L'attrezzatura dell'arrotino. Qui è già moderna essendo la mola azionata di motore elettrico al posto della rotazione a pedale od a mano. Notare a destra il piccolo serbatoio dell'acqua per il raffreddamento goccia a goccia, della lama durante l'affilatura.

                     Il mestiere del coltellinaio
Il coltellinaio doveva prima di tutto essere un abile fabbro e saper controllare tutte le fasi di lavorazione dell'acciaio con cui era realizzata la lama, ma nello stesso tempo conoscere le tecniche per trattare il legno ed il corno, materiali da cui sì ricavavano i manici. La sua attività lavorativa si svolgeva nella bottega provvista delle attrezzature indispensabili quali la forgia, il banco da lavoro, l'incudine e varie mole; era coadiuvato nei lavori meno pesanti da bambini e da donne della famiglia. La giratora, ad esempio, metteva in movimento la mola destinata all'arrotatura delle lame. Oltre ad esse utilizzato nel lavoro e nella vita quotidiana ogni qualvolta si che si doveva tagliare o forare,, il coltello ha svolto una pluralità di funzioni: arma di offesa, pegno d'amore, strumento magico-protettivo contro fenomeni negativi. La fabbricazione artigianale di un coltello prevedeva tutta una serie di operazioni per dare forma e consistenza alla lama; per prima, la forgiatura, che consisteva nel modellare sull'incudine, a colpi di martello, il metallo arroventato su cui si cercava di definire già la forma del taglio e del piatto, il profilo definitivo veniva successivamente raggiunto con una lima a ferro.
Seguiva poi la tempra, ottenuta arroventando la lama ed immergendola rapidamente in acqua o in olio per rendere duro l'acciaio, che però in questo modo diventava fragile; per ovviare a questo inconveniente la lama veniva di nuovo riscaldata a temperature di volta in volta stabile in base alle caratteristiche che si voleva dare al manufatto. Successivamente, la lama veniva passata a tre tipi di mola: di pietra per l'arrotatura, di legno coperto da uno smeriglio per rendere più liscia e regolare la superficie del metallo, e infine ancora di legno coperto da smeriglio più fine per una completa lucidatura. I manici venivano realizzati con il corno bovino o con il legno (bosso, faggio, castagno, ciliegio). Dopo aver taglialo il corno alla dimensione desiderata, lo si metteva a scaldare, quindi lo si ripiegava e si metteva alla morsa per una prima sgrossatura; l'operazione di riscaldamento e di ripulitura era ripetuta più volte, infine il pezzo veniva stretto in una morsa e lasciato li fino a completo raffreddamento. Dopo essere stato lucidato con varie tecniche, si poteva procedere al montaggio dei vari pezzi: nel manico si inseriva la molla, poi si univa la lama. L'Italia centro-settentrionale ha conosciuto una pluralità di centri produttivi nel settore della coltelleria e dei ferri taglienti (Maniago, Bologna, Forlì, la provincia di Ravenna, di Par­ma e di Reggio Emilia). Ma il centro di maggiore rilevanza per la produzione dei ferri taglienti si trova in Toscana, a Scarperia (di secondaria importanza è stata Figline Valdarno). La produzione scarperiese ha privilegiato i modelli locali e, specialmente dopo l'Unità nazionale e l'apertura di nuovi mercati, quelli dell'Italia centro-meridionale e delle isole. La legge del 1908, che limitava la lunghezza dei coltelli a serramanico, principale prodotto scarperiese, determinò la crisi del settore, incapace di rinnovare la gamma produttiva. Oggi a Scarperia sono attive cinque ditte produttrici di coltelli e ferri taglienti che utilizzano moderne tecniche di lavora­zione, mentre la produzione tradizionale è rimasta nelle mani di abilissimi artigiani che auspicano provvedimenti a sostegno e sal­vaguardia di questo antico mestiere. (Di Lidia Calzolai dal documento esposto nel museo)

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