Vada ieri/spiaggia   

Anni '40 bambini in spiaggia 1939 - Veliero al pontile in contrasto con l'abbigliamento già moderno delle ragazze. (Arch.P.Pagnini) 1955 - La spiaggia libera (Arch. Cecilia Cassigoli) La spiaggia anni '60 La spiaggia anni '60 1964  (Foto Aringhieri) 1964  (Foto Aringhieri) 1964  (Foto Aringhieri) Anni 60 - Tuffo con lancio Immagini da spiaggia Immagini da spiaggia Anni '50 - Ragazze al mare 1973 fra Barcaccina e pontile (Arch. A.Orsini) Anni '60 Anni '60 Anni '60 Anni '60 Anni '60 Anni '70

 
La spiaggia di Vada

                           UNA GIORNATA AL MARE  (fine anni ‘40)
Capocavallo era la balneazione di quelli di Collemezzano. Subito dopo la guerra, si andava al mare tra Mulino a Fuoco e le Gorette, dove c’erano ancora le gore pericolose. Era una festa rarissima e bella da ricordare, con tutti i preparativi di giorni. Il contadino attaccava il carro di buon’ora, caricava il mangiare e quanto occorreva alla balneazione e si partiva. Giù per la discesa, dopo avere salutato i restanti, i cerchi delle ruote schiacciavano i sassi più piccoli, risalivano su quelli più grandi sormontandoli lentamente, per poi ridiscenderne velocemente in modo alterno, ora su una ruota, ora sull’altra. Un traballio continuo, seduti sul fondo, aggrappati alla sponda. Eppure era festa. Lentamente, attraverso gli stradoni che portavano alla pineta; appena oltrepassata quella, si era sulla spiaggia. Lunga, deserta, con un mare limpido e la sabbia pulita. La pineta bellissima e larga, con le dune alte a barriera dal mare, popolate di lentisco e di poseidonie nella parte più bassa, lambite dalle onde che vi arrivavano leggere anche quando soffiava forte il libeccio. Un centinaio di metri dalle dune all’acqua; una grande spianata, quasi un deserto di sabbia. C’erano ancora i fortini tedeschi in acciaio grigio e gialli all’interno, ricordi di una fortificazione litoranea inutilizzata. In mare, affiorante, i resti di un velivolo semisommerso.
Riccardo scaricava ogni cosa e conduceva le vacche col carro più lontano, dove l’acqua era più profonda. Lì si metteva a pulire con brusca e striglia le vacche e poi, con la granata di saggina, il carro. Intanto si montava la tenda: un lenzuolo fermato ad una canna su un lato, appoggiata al centro e alla sommità di un’altra canna infissa nella sabbia; a mò di vela latina, mentre il venticello la faceva volare. L’ultima fermatura era costituita dal parziale insabbiamento del lembo libero. La brezza gonfiando la tenda rendeva più ampio lo spazio in ombra, quanto bastava per le cose da mangiare e qualche testa.
Il bagno era un sogno; l’acqua tiepida e bassa consentiva di andare lontani senza pericolo, almeno cento metri prima che l’acqua ci raggiungesse i ginocchi.
Si cominciava appena ad immergerci fingendo di nuotare, mentre le mani toccavano il fondo.
Il fondale pulito, in trasparenza, si vedeva ondulato con piccoli rialzi e tenui ombre cui si aggiungevano i riflessi serpeggianti d’oro abbagliante.
Appena usciti, si era accolti con asciugamani caldi di sole, pane, prosciutto ed una pesca.
Si mangiava seduti attorno alla tovaglia distesa, coi piatti cinesi del servito di nonna. I fagioli in umido col sugo di cipolla e il pane del forno di pochi giorni mandavano un profumo invitante. Il vino buono con un pò d’acqua del pozzo era concesso anche ai ragazzi.
Era un mondo semplice ma bello. Appena mangiato si andava in pineta dove i pini erano incisi con ferite a lisca di pesce rovescio per la raccolta in un vasetto di cotto. Il profumo era esaltato dalla resina che colava. Il caldo era più afoso per la mancanza del venticello di mare e poi c’erano le cicale1 Frinivano, frinivano insieme finché qualcuna cessava. Allora l’interruzione diventava più molesta tanto da non poter dormire in attesa che si ricostituisse quell’armonia interrotta; finché non erano trascorse le tre ore della digestione.
Finito il bagno del pomeriggio, subito i preparativi rapidi del rientro. Il carro aspettava. Lungo la strada, pochi viandanti mentre il sole si avviava al tramonto. Si arrivava, stanchi morti, ma contenti all’imbrunire.
 
(Da: "Quaderni vadesi 10" a cura di Gianfranco Vallini)

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