e per il prestigioso risultato
raggiunto il 100° Battaglione si guadagnò la Citazione Presidenziale
d'encomio che gli venne conferita successivamente a Vada il 15 agosto
1944. (Dal forum: La 34^
Divisione Americana da Salerno alla linea dell'Arno).
Il campo di aviazione
Dopo il passaggio del fronte, nella zona compresa fra il
torrente Tripesce e l'attuale via della Torre, fu costruito
dagli americani il campo di aviazione. Occuparono i campi dei
poderi abitati dalle famiglie Buti e Caciagli, di proprietà
del signor Baracchini e di seguito Facchini; e i campi dei
poderi abitati dalle famiglie Donati, Orlandini e Orzalesi, di
proprietà dei fratelli Rozzi. Questo podere era abitato,
all'epoca, dalla famiglia Gianfaldoni fino al 1945 e dalla
famiglia Miliani dal 1945 al 1961. Il campo quindi, fu
costruito a poche centinaia di metri più a nord del torrente,
per evitare l'alta vegetazione presente lungo le sponde del
Tripesce, a destra dello stradone Belvedere, poiché a sinistra
correva la ferrovia. Vi era una sola pista di atterraggio con
ai lati, gli spazi per far sostare gli aerei. Fu per tutti
strabiliante, la velocità e l'efficienza con la quale gli
americani costruirono il grande campo di aviazione. Per far
spazio al campo venne rasa al suolo la casa della fattoria dei
fratelli Ferri, che era stata costruita da poco. Qui a Vada,
non avevamo mai visto quei macchinari prima di allora: ruspe,
caterpiller, camion. In breve tempo fu stesa e pressata la
massicciata con materiali derivati dalla lavorazione della
Solvay che consisteva in grossa ghiaia, impastata con altro
materiale. Poi, in men che non si dica, venne apprestata la
pista, lastricando la massicciata con grandi lamine di metallo
tutte forate per alleggerirle, spesse alcuni millimetri,
incastrate tra loro. Andavamo a guardare i lavori,
affascinati. La costruzione di quel campo aveva portato
improvvisamente nella nostra zona, ancora tradizionalmente
contadina, una tecnologia davvero avveniristica! I militari
abitavano in tende allestite intorno al campo. Gli americani
installarono alcune tende anche sull'aia della famiglia
Miliani. I Miliani, all'epoca, abitavano ancora nel podere di
fronte alla casa cantoniera in prossimità del passaggio a
livello, presso il ponte sul torrente Tripesce; il passaggio a
livello fu chiuso negli anni 60, quando fu costruito il
cavalcavia sulla ferrovia.
(Sintesi da: Quaderni
Vadesi 12 - Autori vari)
Il teatro di guerra fu
allestito sul nostro territorio nel 1945, e vi operava l’885° squadrone
di bombardieri aerei statunitensi, cui era stata affidato il compito di
supportare la resistenza francese, italiana e jugoslava con missioni
speciali e infiltrazione di agenti segreti. Lo imprese audaci della
squadriglia sono ancora poco note per il vincolo di segretezza con cui
operava, venuto meno di recente. Oggi l’accesso agli archivi americani e
inglesi ha permesso di ricostruire le vicende dello squadrone 885°, che
fornì un contributo decisivo per la sopravvivenza di molte unità
partigiane. Nel corso della liberazione dell’Italia la base della
squadriglia fu stabilita a Brindisi nel 1944 e a Rosignano nel 1945,
dove rimase fino alla fine del conflitto. Qui dal 20 marzo 1945 operò
dalla base aerea situata a Vada tra il torrente Tripesce e lo Stradone
della Torre, con la pista parallela allo Stradone Belvedere, da cui
partivano le incursioni dei quadrimotori Consolidated B-24 Liberator. Il
comandante, colonnello Monro MacCloskey, istituì il
quartier generale al
Castello Pasquini, e ordinò al contingente di accamparsi nella pineta
Marradi a Castiglioncello.
