Vada ieri/tassoni 
1929 - Marina di Vada Bagnanti - Sullo sfondo la chiesa e la torre, lungo la spiaggia 'tassoni' di alghe. Anni 20 - Spettacolo tuffi dai tassoni Ancora tassoni di alghe sulla battigia.
  I tassoni, depositi di alghe (posidonia) indurite alti fino a due metri che orlavano la battigia di tutta la baia.

  L'Aliga, e le altre Piante Marine rotte dalle Libecciate, sono trasportate dai Cavalloni fin di là da Cecina, ma soprattutto rigettate alla spiaggia di Capocavallo, e rammontare in guisa di tumoletti, i quali sono chiamati Tassoni. Ivi se ne trova una quantità immensa, mescolata con altri ripurgamenti marini, la quale si asciuga e  secca, divenendo leggerissima e bianca; finalmente dopo lungo tempo si putrefa , e diviene terra piena delle fibre di foglie più dure, e resistenti per molti anni, formando così, oltre alla rena, un altro materiale per i Tomboli. Quando è stata rigettata di poco tempo, e comincia a ribollire, ha un fetore di Catrame, ma non però nocivo alla sanità, per quanto dicono quei del Paese, se pure non vi sono mescolati molti cadaveri di Pesci o d'Insetti Marini. Non se ne fa prevalentemente alcuno uso; ma bruciandola, se ne potrebbe cavare una specie di Soda da Bicchieri, come fassi in alcune Marine d'Inghilterra. [...] (Targioni Tozzetti)
Da sopra i tassoni, specialmente con le acque torbide veniva esercitata la pesca alla "mazzacchera". Ovvero un sistema di pesca all'anguilla molto diffuso fino a qualche decennio fa, e oggi quasi completamente caduto in disuso. Questa tecnica di pesca, oltre che redditizia per la cattura delle anguille, è alquanto curiosa. Si pratica quando i pesci sono in caccia nel sottoriva, oppure di notte. L'importante è che ci sia una buona presenza di anguille affamate. Come canna si utilizza un comune bastone, oppure una vecchia canna di fibra senza cimino e sottovetta. La lunghezza dell'attrezzo non deve superare i 3 m. Alla canna si lega uno spago o un grosso filo di nylon in fondo al quale si cuciono insieme un po' di lombrichi in modo da creare un grosso e allettante boccone. Non c'è l'amo. La lenza va calata in prossimità delle zone di caccia. Quando l'anguilla prende in bocca il "malloppo" trasmette al filo una serie di fremiti ai quali segue un recupero senza strappi. Il pesce non molla la presa fino a quando non è ben fuori dall'acqua. Ma in quel momento va portato sopra ad un comune ombrello, aperto e piantato sulla riva a testa in giù. L'anguilla cade all'interno del parapioggia e non riesce a strisciare fuori dalle pareti. I tassoni di alga rivestivano quasi per intero la battigia dell'arco della rada. Erano alti anche fino ai due metri. Facevano da ormeggio alle barche dei pescatori in tempi buoni. Dal loro limitare, specialmente quando le acque erano torbide, i pescatori, anche quelli occasionali, praticavano quella speciale pesca detta a "mazzacchera". Consisteva, questa pesca, nell'infilare nell'amo della lenza un piccolo grappolo di "beci" che, detto meglio, erano i lombrichi che gli interessati andavano a cavare nei terreni umidi, qui da noi estesi. Questi "beci", ormai così li chiamavano in paese, dovevano essere un boccone ghiotto per le anguille, allora assai numerose a ridosso dei tassoni. Per i ragazzi l'altezza di quelle alghe in battigia, e la sufficiente profondità del mare sottostante, consentiva iniziare il bagno con un tuffo per poi raggiungere a nuoto, e qualche volta addirittura a piedi, quel caratteristico arcipelago di secche che, soprattutto con la bassa marea, emergevano vistosamente per larghi tratti. Queste "secche" emergenti e variamente distanti le une dalle altre, sono servite ai ragazzi di Vada per imparare a nuotare ed essere anche divertimento, potendo correre dall'una all'altra, essere campo di lotte con lanci di quelle palle feltrose prodotte dalle radici delle "Posidonie oceaniche" e allo scambio di lanci dei grumi di melma prelevati nel sottomanto erboso delle stesse secche. Da temere, e purtroppo succedeva, gli aculei dei ricci che conficcandosi nella pianta del piede costituivano un problema, a toglierli. (Da Q.Vadesi 11 a cura di Vinicio Bernini)
                 La posidonia è indispensabile per salvare la costa

Il prof. Francesco Cinelli, titolare della cattedra di Ecologia e Biologia Marina presso l'Università di Pisa illustra lo stato della costa da Castiglioncello a Cecina. La prateria di posidonia è una delle biocinosi più importanti e peculiari del Mediterraneo e in particolare quella esistente nella fascia costiera tra Castiglioncello e Cecina era, un tempo, una delle più estese. Cresce sul fondo del mare in rizomi, dai quali si sviluppano ciuffi di 5 o 7 o 9 foglie. Produce fiori e frutti (le "olive" di mare), che possono dar luogo a riproduzione. L'intreccio che ne risulta irrobustisce il fondo sabbioso e rallenta il flusso dei sedimenti: inoltre le folte chiome della posidonia, che talora giungono ad emergere oltre la superficie del mare, ammortizzano il moto ondoso. Entrambe le azioni sono un freno formidabile contro l'erosione. Acque troppo calde, come i reflui di centrali elettriche, la "bruciano"; acque torbide per eccessiva presenza di solidi in sospensione riducono la luce, inibendo la fotosintesi e quindi l'ossigenazione. In genere la "antropizzazione", cioè le macroscopiche modificazioni ambientali apportate dall'uomo, specie se preventivamente non studiate, distruggono l'habitat favorevole alla posidonia: è il caso delle dighe, sia parallele che trasversali alla linea di costa. D'altra parte l'arretramento della prateria di posidonia facilita l'erosione, distruggendo macchia mediterranea e il ciclo perverso continua. Analogo discorso si può fare per le dune costiere. Le "onde" di sabbia, specie se irrobustite dalla macchia mediterranea, costituita da piante adattate all'ambiente marino, sono la migliore difesa sulla terra ferma contro l'erosione, come la posidonia lo è in mare. Quando la macchia mediterranea arretra, l'erosione avanza. Per i rimedi bisogna seguire la via contraria. Occorre in ogni caso un'indagine storica e una verifica di fattibilità di un progetto di ripristino. In genere quando cessa la causa di disturbo antropico, il mare riprende la sua vita normale, anche se i processi di ricostruzione sono lunghi. In tal modo per esempio è stato possibile un recupero di circa 500 metri quadri di prateria al largo delle Spiagge Bianche. Altri esempi positivi sono la Punta Righini, che sta tornando allo stato originario, dopo la chiusura dello scarico fognario, e la Punta del Tesorino.
(23 febbraio 1998).

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