Invariabilmente ogni casa colonica
aveva il suo forno, indispensabile per la cottura
del pane, alimento base della famiglia contadina. L'ambiente
dove il forno era costruito, accumulando
calore serviva anche per altri servizi: seccare la
frutta (es. i fichi), fare la schiacciata all'olio o con
l'uva, cuocere i pomodori da trasformare in conserva, ecc. Nel resedio rurale, il forno poteva trovare sistemazione nel
sottoscala della casa colonica o essere del tutto separato
dall'edificio. Se era interno al fabbricato il calore della
canna fumaria era sicuramente un gradevole apporto alla
temperatura della casa, assai difficile da riscaldare.
IL MIRACOLO DEL PANE
Una decina di forme grandi e rotonde, messe per taglio,
riempivano il fondo della madia vicino alla farina, che
custodiva gelosamente il lievito. Il pane, cibo per eccellenza
della famiglia contadina, spariva rapidamente e quando
rimaneva l'ultima forma, partiva il rito della preparazione della
nuova infornata. La sera prima la massaia preparava il
lievito. Stiepidita l'acqua nella pentola di terracotta, sul focarile, provvedeva a colare la farina,
ruotando velocemente lo staccino (cilindro di legno con una
rete a maglia fine) finché sulla parte superiore della madia se ne
accumulava un bel mucchio. Fatta una fossetta al centro vi
poneva il lievito, quindi con l'acqua tiepida e per gradi, lo
scioglieva impastandolo fino a formare una pagnotta. Ricoperto
con un po' di farina lo fasciava con un pezzo di stoffa
morbida e pulita. Il mistero cominciava così. La mattina dopo
veniva il grosso del lavoro che la massaia dirigeva dando
ordini precisi alle persone disponibili (quando c'erano).
Ripreso il lievito parzialmente lavorato la sera prima,
aggiungeva ancora farina ed altra acqua tiepida, girando e
rigirando a forza di braccia il
bianco impasto, che diventava sempre più solido e
voluminoso fino a che aveva raggiunto la giusta consistenza.
La massaia ne strappava una porzione e lo passava sulla
spianatoia, fino a farne un pane morbido aggiungendo un po'
d'acqua schizzata con la mano, se troppo duro o una spruzzata
di farina nel caso contrario. Dopodiché lo metteva nella
tavola preparata allineandolo con gli altri e coprendoli con
un panno (per favorire la lievitazione e antimosca). Ora c'era il forno da preparare,
operazione più comoda se era in cucina, ma spesso era
all'esterno e si doveva operare anche d'inverno con grande
difficoltà. Grosse fascine di rovi, e di rametti secchi, tutto
predisposto per tempo, venivano infilate nella bocca e
lasciate bruciare
finché il soffitto diventava bianco. Questo era il
segnale che era giunto a temperatura, quindi pronto a
ricevere il pane senza aggiungere altra legna. Ma la massaia
non perdeva d'occhio le forme del pane che stavano lievitando più o meno rapidamente in funzione della
temperatura ambiente. Un po' prima, un po' dopo, i pani
rigonfiavano e la superficie si apriva con solchi ben
marcati ed il miracolo avveniva. Ma il miracolo aveva bisogno di
esperienza per completarsi e la massaia doveva decidere quando
il forno era a temperatura giusta ed il pane
perfettamente lievitato, abbinamento assai difficile da
realizzare, a
seconda della stagione e della posizione interna o esterna del forno
stesso e quindi della sua temperatura. Usando lo scatizzolo (attrezzo a paletta per
l'interno), si ammucchiava la
brusta su un lato del piano di
cottura, e sulla pala del pane già infarinata e piazzata
orizzontale sulla bocca, la massaia trasferiva i pani con
abile colpo di mano, spingendola subito dopo velocemente
all'interno dove, con una leggera spinta avanti-indietro, il
pane si adagiava sul piano di mattoni refrattari
incandescenti.
Mentre avveniva la cottura c'era tempo per preparare un po' di
schiacciata con olio e sale ed ciccioli del maiale, oppure uva
secca secondo la stagione. Anche la fine della cottura
richiedeva occhio esperto, essendo dipendente dalla
temperatura raggiunta e mantenuta dal forno. Ma dopo qualche
sondaggio nei punti giusti la massaia cominciava a sfornare
senza errori.
Il buon profumo, ripagava del faticoso lavoro, e la certezza
di avere ancora una volta la madia rifornita per più di un
mese, garantiva un po' di serenità in un mondo
che non consentiva alla povera gente nemmeno la certezza di un
pasto sicuro. Raccomandava la massaia nella sua saggezza contadina:
ai bimbi non fate mai assaggiare il pane fresco altrimenti non
vorranno più quello posato, dato che ogni giorno in tavola,
finiva il pane
più vecchio. Mettendo solo un filo d'olio sulla schiacciata,
ordinava
ai ragazzi (quando raramente riuscivano ad afferrare il
prezioso contenitore di cotto) di non disegnare con l'olio una "O"
o peggio una doppia "O", essendo più che sufficiente una sottile "C",
insegnando così i rudimenti di quell'"alfabeto della miseria",
oggi di direbbe "...del buon senso",
che sarà sempre ben presente nella realtà quotidiana della
campagna.
Fino agli anni Sessanta del '900, i tipi di pane
di maggiore uso erano due: quello nero ed integrale tipico delle famiglie
contadine e quello bianco delle famiglie borghesi, così pure
per la pasta (anche il pane portato dagli americani era
bianco). La differenza era dovuta all'uso di farine con
o senza crusca (la buccia del chicco di grano
ad alto contenuto di fibre). Quelle
nere integrali contenevano crusca che per fare pani bianchi
veniva eliminata mediante vagliatura perché ritenuta
indigesta. Nella crusca ci sono tutte le virtù
del grano,
sali minerali, vitamine e fibre, ma nel
periodo del consumismo spietato, pane e pasta integrali
lasciarono il posto a quelli bianchi (quasi uno status symbol). Anche
oggi la percentuale di prodotti da forno
integrali è bassissima rispetto a quelli bianchi. Sul piano
salute la moderna dietologia propone
sempre alimenti integri, utili soprattutto per la profilasssi
del tumore al colon e per la pressione arteriosa che può abbassare di ben 5 punti. Al solito i contadini
avevano ragione.
Vediamo più da vicino
il nostro MIRACOLO: il protagonista è il "lievito naturale"
cioè un composto ottenuto dalla fermentazione spontanea di un
impasto di farina di frumento e acqua, nel quale sono presenti
microrganismi di specie diverse: in particolare lieviti del
genere Saccaromiceti e batteri lattici; questi ultimi sono, in
prevalenza, Lactobacilli e Streptococchi. Questi microrganismi
si riproducono alimentandosi di zuccheri semplici (il
saccarosio) e, in parte, di zuccheri complessi contenuti
nell’amido delle farine; zuccheri che vengono trasformati
principalmente in gas (l’anidride carbonica che provoca
l'aumento di volume) e, in misura
minore, in alcool (l’etanolo), in acido acetico, in acido
lattico, in diacetile ed in acetaldeide.
L’insieme di questa attività biologiche viene comunemente
definita “fermentazione” e costituisce la parte più importante
nel processo di produzione delle paste lievitate di ogni tipo,
pane compreso. |