Foto 20: E' ancora lì con gli ingressi
murati, ed era il
rifugio antiaereo ben nascosto dai pini, costruito dalla Solvay davanti al Pontile per i
dipendenti e loro famiglie abitanti nel villaggio adiacente, ma aperto anche a chiunque facesse in tempo a
raggiungerlo dopo l'allarme.
Il rifugio ed il Pontile Vittorio Veneto di Marisa Zastin
La Solvay aveva costruito un rifugio, presso il cimitero. Quando
arrivavano gli aeroplani si scappava lì. Ricordo ancora la paura. Mio
fratello ed io, ci prendemmo anche la pleurite...Nel '44 le incursioni
aeree alleate che miravano a colpire la stazione ferroviaria e il pontile
Vittorio Veneto erano frequentissime, di giorno e di notte. Ricordo che
più di una notte ci siamo rifugiati dentro la Torre di Vada e si dormiva
tutti in terra. Veniva lì anche il nostro nuovo parroco, don Vellutini. Il
pontile fu danneggiato più volte e riparato dai tedeschi. Quando poi fu
colpito e mezzo distrutto, la nostra casa che era accanto, dentro ai suoi
cancelli, fu bombardata gravemente: restò in piedi la mia camera...Il 25
giugno 1944, i Tedeschi, prima di lasciare il paese, cacciati dall'arrivo
degli alleati, fecero saltare quello che rimaneva del pontile.
(Da: Quaderni Vadesi 12)
Foto 21: Fortino alla Bonaposta. Queste
difese antisbarco erano presenti lungo tutta la costa sabbiosa da Vada
verso sud allo scopo ingenuo quanto inutile di contrastare il temuto
sbarco del nemico.
Foto 22:
Fortino alla Pietrabianca. Oggi
queste strutture sono semisommerse, ma durante la guerra erano posizionate
nella parte alta della spiaggia. Ulteriore dimostrazione di quanto sia
avanzata la linea di battigia.
(Foto G.Zanoboni)
I fortini costieri
Foto 21-27:
Nella primavera del 1944
con l’approssimarsi della minaccia rappresentata dalla Va Armata
americana, il Genio dell’esercito tedesco, che già presidiava il
territorio, provvide a realizzare oltre una dozzina di bunker nella zona
fra Vada e Cecina, costringendo grazie alla Tod diversi civili italiani
a lavorare duramente alla loro costruzione. Varie furono le tipologie di
bunker approntati: da quello in acciaio, una specie di grosso cubo con
la metà inferiore interrata e la superiore sormontata dalla torretta di
un carro Panther, a quelli in cemento armato, sia di piccole dimensioni
(modello Tobruk) in grado di ospitare uno o due soldati ed armati con
mitragliatrici pesanti come la temibile MG42, sia più grandi con
maggiore articolazione interna, dotati oltre che di mitragliatrici,
anche di cannoni. Questi “fortini” furono disposti lungo la linea
costiera, dato che i Tedeschi si aspettavano uno sbarco alleato, ma
quando invece, all’alba del 29 giugno 1944, la 34° Divisione americana
attaccò via terra da sud, essi ebbero modo di giocare comunque un ruolo
nella battaglia semplicemente volgendo le armi in quella direzione.
La costruzione di questi fortilizi nella fascia litoranea della "rada" di
Vada, ma anche a Rosignano M.Mo e la stesura di campi minati venne realizzata fra il gennaio ed il
maggio del 1944 col concorso forzato di uomini vadesi e non, immessi
nell'organizzazione tedesca della "Todt". La T.O.D.T. società ideata e
organizzata dall'architetto Speer, occhio diritto di Hitler, operava in
tutta l'Europa occupata, servendosi di mano d'opera coatta. La sua
attività era essenzialmente di ricostruzione; ricostruzione di ponti, nodi
stradali e ferroviari, moli e porti ecc. che erano stati distrutti dagli
aerei alleati e che, una volta ricostruiti, erano puntualmente ribombardati.
