Spigolando per sopravvivere
1926 - Abitavo ai Polveroni e frequentavo
la seconda elementare alla scuola di Vada. Per andare a scuola usavo la
strada che non era asfaltata. Vi erano dei mucchi di pietra ed a breve
distanza da essi si trovavano seduti degli operai spaccapietre. In estate, con gli ombrelli
verdi aperti per ripararsi dal sole, spaccavano a piccoli pezzi la pietra
la quale riforniva il manto stradale.
In casa veniva Guelfo a "opre"; ci faceva le scarpe con i chiodi. Nel mese
di marzo, mio padre mi diceva: «chi ha la buona gamba vada scalzo». Le
scarpe le mettevamo prima di entrare in classe. La mia maestra si chiamava
Giometti, mi ha seguito fino alla quinta elementare. Nel periodo estivo,
quando non andavo a scuola, insieme alla mia famiglia andavamo a spigolare
il grano dopo che i contadini avevano fatto il raccolto. Ne raccoglievamo
circa un quintale che serviva a fare la farina e il pane per l'inverno;
quando era finita la spigolatura del grano, cominciava la spigolatura
dell'uva dopo che i contadini avevano vendemmiato. Quasi nello stesso
periodo i contadini lavoravano il maggese.
(maggese č un campo
lasciato a riposo, senza coltivazione per un anno), allora andavamo a fare la gremigna che veniva venduta ai barrocciai. Nel 1927 dodici lire al giorno
erano la paga di un operaio Solvay. Poche considerando che mio padre era
anche un grande fumatore. In mancanza di tabacco diverse volte, per
fumare, andava a raccogliere il tasso barbasso.
(Da: "Ricordi di un operaio" di
Emilio Lupichini 1997, scaricabile dal sito) |