1943
- Problemi con la farmacia per richiamo del titolare.
Acqua calda durante l’adunata
Sembra
impossibile, ma in realtà fino a pochi decenni fa non era così
semplice lavarsi. La bacinella di zinco veniva tirata fuori e
sistemata in cucina, vicino all’acquaio di graniglia; la
stufa a carbone scaldava l’acqua che veniva riversata senza troppa
cautela nei recipienti e le donne si guardavano intorno
guardinghe, temendo di essere sorprese nude in mezzo alla
cucina. Per questo in molte tirarono un sospiro di sollievo
quando, al tempo del fascismo, l’adunata obbligatoria del
sabato pomeriggio costringeva tutti gli uomini a uscire di
casa. E il sabato pomeriggio divenne quindi il giorno
indisturbato e tranquillo del bagno delle donne. Ma non a
Rosignano, dove sin dagli anni 20, in via Aldo Moro (allora Re
Alberto), poco distante dall’attuale Palestra Azzurra, c’era
un’altra alternativa: i bagni pubblici. Non veramente
pubblici, perchè erano stati allestiti dalla Solvay per i
propri dipendenti, ma la novità si diffuse velocemente,
mescolata alla sorpresa, per le strade di Rosignano. “Tante
vasche, con l’acqua calda e la stufa vicino. E non costa
niente” raccontava la gente. Mentre nel Paese Nuovo le donne
si affannavano ancora alle fontanelle per raccogliere l’acqua
nelle brocche di rame da utilizzare in casa, a Rosignano il progresso sembrava
arrivato all’improvviso davanti agli occhi stupefatti dei
dipendenti Solvay: otto vasche, collocate in stanze separate.
Le tante foto tutte uguali, conservate nell’archivio Solvay,
di una di queste vasche testimoniano lo stato di eccezionalità
del quale godevano al tempo. Erano piccole, bianche nella
parte interna e scure in quella esterna. Sedendosi e azionando
il rubinetto dell’acqua calda era possibile rilassarsi
guardano la stanza spoglia: una stufa, una parete di
mattonelle, una finestra, una sedia e uno specchio. Non c’era
nient’altro eppure tutti se ne andavano soddisfatti.
All’entrata la custode sorrideva ai clienti e dava gli
asciugamani a chi non li aveva portati, fino a quando non
andavano esauriti. A quel punto si scusava e scrollava le
spalle, dicendo di non averne più. Alcune panche poco distanti
accoglievano i discorsi di chi aspettava il proprio turno: non
si pagava niente per lavarsi e la gente si affollava
all’ingresso. Alcuni passavano il giorno prima a prenotarsi e
il sabato c’era la grande corsa per lavarsi dalle 12.30 alle
13.00. Una novità accolta con interesse in un momento in cui
soltanto le case più ricche potevano permettersi un bagno
personale dotato di vasca, la doccia arriverà più tardi. Il martedì e il venerdì
erano invece i giorni riservati alle donne. “Le nostre mamme
si mettevano d’accordo e andavano tutte insieme ai bagni.
Mentre una entrava nella stanza della vasca, l’altra
controllava tutti i bambini. "Si davano il cambio", ricorda Leo
Gattini. 15 minuti di veloce pulizia. Sapone, poco shampoo, e
un risciacquo diverso a seconda del colore dei capelli: le
donne bionde usavano la camomilla per schiarire le chiome, le
more l’aceto per renderle più brillanti. Per gli uomini era
più semplice. “Noi usavamo il sapone” sostiene Leo Gattini.
“Non mi ricordo di nessuno shampoo”. Poi, dalla fine degli
anni 50 tutte le case nuove iniziarono a essere dotate di una
vasca o di una doccia con scaldabagno in rame alimentato a
legna. Era la fine dei bagni pubblici.
(Di Roberta
Giaconi da "Il Tirreno" del 2/11/2006) |