Negli anni 2000 con l'accentuarsi dei problemi di erosione, la Regione
ha deciso che per motivi di sicurezza, debbano essere abbattuti.
1943 - Sabotaggi sulle strade.
2016
- MANIFESTAZIONE IN RICORDO
DELL’OPERAZIONE HERRING
Il 17 aprile 2016 a Vada,
manifestazione in occasione del 71° anniversario dell’Operazione Herring.
Alla conferenza stampa hanno partecipato per l’Amministrazione Comunale
il Sindaco Alessandro Franchi e il Vicesindaco Daniele Donati, per l’ANPI
il Presidente ed il Vicepresidente della sezione locale, rispettivamente
Francesco Giuntini e Giacomo Luppichini nonché il Presidente
provinciale, Gino Niccolai; presenti anche lo storico locale Gabriele
Milani, il Capitano Antonino Giuffrida del 185° Reggimento Paracadutisti
Folgore ed il Generale artigliere paracadutista Giovanni Giostra,
esperto conoscitore dell’evento oggetto della manifestazione.
L’Operazione
Herring fu una manovra di infiltrazione e sabotaggio effettuata dalle
forze alleate, a soli cinque giorni dalla fine della guerra, per
accelerare il processo di liberazione di quella parte di Italia ancora
soggetta al dominio tedesco. I velivoli statunitensi per il trasporto e
per l’aviolancio dei paracadutisti decollarono la sera del 20
aprile 1945 dall’aeroporto di guerra di Vada per oltrepassare la Linea
Gotica. Come illustrato dettagliatamente dal Generale Giostra presero
parte all’operazione 226 paracadutisti, tra cui anche alcuni partigiani,
a testimonianza del fatto che la lotta per la libertà ha compreso nel
nostro Paese sia la Resistenza partigiana che la guerra di liberazione
condotta dal territorio libero verso il territorio occupato
dall’esercito.
La cerimonia si è svolta lungo lo
Stradone Belvedere di Vada. Presenti un picchetto di onore ed una
rappresentanza dei reparti paracadutisti, eredi dei protagonisti
dell’Operazione Herring: il 185° Reggimento Ricognizione e Acquisizione
Obiettivi Paracadutisti Folgore e il 183° Reggimento Paracadutisti
Nembo. E' stato scoperto un pannello memoriale e deposta una corona
d’alloro in onore ai 31 caduti. Hanno accompagnato la celebrazione gli
interventi musicali del Gruppo Filarmonico Solvay ed un sorvolo di aerei
leggeri con fumate tricolori, a cura dell’Areo Club di Capannoli.
(Si ringrazia Giacomo Luppichini)
Foto 14 (testo in basso)
- L'operazione
Herring (aringa) fu l'ultimo aviosbarco della 2a guerra mondiale nel
teatro europeo, nel corso della lotta per la libertà. Ne furono
protagonisti 226 paracadutisti d'Italia delle "Centurie" di Folgore e
Nembo che nella notte del 20 aprile 1945 si lanciarono sulla pianura
padana occupata dai tedeschi investendo il territorio delle province di
Bologna, Ferrara, Mantova e Modena. Lo scopo della missione coordinata
con l'offensiva sulla linea Gotica, era quello di ostacolare la ritirata
del nemico verso nord ed impedire l'allestimento di nuove linee
difensive. Si trattò di un aviosbarco di incursione, fondato soprattutto
sulla sorpresa, realizzato con pochi (14) velivoli da trasporto, privo
di qualsiasi sostegno di fuoco aereo. I nostri paracadutisti si
avvalsero delle tecniche proprie della guerra non convenzionale, colpi
di mano, imboscate, sabotaggi, cecchinaggio. L'azione si sarebbe
conclusa con il congiungimento con le forze amiche avanzanti e con il
rientro alla base di Fiesole. La Herring si inquadra nel contesto
strategico che vedeva la guerra in Europa volgere ormai ad una rapida
conclusione. Inoltre erano già in corso da oltre un mese trattative per
la resa dei tedeschi in Italia. L'operazione fu ideata presso il Comando
dell'8a Armata Britannica, durante la stasi invernale. Il progetto
iniziale, formulato in febbraio, prevedeva il lancio di un migliaio di
