L'Aliga, e le altre Piante
Marine rotte dalle Libecciate, sono trasportate dai Cavalloni
fin di là da Cecina, ma soprattutto rigettate alla spiaggia di Capocavallo, e rammontare in guisa di tumoletti, i
quali sono chiamati Tassoni. Ivi se ne trova una
quantità immensa, mescolata con altri ripurgamenti marini, la
quale si asciuga e secca, divenendo leggerissima e bianca;
finalmente dopo lungo tempo si putrefa , e diviene terra piena
delle fibre di foglie più dure, e resistenti per molti anni,
formando così, oltre alla rena, un altro materiale per i
Tomboli. Quando è stata rigettata di poco tempo, e
comincia a ribollire, ha un fetore di Catrame, ma non però
nocivo alla sanità, per quanto dicono quei del Paese, se pure
non vi sono mescolati molti cadaveri di Pesci o d'Insetti
Marini. Non se ne fa prevalentemente alcuno uso; ma
bruciandola, se ne potrebbe cavare una specie di Soda
da Bicchieri, come fassi in alcune Marine d'Inghilterra. [...]
(Targioni Tozzetti)
Da sopra i tassoni, specialmente con le acque torbide veniva esercitata la
pesca alla "mazzacchera". Ovvero un
sistema di pesca all'anguilla molto diffuso fino a qualche decennio fa, e
oggi quasi completamente caduto in disuso. Questa tecnica di pesca, oltre
che redditizia per la cattura delle anguille, è alquanto curiosa. Si
pratica quando i pesci sono in caccia nel sottoriva, oppure di notte.
L'importante è che ci sia una buona presenza di anguille affamate. Come
canna si utilizza un comune bastone, oppure una vecchia canna di fibra
senza cimino e sottovetta. La lunghezza dell'attrezzo non deve superare i
3 m. Alla canna si lega uno spago o un grosso filo di nylon in fondo al
quale si cuciono insieme un po' di lombrichi in modo da creare un grosso e
allettante boccone. Non c'è l'amo. La lenza va calata in prossimità delle
zone di caccia. Quando l'anguilla prende in bocca il "malloppo" trasmette
al filo una serie di fremiti ai quali segue un recupero senza strappi. Il
pesce non molla la presa fino a quando non è ben fuori dall'acqua. Ma in
quel momento va portato sopra ad un comune ombrello, aperto e piantato
sulla riva a testa in giù. L'anguilla cade all'interno del parapioggia e
non riesce a strisciare fuori dalle pareti. I tassoni di alga rivestivano quasi
per intero la battigia dell'arco della rada. Erano alti anche fino ai due
metri. Facevano da ormeggio alle barche dei pescatori in tempi buoni. Dal
loro limitare, specialmente quando le acque erano torbide, i pescatori,
anche quelli occasionali, praticavano quella speciale pesca detta a "mazzacchera".
Consisteva, questa pesca, nell'infilare nell'amo della lenza un piccolo
grappolo di "beci" che, detto meglio, erano i lombrichi che gli
interessati andavano a cavare nei terreni umidi, qui da noi estesi. Questi
"beci", ormai così li chiamavano in paese, dovevano essere un boccone
ghiotto per le anguille, allora assai numerose a ridosso dei tassoni. Per
i ragazzi l'altezza di quelle alghe in battigia, e la sufficiente
profondità del mare sottostante, consentiva iniziare il bagno con un tuffo
per poi raggiungere a nuoto, e qualche volta addirittura a piedi, quel
caratteristico arcipelago di secche che, soprattutto con la bassa marea,
emergevano vistosamente per larghi tratti. Queste "secche" emergenti e
variamente distanti le une dalle altre, sono servite ai ragazzi di Vada
per imparare a nuotare ed essere anche divertimento, potendo correre
dall'una all'altra, essere campo di lotte con lanci di quelle palle
feltrose prodotte dalle radici delle "Posidonie oceaniche" e allo scambio
di lanci dei grumi di melma prelevati nel sottomanto erboso delle stesse
secche. Da temere, e purtroppo succedeva, gli aculei dei ricci che
conficcandosi nella pianta del piede costituivano un problema, a
toglierli. (Da Q.Vadesi 11 a cura di
Vinicio Bernini)
La posidonia è indispensabile per
salvare la costa
Il prof. Francesco Cinelli, titolare
della cattedra di Ecologia e Biologia
Marina presso l'Università di Pisa
illustra lo stato della costa da
Castiglioncello a Cecina. La prateria di
posidonia è una delle biocinosi più
importanti e peculiari del Mediterraneo
e in particolare quella esistente nella
fascia costiera tra Castiglioncello e
Cecina era, un tempo, una delle più
estese. Cresce sul fondo del mare in
rizomi, dai quali si sviluppano ciuffi
di 5 o 7 o 9 foglie. Produce fiori e
frutti (le "olive" di mare), che possono
dar luogo a riproduzione. L'intreccio
che ne risulta irrobustisce il fondo
sabbioso e rallenta il flusso dei
sedimenti: inoltre le folte chiome della
posidonia, che talora giungono ad
emergere oltre la superficie del mare,
ammortizzano il moto ondoso. Entrambe le
azioni sono un freno formidabile contro
l'erosione. Acque troppo calde, come i
reflui di centrali elettriche, la
"bruciano"; acque torbide per eccessiva
presenza di solidi in sospensione
riducono la luce, inibendo la
fotosintesi e quindi l'ossigenazione. In
genere la "antropizzazione", cioè le
macroscopiche modificazioni ambientali
apportate dall'uomo, specie se
preventivamente non studiate,
distruggono l'habitat favorevole alla
posidonia: è il caso delle dighe, sia
parallele che trasversali alla linea di
costa. D'altra parte l'arretramento
della prateria di posidonia facilita
l'erosione, distruggendo macchia
mediterranea e il ciclo perverso
continua. Analogo discorso si può fare
per le dune costiere. Le "onde" di
sabbia, specie se irrobustite dalla
macchia mediterranea, costituita da
piante adattate all'ambiente marino,
sono la migliore difesa sulla terra
ferma contro l'erosione, come la
posidonia lo è in mare. Quando la
macchia mediterranea arretra, l'erosione
avanza. Per i rimedi bisogna seguire la
via contraria. Occorre in ogni caso
un'indagine storica e una verifica di
fattibilità di un progetto di
ripristino. In genere quando cessa la
causa di disturbo antropico, il mare
riprende la sua vita normale, anche se i
processi di ricostruzione sono lunghi.
In tal modo per esempio è stato
possibile un recupero di circa 500 metri
quadri di prateria al largo delle
Spiagge Bianche. Altri esempi positivi
sono la Punta Righini, che sta tornando
allo stato originario, dopo la chiusura
dello scarico fognario, e la Punta del
Tesorino.
(23 febbraio 1998). |