paracadutisti, destinati ad agire per gruppi di tre o quattro elementi
in cooperazione con le forze locali della Resistenza. I paracadutisti
italiani apparivano i più idonei allo scopo, sia perché operavano in
patria, sia perché le aviotruppe alleate si preparavano all'operazione "Varsity"
che prevedeva per il 24 marzo il lancio di un Corpo d'Armata per il
forzamento del basso Reno e l'invasione della Ruhr. Il progetto inglese
passò al vaglio del Comando del 15° Gruppo di Armate, trattandosi di una
operazione strategica che:
Coinvolgeva Forze Armate diverse (Esercito, Aeronautica) di vari paesi
(Stati Uniti per gli aerei, Gran Bretagna per i paracadute, l'armamento
di reparto, l'equipaggiamento, l'addestramento, Italia per il personale
e le armi individuali);
Era destinata ad interessare il fronte delle Armate 5a statunitense e 8a
britannica.
Le decisioni finali stabilirono:
L'impiego di due "Centurie" di paracadutisti (molti meno di quanto
previsti all'inizio), tutti volontari tratti dal Reggimento Nembo e
dallo Squadrone Folgore;
L'aviolancio con velivoli C 47;
L'addestramento al lancio con paracadute britannico presso la base aerea
di Gioia del Colle;
Un breve corso sulle tecniche di sabotaggio e sulle demolizioni nella
zona di Siena, ove operava un apposito centro;
Nessun preventivo coordinamento con le forze della Resistenza.
Nello Squadrone prevalse l'assunto: "o tutti o nessuno". Gli alleati
accettarono la partecipazione totale del reparto.
L'orientamento ad agire per nuclei di tre o quattro paracadutisti fu
nettamente contrastato dallo Squadrone considerando che la consistenza
dei nuclei era così esigua da precludere sia il conseguimento di
obbiettivi di rilievo, sia la stessa sopravvivenza del personale. La
"protesta" fu presentata al Comando del Gruppo di Armate che, dopo
accesa discussione, accettò la proposta di elevare a una decina il
numero dei componenti di ciascuna pattuglia.
La rinuncia al preventivo coinvolgimento del Corpo Volontari della
Libertà, era motivata dal conseguimento della sorpresa, dalla brevissima
durata prevista per l'azione e dai margini di dubbio circa la
coincidenza delle zone di lancio programmate con quelle poi
effettivamente raggiunte.
Nell'esecuzione, gli aerei, giunti sulla verticale del territorio
ostile, incontrarono una straordinaria reazione contraerei, che
determinò difficoltà nella individuazione dei punti di rilascio, aumento
della velocità e diminuzione della quota di volo. Ne conseguì:
il lancio in zone impreviste, distanti fino a 40 km, per due terzi della
forza;
esposizione per alcuni al fuoco avversario a paracadute aperto;
atterraggio per altri in aree già presidiate dal nemico, con perdite
immediate;
dispersione longitudinale del personale, con problemi di
ricoordinamento;
rinuncia al lancio da parte di un aereo con due pattuglie dello
Squadrone e con lo stesso maggiore Ramsay, il "capo missione" inglese,
per decisione di quest'ultimo. La decisione di Ramsay fu duramente
contestata dai paracadutisti a bordo, che non gli risparmiarono minacce
e chiesero dopo il rientro, ma senza successo, di ritentare il lancio
comunque.
Nell'azione a terra prevalsero lo spirito di corpo, la spiccata
iniziativa e le qualità psicofisiche e combattive degli uomini. I
risultati si espressero in:
stato di insicurezza diffuso fra i reparti avversari;
migliaia di prigionieri catturati e consegnati con firma di ricevuta,
agli alleati;
centinaia di perdite inflitte al personale (morti e feriti);
decine di automezzi e linee telefoniche neutralizzati;
ponti salvati o resi inutilizzabili, secondo la situazione o la
missione. un deposito munizioni fatto esplodere, località liberate e
altro.
I paracadutisti pagarono un prezzo molto elevato: 31 caduti (19 della
Centuria Nembo, 12 dello Squadrone F.) e 26 feriti.
I riconoscimenti in ambito alleato e nazionale furono molteplici,
espressi anche dai livelli più elevati di comando.
Le ricompense al valore furono molto numerose e pregiate. Fra queste le
Medaglie d'Oro al tenente Franco Bagna del Nembo e al paracadutista
Amelio De Juliis dello Squadrone F.
L'operazione Herring costituisce fiore all'occhiello del Paracadutismo
Militare Italiano e si inserisce nello straordinario contributo
complessivo alla causa della Libertà.
2016 Ricordi di Silvia
Trovato
Squadroni aerei, giovanissimi
piloti americani, missioni di supporto alla Resistenza, e storie,
aneddoti, vicende umane che si intrecciano nel 1945, ma ancora oggi,
portano ricordi indelebili in tante persone tra la piccola Rosignano e
gli immensi Stati Uniti. Molti di quei giovanissimi piloti del 1945,
sono ancora vivi, come John Billings, classe 1923, che ancora oggi,
nonostante le diverse primavere, non ha smesso di volare. Oppure come
Ralph Cavaliere, mitragliere, che proprio in questi giorni, attraverso
un videocollegamento Skype, ha visto dopo più di settant'anni, una sua
cara amica di nome Ilma Donati, che vive ancora oggi a Rosignano. Una
sorpresa emozionante per entrambi. Gabriele Milani è un appassionato
esperto di storia contemporanea, da anni ricerca documenti negli archivi
storici di tutto il mondo, ricostruendo memoria e percorsi, ricercando
ancora i protagonisti, allestendo da anni, un enorme archivio storico,
preciso e dettagliato. «Alcuni archivi sono pubblici, in altri è
possibile comprare dei particolari documenti, e in certi casi, è
possibile attivare delle fruttuose collaborazione intercontinentali tra
studiosi, ricercatori e appassionati» spiega Milani. Qualche settimana
fa ha partecipato alla conferenza tenuta dall'ingegner Enrico Barbina,
organizzata dallo stesso Milani e da Barbina, col contributo di Armunia,
Anpi e Comune di Rosignano. Riflettori puntati sull'885° squadrone di
bombardieri statunitensi che nel 1945, stabilì la propria base aerea a
Rosignano. «La pista aerea della base di Rosignano fu costruita in varie
fasi e costeggiava la stradone Belvedere di Vada – racconta Milani –
alla fine era lunga 1700 metri e larga tra i 50 e i 60, una delle sue
particolarità, era nel fatto che venne utilizzato il calcare della
Solvay per costruirla, perché compattato aveva un'ottima resa». La base
aerea di Rosignano fu molto utilizzata da diversi squadroni aerei,
americani e inglesi, con diversi compiti, “ricognizioni, bombardamenti,
rifornimenti ai partigiani, trasporto feriti, erano molte le mansioni
affidate agli squadroni aerei che sono passati dal nostro territorio”.
Un lunghissimo elenco di squadre aeree di giovani piloti, americani e
inglesi, impegnati in operazioni dai nomi in codice, come raccontava
nella sua presentazione qualche giorno l’ingegner Barbina, come ad
esempio, l'operazione Margot, la Citron, la Tacoma, e potremmo andare
avanti a lungo. A Castiglioncello nel 1945 il contingente americano
stabilì il quartiere generale al Castello Pasquini e gli accampamenti
dei soldati furono allestiti nella Pineta Marradi. In una delle sale del
Pasquini c'era una gigantesca mappa che registrava il movimento di tutte
le operazioni in corso, la “room map”, la stanza della mappa. Nella
Pineta Marradi il giovane pilota italo-americano Ralph Cavaliere, un
giorno fece amicizia con tre ragazze: Ilma, Mari e Asmara. «L’ingegner
Barbina ha rintracciato il signor Cavaliere che oggi vive a Massapequa,
New York – racconta Milani – e da lui ha raccolto numerose testimonianze
di guerra e ricordi. Castiglioncello era un paradiso per loro, rispetto
a quella che ricordano come “l'arida” Brindisi, precedente base aerea
della squadriglia». In occasione della conferenza con un collegamento
Skype, Ralph Cavaliere si è collegato con Castiglioncello «E qui dopo
settant'anni ha visto di nuovo Ilma, che ai tempi aveva 15 anni, e Tauro
Biasci, con cui si erano ritrovati anni fa, iniziando a scambiare delle
lettere – spiega Milani – è stato estremamente emozionante, perché
ancora conservavano entrambi il ricordo vivo di quegli anni, in cui
durante la guerra, da ragazzi, tra le tende della Pineta Marradi si
erano conosciuti». Il Tirreno 23/10/2016.
20 aprile 2018 - Operazione Herring, festa per il nuovo monumento.
Una cerimonia istituzionale molto partecipata ha reso onore ai caduti
dell'Operazione Herring in località “ll Casone” a Vada, sede storica
dell'aeroporto militare di Rosignano. Qui è stato inaugurato il
monumento ai caduti nell'eroica impresa che precedette lo sfondamento
della Linea Gotica (19-23 aprile 1945), voluto dal 185esimo Reggimento
ricognizione ed acquisizione obbiettivi “Folgore" (Rrao) di Livorno, che
ha celebrato nell'occasione la propria festa di corpo. Il Comune di
Rosignano Marittimo, che ha promosso la commemorazione, ha siglato un
Patto di amicizia con il Comune di Poggio Rusco (Mantova),
rispettivamente luogo di partenza e di arrivo dell`Operazione Herring.
La commemorazione ufficiale è stata preceduta da uno spettacolare lancio
dimostrativo di paracadutisti in caduta libera, grazie ad un elicottero
AB412 del terzo Reggimento elicotteri per operazioni speciali (Reos). I
paracadutisti si sono lanciati nel cielo terso aprendo in volo le
bandiere delle istituzioni e dei soggetti coinvolti nell'operazione,
accompagnati da una scia tricolore. In seguito è stato inaugurato il
Monumento a tutti i caduti dell'operazione Herring alla presenza del
Comandante del 185esimo reggimento: colonnello Alessandro Grassano e del
generale Ivan Caruso.
Alla cerimonia sono intervenuti il prefetto di Livorno Anna Maria
Manzone e il questore di Livorno Orazio D'Anna, i gonfaloni delle
associazioni dei combattenti e dei comuni coinvolti, i familiari dei
caduti. Nell'occasione i sindaci di Rosignano Alessandro Franchi e di
Poggio Rusco Fabio Zacchi hanno siglato il "Patto di Amicizia",
manifestando la comune volontà di stabilire una cooperazione duratura
per favorire la conoscenza dell'impresa realizzata nell'ambito della
guerra di Liberazione.
L'operazione Herring fu un'impresa storica di avvio della Liberazione:
la sera del 20 aprile 1945 velivoli statunitensi decollarono da Vada con
226 paracadutisti italiani appartenenti allo Squadrone da Ricognizione
Folgore (noto come Squadrone F) e alla Centuria Nembo. ll lancio avvenne
sulla pianura padana occupata dai tedeschi, nelle province di Bologna,
Ferrara, Mantova e Modena. ln particolare presso "Cà Bruciata" di
Dragoncello, nel comune di Poggio Rusco (Mantova), si consumò un
violento scontro in cui persero la vita decine di persone, portando a
termine un'impresa ricordata oggi dal Monumento ai Caduti.
(QuiNewsCecina.it del 22/4/2018) |